Non è abuso del diritto chiedere, in tema di imposta sostitutiva sul valore della quota di partecipazione, una disciplina fiscale più favorevole

Il divieto di abuso del diritto, si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.

Nella specie, invece, il contribuente si era attenuto strettamente a quanto consentito dal legislatore al fine di una rideterminazione del costo o valore di acquisto della quota di partecipazione mediante la presentazione di una perizia di stima giurata e non era richiesta una particolare finalità, diversa da quella relativa alla rideterminazione del valore. Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29586/18, depositata il 16 novembre. La vicenda. L’agente della riscossione ha notificato ad un contribuente una cartella di pagamento relativa all'imposta sostitutiva per rivalutazione per l'anno 2004, richiesta dall'Ufficio a seguito di controllo automatizzato effettuato, ai sensi dell'art. 36- ter d.P.R. n. 600/1973, per il recupero rate non versate e imposte sostitutive in tema di valore della partecipazione posseduta quota del capitale sociale pari al 60% di una società di capitali. Con la cartella impugnata gli veniva richiesto il pagamento delle rate riguardanti la prima rivalutazione che non erano state versate perché il ricorrente aveva provveduto alla seconda rivalutazione per la quale aveva pagato tutto il dovuto. Il contribuente contestava l'irrogazione della sanzione in quanto non poteva essergli attribuita alcuna responsabilità né a titolo di colpa né a titolo di dolo, considerate le disposizioni previste dalla circolare n. 16/E del 22 aprile 2005 dell’Agenzia delle Entrate. Il giudice del gravame ha ritenuto che il comportamento del contribuente configurava un abuso di diritto come previsto dalla giurisprudenza comunitaria e da quella della Suprema Corte poiché nel caso concreto il contribuente aveva aderito a due provvedimenti agevolativi identici, ma successivi nel tempo, con un cospicuo risparmio fiscale, procedendo con la seconda rivalutazione a decurtare il valore della partecipazione, operando quindi una svalutazione e non una rivalutazione dei beni, e dunque era a suo carico l'onere di fornire la prova dell'esistenza di ragioni economiche ulteriori e diverse rispetto a quello del mero vantaggio fiscale conseguito. Il contribuente si era limitato ad asserire che la seconda rivalutazione era stata eseguita perché con la precedente non erano state considerate le passività. Tale ragione era generica tenuto conto del fatto che 1 il valore della partecipazione era derivato da una perizia asseverata di stima svolta da un professionista 2 per lungo tempo era stata ritenuta corretta tanto da indicare, come precisato dall'ufficio, anche nella dichiarazione del 2005 il valore della partecipazione in base alla suddetta perizia senza fornire prova della natura, qualità e quantità della passività sopravvenuta. In mancanza di tale prova, il comportamento posto in essere dal contribuente si configurava quale abuso di diritto e anche le sanzioni irrogate erano la naturale conseguenza dell'esito dell'azione dell'ufficio volta a contrastare il fenomeno dell'abuso di diritto. Il contribuente con il ricorso in Cassazione ha evidenziato che 1 una prima perizia aveva stimato il valore delle azioni della società di capitale poi, una seconda perizia, redatta successivamente, aveva ridotto il medesimo valore sulla base di alcune passività 2 è errata l'affermazione fatta nella sentenza impugnata, secondo la quale non vi era prova delle ragioni economiche alla base dell'operazione, mentre la perizia depositata aveva evidenziato che la prima valutazione era riferita al primo luglio 2003 e la seconda ad epoca successiva, primo gennaio 2005 in base ai dati del bilancio al 31 dicembre 2004. Pertanto non vi era stato alcun abuso di diritto ma semplicemente un valore determinato da un perito che aveva dettagliatamente evidenziato le passività esistenti e la loro natura 3 sussisteva anche la violazione del principio di doppia imposizione previsto dagli artt. 163 TUIR e 67 d.P.R. n. 600/1973 atteso che la CTR aveva ritenuto legittima l'applicazione della stessa imposta più volte, in dipendenza dello stesso presupposto impositivo. La pronuncia. Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno accolto il ricorso in Cassazione del contribuente sulla base delle seguenti articolate argomentazioni. Risulta possibile, per il contribuente che abbia proceduto a rideterminare il costo o valore di acquisto delle partecipazioni possedute al 1° gennaio 2002, attraverso l'applicazione della disciplina contenuta nell' art. 5 l. n. 448/2001, usufruire della possibilità offerta dall'art. 2, comma 2, del citato d.l. n. 282/2002 per effetto della proroga di cui all'art. 39, comma 14- undecies , d.l. n. 269/2003. In tal caso risulta necessario predisporre una nuova perizia giurata di stima da cui risulti il valore delle partecipazioni al 1° gennaio 2003 e procedere al versamento dell'imposta sostitutiva entro il 16 marzo 2004. In relazione al versamento della nuova imposta sostitutiva, anche l'Amministrazione finanziaria nella circolare 9 maggio 2003, n. 27/E, paragrafo 1 ha avuto modo di precisare che l'imposta calcolata sulla base del valore risultante dalla perizia giurata di stima riferita alla data del 1° gennaio 2003 deve essere interamente versata senza che si possa dalla stessa scomputare l'imposta sostitutiva in precedenza già versata vale a dire quella relativa alla perizia giurata di stima riferita alla data del 1° gennaio 2002 - qualora il contribuente abbia optato per la rateazione della vecchia imposta sostitutiva, le rate ancora dovute non devono essere versate - la vecchia imposta sostitutiva già versata l'intero ammontare o quello della rata può essere chiesta a rimborso ai sensi dell' art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 In tema di imposta sostitutiva sui capitai gains , il contribuente, dopo aver effettuato una prima rivalutazione del bene nella specie, partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati , con conseguente versamento dell'imposta, può chiedere, se è ancora in possesso di tale bene, ove venga introdotta una disciplina fiscale più favorevole, una nuova determinazione del valore, con diritto - anche nell'assetto antecedente alla vigenza dell'art. 7 d.l. n. 70/2011, conv. in l. n. 106/2011 - ad usufruire del rimborso, stante il generale principio del divieto di doppia imposizione, in misura non superiore a quanto dovuto, in base all'ultima rideterminazione del valore effettuata, fino alla concorrenza dei due importi . Inoltre, è errata anche la qualificazione che la CTR ha dato all'operazione come priva di una ragione economica e, quindi, integrante un'ipotesi di abuso del diritto. Il contribuente si è attenuto strettamente a quanto consentito dal legislatore al fine di una rideterminazione del costo o valore di acquisto della quota di partecipazione mediante la presentazione di una perizia di stima giurata, non essendo era richiesta una particolare finalità, diversa da quella relativa alla rideterminazione del valore. Legittimo risparmio di imposta. È noto che in materia tributaria, alla stregua dell'elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, costituisce pratica abusiva l'operazione economica che, attraverso l'impiego improprio” e distorto” dello strumento negoziale, abbia quale scopo predominante e assorbente seppur non esclusivo l’elusione della norma tributaria, mentre la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poiché è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l'accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale così Cass. n. 25758/14 si vedano, altresì, Cass. n. 19234/12 Cass. n. 21782/11 Cass. S.U. n. 30055/08 .Con specifico riferimento alle imposte dirette, poi, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che trova fondamento, dapprima, negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano Cass. n. 3938/14 Cass. n. 4604/14 e, soprattutto nell'art. 37- bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 Cass. n. 405/15 Cass. n. 4561/15 , che consente all'Amministrazione finanziaria di disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti, in sé privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti. Per completezza, occorre aggiungere che la clausola antielusiva è stata oggi tradotta in una norma generale non applicabile alla fattispecie , l'art. 10- bis l. 27 luglio 2000, n. 212 che, al comma 1, così recita Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni . Perché, dunque, operi la clausola antielusiva occorre che il contribuente faccia un uso improprio o distorto dello strumento negoziale e che tale uso sia posto in essere con lo specifico scopo seppure non esclusivo di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale Cass. n. 27550/18 . L’abuso del diritto – in quanto indeterminato per natura” - inizia dove finisce il legittimo risparmio d’imposta e si realizza quando il vantaggio indebito conseguito non è imputabile all’evasione. Il che risulta un fondamentale punto di partenza, posto che permette di evitare fraintendimenti – come quelli sorti in passato – in cui evasione ed elusione venivano mischiati. Inoltre, permette di considerare che quando il contribuente si mette nelle condizioni di legge per fruire di un vantaggio legittimo non ci debbano essere necessariamente valide ragioni economiche sottostanti.

Corte di Cassazione, sez. V, ordinanza 23 ottobre – 16 novembre 2018, n. 29586 Presidente Chindemi – Relatore Varrone Rilevato che 1. Equitalia ESATRI Spa notificava, in data 12 dicembre 2009, a Gi. Sc. la cartella di pagamento n. omissis relativa all'imposta sostitutiva per rivalutazione per l'anno 2004, richiesta dall'Ufficio a seguito di controllo automatizzato effettuato, ai sensi dell'articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, per il recupero rate non versate e imposte sostitutive. 2. Il contribuente proponeva ricorso avverso la suddetta cartella di pagamento. Egli, premesso di essere socio della società GPM Srl, e di detenere una quota del capitale sociale pari al 60%, procedeva a rideterminare il valore della partecipazione posseduta, pagando per l'anno 2004 una prima rata pari ad Euro 16.000. Successivamente, dopo l'emanazione del decreto-legge n. 203 del 2005, rideterminava nuovamente il valore delle partecipazioni possedute, in diminuzione rispetto all'anno precedente, per complessivi Euro 16.800 e versava una nuova prima rata, in data 30 giugno 2006, di Euro 5600, senza detrarre la rata precedentemente versata. In ottemperanza al disposto della circolare n. 16/E del 22 aprile 2005 dell'agenzia delle entrate presentava poi istanza di rimborso per il recupero della rata già versata in occasione della prima rivalutazione. Con la cartella impugnata, invece, gli veniva richiesto il pagamento delle rate riguardanti la prima rivalutazione che era non erano state versate perché il ricorrente aveva provveduto alla seconda rivalutazione per la quale aveva pagato tutto il dovuto. Egli contestava l'irrogazione della sanzione in quanto non poteva essergli attribuita alcuna responsabilità né a titolo di colpa né a titolo di dolo, considerate le disposizioni previste dall'agenzia nella circolare citata. 3. La CTP accoglieva il ricorso e compensava le spese. 4. L'Agenzia delle Entrate proponeva appello, eccependo insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e per l'abuso del diritto commesso dal contribuente in quanto il valore rivalutato rilevava esclusivamente agli effetti della determinazione delle plusvalenze di cui all'articolo 81, comma 1, lett. c e c-bis del TUIR non essendo consentito che, con il suo nuovo valore, si realizzassero delle minusvalenze, utilizzabili ai sensi dei commi 3 e 4, dell'articolo 82 TUIR ora 68 , secondo quanto disposto dallo stesso articolo 3, comma 6, della L. n. 448 del 2001. L'Agenzia sosteneva che, ai sensi dell'articolo 67 TUIR, il minor valore del bene rispetto al suo costo originario poteva trovare riconoscimento fiscale solo in caso di realizzo della partecipazione e che la normativa speciale di cui agli articoli 5 e 7 della L. n. 448 del 2001 non consentiva il rimborso di imposte corrisposte volontariamente, qualora si fosse ridotto il valore della partecipazione circolare del 31 gennaio 2002 12/E del 30 gennaio 2001 9/E oltre all'articolo 6, comma 2, del D.Lgs. n. 358 del 1997 . 5. La Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione distaccata di Brescia, accoglieva l'appello, ritenendo che il comportamento del contribuente configurasse un abuso di diritto come previsto dalla giurisprudenza comunitaria e da quella della Suprema Corte. Premesso che l'abuso di diritto come qualificato dalla giurisprudenza si traduce in un principio generale anti elusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici, che giustificano l'operazione. Nel caso concreto il contribuente aveva aderito a due provvedimenti agevolativi identici, ma successivi nel tempo, con un cospicuo risparmio fiscale, procedendo con la seconda rivalutazione a decurtare il valore della partecipazione, operando quindi una svalutazione e non una rivalutazione dei beni, e dunque era a suo carico l'onere di fornire la prova dell'esistenza di ragioni economiche ulteriori e diverse rispetto a quello del mero vantaggio fiscale conseguito. Il ricorrente, invece, si era limitato ad asserire che la seconda rivalutazione era stata eseguita perché con la precedente non erano state considerate le passività. Tale ragione era generica tenuto conto del fatto che 1 il valore della partecipazione era derivato da una perizia asseverata di stima svolta da un professionista 2 per lungo tempo era stata ritenuta corretta tanto da indicare, come precisato dall'ufficio, anche nella dichiarazione del 2005 il valore della partecipazione in base alla suddetta perizia senza fornire prova della natura, qualità e quantità della passività sopravvenuta. 5. Dunque, in mancanza di tale prova, il comportamento posto in essere dal contribuente si configurava quale abuso di diritto e anche le sanzioni irrogate erano la naturale conseguenza dell'esito dell'azione dell'ufficio volta a contrastare il fenomeno dell'abuso di diritto. 6. Avverso la sentenza citata propone ricorso per cassazione Gi. An. Sc. sulla base di un solo motivo di ricorso. 7. Resiste con controricorso l'agenzia delle entrate. Considerato che 1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione dell'articolo 2 D.L. n. 282 del 2002, come modificato dall'articolo 6 bis del D.L. n. 355 del 2003, convertito con modificazioni dalla L. n. 47 del 2004 e dall'articolo 11 quaterdecies, comma 4, D.L. n. 203 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2005, in relazione all'articolo 5 L. n. 448 del 2001, e violazione degli articolo 53 Cost e 163 e 67 D.P.R. n. 600 del 1973 ex articolo 360, n. 3, c.p.c. Il ricorrente dopo aver riportato lo svolgimento dei precedenti gradi di giudizio e il contenuto dell'articolo 2 del D.L. n. 282 del 2002 come modificato dall'articolo 6 bis D.L. n. 355 del 2003, evidenzia che una prima perizia aveva stimato il valore delle azioni della società GPM srl e poi, una seconda perizia, redatta successivamente, aveva ridotto il medesimo valore sulla base di alcune passività. Il ricorrente contesta l'affermazione fatta nella sentenza impugnata, secondo la quale non vi era prova delle ragioni economiche alla base dell'operazione, mentre la perizia depositata aveva evidenziato che la prima valutazione era riferita al primo luglio 2003 e la seconda ad epoca successiva, primo gennaio 2005 in base ai dati del bilancio al 31 dicembre 2004. Pertanto non vi era stato alcun abuso di diritto ma semplicemente un valore determinato da un perito che aveva dettagliatamente evidenziato le passività esistenti e la loro natura. Inoltre, il ricorrente lamenta anche la violazione del principio di doppia imposizione previsto dagli artt. 163 TUIR e 67 D.P.R. n. 600 del 1973 atteso che la CTR aveva ritenuto legittima l'applicazione della stessa imposta più volte, in dipendenza dello stesso presupposto impositivo. 1.1 II motivo è fondato. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l'articolo 2, comma 2, del D.L. n. 282 del 2002 non prorogava la disciplina contenuta nell' articolo 5 della L. n. 448 del 2001, risultando in particolare cambiata, rispetto alla disciplina originaria, la data di riferimento rilevante ai fini della rideterminazione del costo o valore di acquisto delle partecipazioni 1. gennaio 2003 anziché 1. gennaio 2002 . Risulta pertanto possibile, per il contribuente che abbia proceduto a rideterminare il costo o valore di acquisto delle partecipazioni possedute al 1. gennaio 2002, attraverso l'applicazione della disciplina contenuta nell'articolo 5 della L. n. 448 del 2001, usufruire della possibilità offerta dall'articolo 2, comma 2, del citato D.L. n. 282 del 2002 per effetto della proroga di cui all' articolo 39, comma 14-undecies, del D.L. n. 269 del 2003. In tal caso risulta necessario predisporre una nuova perizia giurata di stima da cui risulti il valore delle partecipazioni al 1. gennaio 2003 e procedere al versamento dell'imposta sostitutiva entro il 16 marzo 2004. In relazione al versamento della nuova imposta sostitutiva, anche l'Amministrazione finanziaria nella circolare 9 maggio 2003, n. 27/E, paragrafo 1 ha avuto modo di precisare che l'imposta calcolata sulla base del valore risultante dalla perizia giurata di stima riferita alla data del 1. gennaio 2003 deve essere interamente versata senza che si possa dalla stessa scomputare l'imposta sostitutiva in precedenza già versata vale a dire quella relativa alla perizia giurata di stima riferita alla data del 1. gennaio 2002 -qualora il contribuente abbia optato per la rateazione della vecchia imposta sostitutiva, le rate ancora dovute non devono essere versate - la vecchia imposta sostitutiva già versata l'intero ammontare o quello della rata può essere chiesta a rimborso ai sensi dell' articolo 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 Nello stesso si è espressa di recente questa Corte allorché ha affermato il seguente principio di diritto In tema di imposta sostitutiva sui capital gains , il contribuente, dopo aver effettuato una prima rivalutazione del bene nella specie, partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati , con conseguente versamento dell'imposta, può chiedere, se è ancora in possesso di tale bene, ove venga introdotta una disciplina fiscale più favorevole, una nuova determinazione del valore, con diritto - anche nell'assetto antecedente alla vigenza dell'articolo 7 del D.L. n. 70 del 2011, conv. in L. n. 106 del 2011 - ad usufruire del rimborso, stante il generale principio del divieto di doppia imposizione, in misura non superiore a quanto dovuto, in base all'ultima rideterminazione del valore effettuata, fino alla concorrenza dei due importi . Sez. 5, Ord. n. 18712 del 2018 . Inoltre, è errata anche la qualificazione che la CTR ha dato all'operazione come priva di una ragione economica e, quindi, integrante un'ipotesi di abuso del diritto. Il divieto di abuso del diritto, infatti, si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Nella specie, invece, il contribuente si era attenuto strettamente a quanto consentito dal legislatore al fine di una rideterminazione del costo o valore di acquisto della quota di partecipazione mediante la presentazione di una perizia di stima giurata e non era richiesta una particolare finalità, diversa da quella relativa alla rideterminazione del valore. 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato motivazione omessa su un fatto decisivo del giudizio ex articolo 360, n. 5, c.p.c. Secondo il ricorrente la CTR non ha esaminato la seconda perizia prodotta che provava l'esistenza delle passività contestate così incorrendo nel suddetto vizio di omessa motivazione. In sostanza la ricorrente muove le stesse argomentazioni di cui al primo motivo, riferendole all'omesso fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla omessa valutazione della seconda perizia. 3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione dell'articolo 5, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997 ex articolo 360, n. 3, c.p.c. Secondo il ricorrente, non sussistendo alcun abuso di diritto nel comportamento tenuto dal contribuente mancavano i presupposti soggettivi per l'irrogazione delle sanzioni tenuto conto anche della circolare n. 16 del 22 aprile 2005. 4. Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono assorbiti dall'accoglimento del primo. 5. In conclusione il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve essere accolto l'originario ricorso proposto da Gi. Sc. avverso la cartella di pagamento n. omissis relativa all'imposta sostitutiva per rivalutazione per l'anno 2004 richiesta dall'Ufficio a seguito di controllo automatizzato effettuato ai sensi dell'articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973 per il recupero rate non versate. 6. Le spese dell'intero giudizio devono essere compensate in considerazione dell'oggettiva incertezza interpretativa circa la disciplina applicabile alla fattispecie. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e decidendo nel merito accoglie il ricorso proposto da Gi. Sc. avverso la cartella di pagamento n. omissis , e compensa le spese dell'intero giudizio. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta seconda Civile, il 23 ottobre 2018.