La sospensione del processo tributario opera solo per le controversie che possono essere oggetto di chiusura

La sospensione del processo tributario, ex art. 6 del d.l. n. 119/2018, che non è automatica ma è prevista per gli atti che rientrano nella definizione agevolata delle liti fiscali pendenti, non opera per le controversie sull'impugnazione della cartella di pagamento emessa a seguito della liquidazione delle imposte. Gli atti con i quali l'Agenzia delle Entrate si limita a liquidare le somme dovute in esito a quanto dichiarato dai contribuenti restano fuori dal perimetro della definizione agevolata. Non sono definibili le controversie aventi ad oggetto unicamente atti di mera liquidazione e riscossione, come ad esempio ruoli e cartelle di pagamento.

Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 7099/2019 depositata 13 marzo 2019. Vicenda. Nell'imminenza della data fissata per la trattazione del ricorso in cassazione, in pubblica udienza, un contribuente ha depositato istanza di sospensione del processo ai sensi dell'articolo 6 del d.l. 23 ottobre 2018 numero 119. Pronuncia. Gli Ermellini, con la pronuncia citata , in via preliminare , hanno disatteso l'istanza di sospensione del processo, presentata dal contribuente , ai sensi dell'articolo 6 del d.l. 23 ottobre 2018 numero 119 sulla base delle seguenti articolate argomentazioni . Tale norma, al comma 10, rimasto invariato in sede di conversione nella legge 17 dicembre 2018, numero 136, prevede la possibilità per il contribuente di chiedere la sospensione del processo sino al 10 giugno 2019 facendone apposita richiesta al giudice e dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni dello stesso articolo. Il primo comma dell'articolo prevede testualmente che possono essere definite le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l'Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio. Nel caso in esame, l'oggetto della controversia è l'impugnazione di una cartella di pagamento, emessa ai sensi dell'articolo 36- bis d.P.R. numero 600/1973 a seguito di omesso o carente versamento dell'Irpef e impugnata solo per vizi propri per come risulta pacificamente dalla sentenza impugnata . Tale cartella, peraltro non impugnata nel merito della pretesa erariale, non può ritenersi atto impositivo derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell'omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell'Amministrazione cfr. tra le altre Cass. numero 28064 del 02/11/2018 . Ne deriva che la controversia non rientra tra quelle passibili di definizione agevolata ai sensi della normativa citata con conseguente rigetto dell'istanza di sospensione. Natura dell'atto oggetto di contestazione. Al di là del tipo di atto adottato dal giudice, la sospendibilità del processo non può prescindere da una valutazione sull'ammissibilità dell'istanza, il cui presupposto non è la semplice istanza rivolta al giudice, ma dipende, sotto l'aspetto oggettivo, dalla natura dell'atto oggetto di contestazione. A tal proposito, occorre precisare che la cartella di pagamento a seguito di una liquidazione delle imposte operata dall'amministrazione finanziaria non ha natura impositiva e, per questo, non essendo un atto definibile, il processo non può essere sospeso. In definitiva, non sono definibili le controversie aventi ad oggetto unicamente atti di mera liquidazione e riscossione, come ad esempio ruoli e cartelle di pagamento. Possono usufruire della chiusura agevolata solo le liti aventi ad oggetto atti impositivi . Non possono rientrare nella nuova disciplina gli atti che hanno natura meramente liquidatoria. Non rileva il nomen iuris dell’atto poiché occorre appurare in concreto la portata della pretesa se essa si sostanzia in una rettifica dei dati comunicati dal contribuente trattasi di atto impositivo, altrimenti occorre qualificare l’atto con funzione liquidatoria. La cartella di pagamento emessa in base all'articolo 36- bis del d.P.R. numero 600/73, per recuperare imposte dichiarate e non versate ovvero per correggere errori commessi dal contribuente ad esempio, erronea indicazione degli acconti versati non ha natura impositiva e dunque non può essere definita .Viceversa ,la cartella emessa sempre in base al medesimo articolo 36 bis, quando rettifica la dichiarazione di parte disconoscendone in taluni punti il contenuto, in contrasto con la volontà del soggetto passivo ad esempio, disconoscimento di un onere deducibile , è un atto impositivo e perciò definibile. Le cartelle emesse per i controlli formali, ex articolo 36- ter del d.P.R. numero 600/73, gli avvisi di recupero dei crediti d'imposta hanno un contenuto sostanzialmente accertativo e quindi sono ricomprese nella attuale sanatoria delle liti. Sospensione non automatica richiesta del contribuente. Le controversie che possono essere definite non sono automaticamente sospese, ma possono esserlo su richiesta del contribuente, mediante presentazione di dichiarazione specifica di volersi avvalere delle disposizioni del decreto numero 119/2018. In questo caso il processo è sospeso fino al 10 giugno 2019 e continua a esserlo fino al 31 dicembre 2019 se il contribuente deposita copia della domanda di definizione agevolata e del versamento della prima o dell’unica rata. Il legislatore, per agevolare la procedura di definizione ha previsto da un lato, di poter richiedere la sospensione del processo, dall'altro un'automatica sospensione dei termini di impugnazione. Il comma 10 dell'articolo 6 del d.l. 119/2018 dispone che le controversie pendenti, possono essere sospese attraverso la presentazione di una apposita istanza del contribuente al giudice, nella quale dichiara di volersi avvalere della definizione. Il processo quindi, in assenza di tale richiesta prosegue regolarmente, non essendo prevista una sospensione automatica e generalizzata. Se il contribuente presenta l'istanza, il giudizio è sospeso fino al 10 giugno 2019. Entro tale data l'interessato deve depositare copia della definizione e del pagamento della prima o unica rata. Solo in tale ipotesi, la sospensione del processo è ulteriormente prorogata fino al 31 dicembre 2020. La richiesta di sospensione, che può essere avanzata in forma scritta o anche oralmente nel corso dell’udienza di trattazione dal difensore nell’ambito della sua ordinaria attività di difesa senza che lo stesso sia stato destinatario di uno specifico mandato non è necessaria dunque una procura ad hoc a tale fine , non implica l’obbligo di definire la lite, ma è un tempo che viene concesso alla parte per decidere se accedere o meno alla definizione. Per sospendere il processo fiscale non serve l'adesione effettiva alla chiusura liti. La sospensione va concessa anche solo per permettere di valutare l'ipotesi chiusura liti. La locuzione dichiarando di volersi avvalere della definizione non va interpretata nel senso che la sospensione è subordinata alla sicura adesione all'istituto da parte del contribuente, e non per consentire la valutazione dello stesso. Non occorre l'effettiva adesione la sospensione va concessa anche solo affinché il contribuente possa valutare il da farsi. La sospensione del giudizio concessa alla parte per decidere se accedere alla definizione non ha alcun effetto sulla riscossione di quanto dovuto in pendenza della lite. Conseguentemente la parte potrebbe, medio tempore, ricevere una iscrizione a ruolo a titolo provvisorio. Il provvedimento del giudice con cui si dispone la sospensione può assumere la veste di decreto o di ordinanza, a seconda che l'atto è assunto dal presidente di sezione o dal collegio. Se entro il 31 dicembre 2020 la parte interessata non presenta istanza di trattazione, il processo è estinto con decreto del presidente. In assenza della presentazione della istanza di trattazione del giudizio entro il termine del 31 dicembre 2020, la controversia è dichiarata estinta con decreto presidenziale. In sostanza, dunque, successivamente al deposito della domanda e della prova del versamento la parte non dovrà eseguire nessun’altra attività processuale poiché la controversia si estinguerà automaticamente e si chiuderà con il decreto con il quale il giudice darà atto di detta circostanza. In ogni caso le spese di lite sostenute con riferimento al giudizio estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 11 dicembre 2018 – 13 marzo 2019, numero 7099 Presidente Cirillo – Relatore Crucitti Fatti di causa Nella controversia concernente l'impugnazione da parte di F.R. di cartella di pagamento, emessa ai sensi del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 36 bis, e portante Iperf, addizionali, interessi e sanzioni dell'anno di imposta 2000, la Commissione tributaria regionale del Lazio dichiarava l'appello - proposto dalla contribuente avverso la prima decisione, sfavorevole - inammissibile, per il mancato deposito di copia presso la Segreteria della Commissione tributaria provinciale. Avverso la sentenza ricorre la contribuente affidandosi a quattro censure. L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso. Nell'imminenza della data fissata per la trattazione del ricorso in pubblica udienza la ricorrente ha depositato istanza di sospensione del processo ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, numero 119, articolo 6. Ragioni della decisione 1. Preliminarmente va disattesa l'istanza di sospensione del processo, presentata dalla ricorrente, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, numero 119, articolo 6. Tale norma, al comma 10, rimasto invariato in sede di conversione nella L. 17 dicembre 2018, numero 136, prevede la possibilità per il contribuente di chiedere la sospensione del processo sino al 10 giugno 2019 facendone apposita richiesta al giudice e dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni dello stesso articolo. Il primo comma dell'articolo prevede testualmente che possono essere definite le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l'Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio. Nel caso in esame, l'oggetto della controversia è l'impugnazione di una cartella di pagamento, emessa ai sensi del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 36 bis, a seguito di omesso o carente versamento dell'Irpef e impugnata solo per vizi propri per come risulta pacificamente dalla sentenza impugnata . Tale cartella, peraltro non impugnata nel merito della pretesa erariale, non può ritenersi atto impositivo derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell'omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell'Amministrazione cfr. tra le altre Cass. numero 28064 del 02/11/2018 . Ne deriva che la controversia non rientra tra quelle passibili di definizione agevolata ai sensi della normativa citata con conseguente rigetto dell'istanza di sospensione. 2. Procedendo, quindi, all'esame del ricorso, secondo l'ordine logico giuridico delle questioni prospettate va, da primo, esaminato il terzo motivo con il quale la contribuente censura la Commissione tributaria regionale per avere dichiarato l'appello inammissibile. 2.1. La censura è manifestamente infondata alla luce dei principi consolidatisi nella giurisprudenza di questa Corte v. Cass. numero 5347 del 2015, numero 22639 del 2014 numero 12861 del 2014 numero 15432 del 2015 numero 3442 del 2016 numero ri 1635 e 2276 del 2017 numero 24289 del 2018 la quale ha ribadito che in tema di contenzioso tributario, qualora il ricorso in appello non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, il deposito in copia presso la segreteria della commissione che ha emesso la sentenza impugnata, in quanto prescritto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, numero 546, articolo 53, comma 2, seconda parte, a pena d'inammissibilità dell'appello, deve aver luogo entro il termine perentorio di trenta giorni, indicato dalla prima parte della medesima disposizione, attraverso il richiamo all'articolo 22, comma 1, per il deposito del ricorso presso la segreteria della commissione ad quem , trattandosi di attività finalizzata al perfezionamento del gravame e che tale inammissibilità è rilevabile d'ufficio . Si è, in particolare, avuto modo di chiarire che la ratio della disposizione non è oscura , ma è stata identificata dalla Corte costituzionale e da questa Corte nella finalità di rendere nota alla C.T.P. l'impugnazione della sentenza ed impedire, così il rilascio della copia esecutiva di una sentenza di primo grado impugnata. In particolare, come rilevato dalla Corte costituzionale con le pronunce numero 321 del 2009, numero 43 del 2010, numero 141 del 2011 a la disposizione ha l'apprezzabile scopo di informare tempestivamente la segreteria del giudice di primo grado dell'appello notificato senza il tramite dell'ufficiale giudiziario e, quindi, di impedire l'erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria provinciale sentenza numero 321 del 2009 b tale finalità non è soddisfatta dall'obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di appello dal D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 53, comma 3, di richiedere alla segreteria presso il giudice di primo grado la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata subito dopo il deposito del ricorso in appello , perchè la suddetta richiesta viene avanzata dalla segreteria del giudice di appello solo dopo la costituzione in giudizio dell'appellante e, pertanto, non consente alla segreteria del giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione dell'appello, considerando anche il tempo necessario a che essa pervenga alla segreteria della Commissione tributaria provinciale e, di conseguenza, tale richiesta non è idonea ad evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, limitandosi essa a consentire al giudice di secondo grado di ottenere la disponibilità del fascicolo in tempo utile per la trattazione della causa in appello c l'applicabilità della disposizione censurata ai soli casi in cui l'appello non venga notificato per il tramite dell'ufficiale giudiziario trova adeguata giustificazione nel fatto che, nei casi in cui la notificazione sia, invece, effettuata mediante ufficiale giudiziario, la tempestiva notizia della proposizione dell'appello è fornita alla segreteria del giudice di primo grado dallo stesso ufficiale giudiziario, ai sensi dell'articolo 123 disp. att. c.p.c. applicabile al processo tributario in virtù del generale richiamo alle norme del codice di procedura civile, effettuato dal D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 1, comma 2 , secondo cui l'ufficiale giudiziario che ha notificato un atto d'impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata d il rischio del rilascio di erronee attestazioni di passaggio in giudicato delle sentenze delle Commissioni tributarie provinciali non è affatto escluso o ridotto dalla possibilità di revocare successivamente l'erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza e l'inammissibilità dell'appello per mancata o tardiva costituzione in giudizio dell'appellante ai sensi del D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 53, comma 2, primo periodo, e articolo 22, commi 1, 2 e 3 può sempre essere dimostrata dall'interessato quando richieda l'attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per la quale sia stato effettuato il deposito di cui alla disposizione censurata f là dove l'appellante abbia scelto di notificare il ricorso in appello non avvalendosi dell'ufficiale giudiziario, l'unico deterrente per indurre l'appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell'appello stesso è rappresentato dalla sanzione della inammissibilità prevista dalla norma g l'adempimento del deposito non comporta, per la parte, particolari difficoltà e, dunque, non rende estremamente difficile l'esercizio del suo diritto di difesa Cass. numero 15432 del 2015 . La legittimità costituzionale di tale norma è stata, da ultimo, ribadita dalla Corte costituzionale nella pronuncia numero 121 del 2016 mentre questa Corte numero 1635/2017 cit. ha puntualizzato che il deposito di copia dell'atto di appello presso la segreteria della commissione che ha emesso la sentenza impugnata, quale requisito di ammissibilità del gravame non notificato a mezzo di ufficiale postale, è stato eliminato dal D.Lgs. numero 175 del 2014, articolo 36, con efficacia non retroattiva, compatibile con l'articolo 6 C.E.D.U., che non garantisce il diritto a beneficiare di norme procedurali sopravvenute, a cui lo Stato può legittimamente applicare il principio tempus regit actum. 2. Dall'infondatezza del terzo motivo consegue il rigetto di tutte le ulteriori censure, presupponenti l'accoglimento di quel mezzo di impugnazione. 3. In conclusione, alla luce dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 21/03/2017 numero 7155, il ricorso va dichiarato inammissibile. 4. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico di F.R P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile condanna la ricorrente alla refusione, in favore dell'Agenzia delle entrate, delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 1.200,00 oltre spese prenotate a debito.