IRPEF: non tassabile la somma ricevuta dal promittente venditore a titolo di caparra penitenziale

Sulla caparra pertinenziale il promittente venditore non paga l’IRPEF se il contratto definitivo di compravendita dell’immobile salta per il recesso del promissario acquirente manca, infatti, la plusvalenza tassabile perché l’atto definitivo di vendita non viene stipulato e la somma incamerata dal primo costituisce soltanto il corrispettivo per l’esercizio del diritto di recesso da parte del secondo la caparra pertinenziale, d’altronde, non ha funzione risarcitoria e non sostituisce alcun reddito perduto del quale condividere la natura.

Lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza 27129 del 23 ottobre 2019 con cui ha accolto il ricorso di un contribuente annullando l’avviso di accertamento Irpef impugnato. Caparra confirmatoria e caparra penitenziale. La caparra confirmatoria consiste in una somma di denaro o in una quantità di cose fungibili che, al momento della stipula, una parte consegna all’altra, a testimonianza della serietà dell’accordo. La caparra confirmatoria arrha poenalis è disciplinata, nel codice vigente, all’art. 1385 c.c. e va restituita alla parte che l’aveva prestata se il contratto è stato correttamente adempiuto. In caso di inadempimento, invece, occorre distinguere due ipotesi, a seconda che esso sia imputabile al contraente che ha dato la caparra, ovvero a colui che l’ha ricevuta art. 1385, comma 2, c.c. . Alla parte non inadempiente è riconosciuta la facoltà di recedere dal contratto, alla quale si aggiunge, nella prima ipotesi, quella di ritenere la caparra e, nella seconda ipotesi, quella di esigere il doppio della caparra. In entrambe, però, la sua pretesa risarcitoria è limitata all’ammontare della caparra. Allo stesso modo, la parte inadempiente non può dimostrare che il danno subito dal contraente receduto sia inferiore all’ammontare della caparra. La parte non inadempiente può anche decidere di non esercitare il recesso, preferendo, piuttosto, chiedere l’esecuzione del contratto, oppure la sua definitiva risoluzione, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno secondo le regole generali art. 1385, comma 3, c.c. Tre sono le funzioni cui la caparra confirmatoria è chiamata ad assolvere garanzia, autotutela e predeterminazione del danno. Conformemente si è espressa anche la giurisprudenza più recente la caparra confirmatoria ha natura composita e funzione eclettica . Essa è, infatti, volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte, sotto tale profilo avvicinandosi alla cauzione ha funzione di autotutela, consentendo di recedere dal contratto senza la necessità di adire il giudice ha funzione di preventiva liquidazione del danno derivante dal recesso cui la parte è stata costretta a causa dell’inadempimento della controparte . La caparra confirmatoria si distingue, pertanto, nettamente rispetto alla caparra penitenziale. Quest’ultima è la somma di denaro o la quantità di altre cose fungibili prestata al momento della conclusione del contratto, da valere quale corrispettivo del diritto di recesso pattuito in favore di una o di entrambe le parti art. 1386 c.c. . Data la caparra, i contraenti si riservano la scelta tra il recesso e l’adempimento. Nel primo caso, il recedente perde la caparra data o, se a recedere è la parte che l’ha ricevuta, deve restituire il doppio della caparra avuta se, invece, il recesso non è azionato, la caparra deve essere restituita, salvo che abbia ad oggetto beni dello stesso genere della prestazione dovuta, ovvero che sia imputata alla prestazione dedotta in contratto. L’arrha poenitentialis, quindi, a differenza della caparra confirmatoria, funziona non già come un risarcimento del danno per la mancata esecuzione del contratto, ma come corrispettivo del recesso per volontà unilaterale . Essa si distingue anche dalla c.d. multa penitenziale, ossia dalla clausola che subordina l’efficacia del recesso all’esecuzione di una determinata prestazione a carico del recedente art. 1373, comma 3, c.c. , poiché si accompagna alla preventiva dazione della somma relativa. Caso concreto. La vicenda parte dalla promessa di vendita di due terreni aventi destinazione agricola, promessa poi non chiusa con l’atto definitivo in quanto la società acquirente esercitava il diritto di recesso legittimando il promittente venditore ad incassare la somma già versata a titolo di caparra penitenziale. Sia la CTP di Crotone che la CTR Calabria hanno rigettato le doglianze del contribuente confermando la legittimità del recupero a tassazione della plusvalenza. Col successivo ricorso in Cassazione il contribuente denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1 lett. a , essendo mancata nel caso concreto la cessione definitiva dei terreni per mancata stipula del definitivo per cui nessuna plusvalenza poteva dirsi conseguita. Con un altro motivo viene denunciata violazione dell’art. 6, comma 2 del TUIR, in quanto la CTR avrebbe dovuto considerare che l’incameramento della caparra penitenziale quale corrispettivo del recesso del promittente acquirente privo quindi di natura risarcitoria non poteva considerarsi sostitutivo di alcun reddito non potendosi ritenere sussistente alcuna plusvalenza assoggettabile a tassazione. La Cassazione ha accolto entrambi i motivi concordando con le doglianze del contribuente. In particolare, quanto al secondo, i giudici hanno che alla caparra penitenziale non può attribuirsi alcuna funzione risarcitoria. È vero, in base all’articolo 6, secondo comma, TUIR i proventi conseguiti in sostituzione di redditi costituiscono redditi della stessa natura di quelli perduti e il principio vale anche per i risarcimenti di danni che consistono nella perdita di redditi. La caparra pertinenziale, tuttavia, non può essere considerata provento conseguito in sostituzione di reddito. E ciò perché l’istituto disciplinato dall’articolo 1386 Cc differisce sul piano testuale e sistematico dalla clausola penale ex art. 1382 c.c., anche in relazione alla caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c. è escluso, dunque, che la caparra penitenziale incamerata dal contribuente possa essere considerata risarcimento per la perdita di proventi che per loro natura avrebbero generato redditi tassabili. Sul punto si segnala, in senso contrario, Cassazione n. 11307 del 2016 secondo cui la caparra penitenziale, convenuta con il preliminare di compravendita, trattenuta dal contribuente in seguito al recesso del promissario acquirente, è assoggettabile ad imposizione diretta, in quanto la prestazione principale rimasta ineseguita avrebbe costituito reddito ai sensi dell'art. 67, comma 1, TUIR.

Corte di Cassazione, sez. V Civile, ordinanza 27 marzo – 23 ottobre 2019, n. 27129 Presidente Napolitano – Relatore Cirillo Rilevato che Con sentenza n. 1284/01/2014, depositata il 16 giugno 2014, non notificata, la CTR della Calabria rigettò l’appello proposto dal sig. V.S. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Crotone, che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento ai fini IRPEF per l’anno 2005, in relazione a plusvalenza non dichiarata per l’importo di Euro 84.535,00. La vicenda traeva origine dalla promessa di vendita di due terreni, uno di proprietà del ricorrente ed uno di familiari del V. , giusta procura a vendere allo stesso rilasciata, aventi destinazione agricola, senza che tuttavia si addivenisse alla stipula dell’atto definitivo di trasferimento, avendo il promittente acquirente, la società Europaradiso International S.p.A., esercitato il diritto di recesso, che aveva legittimato il promittente venditore ad incassare la somma già versata del suddetto importo a titolo di caparra penitenziale. Avverso la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui l’Amministrazione finanziaria resiste con controricorso. Considerato che 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986 TUIR , art. 67, lett. a e b , in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui, in contrasto con la normativa succitata, ha ritenuto che nella fattispecie in esame si fosse determinata una plusvalenza tassabile, sebbene a non vi fosse stata cessione dei terreni, non avendo avuto seguito, con la stipula dell’atto definitivo di trasferimento, il preliminare di vendita dei terreni b i succitati fondi avessero natura agricola, certificata dalla documentazione prodotta in atti giusta attestato del Comune di Crotone del 17 gennaio 2011, il cui contenuto è stato riportato a pag. 20 del ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza . 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione del fatto che, prevedendo il suddetto art. 6 comma 2 del TUIR che I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti , la CTR avrebbe dovuto considerare che l’incameramento da parte del promittente venditore della caparra penitenziale quale corrispettivo del recesso del promittente acquirente - privo peraltro di natura risarcitoria - non poteva porsi come sostitutivo di alcun reddito, non potendosi ritenere sussistente, sulla base delle precedenti considerazioni, alcuna plusvalenza assoggettabile a tassazione. 3. Deve in primo luogo rigettarsi l’eccezione d’inammissibilità dell’avverso ricorso, prospettata dalla difesa erariale in ragione del fatto che parte ricorrente avrebbe in realtà riproposto le stesse questioni di merito disattese dal giudice tributario nel doppio grado di giudizio. 3.1. Risulta corretta, infatti, l’articolazione dei motivi con i quali parte ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione delle norme di diritto innanzi citate, lamentando che la CTR ha ravvisato una plusvalenza tassabile non dichiarata con legittimità della conseguente ripresa a tassazione in assenza dei relativi presupposti di legge. 4. Il primo motivo è fondato. 4.1. Invero la stessa sentenza impugnata non pone in dubbio la destinazione agricola dei terreni, ma assume che ciò che basta a configurare l’esistenza di plusvalenza tassabile è che, riguardando il trasferimento un intero appezzamento, possa essere già operata in partenza la lottizzazione , assumendo nella norma in esame rilevanza l’aspetto speculativo e la realizzazione di un beneficio monetario che scaturisce dall’operazione commerciale . In realtà, in tal modo, così argomentando, la sentenza impugnata, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 67 TUIR, lett. a , tralascia di considerare in primo luogo che nella fattispecie in esame non vi è stata alcuna vendita dei terreni, non essendo stato stipulato l’atto definitivo di vendita, nonché ipotizza in modo del tutto arbitrario l’esistenza di una lottizzazione, di cui non vengono neppure indicati gli estremi quantomeno sul piano cartolare. 4.2. Con riferimento, invece, all’ipotesi di cui all’art. 67, comma 1, lett. b , per la parte che qui rileva, vale a dire la cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, fermo il rilievo che nella fattispecie non si è realizzata alcuna cessione a titolo oneroso, il preliminare era riferito alla promessa di vendita di terreni di natura agricola, desumibile dal certificato di destinazione urbanistica del Comune di Crotone secondo il piano regolare generale approvato nel 2002, salvo le particelle XX e XX del foglio X, in minima parte interessate da infrastrutture per la viabilità , esulandosi quindi dall’ambito della nozione di area edificabile di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni, nella L. n. 248 del 2006, quale chiarita dalla giurisprudenza di questa Corte, conformatasi al principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza 30 novembre 2006, n. 25506, per cui, ai fini della classificazione di un terreno come fabbricabile, occorre che si tratti di suolo la cui vocazione edificatoria sia stata formalizzata in uno strumento urbanistico, quantunque non ancora approvato. 4.3. La sentenza impugnata, argomentando nei termini sopra indicati, si è posta altresì in contrasto con quanto chiarito da questa Corte cfr. Cass. sez. 5, 9 luglio 2014, n. 15629 da ultimo, in senso conforme, Cass. sez. 5, 21 febbraio 2019, n. 5088 , in tema di c.d. riqualificazione come vendita di terreno fabbricabile di area su cui insiste fabbricato destinato alla demolizione, secondo cui perché un terreno possa essere ritenuto suscettibile di potenzialità edificatoria, non basta che ciò avvenga sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti e, soprattutto, la cui realizzazione è futura rispetto all’atto oggetto di tassazione eventuale e rimessa alla potestà di soggetto diverso l’acquirente da quello interessato all’imposizione fiscale . 5. Ugualmente è fondato il secondo motivo. 5.1. In primo luogo va osservato che, non essendovi plusvalenza tassabile, avuto riguardo alle considerazioni esposte nel paragrafo precedente, è esclusa in radice la possibilità di attribuire all’importo trattenuto dal promittente venditore, come caparra penitenziale per effetto dell’esercizio del diritto di recesso della società promittente acquirente, natura di provento conseguito in sostituzione di reddito , nella specie plusvalenza, quale reddito diverso, assoggettabile a tassazione. 5.2. Va in ogni caso chiarito che la soggezione a tassazione dell’importo comunque incassato dal promittente venditore non può essere affermata attribuendo alla caparra penitenziale una funzione risarcitoria che le è estranea, non potendosi al riguardo convenire con quanto invece esposto da Cass. sez. 5, 31 maggio 2016, n. 11307 non massimata . Non essendo in fatto contestato che nella fattispecie in esame l’incasso da parte del promittente venditore dell’importo di Euro 84.535,00, considerato dall’Ufficio come plusvalenza tassabile, si configuri come corrispettivo del diritto di recesso attribuito alla promittente acquirente e da quest’ultima esercitato, la chiara differenza sul piano testuale tra caparra penitenziale, disciplinata dall’art. 1386 c.c. e clausola penale, di cui all’art. 1382 c.c., anche in relazione alla caparra confirmatoria di cui all’art. 1385 c.c., nonché sul piano sistematico cfr., per tutte, Cass. sez. 3, 16 maggio 2006, n. 11356 , impedisce di considerare la caparra incamerata come risarcimento della perdita dei proventi che, per loro natura, avrebbero generato redditi tassabili in ragione del conseguimento di una plusvalenza come invece ritenuto dalla citata Cass. n. 11307/16 . 5.3. Nè, d’altronde, la Corte può, d’ufficio, in sede di legittimità, verificare se il conseguimento di una plusvalenza tassabile in ragione dell’incameramento da parte del promittente venditore della somma sopra indicata possa dirsi avvenuto in ragione di causale diversa da quanto oggetto di contestazione nell’atto impositivo, segnatamente, nel caso di specie, se la tassazione della plusvalenza possa trarre titolo nella diversa previsione di cui all’art. 67 TUIR, comma 1, lett. I , per quanto qui rileva, nella parte in cui assoggetta a tassazione i redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di permettere nella fattispecie in esame il recesso della promittente acquirente dalla stipula del definitivo . 5.4. A ciò osta la delimitazione dell’oggetto del giudizio tributario nell’ambito dei motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione, che il contribuente deve dedurre specificamente nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Se ciò comporta che il giudice deve necessariamente attenersi all’esame dei motivi di ricorso, senza che possa annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti cfr., ex multis, Cass. sez. 5, 22 settembre 2011, n. 19337 Cass. sez. 5, 15 ottobre 2013, n. 22326 Cass. sez. 5, 2 luglio 2014, n. 15051 Cass. sez. 6-5, ord. 13 aprile 2017, n. 9637 , a ciò ugualmente consegue che il giudice non possa ritenere la legittimità del provvedimento impositivo sulla base di presupposti di fatto e di diritto diversi da quelli, che hanno delimitato l’ambito della pretesa impositiva, che il contribuente non avrebbe altrimenti potuto contestare con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. 6. Il ricorso va pertanto accolto e, non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere, la causa può essere decisa nel merito, con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente. 7. Avuto riguardo all’andamento del giudizio possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito, ponendosi le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, a carico dell’amministrazione controricorrente, secondo soccombenza. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente. Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito e condanna la controricorrente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, se dovuti.