Non basta il solo verbale della Guardia di Finanza per provare la frode carosello

Il solo verbale della Guardia di Finanza non prova la frode carosello. Spetta, infatti, al Fisco dimostrare perché il contribuente ha detratto le fatture false in malafede.

Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con la ordinanza n. 716 del 15 gennaio 2020. Vicenda. Nel caso in esame, una società aveva usato fatture soggettivamente inesistenti secondo l’Ufficio, la contribuente aveva la consapevolezza che l’emittente fosse una cartiera, Il fisco ha, in sostanza, contestato ad una società di informatica di aver usato fatture soggettivamente inesistenti con la consapevolezza che l'impresa emittente era una cartiera. L’atto impositivo notificato al contribuente ha fatto proprio un PVC redatto dalla GdF senza aggiungere ne togliere nulla. I giudici tributari di merito hanno ritenuto infondata la pretesa erariale basata sul mero PVC redatto dalla GdF. Pronuncia. Gli Ermellini ,con la pronuncia citata, hanno precisato che il fisco ha prospettato per un verso il valore fidefaciente del PVC senza tuttavia indicare in maniera specifica gli elementi fattuali che i verbalizzanti avrebbero individuato per dimostrare il coefficiente psicologico con specifico riferimento alle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, in tal modo rendendo la censura inammissibile per carenza di specificità, nemmeno potendosi comprendere se i fatti ai quali ha fatto riferimento la ricorrente fossero stati direttamente accertati dagli organi ispettivi e, conseguentemente, fossero idonei a far piena prova fino a querela di falso. Un secondo motivo di ricorso presentato dal fisco è stato invece accolto. Gli Ermellini hanno censurato l’operato del giudice del gravame che doveva accertare se la fatture erano non solo soggettivamente inesistenti ma anche oggettivamente. La CTR, nel rigettare l'appello dell'ufficio, ha esclusivamente focalizzato la propria attenzione sull'esistenza o menu di operazioni soggettivamente inesistenti. Totalmente tralasciando di esaminare le censure che il fisco aveva prospettato anche rispetto alle operazioni oggettivamente inesistenti e all'emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte della società contribuente, in tal modo omettendo di giustificare le ragioni che avevano condotto rispetto a tali contestazioni alla conferma della decisione impugnata. Conclusioni. In tema di evasione dell'IVA a mezzo di frodi carosello, quando l'operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l'onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all'obbligo del pagamento dell'imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l'interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta. Per contestare l'utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti, l'ufficio deve dimostrare sia la fittizietà del fornitore sia la consapevolezza del contribuente alla partecipazione alla frode. quando sono contestate operazioni soggettivamente inesistenti, il fisco ha l'onere di provare sia l'oggettiva fittizietà del fornitore sia la consapevolezza del contribuente. Occorre infatti dimostrare, anche in via presuntiva, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione si inseriva in un'evasione dell'imposta. In particolare, l'ufficio deve indicare elementi oggettivi e specifici che avrebbero dovuto indurre il contribuente a sospettare della frode, semplicemente usando l'ordinaria diligenza. Solo quando l'amministrazione assolva questo onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria, dovendo dimostrare di avere adoperato la diligenza esigibile, in base a criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso. A questo scopo sono irrilevanti sia la regolarità della contabilità e dei pagamenti, sia la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci. Qualora l'amministrazione contesti ad un contribuente il diritto alla detrazione Iva in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni, è onere della medesima amministrazione provare che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere - in base ad indizi idonei ad avvalorare il sospetto - che l'operazione era in realtà inserita in un meccanismo di evasione dell'Iva. È poi onere del contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di essere stato in buona fede e cioè di non essersi trovato - utilizzando la diligenza esigibile dall'operatore accorto in relazione alle circostanze - nella situazione oggettiva di poter conoscere il carattere fraudolento delle operazioni e dei soggetti coinvolti, oppure di non essere stato in grado di superare l'ignoranza circa la fittizietà dei soggetti. Qualora l'Erario contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, è onere del contribuente dimostrare la propria buona fede. In mancanza di tale prova, l'ufficio può procedere legittimamente a recuperare l'Iva indebitamente detratta. In buona sostanza, la giurisprudenza è concorde nel sostenere che solo l'imprenditore che abbia adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l'operazione posta in essere non faccia parte di una frode, deve poter fare affidamento sulla liceità dell'operazione, senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell'imposta sul valore aggiunto pagata a monte. Ne consegue che, se l'amministrazione sospetta dell'operazione indicata in fattura, ma soprattutto della veridicità del fornitore, per detrarre l'Iva il contribuente deve provare la buona fede del proprio comportamento. Il giudice del merito, dunque, è chiamato a valutare non solo se il contribuente fosse consapevole della fittizietà del soggetto prestatore o cedente buona fede , ma anche se, in base alla diligenza dell'accorto operatore, poteva conoscere il contesto illecito dell'operazione e, dunque, fosse in qualche modo coinvolto. Gli indizi da cui si può evincere la buona fede sono effettiva esistenza nel cedente di una efficiente ed adeguata struttura operativa locali e strumenti idonei, presenza di titolari e/o dipendenti capacità dell'impresa cedente di fornire autonomamente i beni acquistati utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili bonifici, assegni presenza nel cedente di indici di capacità commerciale clientela qualificata, pubblicità, o rilevante giro di affari non aver ottenuto alcun vantaggio o beneficio economico dalla eventuale frode cui ha partecipato il venditore beni a prezzi inferiori, ristoro di pagamenti fatti per contanti conservazione della copia degli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali che hanno dato origine alla cessione contratti stipulati con il venditore, scambio di mail, trattative In sostanza, per poter detrarre l'Iva relativa a fatture soggettivamente inesistenti, il contribuente deve provare di non aver avuto consapevolezza della falsità delle fatture buona fede , attraverso una serie di elementi e circostanze che consentano di poterne escludere la sua conoscenza e conoscibilità A seguito della suindicata modifica apportata all'art. 14, co. 4 bis, della I. n. 537 del 1993, novella che opera quale ius superveniens avente efficacia retroattiva in bonam partem , stante il tenore del comma 3 del medesimo articolo, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, che siano o meno inserite in una frode carosello , per il solo fatto che sono stati sostenuti che, pertanto, va ribadito il principio secondo cui devono tenersi distinti gli effetti della condotta del contribuente in relazione alla disciplina dell'IVA, ed a quella delle imposte dirette, in quanto, nel primo caso IVA , la condotta dolosa o consapevole del cessionario, a cui è parificata l'ignoranza colpevole, impedisce l'insorgenza del diritto alla detrazione per mancato perfezionamento dello scambio, non essendo l'apparente cedente l'effettivo fornitore, mentre, nel caso delle imposte dirette, l'illecito o la mera consapevolezza di esso non incide sulla realtà dell'operazione economica e sul pagamento del corrispettivo in cambio della consegna della merce, per cui il costo dell'operazione, ove imputato al conto economico, può concorrere nella determinazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette nella misura in cui il bene o servizio acquistato venga reimpiegato nell'esercizio dell'attività d'impresa e sempre che non venga utilizzato per il compimento di un delitto non colposo . In tema di imposte sui redditi, a norma dell'art. 14, comma 4- bis , legge 24 dicembre 1993, n. 537, nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 convertito con la legge 26 aprile 2012, n. 44 , l'acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti non utilizzati direttamente per commettere il reato , anche per l'ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - T, ordinanza 28 novembre 2019 – 15 gennaio 2020, n. 716 Presidente Mocci – Relatore Conti Fatti e ragioni della decisione L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, contro la Multimedia Informatica srl, in liquidazione, impugnando la sentenza resa dalla CTR Campania indicata in epigrafe che ha confermando la decisione di annullamento dell’avviso di accertamento emesso per l’anno d’imposta 2007 sulla base di contestazioni relative ad operazioni inesistenti resa dal giudice di primo grado. La CTR ha osservato che in caso di operazioni soggettivamente inesistenti incombeva sull’ufficio l’onere di dimostrare la conoscenza da parte del contribuente della frode altrui, aggiungendo che nel caso di specie la prova della consapevolezza non era stata fornita dall’amministrazione finanziaria nè la stessa poteva evincersi dall’avviso di accertamento o dal pvc. Secondo la CTR la società contribuente si era approvvigionata per l’anno 2008 con società, specificamente indicate in motivazione, che non avevano i requisiti tipici delle cartiere - carenza di strutture ed organizzazione, omissioni di pagamenti e vendite sottocosto - ed erano state pienamente operative, come dimostrato dalla parte contribuente. La CTR ha richiamato, a tal proposto, le sentenze tributarie e penali che avevano escluso perché il fatto non sussiste le ipotesi di frode carosello e triangolazione IVA a carico degli acquirenti e dei clienti maggiori della Multimedia consorella Mediogroup. La parte intimata si è costituita con controricorso ed ha depositato memoria. Anche l’Agenzia delle entrate ha depositato, in data 26.11.2019 e dunque oltre il termine di cui all’art. 378 c.p.c., memoria che non può quindi essere esaminata. Con il primo motivo l’Agenzia ha dedotto la nullità della sentenza che avrebbe focalizzato il suo esame sulla ripresa fiscale relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, senza curarsi del fatto che l’atto di accertamento aveva contestato anche l’esistenza di operazioni oggettivamente inesistenti nonché operazioni soggettivamente inesistenti per le quali era stata la stessa società a cedere i beni e rispetto alle quali non rilevava in alcun modo il coefficiente psicologico relativo alla consapevolezza della frode. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2700 c.c., deducendo che la CTR avrebbe ignorato il valore fidefaciente del pvc nel quale era stata acclarata una cospicua serie di circostanze poste a fondamento dell’accertamento. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, rilevando che, diversamente da quanto opinato dalla CTR, l’amministrazione avrebbe fornito gli elementi attestanti la consapevolezza della frode. Il primo motivo di ricorso, sostanzialmente orientato a prospettare la carenza assoluta di motivazione su alcune questioni oggetto di causa, è fondato. La CTR, in verità, nel rigettare l’appello proposito dall’ufficio, ha esclusivamente focalizzato la propria attenzione sull’esistenza o meno di operazioni soggettivamente inesistenti e le ha motivatamente escluse, ritenendo l’esistenza di plurimi elementi idonei ad asseverare l’assenza di frode carosello e di triangolazioni Iva sulla base della riconosciuta piena operatività delle società indicate dall’ufficio come coinvolte nella frode comunitaria. Tuttavia, il giudice di appello ha totalmente tralasciato di esaminare le censure che l’Agenzia aveva prospettato con riguardo alla decisione impugnata anche rispetto alle operazioni oggettivamente inesistenti ed all’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte della società contribuente, in tal modo omettendo di giustificare le ragioni che avevano condotto rispetto a tali contestazioni alla conferma della decisione impugnata. Tali conclusioni resistono alle prospettazioni difensive esposte in memoria dalla controricorrente, rispetto alle quali è sufficiente evidenziare che l’appello proposto dall’ufficio era specificamente rivolto, per come riconosce la stessa controricorrente, anche alla verifica della correttezza della decisione di primo grado in ordine alla legittimità o meno delle operazioni oggettivamente inesistenti nelle quali, dunque, si prospettava la totale assenza delle operazioni indicate nelle fatture e non già l’ipotesi di frode carosello . Da qui la totale pretermissione da parte del giudice di appello della questione sembra viziare la decisione sul punto. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso meritano un esame congiunto e sono entrambi inammissibili. Le censure, a ben considerare, concernono la motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla ritenuta insussistenza della consapevolezza dell’intento frodatorio da parte della società contribuente e con specifico riferimento alle contestazioni relative ad operazioni soggettivamente inesistenti. Ora, rispetto a tale questione l’Agenzia ha prospettato per un verso il valore fidefaciente del pvc senza tuttavia indicare in maniera specifica gli elementi fattuali che i verbalizzanti avrebbero individuato per dimostrare il coefficiente psicologico con specifico riferimento alle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, in tal modo rendendo la censura inammissibile per carenza di specificità, nemmeno potendosi comprendere se i fatti stessi ai quali ha fatto riferimento la ricorrente erano stati direttamente accertati dagli organi ispettivi e fossero, conseguentemente, idonei a fare piena prova, fino a querela di falso. Per altro verso, la censura tralascia di considerare gli accertamenti di fatto compiuti dalla CTR in ordine all’assenza dell’intento frodatorio e della stessa esistenza di frodi carosello che la CTR ha fondato sugli elementi già indicati e sulle sentenze penali che avrebbero scagionato i soggetti coinvolti nelle frodi loro ascritte, senza che l’Agenzia abbia specificamente impugnato tale parte della motivazione od offerto specifici elementi che il giudice avrebbe omesso di prendere in considerazione attraverso una censura relativa all’omesso esame di fatti controversi, decisivi ed oggetto di contraddittorio. Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del primo motivo di ricorso, inammissibili il secondo e il terzo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Campania, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando inammissibili il secondo ed il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Campania, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.