Errata applicazione dell’aliquota IVA: detrazione comunque consentita ma solo dall’entrata in vigore della novella legislativa

La previsione di cui all'art. 6, comma 6, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, introdotta dall'art. 1, comma 935, l. 27 dicembre 2017, n. 205, nella parte in cui prevede che, in caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, resto fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione, ai sensi degli artt. 19 e seguenti del d.P.R. n. 633/1972, non ha efficacia retroattiva né può ad essa riconoscersi valore di norma interpretativa.

Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 24001/18, depositata il 3 ottobre, con cui ha respinto il ricorso di una società alla quale era stato disconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA ad essa addebitata da subappaltatori in misura superiore a quella dovuta. Errata applicazione aliquota IVA o erroneo assoggettamento ad imposta di operazione esente o non imponibile conseguenze secondo la giurisprudenza. Sulla questione esiste un consolidato orientamento secondo cui per il diritto alla detrazione dell’IVA è necessaria non solo la presenza dei presupposti della soggettività e dell’inerenza dell’acquisto ma deve trattarsi altresì di operazioni che siano assoggettabili ad IVA nella misura dovuta. In altri termini il divieto di detrazione si applica va anche nell’ipotesi in cui l’operazione era stata erroneamente assoggetta ad imposta con un’aliquota superiore a quella prevista per la specifica cessione o prestazione posta in essere, non essendo sufficiente che l’operazione fosse rientrata nell’oggetto dell’impresa e fosse oggetto di fatturazione, dovendo altresì essere assoggettata a IVA nella misura dovuta Cass. nn. 15178/14 n. 20977/13 15068/13 12146/09 n. 8959/03 . Di conseguenza, se l’operazione era stata erroneamente assoggettata ad imposta, l’IVA o la maggiore IVA non dovuta restava priva di fondamento - non solo in capo al fornitore, che aveva pertanto diritto di chiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso - ma anche in capo al cliente, nei cui confronti il fornitore aveva esercitato il diritto-dovere di rivalsa previsto dall’art. 17, d.P.R. 633/1972, per cui il cliente stesso poteva chiedere al fornitore la restituzione dell’IVA indebitamente versata. L’impostazione descritta implicava, inoltre, che la detrazione operata dal cliente era illegittima, con conseguente diritto dell’Amministrazione di recuperare a tassazione l’imposta detratta. Tale orientamento trovava conferma nella giurisprudenza comunitaria, per la quale l’esercizio del diritto di detrazione è circoscritto alle imposte corrispondenti alle operazioni soggette a IVA, versate in quanto dovute Corte di Giustizia, 15 marzo 2007, causa C-35/05 6 novembre 2003, cause riunite C-78/02, C-79/02 e C-80/02 19 settembre 2000, causa C-454/98 13 dicembre 1989, causa C-342/87 . Il caso concreto. Nessuna valenza è stata riconosciuta allo ius superveniens rappresentato dall’art. 1, comma 935, l. n. 205/2017 che ha stravolto la storica impostazione integrando l’articolo 6, comma 6, d.lgs. n. 471/1997, secondo cui chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al novanta per cento dell’ammontare della detrazione compiuta , con la previsione che, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto dei Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale . La norma così riformulata, nonostante il tenore letterale, dovrebbe intendersi riferita non solo ai casi di applicazione di un’aliquota superiore a quella corretta, ma anche alle ipotesi in cui l’operazione sia stata erroneamente considerata imponibile, anziché esente, non imponibile o non soggetta. In sostanza, la novella legislativa tutela la posizione del cliente, a tal fine equiparando le ipotesi derivanti dall’applicazione di un’imposta in misura superiore a quella dovuta ai casi di violazione del regime del reverse charge pertanto, il cliente che abbia assolto in rivalsa l’imposta erroneamente addebitata dal fornitore deve avere il diritto ad operare la detrazione, ferma in tal caso l’applicazione nei cuoi confronti della sanzione ridotta da 250 euro a 10.000 euro . Secondo la Cassazione, fermo restando l’applicazione del favor rei per quanto riguarda il carico sanzionatorio, con l’applicazione della sanzione più favorevole al cessionario nel caso di specie quella prevista dalla norma sopravvenuta , per il diritto alla detrazione vanno fatte altre considerazioni la retroattività, infatti, non è enunciata espressamente dalla norma per cui si applicano i principi generali secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire né traspare la portata interpretativa della norma non essendo previsto alcun riferimento al precedente regime con l’intento di procedere ad una chiarificazione della portata applicativa del diritto alla detrazione.

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 23 maggio – 3 ottobre 2018, n. 24001 Presidente Bruschetta – Relatore Triscari Fatti di causa La società I.C. s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in epigrafe, che ha rigettato l'appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bergamo. Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che la società contribuente aveva proposto ricorso avverso due avvisi di accertamento, con i quali era stata rettificata la dichiarazione Ires, Irap e Iva presentata e provveduto al recupero dell'Iva, avendo disconosciuto il diritto alla detraibilità dell'Iva ad essa addebitata dai subappaltatori in misura superiore a quella dovuta la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso per la parte relativa alla ritenuta illegittimità della pretesa relativa al diritto alla detrazione integrale dell'Iva avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la società contribuente, nel contraddittorio con l'Agenzia delle entrate, che aveva proposto, a propria volta, appello incidentale. La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha confermato la sentenza appellata. In particolare, in punto di diritto, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che i lavori effettuati dalla società contribuente non potevano essere considerati tutti, anche indirettamente, rivolti all'abbattimento delle barriere architettoniche, sicché era corretta l'applicazione della maggiore aliquota del 10 per cento piuttosto che quella del 4 per cento era corretta l'interpretazione dei giudici di primo grado in merito alla detrazione dell'Iva della contribuente alla nota di credito emessa a favore della ditta A.S., non avendo l'Ufficio finanziario provato l'illegittimità della medesima detrazione era corretta la decisione dei giudici di primo grado relativa all'applicazione al subappalto della stessa aliquota dell'appalto principale, profilo sul quale la giurisprudenza della Corte di cassazione aveva avuto un mutamento di orientamento. Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la società contribuente affidato a due motivi di censura. L'Agenzia delle entrate ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale. La contribuente ha depositato controricorso al ricorso incidentale nonché memoria. Ragioni della decisione 1. Sul ricorso principale della contribuente 1.1. Con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 , cod. proc. civ., per violazione dell'art. 132 cod. proc. civ., e, in subordine, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5 , cod. proc. civ., per omessa, apparente o insufficiente motivazione sul punto relativo alla legittimità della detrazione dell'Iva fatturata dai subappaltatori alla società contribuente. In particolare, si censura la sentenza per non avere dato risposta al motivo di appello con cui era stata impugnata la sentenza di primo grado per difetto di motivazione sulla questione della non detraibilità dell'Iva fatturata in misura maggiore del dovuto per essersi limitata, nella motivazione, a fare richiamo ad un orientamento giurisprudenziale per relationem, senza, tuttavia, indicazione specifica dello stesso e del percorso argomentativo da esso espresso e che aveva ritenuto di dovere condividere per essersi limitata a riportare il contenuto della decisione di primo grado sul punto, senza farlo oggetto di una critica ragionata ai fini di giustificare l'adesione al medesimo. Il motivo è infondato. Rispetto ai motivi di appello prospettati sul punto, la Commissione tributaria regionale ha, anche se succintamente, argomentato, laddove ha precisato che, secondo la giurisprudenza successiva a quella precedente, al subappalto deve applicarsi la stessa aliquota dell'appalto principale. Non si tratta, invero, di una mera adesione al percorso argomentativo già seguito dal giudice di primo grado, ma di una riaffermazione del principio espresso, esposto in termini di condivisione e quindi fatto proprio con la statuizione in esame, focalizzando l'attenzione sulla necessaria corrispondenza, in caso di subappalto, dell'Iva fatturata. Non può, quindi, ritenersi che la pronuncia difetti di motivazione sul punto per non avere la stessa chiarito quale fosse l'orientamento giurisprudenziale cui poggiava la decisione, avendo, comunque, espresso il proprio convincimento della identità di Iva da fatturare e, in tal modo, esaustivamente dando risposta alla questione prospettata dall'appellante, ponendosi, semmai, la questione non sul piano della insufficienza motivazionale della sentenza, ma su quello, diverso, della corretta applicazione e interpretazione della disciplina normativa da applicare, come in effetti coltivato con il secondo motivo di ricorso. 1.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 , e, in subordine, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5 , cod. proc. civ., per violazione dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in considerazione dell'art. 17 della Direttiva 17/5/1977 n. 388 VI Direttiva CEE e, in particolare, del principio di neutralità dell'Iva e dei principi di razionalità e proporzionalità espressi dal Trattato di Roma. In particolare, la ricorrente ritiene che la sentenza censurata sia contraria alla legge e ai principi di neutralità dell'Iva per avere ritenuto che sia legittima la contestazione da parte delTAmministrazione finanziaria della detrazione Iva addebitata dal subappaltatore con aliquota del venti per cento superiore a quella dovuta quattro o dieci per cento . Evidenzia, inoltre, che il sistema dovrebbe riconoscere il diritto alla detrazione in presenza di un comportamento di buona fede del contribuente che ha detratto la maggiore Iva fatturata. Il motivo è infondato. Questa Corte è costante nel ritenere che, in tema di IVA, secondo il combinato disposto del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, e della sesta direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 17, la detrazione dell’imposta pagata a monte per l’acquisto o l'importazione di beni, o per conseguire la prestazione di servizi necessari all'impresa, non è ammessa in ogni caso, in quanto non è sufficiente, ai fini della detrazione, che tali operazioni attengano all'oggetto dell'impresa e siano fatturate, ma è altresì indispensabile che esse siano assoggettabili all'IVA nella misura dovuta. Di conseguenza, ove l'operazione sia stata erroneamente assoggettata all'IVA, per la misura non dovuta, restano privi di fondamento non solo il pagamento dell'imposta da parte del cedente che ha perciò diritto di chiedere all'amministrazione il rimborso dell'IVA e la rivalsa effettuata dal cedente nei confronti del cessionario che può quindi chiedere al cedente la restituzione dell'IVA versata in via di rivalsa , ma anche la detrazione operata dal cessionario nella sua dichiarazione IVA, con conseguente potere-dovere dell'amministrazione di escludere la detrazione dell'IVA così pagata in rivalsa v., ex multis, Cass. nn. 7602/93, 5733/98, 8786/01, 12756/02, 4419/03, 8959/03, 2274/04, 5094/05, 9437/06, 12146/09, 13313/13, 13314/13, 15068/13, 20977/13, 15178/14, quest'ultima vertente proprio sul diritto a detrazione da parte di una società cessionaria che si era vista addebitare dalla propria cedente l'IVA nella misura del 20%, ancorché l'importo dovuto andasse liquidato con aliquota al 10% . In particolare, è stato ribadito Cass. 17 dicembre 2014, n. 26482 , che, nell'ipotesi in cui l'imposta pagata sia stata erroneamente calcolata sulla base di un'aliquota superiore a quella effettivamente dovuta, la mancata attivazione, nel prescritto termine annuale, della speciale procedura di variazione dell'imposta e dell'imponibile, di cui al d.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, fa venire meno il diritto del contribuente a recuperare il credito mediante detrazione, salva la possibilità per il medesimo di presentare istanza di rimborso della maggiore imposta indebitamente versata. Difformemente da quanto sostenuto dalla ricorrente, tale orientamento trova fondamento e conferma nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ritiene che l'esercizio del diritto di detrazione è circoscritto alle imposte corrispondenti ad un'operazione soggetta all'IVA e versate in quanto dovute sent. 13 dicembre 1989, in causa C-342/87, Genius Holding, p.to 13 19 settembre 2000, in causa C-454/98, Schmeink & amp Cofreth AG & amp Co. KG Cofreth e Strobel, p.to 53 6 novembre 2003, in cause riunite C-78/02, C-79/02 e C-80/02, Karageorgou e altri, p.to 50 15 marzo 2007, in causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, p.to 23 . In particolare ed anche con riferimento alla successiva direttiva n. 112/2006 CE, artt. 63, 167 e 203 si è ritenuto che il diritto di detrarre l'IVA fatturata è connesso, come regola generale, all'effettiva realizzazione di un'operazione imponibile, ma che il suo esercizio non si estende all'IVA dovuta per il solo fatto e nella misura in cui essa sia stata indicata in fattura Corte giust. 31 gennaio 2013, in causa C-643/11, LVK-56 EOOD, p.ti 34 ss. 15 marzo 2007, cit., p.to 23 26 maggio 2005, in causa C 536/03, Antonio Jorge, p.ti 24 e 25 13 dicembre 1989, cit., p.ti 13 e 19 . La Corte europea ha altresì precisato che, in via di principio, il rischio di perdita di gettito fiscale non è eliminato completamente finché il destinatario di una fattura che indichi un'IVA non dovuta possa utilizzarla ai fini della detrazione, ex art. 178, lett. a , della direttiva 2006/112, il cui art. 203 fissa dunque un obbligo finalizzato proprio ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dall'esercizio del diritto a detrazione previsto dagli artt. 167 e ss Ne consegue che, con riferimento alla fattispecie, la contribuente non avrebbe potuto detrarre riva relativa alle prestazioni ricevute dai subappaltatori in misura percentuale superiore a quella correttamente dovuta. Né può valere, come invece sostenuto dalla ricorrente nella memoria, l'applicabilità alla fattispecie dello jus superveniens costituito dalla modifica operata dall'art. 1 comma 935 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 al comma 6, dell'art. 6, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, laddove prevede che in caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, I'anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. La norma, preme in primo luogo osservare, è stata inserita dalla legge n. 205/2017 nell'ambito della disciplina generale in materia di sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, prevedendo la misura della sanzione amministrativa da irrogare nei confronti del committente o cessionario che applichi l'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o dal prestatore. Per la stessa, quindi, con riferimento alla determinazione della misura delle sanzioni, trovano sicura applicazione le previsioni del favorirei di cui all'art. 3 del decreto legislativo n. 472/1997. Il profilo da esaminare, invece, è se la medesima previsione, laddove prevede che, a prescindere dalla sanzione, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione dell'Iva, possa avere applicazione retroattiva, dunque in un contesto in cui, secondo l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, sopra citato, si è ritenuto che non possa essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell'Iva corrisposta in favore del subappaltatore in misura superiore a quella dovuta. La previsione normativa in esame non enuncia espressamente alcuna valenza retroattiva della sua efficacia e introduce, invece, innovativamente, il riconoscimento del diritto alla detrazione dell'Iva corrisposta in misura maggiore rispetto a quanto dovuto, disciplinando quindi diversamente il regime precedente. Né può dirsi che abbia valenza interpretativa, non essendo ricavabile dalla previsione in esame alcun riferimento al precedente regime in relazione al quale si intende procedere ad una chiarificazione in termini normativi della portata applicativa del regime della detrazione dell'Iva nella materia in esame. Va dunque affermato il seguente principio di diritto La previsione di cui all'art. 6, comma 6, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, introdotta dall'art. 1, comma 935, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, nella parte in cui prevede che, in caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, resto fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione, ai sensi degli artt. 19 e seguenti del d.P.R. n. 633/1972, non ha efficacia retroattiva né può ad essa riconoscersi valore di norma interpretativa . 2. Sul ricorso incidentale dell'Agenzia delle entrate Con l'unico motivo di ricorso incidentale l'Agenzia delle entrate censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5 , cod. proc. civ., per omessa o insufficiente motivazione, per non avere, sulla questione della disapplicabilità della sanzione per sussistenza della buona fede della contribuente nell'operare la detrazione dell'Iva per importi addebitati con aliquota superiore, sufficientemente motivato sul contenuto della sentenza n. 11457/2005 della Suprema Corte citata in sentenza nonché per non avere tenuto conto che l'Agenzia delle entrate aveva contestato la tesi del ragionevole affidamento, deducendo che la società contribuente aveva rilasciato a molti subappaltatori dichiarazioni circa l'applicabilità anche alle loro prestazioni delle aliquote agevolate applicabili alle prestazioni principali. Il motivo è infondato. Va a tal proposito precisato che, differentemente da quanto eccepito da parte ricorrente, la parte della pronuncia oggetto di censura con il presente ricorso è da considerarsi anche riferibile al motivo di appello incidentale dell'Agenzia delle entrate con il quale la stessa aveva impugnato la sentenza del giudice di primo grado che aveva ritenuto non dovute le sanzioni in considerazione del comportamento di buona fede della società contribuente. Il riferimento, infatti, ad un mutamento di giurisprudenza in ordine all'aliquota da applicare in caso di fatture emesse sulla base di un rapporto di subappalto, ed alla legittima condotta seguita propria sulla base del precedente orientamento giurisprudenziale citato, non può che essere messo in correlazione, sebbene non espresso chiaramente, oltre che con il profilo della non sussistenza del diritto alla detrazione, esaminato in sede di primo motivo di ricorso, anche con la questione della sussistenza, nella fattispecie, di un comportamento di buona fede che giustificava la non applicabilità della sanzione. Ciò precisato, va osservato che, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente incidentale, la pronuncia in oggetto ha motivato sul punto in esame, facendo riferimento, come sopra rilevato, al mutamento di giurisprudenza intervenuto, argomentando in tal modo, senza che in questa sede possa procedersi ad una valutazione nel merito della decisione assunta, in ordine alla sussistenza della buona fede della contribuente, sicché non può, sotto tale profilo, ragionarsi in termini di mancata esternazione del percorso logico seguito, essendo lo stesso incentrato, in sostanza, sulla ritenuta esistenza di una incertezza applicativa della norma. D'altro lato, la questione della mancata considerazione, secondo l'assunto di parte controricorrente incidentale, del rilascio da parte della società contribuente di dichiarazioni a molti subappaltatori, con le quali la stessa avrebbe avvisato circa l'applicabilità anche alle prestazioni da questi eseguite delle aliquote agevolate applicabili alle prestazioni principali, difetta di autosufficienza, non essendo state le stesse riprodotte in questa sede e non consentendo, quindi, di procedere ad una valutazione della decisività delle stesse. 3. Conclusioni. In conclusione, il ricorso principale della ricorrente e il ricorso incidentale della controricorrente sono infondati, con conseguente rigetto. Attesa la soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale della ricorrente e il ricorso incidentale della controricorrente. Spese compensate.