Studi a disposizione e partner in un’associazione professionale: legittima la pretesa del Fisco sul fronte IRAP

Definitiva la cartella di pagamento per oltre 14mila euro nei confronti di un avvocato. Evidente l’esistenza dell’autonoma organizzazione, poiché il legale ha usufruito dei servizi amministrativi, predisposti e forniti dalla società, sostenendo i relativi costi.

Tre studi e, in aggiunta, il ruolo di partner in un’associazione professionale. Legittima la pretesa avanzata dal Fisco sul fronte IRAP nei confronti di un avvocato Cassazione, ordinanza n. 8704/20, sez. Tributaria, depositata l’11 maggio . In ballo una cartella di oltre 14mila euro – con oltre 12mila euro relativi solo ad IRAP – relativa all’anno d’imposta 2005. Il primo round, dinanzi ai giudici tributari provinciali, lo vince il legale, ritenuto soggetto del tutto privo del requisito della autonoma organizzazione poiché l’attività professionale risulta svolta , secondo i giudici, senza il supporto di personale o collaboratori e con l’impiego di beni strumentali di modesta entità . Il secondo round, invece, vede vincere l’Agenzia delle Entrate. Fondamentale la sottolineatura che il legale ha avuto a disposizione una organizzazione autonoma oltre al minimo necessario allo svolgimento di una attività professionale, supportata da tre studi, nonché dalla partecipazione, sia pure limitata a cinque mesi, in una associazione professionale . Per i giudici tributari regionali, difatti, l’attività professionale dell’avvocato si è realizzata, in relazione alla sua personale organizzazione autonoma, con utilizzo di servizi di terzi, oltre che di studio professionale e beni strumentali, utilizzando non solo uno studio proprio ma anche un recapito utilizzato con servizi predisposti da una srl . A chiudere il contenzioso provvede la Cassazione, dando ragione in via definitiva all’Agenzia delle Entrate. Nessun dubbio, in sostanza, sul requisito dell’autonoma organizzazione, quale presupposto impositivo dell’IRAP , poiché il legale era supportato da elementi idonei a comprovare l’esistenza di una organizzazione autonoma , risultando partner e non associate . In sostanza, l’avvocato, più che svolgere una seconda sua attività in associazione, aveva usufruito dei servizi amministrativi , predisposti e forniti dalla società, sostenendo costi per l’utilizzo dei servizi esposti in dichiarazione per una cifra superiore ai 92mila euro.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 19 novembre 2019 – 11 maggio 2020, n. 8704 Presidente Locatelli – Relatore Saieva Rilevato che 1. Gu. Fr., esercente la professione di avvocato, impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Varese la cartella di pagamento emessa ai sensi dell'art. 36 bis del D.P.R. 600/73 con relativo ruolo per un importo complessivo di Euro 14.355,65 di cui Euro 12.155,77 per IRAP inclusive di sanzioni ed interessi non versata per l'anno di imposta 2005, ritenendo detta imposta non dovuta in quanto soggetto del tutto privo del requisito della autonoma organizzazione. 2. La Commissione adita annullava la cartella relativamente all'IRAP ritenendo che il contribuente avesse fornito la prova della mancanza dei presupposti impositivi, risultando l'attività professionale svolta senza il supporto di personale e/o collaboratori e con l'impiego di beni strumentali di modesta entità. 3. L'Agenzia delle Entrate impugnava tale decisione rilevando l'esistenza di una organizzazione autonoma oltre al minimo necessario allo svolgimento di una attività professionale, supportata da tre studi il primo a Gallarate, il secondo a Milano e il terzo a Lugano ove risiedeva , nonché dalla partecipazione, sia pure limitata a cinque mesi, in associazione professionale, detenendo una partecipazione nella Interprofessionale s.r.l. di Milano. 4. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza n. 106/5/11, pronunciata l'8.11.2011 e depositata il 24.11.2011, accoglieva l'appello dell'Ufficio ritenendo che l'attività professionale dell'avv. Gu. in Italia senza tener conto di quella svolta a Lugano si era realizzata in relazione alla sua personale organizzazione autonoma con utilizzo di servizi di terzi, oltre che di studio professionale e beni strumentali, utilizzando non solo uno studio proprio, ma anche un recapito, utilizzato con servizi predisposti dalla s.r.l. 5. Avverso tale decisione il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate. 6. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 10.7.2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, c.p.c. Considerato che 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce ex art. 360 primo comma, n. 5 c.p.c. omessa o comunque insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio , contestando l'argomentazione della C.T.R. che avrebbe desunto la sussistenza di un'autonoma organizzazione dalla presenza di tre locali tutti destinati all'attività professionale svolta. 2. Con il secondo motivo deduce ex art. 360, primo comma, numero 5 , c.p.c, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio contestando che la mera partecipazione alla Interprofessionale s.r.l. per una quota minimale del 6% costituisse requisito idoneo a comprovare l'esistenza di autonoma organizzazione. 3. I motivi, strettamente connessi, in quanto afferenti entrambi a vizi motivazionali, vanno esaminati congiuntamente. 4. Va in primo luogo osservato che secondo la giurisprudenza di questa Corte si ha motivazione omessa o insufficiente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuandoli, non proceda ad una loro disamina logico-giuridica, tale da esplicitare il percorso argomentativo seguito Cass. n. 16736 del 27/7/2007 . 5. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno poi chiarito che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti Cass. S.U. n. 7931/13 . 6. Di conseguenza è inammissibile il ricorso che - analogamente a quanto verificatosi nel caso di specie - finisca per sollecitare una nuova valutazione delle risultanze di fatto ormai cristallizzate quoad effectum così come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata - quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità Cass. n. 12264/14 . 7. Nella fattispecie in esame, i giudici di appello cui spetta l'accertamento insindacabile in sede di legittimità , della sussistenza del requisito dell'autonoma organizzazione, quale presupposto impositivo dell'IRAP, hanno ritenuto di confermare la legittimità dell'atto impositivo, nella considerazione che lo stesso era supportato da elementi idonei a comprovare l'esistenza di una organizzazione autonoma, evidenziando che il ricorrente contrariamente a quanto da lui affermato risultava partner e non associate e, più che svolgere una seconda sua attività in associazione, aveva usufruito dei servizi amministrativi, predisposti e forniti dalla società, sostenendo costi per l'utilizzo dei servizi, esposti in dichiarazione per Euro 92.696,00. 8. È pertanto evidente che trattasi di motivazione che esplicita le ragioni della decisione ed assolve alla funzione di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 546/1992. 9. Va pertanto dichiarata l'inammissibilità del ricorso. Le spese liquidate come da dispositivo seguono la soccombenza. Non sussistono rattorte temporis i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di giudizio in favore dell'Agenzia delle Entrate che liquida in 2.500,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.