Anche l’etera paga le imposte sui redditi (e l’IVA, se l’attività di prostituzione è abituale)

I proventi derivanti dall’attività di meretricio sono soggetti a imposizione fiscale quali redditi diversi ex art. art. 67, comma 1, lett. l , TUIR se l’attività è esercitata non abitualmente” ovvero, se caratterizzata da abitualità, come redditi di lavoro autonomo con parallela imponibilità anche ai fini dell’IVA.

Nella sentenza n. 22413/16 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione affronta due problematiche di grande interesse pratico la prima e giornalistico la seconda . In primo luogo il Giudice di legittimità riconosce al contribuente la facoltà di avvalersi dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale e attribuisce ad esse valore meramente indiziario. In secondo luogo la Suprema Corte afferma la imponibilità dei proventi derivanti dall’attività di meretricio come redditi diversi ex art. art. 67, comma 1, lett. l , TUIR, se esercitata non abitualmente”, ovvero, se caratterizzata da abitualità, come redditi di lavoro autonomo con parallela imponibilità anche ai fini dell’IVA. Il contribuente sostiene spese ingenti ma non giustificate dai suoi redditi? È evasione. La vicenda è paradigmatica. L’Amministrazione finanziaria emette alcuni avvisi di accertamento per periodi di imposta dal 1996 al 2003 fondati sull’art. 41, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 per le annualità in relazione alle quali non risulta presentata la dichiarazione dei redditi, sull’art. 38, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 per le altre. Gli indici di spesa su cui si basa la rettifica con metodo sintetico sono la titolarità di numerose autovetture anche di lusso e la compravendita di un appartamento. Viene poi presa in considerazioni la titolarità di vari contratti di locazione immobiliare, di dieci conti correnti e di gestioni patrimoniali. La destinataria degli atti impositivi li impugna sostenendo la irrilevanza fiscale dei maggiori proventi accertati, giacché derivanti da attività di meretricio. La tesi difensiva della contribuente non viene accolta dai Giudici di merito, i quali qualificano i maggiori redditi accertati come redditi diversi ex art. art. 67, comma 1, lett. l , TUIR. Tale esegesi viene confermata dalla Corte di Cassazione. Il contribuente può avvalersi di dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale. In materia di utilizzabilità delle prove dichiarative nel processo tributario, la Suprema Corte sostiene che il contribuente può avvalersi di dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale e che tali dichiarazioni concorrono a formare il convincimento del giudice come meri elementi indiziari unitamente con altri. Secondo la giurisprudenza di legittimità Cass., sez. trib., n. 11785/10 Cass., sez. trib., n. 8369/13 , fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall'art. 7, d.lgs. n. 546/1992, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione cfr. Corte Cost. n. 18/2000 – va riconosciuto non solo all'Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente – con il medesimo valore probatorio –, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell'art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l'effettività del diritto di difesa. Nel caso di specie, la contribuente tenta di giustificare parte delle movimentazioni bancarie producendo una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di un terzo. La Corte di Cassazione cassa con rinvio la sentenza per carente motivazione, giacché essa omette qualunque vaglio di attendibilità della dichiarazione e l’indicazione degli ulteriori elementi idonei a conferire ad essa valenza di prova. La prostituta paga le imposte sui redditi e l’IVA, se esercita la sua attività con abitualità . I mezzi di comunicazione di massa hanno dato ampio spazio alla pronuncia in commento perché in essa si afferma la rilevanza fiscale dei proventi derivanti da attività di meretricio. In realtà la Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile un motivo del ricorso incidentale della contribuente, si limita a tratteggiare solo un breve obiter dictum . Secondo il Collegio l’esercizio dell’attività di prostituzione genera comunque un reddito imponibile ai fini IRPEF, trattandosi [nel caso di specie – N.d.A.] di proventi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi ex art. art. 67, comma 1, lett. l , TUIR. Qualora l’attività sia caratterizzata anche da abitualità, essa sarà rilevante anche ai fini dell’IVA ex art. 5, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, sentenza 16 giugno – 4 novembre 2016, numero 22413 Presidente Cappabianca – Relatore Locatelli Ritenuto in fatto L'Agenzia delle Entrate eseguiva una verifica nei confronti di B.M., che, pur non avendo mai presentato dichiarazione dei redditi tranne che per l'annualità 2003 , risultava intestataria di numerose autovetture anche di lusso, acquirente di un appartamento, titolare di vari contratti di locazione immobiliare inoltre dagli accertamenti bancari eseguiti risultava intestataria di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali. Sulla base dei versamenti rilevati dalle indagini bancarie, l'Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento per gli anni di imposta dal 1996 al 2003 con i quali recuperava a tassazione, ai fini Irpef, redditi diversi per importi annuali varianti da euro 39.850 ad euro 97.997, oltre al reddito da fabbricati, l'unico denunciato dalla contribuente. Contro gli avvisi di accertamento B.M. proponeva ricorso, sostenendo la non tassabilità dei redditi accertati in quanto provento dell'attività di prostituzione da lei esercitata. La Commissione tributaria provinciale di Firenze con sentenza numero 146 del 2006 accoglieva parzialmente il ricorso riconosceva rilevanza reddituale ai proventi dell'attività di meretricio, ma riteneva che essi fossero soltanto quelli risultanti dai versamenti sui conti correnti effettuati in contanti, escludendo quelli effettuati mediante versamento di assegni. B.M. proponeva appello e l'Agenzia delle Entrate si costituiva proponendo appello incidentale. Con sentenza numero 3 del 22.1.2009 la Commissione tributaria regionale di Firenze rigettava l'appello principale della contribuente, confermando che il reddito da meretricio non costituisce reddito esente o non imponibile e neppure provento da attività illecita, ma rientra tra i redditi diversi, tassabili a norma degli articolo 6 e 67 lett.l d.P.R. 22 dicembre 1986 numero 917, derivanti da lavoro autonomo non esercitato abitualmente ovvero dalla assunzione di obblighi di fare o permettere accoglieva parzialmente l'appello incidentale dell'Ufficio, qualificando come reddito tassabile, provento dell'attività di prostituzione, anche una parte dei versamenti in assegni tra i quali quelli emessi da tale S.S. riteneva giustificati , poiché non connessi con l'attività di prostituzione, i restanti versamenti in assegni, con particolare riguardo agli assegni emessi dalla società F.Ili R., valorizzando la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dall'amministratore unico della società, il quale riferiva di avere consegnato gli assegni ricevuti in pagamento dai clienti a B.M. perché li depositasse sul proprio conto correnti, restituendogli l'equivalente in contanti riteneva valide le giustificazioni fornite da B. con riferimento agli assegni emessi con traenza B., Comune di Firenze e Sai assicurazioni. Avverso la sentenza di appello l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per i seguenti motivi 1 violazione e falsa applicazione degli articolo 32 e 41 d.P.R. 29 settembre 1973 numero 600 e 2697 cod. civ. in relazione all'art. 360 comma 1 numero 3 cod. proc. civ., con riguardo ai versamenti di assegni ritenuti giustificati ed in particolare degli assegni emessi dalla ditta f.Ili R. e degli assegni con traenza B., Comune di Firenze e Sai Assicurazione 2 violazione dell'art. 7 comma 4 decreto legislativo 31 dicembre 1992 numero 546 in relazione all'art. 360 numero 4 cod.proc.civ. nella parte in cui ha ammesso la prova costituita dalla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà rilasciata dall'amministratore unico della F.lli R., in violazione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario, ed ha conferito a tale atto valenza di prova piena anziché di prova indiziaria 3 vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione nella parte in cui ha ritenuto giustificati i versamenti di assegni provenienti dalla ditta F.Ili R., nonostante dagli accertamenti riportati nel processo verbale di constatazione non risultasse alcuna restituzione delle somme ricevute. La contribuente resiste con controricorso. Contro la medesima sentenza anche B.M. propone ricorso per i seguenti motivi 1 violazione e falsa applicazione di una norma di legge ai sensi dell'art. 360 comma primo numero 3 cod. proc. civ. 2 omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360 comma primo numero 5 cod. proc. civ. con riguardo alla indicazione della norma per la quale si è proceduto all'accertamento e conseguentemente al metodo applicato 3 omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360 primo comma numero 5 cod.proc.civ., nella parte in cui ha ricompreso i proventi della prostituzione una volta nell'attività di impresa, una volta nell'attività di lavoro autonomo ha ritenuto occasionale l'attività di prostituzione svolta dalla contribuente e poi ha definito la stessa quale prostituta di lusso con clienti abituali 4 violazione e falsa applicazione dell'art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973 numero 600, in relazione all'art. 360 primo comma numero 3 cod.proc.civ. Considerato in diritto A norma dell'art. 335 cod. proc. civ., si procede preliminarmente alla riunione dei ricorsi contro la medesima sentenza, separatamente proposti dall'Agenzia delle Entrate e dalla contribuente. A Il ricorso della Agenzia delle Entrate numero 5894/2010 , da qualificarsi ricorso principale in quanto notificato per primo, deve essere accolto nei termini di seguito indicati. 1. Il primo motivo è inammissibile per inidoneità del quesito. La ricorrente deduce il vizio di violazione di legge previsto dall'art. 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ., con riferimento agli articoli di legge indicati nella enunciazione del motivo, mentre nel quesito di diritto formula censure attinenti al diverso vizio di carenza di motivazione con riguardo alla genericità ed aspecificità delle giustificazioni fornite dalla contribuente. Deve pertanto applicarsi la regola secondo cui costituisce causa di inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., l’erronea sussunzione del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità nell'una o nell'altra delle fattispecie previste dall'art. 360 cod. proc. civ. Sez. 3, Sentenza numero 21099 del 16/09/2013, Rv. 628624 Sez. 3, Sentenza numero 21165 del 17/09/2013, Rv. 628690 . 2. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente, sono fondati. In materia di utilizzabilità delle prove dichiarative nel processo tributario, questa Corte ha stabilito che, fermo restando il divieto di assunzione della prova testimoniale sancito dall'art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 numero 546, anche al contribuente deve essere riconosciuta la facoltà di avvalersi di dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale tuttavia esse non possono costituire prova piena dei fatti affermati, ma hanno il valore probatorio più limitato proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione , secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza numero 18 del 2000. Sez. 5, Sentenza numero 11785 del 14/05/2010, Rv. 612990 Sez. 5, Sentenza numero 8369 del 05/04/2013, Rv. 626308 . La sentenza impugnata si è discostata da tale regola di valutazione probatoria, omettendo di indicare quali siano gli ulteriori elementi idonei a conferire valenza di prova alle dichiarazioni extraprocessuali rese dall'amministratore della srl F.Ili R. circa la causale dei versamenti effettuati sui conti della contribuente B., estranea alla società. Sussiste il vizio di carenza di motivazione nella parte in cui il giudice di appello recepisce acriticamente le dichiarazioni in oggetto, omettendo qualunque vaglio di attendibilità delle affermazioni dell'amministratore della società laddove riconduce la cospicua movimentazione di denaro effettuata su conto intestato a soggetto estraneo alla società B.M. a meri rapporti di gentilezza e disponibilità , e ad una non meglio precisata impossibilità di negoziare presso il sistema bancario gli assegni ricevuti dalla clientela il giudice di appello omette di rispondere alle controdeduzioni svolte dall'Ufficio nell'appello incidentale in ordine alla assenza, nelle movimentazioni bancarie esaminate, di ogni traccia contabile della asserita retrocessione delle somme in contanti da parte di B. in favore della società F.Ili R In accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso della Agenzia delle Entrate, la sentenza deve essere cassata, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. B II ricorso incidentale della contribuente è infondato. 1. Il primo motivo è inammissibile, a norma dell'art. 366 bis cod.proc.civ., per inidoneità del quesito. La ricorrente deduce il vizio di violazione di legge senza specificare, nella enunciazione del motivo o nella formulazione del quesito, quale sia la norma o le norme di legge che assume violate dalla sentenza impugnata. Il quesito contiene una interrogazione astratta circa la natura reddituale o meno dei proventi dell'attività di prostituzione, che prescinde da qualunque collegamento con le concrete argomentazioni svolte sul punto nella sentenza impugnata. Il quesito è ulteriormente inammissibile perché irrilevante, nella parte in cui pone l'interrogativo circa la qualificazione dei proventi dell'attività di prostituzione quale reddito di impresa , atteso che la sentenza impugnata, nella fattispecie concretamente esaminata, ha ricondotto i proventi della prostituzione esercitata dalla contribuente alla categoria dei redditi diversi , assimilabili al reddito da lavoro autonomo sulla inammissibilità di quesiti di diritto di carattere generale ed astratto, Sez. U, Sentenza numero 26020 del 30/10/2008, Rv. 605378 . 2. Il secondo motivo è infondato. Il giudice di appello ha correttamente rilevato che l'Ufficio ha proceduto all'accertamento d'ufficio ai sensi dell'art. 41 d.P.R. 29 settembre 1973 numero 600 con riferimento alle annualità per le quali non è stata presentata denuncia dei redditi con riferimento all'annualità per la quale è stata presentata dichiarazione, ha proceduto a norma dell'art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973 numero 600 riguardante la rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, che espressamente richiama le metodologie previste dall'art. 39 stesso d.P.R., tra le quali l'utilizzo dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'art. 32 nella specie accertamenti bancari . 3. Il terzo motivo è inammissibile poiché non attiene ad un punto decisivo della controversia. Il giudice di appello non ha qualificato i proventi dell'esercizio dell'attività di prostituzione quale redditi di impresa , ma li ha qualificati ai sensi degli articolo 6 e 67 lett.l del d.P.R. 29 settembre 1973 numero 602 quali redditi diversi derivanti dall'attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare . La pretesa contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui afferma che la contribuente svolgeva attività di prostituzione in forma occasionale pur avendo clienti abituali, è comunque circostanza irrilevante l'esercizio della attività di prostituzione, occasionale o abituale che sia, genera comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, trattandosi in ogni caso di proventi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi prevista dall'art. 6 comma 1 lett.f d.P.R. 22 dicembre 1986 numero 917 il requisito della abitualità è rilevante ai diversi fini dell'assoggettamento dei proventi dell'attività di prostituzione anche alle imposta indirette Iva a norma dell'art. 5 d.P.R. 26 ottobre 1972 numero 633, secondo cui costituisce esercizio di arti o professioni , soggette all'Iva, l'esercizio per professione abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo in tal senso Sez. 5, Sentenza numero 10578 del 13/05/2011, Rv. 618085 . 4. Il quarto motivo è inammissibile per inidoneità del quesito formulato a norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ. nella prima parte non viene censurata la sentenza ma si pone un interrogativo sulle corrette modalità di motivazione degli atti impositivi la seconda parte contiene un quesito circa la qualificazione dei proventi derivanti dall'attività di prostituzione svolta con abitualità, non pertinente al caso in esame posto che il giudice di merito ha ritenuto che la contribuente svolgesse attività di prostituzione in forma non abituale. P.Q.M. Riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale della Agenzia delle Entrate ed accoglie il secondo ed il terzo cassa sul punto la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione. Rigetta il ricorso incidentale della contribuente.