Indeducibili i compensi esagerati del manager

I compensi degli amministratori di società non sono deducibili se troppo alti rispetto al bilancio dell'azienda nel caso specifico 450mila euro contro 600mila di fatturato. Anche se sono stati regolarmente deliberati il fisco può infatti valutare congruità e inerenza.

Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24379 del 30 novembre 2016. In tema di determinazione del reddito di impresa, rientra nei poteri dell'amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d'impresa pertanto, la deducibilità dei compensi degli amministratori di società, stabilita dall'art. 62 ora 95, comma 5 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, non implica che l'amministrazione finanziaria sia vincolata alla misura indicata nelle deliberazioni della società, competendo all'ufficio la verifica della attendibilità economica di tali dati. Inoltre, ai fini della generale deducibilità dei costi non è sufficiente che il contribuente fornisca la prova della effettività dei componenti negativi ossia che essi non sono inesistenti dovendo anche fornire la prova della loro inerenza, anche in senso quantitativo, alla produzione di ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito art. 109, comma 5, d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 anche sotto tale profilo il fisco è legittimato a negare la deducibilità parziale di un costo ritenuto sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa e rispetto al quale la società non fornisca plausibili ragioni a giustificazione dell'ammontare del medesimo. La vicenda. Il fisco ha contestato ad una società ai fini IRES, IRAP ed IVA la non inerenza di compensi che la società aveva corrisposto agli amministratori. Il giudice tributario di prima istanza ha accolto il ricorso introduttivo della società. Anche il giudice del gravame ha ritenuto la deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori in virtù dell’art. 95, comma 5, d.P.R. n. 917/1986 in particolare, esso ha sostenuto che i compensi agli amministratori avevano contemporaneamente costituito un costo deducibile per la società ed un corrispettivo imponibile in capo agli amministratori, senza produrre alcun danno all’erario. Il giudice del gravame ha affermato, in sostanza, la deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori di una società per il solo fatto che essi erano stati deliberati e senza possibilità per il fisco di sindacarne la congruità ed inerenza. Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno accolto il ricorso del fisco rafforzando quella parte della giurisprudenza secondo la quale il fisco può entrare nel merito delle scelte dell'imprenditore, fermo restando che il mancato riferimento nel vigente art. 95, comma 3, TUIR n. 917/86 non costituisce valida ragione per derogare alle regole generali in materia di indeducibilità di costi sproporzionati, in quanto tali mancanti del necessario requisito della inerenza in senso quantitativo. Riflessioni. Secondo la risoluzione n. 113/E del 2012, l'Amministrazione finanziaria può disconoscere totalmente o parzialmente la deducibilità dei compensi attribuiti agli amministratori qualora gli stessi appaiano insoliti, sproporzionati e risultino strumentali all'ottenimento di indebiti vantaggi . Il fisco può sindacare la congruità dei compensi corrisposti agli amministratori delle società, con l'onere della prova contraria a carico del contribuente, ed eventualmente contestare l'abuso del diritto. Sono contestabili i soli casi in cui il carico impositivo gravante sull'amministratore risulti apprezzabilmente inferiore alle imposte risparmiate” dalla società attraverso la deduzione dei compensi. La sindacabilità della congruità dei compensi in esame può fondarsi anche sul principio della contestabilità degli atti che costituiscono abuso del diritto. Il fisco può sindacare la congruità dei componenti reddituali senza essere vincolati ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali o nei contratti, e con l'onere della prova contraria che incombe sul contribuente Cass. n. 3243/13 . L'orientamento minoritario della giurisprudenza muove dall'assunto che l'art. 62 ora 95 d.P.R. n. 917/1986, non contiene alcun riferimento a limiti massimi di spesa per i compensi, superati i quali sia esclusa la deducibilità. In particolare , in tema di imposte su redditi, i costi rappresentati dai compensi corrisposti agli amministratori-soci di società, sono deducibili e insindacabili sulla congruità da parte dell’Agenzia delle Entrate, non prevedendo la nuova formulazione dell’art. 62 d.P.R. n. 917/1986 il richiamo di un parametro da utilizzare nella valutazione dell’entità di tali compensi. Infatti la previgente disciplina delle imposte sui redditi in tema di compensi agli amministratori di società art. 59, comma 3, d.P.R. n. 597/1973 faceva a differenza di quella dell’attuale del TUIR, riferimento agli amministratori-soci e stabiliva che i compensi corrisposti sono deducibili nei limiti delle misure correnti per gli amministratori non soci, dizione che venne considerata come tendente ad evitare possibili manovre elusive attraverso la maggiorazione dei compensi agli amministratori-soci. L’art. 62 Spese, per prestazioni di lavoro del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 stabilisce, invece, al comma 3 che i compensi spettanti agli amministratori delle società in nome collettivo e in accomandita semplice sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti quelli erogati sotto forma di partecipazione agli utili sono deducibili anche se non imputati al conto dei profitti e delle perdite la norma, in forza del rinvio operato dall’art. 95, comma 2, si applica anche alle società di capitali ed agli enti commerciali. L’eliminazione del riferimento a tale limite nel nuovo TUIR, ha senza dubbio natura innovativa poiché ha tolto all’Amministrazione il potere di ricondurre ai prezzi di mercato previsti per gli amministratori non soci prezzi facilmente individuabili nel concreto i compensi sproporzionati. La nuova disciplina ha, quindi, totalmente liberalizzato il concetto di spettanza ai fini della deducibilità, atteso che l’art. 37- bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede ipotesi tassative – fra le quali non si può comprendere quella in esame – al fine di riconoscere il potere di valutare i compensi agli amministratori Cass. n. 24957/2010 . Da ultimo, il giudice di legittimità ha precisato che - ai fini della legittima corresponsione di compensi agli amministratori nelle società di capitali, è sempre necessaria la specifica delibera assembleare, non essendo affatto sufficiente la delibera che approva il bilancio d’esercizio Cass. n. 11781/16 - i costi sostenuti dalla società per il compenso degli amministratori sono deducibili dal reddito d’impresa solo laddove previsti dallo statuto ovvero determinati da specifica delibera assembleare Cass. n. 21953/15 - riguardo alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di una società di capitali, qualora essa non sia stabilita nello statuto della società, è necessaria una esplicita delibera assembleare che non può considerarsi implicita nella delibera di approvazione del bilancio. Tale principio, è desumibile dalla natura imperativa ed inderogabile della disciplina normativa in materia dalla distinta previsione nel codice civile della delibera di approvazione del bilancio e della delibera di determinazione dei compensi degli amministratori dalla mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, in caso di approvazione del bilancio dal contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società. L’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare quella specifica delibera richiesta dalla normativa per la determinazione della misura dei compensi degli amministratori, a meno che un’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio non abbia espressamente discusso ed approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori Cass. n. 11779/16 Cass. n. 24768/15 .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 28 settembre – 30 novembre 2016, n. 24379 Presidente Cappabianca – Relatore Locatelli Ritenuto in fatto A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l'Agenzia delle Entrate di Perugia notificava alla società Pro Advertising s.r.l., esercente l'attività di commercializzazione di prodotti pubblicitari, un avviso di accertamento di maggior reddito imponibile ai fini Ires, Irap ed Iva relativamente all'anno di imposta 2004. In particolare l'Ufficio contestava la non inerenza di una quota di costi, pari ad Euro 450.000, relativi a compensi che la società aveva corrisposto agli amministratori, nell'anno 2004, per l'importo complessivo di Euro 600.000, importo ritenuto sproporzionato rispetto all'ammontare del volume degli affari e dei ricavi dichiarati nel 2004, di gran lunga inferiori a quelli dell'anno 2003 in cui i compensi corrisposti agli amministratori erano stati determinati dalla società nel minore importo di Euro 150.000. La società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Perugia che lo accoglieva con sentenza n. 17 del 2007. L'Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale di Perugia che lo rigettava con sentenza del 20.5.2010. In particolare il giudice di appello riteneva la deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori in quanto consentita a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 95, comma 5 osservava che i compensi agli amministratori avevano contemporaneamente costituito un costo deducibile per la società ed un corrispettivo imponibile in capo agli amministratori, senza produrre alcun danno alle casse dell'erario. Contro la sentenza della Commissione tributaria regionale l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione deducendo, con unico motivo, violazione dell'art. 53 Cost., D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d , artt. 41 bis e 64 e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 72, 75, 95 e 109, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che all'Amministrazione finanziaria non sia consentita alcuna valutazione in ordine alla congruità dei compensi corrisposti agli amministratori, nonchè nella parte in cui ha attribuito rilievo alle maggiori imposte versate dagli amministratori in ragione dei più elevati compensi percepiti. La società Pro Advertising s.r.l. resiste con controricorso, chiedendo di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso. Deposita memoria con cui ribadisce l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso, ammissibile quanto ad osservanza del principio di autosufficienza ed al tipo di censura svolta, è fondato nei termini di seguito indicati. Questo Collegio intende dare continuità alla prevalente giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di determinazione del reddito di impresa, rientra nei poteri dell'amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d'impresa pertanto la deducibilità dei compensi degli amministratori di società, stabilita del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 62 ora art. 95, comma 5 , non implica che l'Amministrazione finanziaria sia vincolata alla misura indicata nelle deliberazioni della società, competendo all'Ufficio la verifica della attendibilità economica di tali dati. Inoltre, ai fini della generale deducibilità dei costi non è sufficiente che il contribuente fornisca la prova della effettività dei componenti negativi ossia che essi non sono inesistenti dovendo anche fornire la prova della loro inerenza, anche in senso quantitativo, alla produzione di ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 5 anche sotto tale profilo l'Amministrazione finanziaria è legittimata a negare la deducibilità parziale di un costo ritenuto sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa e rispetto al quale la società non fornisca plausibili ragioni a giustificazione dell'ammontare del medesimo in tal senso Sez. 6-5, Ordinanza n. 9036 del 15/04/2013, Rv. 626305 Sez. 6-5, Ordinanza n. 3243 del 11/02/2013, Rv. 625078 Sez. 5, Sentenza n. 9497 del 11/04/2008, Rv. 602909 . Il difforme orientamento minoritario muove dall'assunto che del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 62 ora art. 95 - a differenza del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, previgente art. 59, comma 3, per il quale i compensi ai soci amministratori erano deducibili nei limiti delle misure correnti per gli amministratori non soci -, non contiene alcun riferimento a limiti massimi di spesa per i compensi, superati i quali sia esclusa la deducibilità da tale premessa viene tratta la conclusione che all'Amministrazione finanziaria non è riconosciuto un potere di valutazione di congruità, salva la possibilità per l'Erario, in presenza di compensi che appaiano insoliti o sproporzionati, di fare ricorso alla disciplina della simulazione e dei negozi in frode alla legge. Sez. 5, Sentenza n. 24957 del 10/12/2010, Rv. 615768 . In senso contrario si osserva che il mancato riferimento, nel vigente D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 95, comma 3, a tabelle o indicazioni vincolanti che pongano limiti massimi di spesa per i compensi agli amministratori di società od enti di cui all'art. 73, non costituisce valida ragione per derogare alle regole generali in materia di indeducibilità di costi sproporzionati, in quanto tali mancanti del necessario requisito della inerenza in senso quantitativo. Pertanto deve essere accolta la censura di erronea interpretazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 95 e 109, con riguardo alla pronuncia del giudice di merito che ha affermato la deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori di una società a responsabilità limitata per il solo fatto che essi siano stati deliberati, e senza possibilità per l'Amministrazione finanziaria di sindacarne la congruità ed inerenza. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell'Umbria in diversa composizione, perchè proceda a nuovo giudizio attenendosi al principio di diritto indicato. Con regolazione del giudizio di legittimità all'esito del nuovo esame. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale dell'Umbria in diversa composizione.