Accertamento induttivo, scatta per presunzioni gravi

L’accertamento induttivo non può scattare in assenza di elementi gravi, precisi e concordanti anche considerando la regolarità formale delle scritture contabili.

Il principio è contenuto nella sentenza n. 2468/17 della Corte di Cassazione da cui emerge che in presenza di una contabilità regolare l’ufficio finanziario deve individuare presunzioni idonee a giustificare il ricorso a tale tipo di accertamento. Contesto normativo. Il caso in esame riguarda la procedura prevista dall’art. 39, comma 1, lett. d , d.P.R. n. 600/1973, in base al quale l’ufficio finanziario, ai fini accertativi, procede a rettificare i redditi valutando presunzioni semplici che siano gravi, precise e concordanti, eventuali gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati, nonché gli studi di settore inerenti all’attività esercitata. In particolare, tale norma regola il potere di accertamento dell’ufficio che, in presenza di irregolarità contabili meno gravi di cui al primo comma del citato art. 39, può procedere ad accertamento analitico, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente, mentre allorché riscontri un’inattendibilità totale della contabilità procede ai sensi del successivo secondo comma mediante metodo induttivo. Al fine di salvaguardare il contribuente sottoposto ad accessi, ispezioni e verifiche, il legislatore ha previsto alcune garanzie potendo lo stesso presentare all’ufficio osservazioni e richieste, che dovranno essere valutate in ordine ai dati ed elementi su cui si fonderà l’atto impositivo art. 12, comma 7, l n. 212/2000 . La vicenda. Nel caso di specie una società ha impugnato un accertamento induttivo e la CTR, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato l’atto impositivo ritenendo che non ci fossero i presupposti per procedere ad accertamento induttivo. L’ufficio aveva accertato una reddittività più bassa rispetto alla media di settore attività di ristorazione e bar nonostante la regolare tenuta delle scritture contabili. La Suprema Corte, accogliendo le motivazioni dei giudici di merito, ha ritenuto che nel caso in esame non ci fossero i presupposti per l’accertamento induttivo in quanto questo non si fondava su alcuna presunzione che poteva superare il dato della regolarità delle scritture contabili ossia presunzioni gravi, precise e concordanti tali da far ritenere inattendibile la contabilità formalmente corretta. Peraltro gli accessi compiuti dalla Guardia di Finanza non avevano rilevato difformità nell’emissione di scontrini fiscali. I Giudici di legittimità hanno rilevato, inoltre, che il riscontro dei caffè e del consumo unitario dei tovaglioli cd. tovagliometro” , secondo un orientamento consolidato della Cassazione, può aver rilievo solo in presenza della complessiva inattendibilità della contabilità aziendale, seppure regolarmente tenuta sul piano formale, elemento che nel caso di specie non è emerso. Contabilità regolare e presunzioni. Sul tema la Cassazione ha ritenuto che in caso di contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza. L’accertamento induttivo, infatti, è invalido se la differenza tra i coefficienti di ricarico, rispetto a quelli riscontrati nel settore di appartenenza, non è così abnorme” in sostanza non è giustificato quando non è rilevante il divario tra i ricavi dichiarati e quelli stimati dall’Ufficio finanziario per l’attività svolta Cass. n. 6389/14 .

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 9 – 31 gennaio 2017, n. 2468 Presidente Tirelli – Relatore Fuochi Tinarelli Ritenuto in fatto 1. L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell'Umbria indicata in epigrafe, che, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l'appello della società Ristoragip Flaminia Srl in liquidazione ed annullato l'avviso di accertamento ex art. 39, comma 1, lett. d , secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con il quale erano stati accertati per l'anno d'imposta 2004 maggiori ricavi per euro 200.697, oltre all'indebita deduzione di costi non di competenza e di costi non inerenti per complessivi euro 2.449,72, ritenendo non ricorressero i presupposti per procedere ad accertamento induttivo. In particolare, l'Ufficio esponeva di aver proceduto, sulla base di una rilevata redditività più bassa rispetto alla media di settore, ad accertamento induttivo nonostante la regolare tenuta della contabilità, rideterminando il reddito imponibile considerando i ricavi da bar e l'attività di ristorazione. Resiste con controricorso il contribuente. Ragioni della decisione 2. Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell'art. 54, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., sotto un duplice profilo da un lato la sentenza impugnata ha ritenuto che la regolare tenuta della contabilità precludesse la possibilità di procedere ad accertamento induttivo, mentre, per il chiaro dettato della norma e secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l'Ufficio può procedere ad accertamento induttivo dei redditi d'impresa ex art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 anche in caso di contabilità formalmente regolare ove l'attendibilità risulti inficiata da presunzioni contrarie, anche semplici, purché grave, precise e concordanti dall'altro, contrariamente a quanto affermato nella motivazione del giudice d'appello, è legittimo l'accertamento induttivo dei ricavi di un'impresa di ristorazione che si basi sul conteggio dei tovaglioli, dovendosi presumere un consumo unitario di un tovagliolo per ogni pasto e per ogni cliente. 3. Con il secondo motivo di ricorso, l'Agenzia ha denunciato insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per aver ritenuto la congruità degli studi di settore presentati dalla parte a correzione del primo studio di settore e per aver dato rilievo agli accessi della Guardia di Finanza, nei quali non erano mai emerse difformità nell'emissione degli scontrini fiscali. 4. Con il terzo motivo, infine, ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 35, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell'art. 277 c.p.c. in combinato disposto con l'art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per aver annullato l'avviso di accertamento anche con riguardo ai recuperi dei costi non inerenti e non competenti, neppure oggetto di contestazione e impugnazione da parte del contribuente. 5. Le prime due censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondate. 5.1. L'art. 39, comma 1, lett. d , del d.P.R. n. 600 del 1973, recita Per i redditi d'impresa delle persone fisiche l'ufficio procede alla rettifica d se l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'articolo 32. L'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti. . L'accertamento, come precisato dall'Agenzia ricorrente, si fonda sull'ultima parte della norma, ossia è un accertamento analitico induttivo basato su presunzioni, anche semplici purché gravi, precise e concordanti e, in quanto tale, non è condizionato dalla presenza di una contabilità formalmente regolare. È conseguentemente correlato, peraltro, che, in presenza di una contabilità regolare, è necessaria l'individuazione degli elementi rectius, delle presunzioni idonei a giustificare l'accertamento induttivo. Orbene, la decisione impugnata ha testualmente motivato affermando che non esistono i presupposti per poter procedere ad accertamento induttivo. Si è in presenza di contabilità regolarmente tenuta di studi di settore, che una volta rilevato l'errore, sono risultati congrui di accessi della G. di F. dai quali non è stata mai rilevata difformità nell'emissione di scontrini fiscali . La CTR, dunque, ha solo rilevato, in coerenza con il dato normativo, che l'accertamento non si poteva fondare su alcuna presunzione tale da superare il dato, di per sé solo preliminare, della regolarità formale delle scritture contabili, ossia che risultavano assenti elementi gravi, precisi e concordanti da far ritenere inattendibile la contabilità pur formalmente regolare ed idonei a legittimare l'Ufficio a dar corso all'accertamento induttivo. Non è poi irrilevante la circostanza, adeguatamente apprezzata dalla CTR, che in occasione degli accessi della Guardia di Finanza, sicuramente casuali, non sia mai emersa alcuna difformità nell'emissione degli scontrini fiscali, costituendo un elemento indiziario di segno opposto rispetto a quanto invocato dall'Agenzia delle entrate. 5.2. Quanto al secondo rilievo, relativo alla validità e rilevanza della determinazione induttiva dei maggiori ricavi attraverso il riscontro dei caffè e dei tovaglioli, la questione investe, in realtà, un posterius logico e fattuale a quello sopra esaminato poiché attiene alla fase in cui, già comprovata dall'Ufficio finanziario la possibilità di procedere ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d , è legittima la determinazione, in via induttiva e con metodologie indirette, dei maggiori ricavi. Per contro, in mancanza, come nella specie, dei presupposti per dar corso all'accertamento induttivo, resta inevitabilmente travolta la successiva attività ugualmente posta in essere. Tale conclusione, del resto, è coerente con la costante giurisprudenza della Corte e, in ispecie, proprio con le decisioni richiamate dalle parti. Nella fattispecie considerata da Cass. 20060 del 2014, Rv. 632350, difatti, la Corte valutò la correttezza dell'accertamento presuntivo sulla base del consumo unitario dei tovaglioli con riferimento ad una attività di ristorazione , ma solo dopo aver evinto, sulla base dei rilievi di carattere formale mossi ai contribuenti, la complessiva inattendibilità della contabilità aziendale, seppure regolarmente tenuta sul piano formale , sicché legittimo diveniva il metodo di ricostruzione del reddito societario utilizzato dall'Ufficio in termini analoghi v. Cass. n. 20857 del 2007, Rv. 601158 Cass. n. 13068 del 2011, Rv. 618421 . 6. Infondato è pure il terzo motivo la CTR, difatti, si è limitata a dichiarare che l'accertamento induttivo appare illegittimo e come tale va annullato , senza considerare il recupero dei costi non inerenti e non competenti, in linea, del resto, con la richiesta dell'appellante, come indicata nella sentenza impugnata, diretto ad ottenere che sia dichiarato illegittimo l'accertamento induttivo . 7. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato in quanto amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato non si applica l'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del