Impugnabile il diniego di interpello

Il contribuente può impugnare il diniego di disapplicazione di norme antielusive rilasciato dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate.

Tale atto è impugnabile anche se non rientra nell’elenco di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546/92, in quanto trattasi di provvedimento con cui l’Amministrazione finanziaria porta a conoscenza del contribuente il proprio convincimento su una individuata pretesa tributaria. Il diniego disapplicativo è un atto definitivo in sede amministrativa e di natura recettizia con immediata rilevanza esterna che può qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione. Ogni contribuente può inoltrare per iscritto domande di interpello all’amministrazione finanziaria, che risponde entro 120 giorni queste possono riguardare l’applicazione delle norme tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse. La risposta dell’amministrazione, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente e, se non perviene al contribuente entro il termine di cui al comma 1, si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente. Occorre ricordare che l’art. 19 d.lgs. n. 546/92 contiene l’elenco degli atti impugnabili in ambito tributario tale l’elencazione degli atti impugnabili ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria. Il caso. Nella fattispecie in esame la società contribuente ha impugnato il diniego di accoglimento di istanza di interpello disapplicativo ex art. 37- bis , comma 8, d.P.R. n. 600/73, delle norme antielusive. La CTP ha accolto la richiesta della società e i Giudici di Appello hanno ribadito l’impugnabilità del predetto diniego. La Corte ha ritenuto che in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 d.lgs. n. 546/92 ha natura tassativa, ma non preclude la possibilità di impugnare anche altri atti se con gli stessi l’Amministrazione porta a conoscenza in virtù delle disposizioni costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento dell’amministrazione nonché dell’allargamento della giurisdizione tributaria di cui alla legge n. 448/2001. Facoltà e non obbligo. Il contribuente ha dunque la facoltà, non l’obbligo, di impugnare il diniego del direttore regionale delle entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37- bis , comma 8, d.P.R. n. 600/1973, atteso che lo stesso non è atto ricompreso nel citato art. 19, ma provvedimento con cui l’amministrazione porta a conoscenza del destinatario un determinato rapporto tributario . I Giudici di legittimità hanno ritenuto che nel caso di specie il diniego, provenendo dall’ufficio finanziario, ha portato, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicita indicazione delle ragioni fattuali e giuridiche, senza necessità di una forma autoritativa, radicando così il suo interesse concreto ed attuale ad agire. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che è impugnabile il diniego dell’interpello proposto dalla società di comodo pertanto l’elencazione degli atti impugnabili presso gli organi della giurisdizione tributaria contenuta nell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti impositivi Cass. ord. n. 16962 /2017 n. 25498/2017 . Discorso analogo al diniego di interpello può farsi per l’estratto di ruolo che può essere annoverato tra gli atti autonomamente impugnabili anche se non direttamente ricompresi nell’elenco di cui all’art. 19 d.lgs. n. 546/1992. L’estratto di ruolo è una riproduzione integrale degli elementi contenuti nella cartella di pagamento ed ha valore di prova conseguentemente è valido ai fini probatori ed, in particolare, al fine di individuare per quale tipo di credito agisca l'amministrazione finanziaria Cass n. 15315/2017 .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 9 gennaio – 15 febbraio 2018, n. 3775 Presidente Iacobellis – Relatore Mocci Rilevato che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall'art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione semplificata che l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che aveva accolto solo parzialmente il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Bari. Quest'ultima aveva accolto l'impugnazione della M. s.r.l. contro la richiesta di disapplicazione della disciplina antielusiva in tema di tributi, per l'anno 2011 Considerato che il ricorso è affidato a tre motivi che, col primo rilievo, si denuncia nullità della sentenza e del procedimento ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c. la CTR avrebbe erroneamente ritenuto impugnabile il diniego circa la disapplicazione di norme antielusive che, con la successiva doglianza, ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., si invoca violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c., giacché nella specie sarebbe mancato del tutto l'interesse della controparte ad ottenere la richiesta declaratoria di nullità, non comportando affatto la relativa declaratoria l'autorizzazione preventiva a disapplicare le disposizioni dettate in tema di società non operative che, attraverso l'ultima censura, l'Agenzia deduce nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 36 comma 2° D.Lgs. n. 546/1992 e 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. la sentenza avrebbe omesso di dare conto delle ragioni di fatto e di diritto che avevano determinato il rigetto dell'appello che l'intimata non ha resistito che il primo motivo è infondato che questo Collegio intende dare continuità all'orientamento già espresso dalla Suprema Corte in una fattispecie analoga, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l'Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, sicché è possibile un'interpretazione estensiva delle disposizioni, in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente artt. 24 e 53 Cost. e di buon andamento dell'amministrazione art. 97 Cost. , ed in considerazione dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448 Sez. 6-5, n. 13963 del 05/06/2017 conf. Sez. 5 n. 11929 del 28/05/2014 che il contribuente ha dunque la facoltà di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l'Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario che anche il secondo motivo non è fondato, posto che il diniego, provenendo dall'ente impositore, ha portato, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria quella appunto risultante dal diniego dell'invocata disapplicazione delle norme antielusive , con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, senza la necessità di una forma autoritativa Sez. 5 n. 3315 del 19/02/2016 Sez. 5, n. 25297 del 28/11/2014 , radicando così il suo interesse, concreto ed attuale, ad agire che neppure il terzo motivo è fondato, giacché non si può parlare di nullità della sentenza, a fronte della pur succinta giustificazione fornita dalla CTR in base alla documentazione esibita dalla società a sostegno dell'interpello ed al fatto che, in ogni caso, l'Agenzia non ha provato di aver sollevato in appello la questione inerente il valore concludente della licenza di esercizio rilasciata in data 25/07/2011, sicché, in ossequio ad un principio di simmetria alla luce del raffronto tra la formulazione dell'atto di gravame e la motivazione del provvedimento impugnato, solo ad argomentazioni specifiche e dettagliate del primo devono corrispondere puntuali argomentazioni, idonee a confutarle, da parte del giudice di appello Sez. 2, n. 4695 del 23/02/2017 che al rigetto del ricorso non segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, stante la mancanza di attività difensiva da parte di quest'ultima. P.Q.M. Rigetta il ricorso.