Legittimo l’accertamento sul socio per i dividendi derivanti dalla distribuzione dei proventi dell’evasione

E’ legittimo l’accertamento sul socio per i dividendi derivanti dalla distribuzione dei proventi dell’evasione. La ristretta base partecipativa delle società di capitali, infatti, è elemento sufficiente per fondare la pretesa, lasciando la prova contraria al contribuente.

Tale assunto è stato specificato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 10793 del 25 maggio 2016 Vicenda. Il fisco ha rettificato il reddito di una società di capitali e, in conseguenza di ciò, ha notificato al socio un avviso di accertamento per il recupero a tassazione dei maggiori utili extrabilancio considerati dividendi distribuiti. Esso ha presunto che i maggiori ricavi della società erano confluiti al socio al pari di un’ordinaria distribuzione di dividendi. Il provvedimento è stato impugnato dinanzi al giudice tributario lamentando, tra i diversi motivi, che la pretesa era fondata esclusivamente su una duplice presunzione la prima che la società aveva percepito utili non dichiarati e la seconda, che tali somme erano state distribuite ai soci. La Ctp ha respinto il ricorso. Il giudice del gravame, in accoglimento dell’appello del contribuente, ha riformato la sentenza impugnata .Il fisco ha proposto ricorso per cassazione. Pronuncia. Gli Emellini, in accoglimento del ricorso in Cassazione, ha ribadito che secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova che tali maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione. Ciò avviene, ad esempio, se sono stati accantonati ovvero reinvestiti, mentre non è sufficiente ai fini probatori, l’eventuale mera indicazione che l’esercizio sociale è stato chiuso in perdita. Ne consegue che l’amministrazione finanziaria non è tenuta ad alcuna ulteriore prova, rimanendo in capo al contribuente la facoltà di dimostrare il contrario. Tuttavia, gli Ermellini hanno precisato che per la legittimità di tale presunzione occorre che risulti effettivamente accertata, in maniera definitiva” l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati in capo alla società. Nell’ipotesi, quindi, che quest’ultima abbia impugnato il provvedimento e lo stesso sia pendente in un separato giudizio, occorre che il procedimento del socio sia sospeso in attesa che il primo sia deciso. Conclusione. In tema di imposte sui redditi e con riguardo ai redditi di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinché, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare - cioè il fatto noto alla base della presunzione - abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l'accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi Cass. 12-04-2016 n. 7150 . Affinché operi la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali, occorre che la ristretta base sociale e/o familiare - ossia il fatto noto alla base della presunzione - abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio. Inoltre, deve sussistere un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l'accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi. In sostanza, la presenza di un ridotto numero di soci oppure di soci legati da vincoli di parentela - che comporta l’esistenza di rapporti particolarmente stretti tra gli stessi, oltreché una maggiore conoscenza degli affari della società - fa scattare la presunzione per cui, in caso di accertamento di utili extracontabili, questi sono imputabili ai soci presumendosi che, data la natura quasi familiare della società, non potendo il socio ignorare la realizzazione di utili extracontabili da parte della società, lo stesso abbia partecipato alla loro distribuzione il tutto può essere confutato con valida prova contraria del socio contribuente, in ordine al fatto che i maggiori ricavi accertati a carico della società non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti Cass. 26-11-2014 n. 25115 In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla compagine sociale, ovvero da essa reinvestiti. I principi ricordati, ancorché spesso enunciati nell’ambito di controversie in cui i pochi soci della società di capitale erano anche legati tra loro da rapporti di parentela o di coniugio, non postulano necessariamente l’esistenza di tali rapporti, in quanto discende dalla regola di comune esperienza secondo cui dalla ristrettezza della base sociale discende - secondo l’ id quod plerumque accidit e salva la possibilità del contribuente di offrire la prova contraria - un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi il che legittima, anche quando i soci non siano legati da rapporti familiari, la presunzione che gli stessi siano edotti degli affari sociali e quindi siano consapevoli dell’esistenza di utili extrabilancio e se li distribuiscano in proporzione delle rispettive quote di partecipazione al capitale Cass. 05-02-2015 n. 2090 . Nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti , sia pure quell'altro per il quale, sempre in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria e tale presunzione - fondata sul disposto del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d - induce inversione dell'onere della prova a carico del contribuente Cass. 21-02-2012 n. 2541 . Nella presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili di una società a ristretta base sociale - il fatto noto che sorregge la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili non è costituito dalla sussistenza di questi ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. La sussistenza di utili extracontabili, in sostanza, costituisce il presupposto non della presunzione di distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell'accertamento della concreta percezione di una determinata somma, da ciascun socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali. Pertanto, la circostanza che l'accertamento degli utili extracontabili di una società a ristretta base azionaria sia contenuto in un atto impositivo non definitivo o in una sentenza non passata in giudicato incide non sulla operatività della presunzione di distribuzione di tali utili fra i soci, bensì sulla individuazione dell'oggetto di tale distribuzione cosicché, in sostanza, la causa relativa all’accertamento dei redditi non dichiarati della società viene a trovarsi in rapporto di pregiudizialità con le cause relative all'accertamento di maggiori redditi da partecipazione dei singoli soci o al recupero dell' omesso versamento delle ritenute alla fonte sui dividendi derivanti ai soci dalla distribuzione dei suddetti utili extracontabili Cass. 24-03-2015 n. 5925 .

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 30 marzo – 25 maggio 2016, n. 10793 Presidente Greco – Relatore Iannello Svolgimento del processo 1. Con sentenza depositata in data 7/7/2009, la C.T.R. Toscana, in accoglimento dell’appello proposto dal contribuente e in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità degli avvisi di accertamento notificati a P.G. per il recupero a tassazione, ai fini Irpef e Contr. S.S.N., per gli anni d’imposta 1997, 1998 e 1999, del maggior reddito determinato a seguito di rettifica di quello dichiarato dalla società SCIC S.r.l. dallo stesso partecipata per la quota del 90%. A fondamento della decisione era posto il triplice rilievo che a l’ufficio non aveva fornito la prova dell’avvenuta percezione degli utili da parte del contribuente, non potendosi ritenere valido un accertamento operato attraverso una presunzione di secondo grado, la prima riguardante i maggiori utili a carico della società, la seconda relativa alla distribuzione degli utili ai soci, senza essere affiancata da altri elementi in grado di radicarne la gravità, precisione e concordanza b la pretesa dell’ufficio violava il divieto di doppia imposizione di cui agli artt. 67 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 127 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 c l’accertamento effettuato nei confronti della società era, comunque, infondato in quanto basato su erronea percentuale di assegnazione dei capi di bestiame tra il soccidante e il soccidario. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, sulla base di tre motivi, corredati da quesiti di diritto resiste il contribuente, depositando controricorso. Motivi della decisione 3. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto che la ristretta base sociale della S.r.l. partecipata non costituisse elemento di per sé solo sufficiente a fondare la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio ai soci, salva la prova contraria il cui onere è però posto a carico del contribuente. 4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 67 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché degli artt. 14 e 127 T.U.I.R., in relazione all’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto che l’accertamento operato dall’ufficio nei confronti del contribuente incorresse nella violazione del divieto di doppia imposizione, conseguente - secondo la censurata tesi accolta dalla sentenza impugnata - alla sottoposizione della società a tassazione ai fini Irpeg, senza riconoscimento alla stessa di credito d’imposta, e alla successiva tassazione della quota di utili spettanti ai soci. 5. Con il terzo motivo la ricorrente infine lamenta insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ Lamenta la ricorrente che la C.T.R., entrando nel merito dell’accertamento condotto nei confronti della S.r.l. partecipata, ne ha escluso la fondatezza senza considerare l’opposto esito dei connessi giudizi sul medesimo tema svoltisi nei confronti della società. 6. È fondato il primo motivo di ricorso. Secondo principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, dal quale non si ravvisa ragione per discostarsi, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nemmeno la eventuale mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili v. e pluribus Sez. 6 - 5, Ord. n. 17928 del 18/10/2012, Rv. 623933 Sez. 5, n. 18640 dell’08/07/2008, Rv. 605332 Cass. n. 16885/03, n. 10951/02, n. 7174/02 cfr. anche Cass. n. 6197 del 16/03/2007, n. 20851 del 26/10 n. 16885 del 2003 . Nel caso di specie la C.T.R., ritenendo insufficiente detta presunzione e postulando la necessità di ulteriori convergenti elementi di prova a carico dell’amministrazione, non si è evidentemente conformata a tale principio, il quale al contrario è chiaro nel senso che a fondare l’accertamento può essere anche da sola sufficiente la detta presunzione, salvo prova contraria a carico del contribuente. 7. È altresì fondato il secondo motivo. Secondo pacifico indirizzo, cui questa Corte intende dare continuità, non ravvisando ragione alcuna per discostarsene, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dall’art. 67 del d. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto. Tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell’IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni Cass., Sez. 5, n. 19687 del 27/09/2011, Rv. 618991, che ha escluso sussista doppia imposizione in un analogo caso di utili extrabilancio corrisposti ai soci da una società di capitali, le cui imposte non erano state pagate dalla società medesima v. anche Sez. 5, n. 1168 del 21/01/2008, Rv. 601546 Sez. 5, n. 8351 del 12/06/2002, Rv. 554994 . 8. È infine fondato il terzo motivo. Il principio sopra richiamato circa la legittimità della presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertali, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, muove alla ovvia premessa che risulti effettivamente accertata, in maniera definitiva, l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati e, conseguentemente, di utili extrabilancio in favore della società v. Cass., Sez. 5, n. 9519 del 22/04/2009, Rv. 607815 Sez. 5, n. 6780 del 05/05/2003, Rv. 562620 . Non può pertanto dubitarsi che, ove l’accertamento a carico della società sia stato impugnato in separato giudizio, benché non ricorra, come per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, l’accertamento nei confronti della società costituisca pur sempre un indispensabile antecedente logico-giuridico rispetto a quello nei confronti del socio, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano v. ex multis Sez. 6 - 5, Ord. n. 23323 del 31/10/2014, Rv. 633099 Sez. 5, n. 2214 del 31/01/2011, Rv. 616479 , tanto che - si afferma - ove il giudizio relativo all’accertamento nei confronti della società risulti ancora pendente quello relativo al socio deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., applicabile nel giudizio tributario in forza del generale richiamo dell’art. 1 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ricorrendo tra i due processi, per le ragioni dette, un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico v. Sez. 6 - 5, Ord. n. 1865 del 08/02/2012, Rv. 621385, che ha cassato la decisione della commissione tributaria regionale che, pur riconoscendo effetti decisivi alla sentenza non definitiva di annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di una società a ristretta compagine sociale, non aveva disposto, in attesa della definizione di quel giudizio, la sospensione del processo pendente nei confronti del socio, avente ad oggetto l’accertamento IRPEF per la stessa annualità di imposta Sez. 5, n. 2214 del 31/01/2011, Rv. 616479 . Erroneamente nel caso di specie la C.T.R. ha ritenuto nel caso di specie di poter prescindere dall’esito di tale separato giudizio, rivelandosi pertanto sussistente il vizio dedotto. La sentenza pertanto va dunque cassata anche sotto tale profilo. Peraltro nel caso di specie i giudizi promossi dalla società, avverso gli accertamenti per maggiori ricavi nei suoi confronti emessi per gli anni in questione, risultano definiti con sentenze ormai passate in giudicato con il rigetto dei ricorsi e la conferma e la legittimità dell’operato dell’ufficio v. Sez. 5, n. 23297 del 09/09/2008, resa all’esito di giudizio del quale è stato parte anche l’odierno controricorrente Sez. 5, n. 19598 del 17/09/2014 risultando tale accertamento vincolante per l’ufficio v. da ultimo Sez. 5, n. 15632 del 09/07/2014 e ivi richiamate Cass. 24049/2011 2214/2011 1865/2012 ne discende che, non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito in questa sede, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dal contribuente. Alla soccombenza segue la condanna del resistente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità. Avuto riguardo alle vicende della controversia nel merito, equo appare compensare le spese del relativo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto da P.G. avverso gli accertamenti nei suoi confronti emessi quali indicati in atti compensa le spese per entrambi i gradi del giudizio di merito condanna il contribuente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.