Settore in crisi, il mastrino dei clienti smentisce l’azienda: accertamento plausibile per i ricavi troppo bassi

Vittoria per l’Agenzia delle Entrate. Riprende vigore l’avviso di accertamento con cui sono stati ricalcolati i ricavi dell’azienda. Necessario un nuovo giudizio in secondo grado. Per i Giudici della Cassazione, però, la crisi del settore non è elemento sufficiente per delegittimare l’applicazione degli studi di settore, soprattutto considerando il mastrino dei clienti dell’azienda.

I momenti difficili vissuti dall’azienda e connessi alla crisi del settore non sono sufficienti per giustificare i bassi ricavi e per depotenziare l’accertamento operato dal Fisco Cassazione, ordinanza n. 24870/20, depositata il 6 novembre . Riflettori puntati su una società che opera nel campo dell’indotto automobilistico. Sospetto, secondo il Fisco, l’andamento aziendale nel corso del 2005 ecco spiegato l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, sulla base dell’applicazione degli studi di settore , accerta ai fini IRES, IRAP ed IVA, per l’anno 2005 maggiori ricavi, quantificati in 160mila e 224 euro e procede alla liquidazione di maggiori imposte e sanzioni . In primo grado i Giudici tributari ritengono eccessiva la pretesa avanzata dal Fisco, e così, in considerazione della grave crisi del comparto automobilistico che ha coinvolto la FIAT, cliente quasi esclusivo della società contribuente , rideterminano i ricavi relativi al 2005, fissandoli in 45mila euro. In secondo grado arriva però un successo netto per la società. Per i Giudici tributari, difatti, non sono applicabili gli studi di settore in un periodo di crisi aziendale conclamata e provata , come certificato dall’ svolgimento anomalo dell’attività produttiva . Delegittimata, quindi, l’azione del Fisco. A portare la questione in Cassazione è ovviamente l’Agenzia delle Entrate, che sostiene la tesi della piena applicabilità degli studi di settore anche nel caso di andamento anomalo dell’attività imprenditoriale . Per i magistrati del Palazzaccio le valutazioni compiute dalla Commissione tributaria regionale sono assai fragili. Difatti, i Giudici di secondo grado si sono limitati ad accogliere acriticamente le contestazioni della società contribuente, affermando che non sono applicabili gli studi di settore in un periodo di crisi aziendale conclamata e provata, quando l’attività produttiva ha avuto uno svolgimento anomalo e hanno osservato che l’azienda è rimasta inattiva per oltre quattro mesi nel corso dell’anno e ha svolto attività ridotta negli altri mesi, ma, osservano dalla Cassazione, è stato ignorato un dato importante, cioè che dal mastrino dei clienti, prodotto nel corso del contraddittorio, risultava che i clienti della società nel corso del 2005 erano stati numerosi e che nello stesso anno erano state effettuate nei confronti del cliente principale vendite per circa 145mila euro, pari al 13% del fatturato del 2005 , anno concluso con ricavi dichiarati pari ad oltre un milione di euro . Per i Giudici della Cassazione ci si trova di fronte ad elementi certamente inidonei a giustificare l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui è applicabile lo standard” prescelto dall’amministrazione finanziaria . Di conseguenza, non vi sono i presupposti per travolgere l’accertamento operato dall’Agenzia delle Entrate. E di questa presa di posizione della Cassazione dovranno tenere conto i Giudici tributari regionali, chiamati ad esaminare nuovamente la vicenda.

Corte di Cassazione, sez. V Civile, ordinanza 24 giugno – 6 novembre 2020, n. 24870 Presidente Sorrentino – Relatore Saieva Rilevato che 1. L'IMCOP s.r.l., esercente attività imprenditoriale nel campo dell'indotto automobilistico particolarmente della FIAT , impugnava l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate, sulla base dell'applicazione degli studi di settore, aveva accertato ai fini IRES, IRAP ed IVA, per l'anno 2005 maggiori ricavi quantificati in Euro 160.224.00 e proceduto alla liquidazione di maggiori imposte e sanzioni. 2. La Commissione tributaria provinciale di Vercelli, in considerazione della grave crisi del comparto automobilistico che aveva coinvolto la FIAT, cliente quasi esclusivo della contribuente, accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla società, rideterminando i ricavi in Euro 45.000,00. 3. La Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza n. 89/31/13 pronunciata il 16.5.2013 e depositata il 14.8.2013, accoglieva l'appello della società, non ritenendo applicabili gli studi di settore, in un periodo di crisi aziendale conclamata e provata, durante il quale l'attività produttiva aveva avuto uno svolgimento anomalo. 4. Avverso tale decisione l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui la società contribuente non ha opposto alcuna difesa. 5. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 24.6.2020, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis 1 cod. proc. civ. Considerato che 1. Con un unico motivo l'agenzia ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 62-bis e 62-sexies del D.L. 331 del 1993 e dell'art 39, primo comma, lett. d , del D.P.R. 600/1973, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ritenendo pienamente applicabili gli studi di settore anche nel caso di andamento anomalo dell'attività imprenditoriale. 2. Il ricorso è fondato. 3. Invero, costituisce principio consolidato quello secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest'ultimo ha la facoltà di contestare l'applicazione dei parametri, provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l'ufficio ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte ad integrare la motivazione dell'atto impositivo, indicando le ragioni del proprio convincimento. Tuttavia, ogni qualvolta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente abbia omesso di parteciparvi ovvero si sia astenuto da qualsivoglia attività di allegazione, l'ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri Cass. Sez. 5, 06/08/2014, n. 17646 Sez. 6, 16/5/2016, n. 10047 Sez. 5, 30/10/2018, n. 27617 . 3.1. E' stato ulteriormente chiarito che i parametri o studi di settore previsti dall'art. 3, commi 181 e 187, della legge n. 549 del 1995, rappresentando la risultante dell'estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell'Ufficio dell'accertamento analitico induttivo, ex art. 39, primo comma, lett. d, del D.P.R. n. 600 del 1973, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente. Su quest'ultimo, nella fase amministrativa e, soprattutto contenziosa, incombe l'onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, si da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all'ente impositore fa carico unicamente la dimostrazione dell'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento Cass., Sez. 5, 13/07/2016, n. 14288 . 3.2. A tali principi non si è attenuta la C.T.R. la quale si è limitata ad accogliere acriticamente le contestazioni della società contribuente, affermando che non sono applicabili gli studi di settore, in un periodo di crisi aziendale conclamata e provata, quando l'attività produttiva ha avuto uno svolgimento anomalo essendo rimasta l'azienda inattiva per oltre quattro mesi nel corso dell'anno e svolto attività ridotta negli altri mesi . La C.T.R. invero ha omesso di considerare che, come emergeva dal mastrino dei clienti prodotto nel corso del contraddittorio del 25.11.2010 risultava che i clienti della società nel corso del 2005 erano stati numerosi e che nello stesso anno erano state effettuate nei confronti della Fiat Fiat Auto s.p.a. e Fiat Cm Powertrain Italy vendite per circa Euro 145.000, pari al 13% del fatturato del 2005 anno nel quale i ricavi dichiarati ammontavano ad oltre 1 milione di Euro. Detti elementi, certamente inidonei a giustificare l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui è applicabile lo standard prescelto dall'Amministrazione finanziaria, non consentivano di travolgere l'accertamento dell'amministrazione finanziaria, talché si impone il rinvio degli atti al giudice a quo per una rivalutazione della controversia. 4. Il ricorso va pertanto accolto con rinvio degli atti alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, perché provveda in conformità al principio enunciato, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.