Estinzione dell’ipoteca e del sequestro conservativo con la conciliazione giudiziale

La conciliazione giudiziale ex art. 48 d.lgs. n. 546/1992 comporta l’estinzione dell’ipoteca e del sequestro conservativo contenute nell’atto impositivo originario.

Quanto precede è contenuto nella sentenza n. 4807/2017 della Corte di Cassazione, depositata il 24 febbraio scorso, da cui emerge che l’accordo con l’ufficio finanziario, avendo carattere novativo dell’atto impositivo, determina la sostituzione del verbale di constatazione e del conseguente accertamento basato su quest’ultimo. L’art. 22 d.lgs. n. 472/1997, come integrato dall’art. 27 d.l. n. 185/2008 e dall’art. 15 d.l. n. 78/2009 nonché delle modifiche apportate dall’art. 10 d.lgs. n. 156/2015, disciplina espressamente la materia delle misure cautelari fiscali. In particolare, il primo comma di tale disposizione prevede che l’amministrazione finanziaria, quando abbia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere al presidente della CTP l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore o il sequestro conservativo dei loro beni. La fattispecie. La società contribuente ha impugnato la sentenza della CTR che aveva ritenuto applicabile la misura cautelare nonostante il perfezionamento della conciliazione giudiziale sull’atto presupposto. Secondo il ricorrente, in particolare, a seguito del perfezionamento della conciliazione, i giudici di appello avrebbero dovuto rilevare la sopravvenuta carenza di interesse per l’amministrazione finanziaria, con conseguente e relativa estinzione del giudizio cautelare. Secondo la Corte - nel rilevare che i due istituti cautelari sono consentiti all’Ente impositore sulla base dell’atto di contestazione, provvedimento di irrogazione sanzione e PCV -, ha ritenuto che il verbale di conciliazione ha determinato una pronuncia di estinzione del giudizio. Il sopravvenuto accordo ha prodotto un effetto novativo” sostituendosi all’originario verbale di conciliazione e avviso di accertamento. Tale novazione comporta, quindi, l’estinzione della pretesa fiscale originaria e la sua sostituzione con una certa e concordata, tanto più che il processo verbale rappresenta un titolo per la riscossione degli importi dovuti Cass. n. 9019/2015 n. 14300/2009 . I giudici non hanno accolto la tesi dell’amministrazione - secondo cui il proprio credito tributario doveva essere sottoposto a cautela perché portato da una conciliazione il cui importo era ingente e non garantito -, valutando che il credito riconosciuto era diverso e nuovo rispetto a quello dedotto nell’istanza cautelare. Non trova applicazione al caso in esame la disciplina di cui al comma 7 del citato art. 22, secondo cui l’atto cautelare perde efficacia non già per l’estinzione della controversia, ma solo per la sentenza, anche non definitiva, che accolga il ricorso o l’istanza del contribuente. Infatti l’estinzione del giudizio è qui intervenuta proprio in seguito alla conciliazione e alla cessazione della materia del contendere. La conciliazione non determina di per sé la cessazione della materia del contendere. Viene posto in evidenza, quindi, l’effetto novativo del titolo di imposizione, con conseguente venir meno dell’atto tipico che legittimava la misura cautelare e indubbiamente tale pronuncia costituisce una novità in campo giurisprudenziale atteso che in precedenza è stato affermato che la conciliazione non ha natura negoziale e di novazione. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che per il concreto verificarsi dell’estinzione del giudizio tributario a seguito di avvenuta conciliazione, occorre rilevare l’effettivo versamento della somma conciliata. Gli atti dichiarativi della conciliazione prevista nel giudizio tributario dall’art. 48 d.lgs. n. 5467/1992, non determina di per sé la cessazione della materia del contendere, producendosi tale effetto solo quando, con il versamento della somma concordata, gli stessi siano divenuti efficaci e perfetti Cass, n. 14547/2015 n. 5593/2013 9219/2011 .

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 2 – 24 febbraio 2017, n. 4807 Presidente Chindemi – Relatore Stalla Svolgimento del giudizio La E. Nove srl a socio unico propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 69/44/13 del 13 maggio 2013 con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha accolto la richiesta dell'Agenzia delle Entrate di misure cautelari a carico di essa ricorrente, ex articolo 22 D.Lvo 472/97, per un credito d'imposta, al lordo delle rate medio tempore versate, di euro 33.208.749,45. Ha ritenuto la commissione tributaria regionale, in particolare, che - le misure cautelari in oggetto fossero concedibili ancorché l'originaria pretesa impositiva, scaturita dal processo verbale di constatazione 22 dicembre 2009 relativo ad Irap, Ires ed Iva 2006 per l'importo di circa 78 milioni di euro, oltre sanzioni ed interessi, fosse stata poi dedotta nel verbale di conciliazione giudiziale 15 marzo 2013, con il quale le parti avevano inteso definire il giudizio di opposizione all'avviso di accertamento e cartella di pagamento che l'amministrazione finanziaria aveva nel frattempo notificato alla società contribuente come da sentenza CTP Milano n. 227/1/13, dichiarativa dell'estinzione del giudizio per conciliazione giudiziale - quanto al fumus boni juris, proprio la sottoscrizione di un verbale di conciliazione giudiziale attestasse la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile dell'amministrazione finanziaria - quanto alla sussistenza del periculum in mora, deponessero la natura di società di capitali della contribuente, ed il suo oggetto sociale di gestione immobiliare e di esecuzione di investimenti esteri nonché l'entità del debito tributario e l'ampiezza 10 rate trimestrali della dilazione prevista. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate. La società ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione § 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce - ex articolo 360, 1A co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione degli articoli 22 d.lvo 472/97 e 27 co.6 d.l. 185/08 conv. l. 2/09. Per avere la commissione tributaria regionale disposto misure cautelari nonostante l'intervenuto perfezionamento della conciliazione giudiziale sull'atto presupposto perfezionamento a seguito del quale doveva la commissione territoriale rilevare la sopravvenuta carenza di interesse ad agire in capo all'amministrazione finanziaria, con conseguente estinzione del giudizio cautelare ex articolo 46 d.lgs. 546/92. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta - ex articolo 360, 1A co. n. 4 cod.proc.civ. - nullità della sentenza in relazione agli articoli 99 e 112 cod.proc.civ. per avere la commissione tributaria regionale disposto misure cautelari prescindendo dai motivi di appello proposti dall'Agenzia delle Entrate contro la sentenza di primo grado che tali misure aveva negato in considerazione di alcuni errori riscontrabili nel processo verbale di constatazione , e sulla base di un atto - il verbale di conciliazione giudiziale - diverso da quello posto a base dell'originaria istanza cautelare appunto, il suddetto processo verbale di constatazione . Con il terzo motivo di ricorso si deduce - ex articolo 360, 1A co. n. 4 cod.proc.civ. - nullità della sentenza in relazione all'articolo 115 c.p.c. per avere la commissione tributaria regionale, in violazione del divieto di fare ricorso alla propria scienza privata, fondato il proprio convincimento di sussistenza del periculum in mora su fatti autonomamente considerati, perché non dedotti dalle parti qualità di società di capitali del contribuente oggetto sociale di gestione immobiliare rapporti con gruppi esteri ed esecuzione di investimenti particolarmente soggetti a volatilità del mercato . Con il quarto motivo di ricorso si lamenta - ex articolo 360, 1A co. n. 4 cod.proc.civ. - nullità della sentenza in relazione all'articolo 101, 2A co., cod.proc.civ. per avere la CTR posto a fondamento della propria decisione aspetti intervenuta conciliazione giudiziale quale atto presupposto della cautela che non avevano formato oggetto di contraddittorio tra le parti. § 2. Il ricorso - da ritenersi ammissibile Cass. 24527/07 7342/08 ancorché proposto in relazione ad un provvedimento cautelare che, in quanto tale, non è idoneo ad assumere la stabilità propria del giudicato - è, nell'assorbente accoglimento della prima censura, fondato. L'articolo 22 d.lvo 472/97, costituente la disposizione regolatrice fondamentale dell'istituto, prevede che l'ipoteca o il sequestro conservativo vengano consentiti all'ente impositore - quando quest'ultimo abbia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito - sulla base di uno degli atti in esso menzionati atto di contestazione provvedimento di irrogazione della sanzione processo verbale di constatazione. Nel caso di specie, l'attività accertativa - pur traendo origine dal su richiamato processo verbale di constatazione del 22 dicembre 2009 - è poi confluita, nel corso dei giudizi riuniti di opposizione all'avviso di accertamento successivamente notificato ed alla relativa cartella, nel verbale di conciliazione giudiziale del 15 marzo 2013, con il quale le parti hanno inteso definire ogni aspetto del rapporto controverso verbale di conciliazione che, proprio per tale ragione, ha poi determinato una pronuncia, non gravata, di estinzione del giudizio. Orbene, la sopravvenuta conciliazione giudiziale ha sortito effetto novativo del titolo di imposizione, sostituendosi all'originario verbale di constatazione ed all'avviso di accertamento su di questo basato con conseguente venir meno dell'atto tipico legittimante, ex articolo 22 cit., la misura cautelare. Si è in proposito affermato che la conciliazione giudiziale ex articolo 48 del d.lgs. n. 546 del 1992 - sia nel testo originario sia in quello risultante dalle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 419, della legge n. 311 del 2004 - ha carattere novativo delle precedenti opposte posizioni soggettive comportando l'estinzione della pretesa fiscale originaria, unilaterale e contestata, e la sua sostituzione con una certa e concordata, tanto che il relativo processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute Cass. nn. 14300/09 9019/15, ord. . E' su questo presupposto che la CTP Milano - verificato il perfezionamento della conciliazione con il regolare versamento della prima rata - ha dichiarato, con la già citata pronuncia, l'estinzione del giudizio. Non vale obiettare che l'istanza cautelare venne proposta prima del verbale di conciliazione, atteso che i presupposti giuridici e fattuali della cautela debbono - per regola generale, valevole anche in ambito tributario - essere riguardati al momento della decisione, e non dell'istanza con la conseguenza che essa non può venire concessa allorquando il titolo che la legittimerebbe, ancorché esistente al momento della richiesta, sia successivamente venuto meno. Tanto più che la perdita della tutela cautelare sulla base del titolo originario - per effetto della conciliazione - ben poteva essere soppesata dall'amministrazione finanziaria, in una con l'acquisizione di eventuali garanzie, nella valutazione discrezionale di opportunità e convenienza della conciliazione stessa. Non può dunque condividersi quanto osservato nella sentenza impugnata, secondo cui la conciliazione giudiziale avrebbe, in certo senso, rafforzato e non soppresso i presupposti della cautela, perché di per sé attestante il riconoscimento da parte del contribuente di un credito tributario certo e liquido posto che tale credito, pur riconosciuto, era diverso e nuovo rispetto a quello dedotto nell'istanza cautelare. Né convince quanto sostenuto dall'agenzia delle entrate in ordine alla circostanza che il proprio credito meriterebbe di essere fatto oggetto di cautela perché portato da una conciliazione pur sempre implicante una lunga dilazione per ingente e non garantito importo. Va infatti considerato che, proprio nel fare richiamo alle pattuizioni della fonte obbligatoria rappresentata dal verbale del 15 marzo 2013 - nuovo titolo per la riscossione - la stessa amministrazione finanziaria mostra di senz'altro individuare il titolo giuridico dell'istanza di cautela in un atto non contemplato dall'articolo 22 cit Conclusione diversa non può ritenersi suggerita dalla disciplina di cui al 7A co. dell'articolo 22 cit., in base al quale il provvedimento cautelare perde efficacia a parte le ipotesi, qui ininfluenti, di mancata notificazione, nel termine indicato, dell'atto di contestazione o di irrogazione non già per l'estinzione del giudizio, ma solo per l'intervento di sentenza, anche non definitiva, che accolga il ricorso o la domanda del contribuente. La presente fattispecie non rientra infatti in tale disciplina, posto che l'estinzione del giudizio è qui intervenuta proprio a causa della conciliazione e della cessazione del contendere sicché da essa non è scaturita, come altrimenti accadrebbe, la definitività dell'atto impositivo impugnato e, per ciò solo, l'esigenza di permanenza della cautela. Né l'inefficacia potrebbe escludersi in ragione della mancata emanazione di una sentenza in tutto o in parte favorevole al contribuente, atteso che - come si è detto - qui la pretesa tributaria non trovava più titolo in alcuna sentenza, bensì in un accordo tra le parti ad effetto novativo con la conseguenza che non si verte di mera riduzione quantitativa giudiziale del titolo originario, ma di sua integrale sostituzione consensuale. La sentenza va dunque cassata, con pronuncia nel merito di rigetto dell'istanza cautelare. La delicatezza della questione interpretativa, anche attestata dalla divergenza delle decisioni di merito, depone per la compensazione delle spese dell'intero giudizio. P.Q.M. - accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri - cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge l'istanza cautelare dell'agenzia delle entrate - compensa le spese dell'intero giudizio.