Conservazione scritture, termine da rispettare

L’obbligo di conservazione della documentazione contabile non può esser esteso oltre il termine decennale se l’accertamento, iniziato prima del decimo anno, non sia stato ancora definito.

Il principio è contenuto nella sentenza n. 9834/2016 della Suprema Corte da cui emerge che l’obbligo di conservazione di atti e documenti non può eccedere il termine di 10 anni, così come prevede l’art. 8, comma 5, l. n. 212/2000 Statuto del contribuente . Conservazione dei documenti. In ambito fiscale la materia è disciplinata dall’art. 22 d.P.R. n. 600/1973 - a cui fa riferimento anche l'art. 39 del d.P.R. n. 633/1972, relativamente alla tenuta e conservazione dei registri e dei documenti rilevanti ai fini IVA -, il quale prevede al secondo comma che le scritture contabili obbligatorie devono conservarsi fino a che non siano stati definiti gli accertamenti, anche oltre il termine stabilito dall’art. 2220 c.c In caso di accertamenti in corso, notificati nei termini previsti, la conservazione delle scritture contabili è obbligatoria, quindi, fino alla definizione dei medesimi, eventualmente anche oltre il termine massimo di 10 anni stabilito dall'art. 2220 c.c Il disposto dell’art. 22 è comunque da interpretare in armonia con la norma civilistica che prevede l'obbligo, per l'imprenditore commerciale, di custodire la documentazione contabile per un certo arco temporale, in modo da documentare le vicende dell’azienda, nel caso sorgano controversie di natura fiscale, societaria e commerciale. In particolare, la norma stabilisce che le scritture devono essere conservate per 10 anni dalla data dell'ultima registrazione per lo stesso arco temporale devono conservarsi, altresì, le fatture, le lettere ed i telegrammi ricevuti nonché copie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti. Trascorso tale periodo, quindi, non è più possibile contestare all'imprenditore la mancanza di tale documentazione. E’ appena il caso di ricordare che la l. n. 489/1994, introducendo il terzo comma al suddetto art. 2220, ha previsto la conservazione delle scritture e documenti di cui trattasi su supporti telematici. Nel caso in esame, a seguito di una verifica fiscale, la società riceveva un avviso di accertamento con cui l’ufficio recuperava a tassazione una serie di costi ritenuti indeducibili per i quali la medesima società aveva esibito i documenti ma non le sottostanti fatture, non conservate perché risalenti ad oltre dieci anni prima. La sentenza della CTP, che ha respinto il ricorso della società, veniva impugnata da entrambe le parti. La CTR confermava la sentenza di primo grado ritenendo legittime le riprese operate dall’ufficio. Il ricorso per cassazione è stato proposto sia dalla società che dall’ufficio finanziario. L’obbligo del contribuente. La Suprema Corte, nel respingere in toto il ricorso della società - relativamente all’eccezione avanzata dall’ufficio circa l’estensione dell’obbligo di conservazione dei documenti sino a che siano definiti gli accertamenti -, ha ritenuto che l’art. 22 deve essere interpretato in armonia con il dettato letterale dell’art. 2220 c.c. nonché, partitamente, in ossequio al principio specifico dell’art. 8, comma 5, l. n. 212/00 , il quale prevede che l’obbligo di conservazione di atti e documenti tributari non può eccedere il termine di 10 anni dalla loro emanazione o formazione. Pertanto l’estensione dell’obbligo in esame sussiste se l’accertamento sia iniziato prima del termine decennale previsto dal predetto art. 22 d.P.R. n. 600/73. I giudici di legittimità hanno stabilito che una diversa interpretazione del citato art. 8 condurrebbe se non all’abrogazione della norma, ad un’applicazione delle medesima influenzata da una forte discrezionalità dell’amministrazione, nel senso che il termine decennale si concluderebbe alla scadenza dei termini per l’accertamento art 43 d.P.R. n. 60/73 per una durata rimessa esclusivamente alla discrezionalità dell’ufficio finanziario, rispetto a cui il contribuente non si potrebbe difendere se non conservando le scritture sine die . Sul tema si segnala anche un pronunciamento di merito da cui emerge che il contribuente deve conservare le proprie scritture contabili fino a quando non risultino spirati i termini per l'accertamento del relativo periodo di imposta. Nel rilevare che l'onere di documentare l'effettiva sussistenza di un costo, il suo ammontare, l'inerenza e la competenza incombe al contribuente, i giudici hanno stabilito che l'art. 22 va interpretato tenendo conto della possibile deduzione frazionata ultra-decennale di determinati costi e della suindicata regola di ripartizione dell'onere probatorio. Pertanto l’art. 22 è norma di natura speciale rispetto all'art. 8, comma 5, della l. n. 212/2000 cfr. CTR Milano n. 4793/2015 .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, sentenza 19 gennaio – 13 maggio 2016, n. 9834 Presidente Bielli – Relatore Marulli Svolgimento del processo 1.1. A seguito di una verifica fiscale conclusasi il 27.4.2005, l'ufficio di Tempio Pausania dell'Agenzia delle Entrate faceva notificare alla s.r.l. A.L.B. S., società di imbottigliamento e vendita di acqua minerale, un avviso di accertamento con cui, a rettifica del reddito di impresa dichiarato dalla parte per l'anno 2003, procedeva a recuperare a tassazione costi indeducibili per difetto di competenza costituiti da premi corrisposti alla clientela rilievo 1 , da interessi passivi per mutui rilievo 2 , da oneri straordinari per insussistenze patrimoniali rilievo 4 e da spese per analisi acque rilievo 7 , costi parimenti indeducibili per difetto di inerenza costituiti dalle spese per l'ormeggio di un natante rilievo 5 e per difetto di documentazione rappresentati da ammortamenti ultradecennali di beni privi di fatture rilievo 6 , nonché ricavi non contabilizzati costituiti da contributi pubblici ricevuti in conto interessi rilievo 3 . 1.2. La decisione di primo grado — che aveva respinto il ricorso di parte in relazione ai rilievi da 1 e 4 e lo aveva invece accolto riguardo alle altre riprese — era appellata da entrambe le parti avanti alla CTR Sardegna, che, con la sentenza qui in esame, confermava il deliberato di prima istanza ad eccezione della sola statuizione concernente le spese sostenute dalla contribuente per l'ormeggio del natante. 1.3. Motivate, come invero già statuito dal primo giudice, risultavano, a parere della CTR le riprese operate dall'ufficio in punto di premi alla clientela — impugnata dalla contribuente, oltre che in base ai documenti già esibiti ai verificatori, anche in forza di due fatture non esaminate — rivelandosi l'assunto difensivo di parte infondato, in quanto trattasi di documenti non esibiti alla Guardia di Finanza al momento del controllo, emessi da clienti non compresi nel prospetto relativo, coinvolti da modifiche societarie non indagate, con importi non corrispondenti in punto di interessi passivi, atteso che la doglianza afferente l'incomprensibilità del calcolo operato al riguardo dai verificatori non riflette una lesione del diritto di difesa del contribuente, in quanto l'analisi di calcolo è contenuta nel p.v.comma della Guardia di Finanza, al quale l'avviso fa riferimento , conosciuto dalla contribuente in punto di contributi in conto interessi, ritenendosi che andasse confermata l'osservazione dei primi giudici circa la certezza della percezione dei contributi, con assegnazione per competenza e non per cassa in punto di oneri straordinari, in quanto non si rinvengono tracce documentali dell'operazione come prevista dalla legge 441/1997 con riferimento all'anno 2003, perché le annotazioni sul libro giornale e dei beni ammortizzabili non sono state seguite dagli adempimenti che soltanto possono assicurare la correttezza dell'operazione . 1.4. La decisione impugnata, a giudizio della CTR, andava invece confermata laddove aveva disconosciuto la legittimità delle riprese in punto di ammortamenti ultradecennali, operata sul presupposto della mancata produzione dei documenti giustificativi di spesa, non essendovi dubbio che legittimamente la contribuente potesse eliminare le scritture ultradecennali, anche se l'ammortamento non era giunto al termine ed in punto di spese per analisi acque, essendo esse documentate da un'unica fattura emessa nel 2003, sicché la contribuente non aveva in precedenza alcuna possibilità di determinare il dovuto per gli anni dal 2000 al 2002, conosciuto per l'appunto soltanto in esito ai documenti accennati . 1.5. La decisione meritava infine di essere riformata in ordine alle spese per l’ormeggio del natante, atteso che in relazione alle circostanze concrete del caso, la scritta figurante sulle fiancate dell’imbarcazione, riproducente la denominazione sociale, non poteva svolgere se non in parte marginale la pretesa funzione pubblicitaria . 1.6. Per la cassazione di detta sentenza ricorrono entrambe le parti, la contribuente con un ricorso affidato a 7 motivi articolati su dodici censure e l'Agenzia con un ricorso affidato a due motivi a cui resiste la parte con controricorso. Motivi della decisione 2.1. Premesso che i proposti ricorsi vanno riuniti a mente dell'art. 335 c.p.comma con il primo motivo del proprio ricorso — che diviene il ricorso principale — la ricorrente lamenta ex art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, c.p.comma violazione e falsa applicazione dell'art. 52, comma quinto, D.P.R. 633/72, nonché subordinatamente vizio di omessa o insufficiente motivazione, in relazione a quanto statuito dalla CTR in merito alla ripresa in punto di premi alla clientela posto che, ricusando la concludenza dei documenti prodotti in appello fatture emesse dalla S. s.p.a. e dalla L.Holding s.p.a. , in quanto si tratta di documenti non esibiti alla Guardia di Finanza al momento del controllo , l'impugnata sentenza ha seguito un orientamento secondo cui per integrare i presupposti applicativi delle preclusioni poste dalla norma sarebbe sufficiente la componente oggettiva data dall'omessa esibizione , prescindendo dalla componente soggettiva, ossia dall'elemento psicologico dato dal comportamento del contribuente al momento dell'accesso dei verificatori , in tal modo omettendo di prendere in considerazione fatti allegati e documenti prodotti di decisivo rilievo ai fini del giudizio . 2.2. La statuizione di cui sopra è fatta oggetto di censura anche con il secondo motivo del ricorso di parte, svolto ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 e 5, c.p.comma deducendosi violazione e falsa applicazione dell’art. 75 Tuir in allora vigente, nonché subordinamente vizio di omessa o insufficiente motivazione, poiché la CTR, nel decretare l’inconferenza delle sopradette produzioni documentali sul rilievo che si tratta di documenti non compresi nel prospetto relativo, coinvolti in modifiche societarie non indagate, con importi non corrispondenti , non si è attenuta al corrente insegnamento secondo cui il principio di competenza prescinde dal momento in cui le fatture sono state emesse dai clienti premiati, giacché se così non fosse si verrebbe a collegare inammissibilmente l'imputabilità del costo non a fatti oggettivi come sono gli acquisti effettuati e ad effetti ben precisi come la spettanza dei premi ., ma alla volontà dei clienti , in tal modo omettendo di prendere in considerazione fatti allegati e documenti prodotti di decisivo rilievo ai fini del giudizio. 2.3. Entrambi i motivi di diritto — e così pure le subordinate censure motivazionali — non sono concludenti poiché non esauriscono la totalità delle rationes decidendi poste dalla CTR a fondamento del proprio deliberato. La CTR ha invero motivato il rigetto del gravarne di parte sul punto e conseguentemente riconosciuto la legittimità dell'operata ripresa rilevando, sia pur se con qualche concessione sul piano stilistico, che i documenti prodotti dalla società a conforto del proprio assunto non erano stati esibiti alla Guardia di Finanza al momento del controllo , erano stati emessi da clienti non compresi nel prospetto relativo , per di più coinvolti in modifiche societarie non indagate e con importi non corrispondenti . E' perciò evidente che nel ragionamento decisorio svolto dalla CTR a confutazione della censura risultano decisivi quattro distinti ordini di ragioni, giacché, come visto, i documenti non sono - o, meglio, non sarebbero, poiché la motivazione mostra di averli comunque considerati - utilizzabili in quanto non vagliati previamente dai verificatori, riguardano clienti che non figurano nella tabella riepilogativa, si riferiscono a clienti interessati da modifiche societarie non altrimenti rese note e fanno registrare una discordanza negli importi. Rispetto a questo articolato quadro argomentativi la prospettazione ricorrente, compendiata nei motivi di ricorso in disamina, interloquisce senz’altro con il primo degli argomenti valorizzati dal giudice d’appello, dal momento che con il primo motivo di ricorso si addita l’erroneità in diritto e la contrarietà alla logica del pronunciamento impugnato proprio perché questo non avrebbe tenuto conto ovvero avrebbe omesso di motivare che la mancata esibizione ai verificatori è preclusiva di ogni successiva produzione solo se cosciente e volontaria ed è del pari censurato, con il secondo motivo di ricorso, anche il secondo dei detti argomenti, dal momento che altrettanto erroneamente ed altrettanto illogicamente la CTR avrebbe escluso dall’elenco riepilogativo dei premi due fatture datate 2004, sebbene riferite a emolumenti accordati nell’anno di contestazione. Anche il terzo argomento, si può concedere, che, ad onta dell’oggettiva mancanza di chiarezza che affligge la deduzione sul punto la società contribuente ha prodotto visura camerale relativamente alla S. s.p.a. e L.H. s.p.a. che proprio nel 2004 aveva variato ragione sociale rispetto al 2003 quando ancora si chiamava rispettivamente C.S. s.p.a. e G.M.S. , sia stato fatto oggetto di censura laddove sempre con il secondo motivo si assume che non avendo tenuto conto dei dati riepilogativi, da cui consterebbero, in uno con le visure camerali, le citate modificazioni societaria, la CTR avrebbe nella specie violato il criterio di competenza o non ne avrebbe motivato l’osservanza. Tace tuttavia sul quarto argomento, poiché la discordanza dei prezzi, ancorché si vorrebbe vedere impugnata con il secondo motivo di ricorso, è priva, nella relativa illustrazione, di ogni specifica replica, in quanto la ricorrente pur prendendone atto, tanto appunto da essere indotta a menzionarla nel motivo cfr ricorso a pag. 47 , si astiene poi dal confutarla, in tal modo consentendo alla sentenza in parte qua, quand’anche le altre doglianze si dovessero rivelare fondate, — e come del resto insegna, più in generale, la giurisprudenza delle SS.UU. di questa Corte 7931/13 17662/13 — di poter contare sulla discordanza degli importi quale ragione giustificatrice per rigettare il gravame. 3.1. Il terzo motivo del ricorso di parte addebita alla sentenza impugnata a mente dell'art. 360, comma primo, n. 4, c.p.comma violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 2, a 4, d.lg. 546/92 e dell'art. 111 Cost. in quanto la CTR, pronunciandosi nei riferiti termini quanto alla ripresa in punto di interessi passivi, ha adottato una statuizione del tutto inconferente rispetto al motivo dedotto in opposizione dalla contribuente, la quale non ha contestato l'analiticità del calcolo condotto dall'Amministrazione Finanziaria, bensì l'incomprensibilità dell'iter logico-giuridico e contabile seguito nella specie. 3.2. Il motivo è infondato. Com'è noto, secondo un corrente indirizzo di diritto vivente il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, ricorre quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento 18108/10 16581/09 1756/06 . Non è questo all'evidenza il caso della sentenza impugnata, posto che con argomentazioni più o meno persuasive - ma non è di ciò che si duole la ricorrente — il giudice d'appello ha comunque assolto l'obbligo costituzionale della motivazione chiarendo che il vizio denunciato non riflette una lesione del diritto di difesa del contribuente in quanto l'analisi del calcolo è contenuta nel p.v.comma della Guardia di Finanza, al quale l’avviso fa riferimento, conosciuto dalla S. . In disparte dalla sua fondatezza — e, meglio, sarebbe dire — dall'attendibilità che il giudizio riscuote agli occhi della ricorrente, la motivazione adottata dalla CTR in parte qua dà, dunque, conto delle ragioni che rendono inaccoglibile la doglianza sul punto e si sottrae perciò alla formulata censura di nullità. 4.1. Con il quarto motivo del proprio ricorso la parte si duole per gli effetti dell'art. 360, comma primo, n. 4, c.p.comma della violazione dell'art. 112 c.p.c., in quanto, sebbene fosse stata eccepita la nullità dell'avviso impugnato fin dall'atto introduttivo del giudizio per inosservanza dell'art. 7, comma 1, L. 212/00 e dell'art. 42 D.P.R. 600/73 — in particolare lamentandosi la mancata allegazione di alcuni documenti su cui poggia l'atto sostanziale ed, in prosieguo, che le disposizioni recate dal D.Lg. 32/01 di attuazione degli obblighi motivazionali previsti dall'art. 7 citato, sono limitative dell'obbligo di allegazione imposto da quest'ultima norma — su questo capo di domanda e sulla relativa questione di assoluta rilevanza ai fini del decidere la sentenza impugnata non ha detto una sola parola, come si evince dalla lettura della stessa . 4.2. Il motivo è infondato. Oltre che affetto da un sensibile vulnus in punto di autosufficienza poiché, contravvenendo al principio secondo cui ai fini della configurazione del vizio denunciato è, tra l'altro, richiesto che le istanze asseritamente inevase, siano riportate puntualmente nel ricorso per cassazione, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto 26070/15 25404/15 15367/14 , la sua illustrazione non chiarisce quali fossero le conclusioni specifiche sottoposte al giudice di merito, persistendo una discrepanza tra la domanda proposta in prime cure cfr. ricorso pag. 62 e quella che riferisce la stessa ricorrente deduce un’ulteriore profilo di illegittimità dell’atto impugnato — sottoposta ai secondi giudici, la circostanza che questi ultimi abbiano definito la controversia pronunciando nel merito delle ulteriori doglianze rappresentate dalla ricorrente rende plausibile che nella specie la CTR, attesa la pregiudizialità della sollevata questione, abbia inteso implicitamente rigettarla. E' noto infatti che, secondo l'indirizzo giurisprudenziale seguito da tempo da questa Corte, non basta ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Non ricorre perciò il vizio in parola nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione di rigetto sul medesimo 15679/15 15566/15 5351/07 e quando, più esattamente, la pretesa avanzata risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia 18329/15, 16309/15 21312/13 . Il che accade, come appunto, qui, allorché decidendo nel merito la CTR formuli un pronunciamento logicamente e giuridicamente incompatibile con raccoglimento della questione pregiudiziale che, se accolta, non le avrebbe consentito di pronunciare oltre. 5.1. Il quinto motivo del ricorso di parte, formulato a mente dell'art. 360, comma primo, nn. 1 e 5, c.p.c., fa valere in riguardo alla statuizione adottata dal giudice d'appello in punto di contributi in conto interessi, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 75 Tuir in allora vigente in relazione agli artt. 2697 c.comma e 53 Cost., nonché subordinatamente vizio di omessa o insufficiente motivazione, poiché la CTR, così decidendo ha fatto proprie le apodittiche asserzioni dei giudici di prime cure , supponendo — ed in tal modo anche omettendo di prendere in considerazione fatti allegati e documenti prodotti di decisivo rilievo ai fini del giudizio - come costoro la certezza della percezione di detti contributi e quindi la necessità che la loro appostazione avvenisse in conformità al principio di competenza, ad onta del fatto che l'ufficio a cui incombeva la relativa prova non avesse offerto prova alcuna della pretesa impositiva , dato che i documenti prodotti al riguardo, costituiti da sei quietanze di pagamento rilasciate dall'istituto erogante, si appalesano inconferenti rispetto al caso di specie , poiché afferenti al rapporto tra la contribuente ed il detto istituto. 5.2. Violazione dell'art. 112 c.p.c., nonché subordinatamente vizio di omessa o insufficiente motivazione si argomenta ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 1 e 5, c.p.comma con il sesto motivo di ricorso, censurandosi l'affermazione della CTR in punto di oneri straordinari, posto che la sentenza, malgrado la concorde istanza in tal senso di entrambe le parti, non ha pronunciato sulla corretta applicazione del principio di competenza disciplinato dall'art. 75 Tuir, ma ha pronunciato sulle presunzioni di cessione disciplinate dall'inconferente normativa prevista dal D.P.R. 441/97, benché nel caso di specie nemmeno nell'avviso di accertamento fosse stata contestata l'incompletezza degli adempimenti documentali previsti dalla citata normativa, e ciò facendo ha omesso di prendere in considerazione fatti allegati e documenti prodotti di decisivo rilievo ai fini del giudizio . 5.3. Con il settimo motivo di ricorso la parte si duole ex art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, c.p.comma della violazione e falsa applicazione degli art. 74, comma secondo e 75, comma quinto, in allora vigenti, Tuir, nonché subordinatamente del vizio di omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione, in quanto la CTR, relativamente al deliberato da essa assunto riguardo alle spese per l'ormeggio del natante, in luogo di valutare le concrete circostanze del caso allegate dalla parte a conforto della legittimità della deduzione l’imbarcazione era ormeggiata nel porto turistico di Cannigione ed era stata posizionata in modo da far conoscere ai visitatori e agli utenti il messaggio S. Acqua di Sardegna , in tal modo anche omettendo di prendere in considerazione fatti allegati e documenti prodotti di decisivo rilievo ai fini del giudizio — aveva ascritto rilevanza decisiva all'asserita funzione dell'imbarcazione , ancorché non fosse stato oggetto di contestazione il relativo costo di acquisto o le spese di manutenzione, ma solo il costo dell'ormeggio. 5.4. La prima censura di tutti i sopradetti motivi, avente ad oggetto un appunto di diritto, è inammissibile per difetto nella formulazione del quesito. Invero, contrariamente agli insegnamenti di questa Corte, che ha da tempo chiarito che il quesito di diritto di cui all'art. 366-bis c.p.comma — nella specie applicabile ratione temporis — deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla Corte di Cassazione l'enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata SS.UU. 26020/08 , il quesito formualato dalla deducente a corredo della censura svolta nel quinto si dilunga per ben tre pagine di ricorso cfr. ricorso pagg. 80, 81 e 82 sino al terziultimo rigo , quello a corredo della censura svolta con il sesto motivo si dilunga per quasi quattro pagine cfr. ricorso pagg. 97, 98, 99 e 100 sino al tredicesimo rigo e quello a corredo della censura svolta con il settimo motivo si dilunga per quasi due pagine cfr. ricorso dal decimo rigo di pag. 109. 110 e 111 sino al secondo rigo dunque evidente che in ragione della loro prolissità — pur a non voler richiamare l'insegnamento secondo cui il quesito di diritto dovrebbe essere formulato in termini tali da poter rispondere con un si o con un no 1906/08 — ne risulta impedito di fatto il proficuo esercizio della funzione nomofilattica. 5.6. Parimenti inammissibile si rivela pure la censura che con tutti i sopradetti motivi la ricorrente muove al capo della decisione d'appello sotto l'aspetto motivazionale. Da tempo, infatti, questa Corte si è pronunciata per l'inammissibilità dei motivi di ricorso che attuano un'impropria mescolanza osservando tra l'altro, che non è consentita la prospettazione di un una medesima questione sotto profili tra loro incompatibili quali l'omessa motivazione, che richiede l'assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d'ufficio e l'insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d'appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi ovvero, come nel caso del settimo motivo, la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro, e ciò in quanto l'esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l'apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d'impugnazione enunciati dall'art. 360 cod. procomma civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse 1704/16 38/16 19343/11 . Non si sottraggono al rilievo de quo le censure in disamina deducendo esse contemporaneamente un vizio di omessa e di insufficiente e, come il settimo, pure di contraddittoria motivazione, che, seppur formulati alternativamente, rimettono alla Corte il compito di effettuare un'inammissibile selezione interpretativa delle ragioni che in modo diverso sottendono alla prospettazione di ciascuna doglianza. 6. Il ricorso principale va dunque respinto. 7.1. Con il primo motivo del proprio ricorso l'Agenzia delle Entrate deduce ex art. 360, comma primo, n. 3, c.p.comma la violazione degli artt. 2697 e 2709 c.comma 109 Tuir, nonché 52, comma quinto, D.P.R. 633/72 richiamato dall'art. 33 D.P.R. 600/73 e la falsa applicazione dell'art. 2220 c.comma censurandosi la determinazione assunta dal decidente in punto di ammortamenti ultradecennali, poiché, tenuto conto che è onere del contribuente provare gli ammortamenti portati in deduzione, contrariamente a quanto ravvisato dal giudice d'appello che aveva ritenuto sufficienti le annotazioni contenute nelle scritture contabili, le fatture d'acquisto dei beni strumentali erano nella specie indispensabili per dimostrare l'intervenuto ammortamento, poiché senza detti documenti non vi è modo di dimostrare quale sia in effetti l'epoca di acquisto e neppure vi è modo di accertare se l'ammortamento del bene sia in effetti ancora in corso , a nulla rilevando il disposto dell'art. 2220 c.c., atteso che in base all'art. 22 D.P.R. 600/73 l'obbligo di conservazione si protrae sino a che siano definiti, come nella specie, i relativi accertamenti. 7.2. Il motivo — alla cui disamina non si oppone preliminarmente l'inammissibilità eccepita dalla parte per difetto nella formulazione del quesito, in quanto quello formulato a corredo del motivo soddisfa il decalogo prescrittivo da tempo enunciato da questa Corte, posto che vi è descritta la fattispecie concreta se siano deducibili, in difetto delle fatture di acquisto non prodotte nella verifica ed inammissibilmente prodotte solo in giudizio, ammortamenti di beni che la parte asseriva acquistati oltre un decennio prima , vi è indicata la regola di diritto applicata dal giudice censurato ritenendo ciò provato sulla base dei libri contabili , nonché la regola di diritto che si vorrebbe vedere applicata anziché dichiarare le fatture di acquisto indispensabili a provare l'ammortamento — è infondato. Invero, la tesi erariale non trova il conforto della legge, dal momento che l’art. 22, comma secondo, D.P.R. 600/73, laddove prevede che le scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie o di leggi speciali devono essere conservate fino a quanto non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta, anche oltre il termine stabilito dall’art. 2220 o da altre leggi tributarie , deve essere interpretato in armonia con il dettato letterale di esso, nonché, partitamente, in ossequio al principio specifico più generalmente previsto dall’art. 8, comma 5, L. 212/2000 - che costituisce ai sensi dell’art. 1. comma 1, L. 212/2000 principio generale dell’ordinamento tributario - nel senso che l’ultrattività dell’obbligo di conservazione ovvero la sua estensione oltre il termine decennale dell’art. 2220 c.comma - ed ora pure del citato art. 8, comma 5 - si impone non già in via generale - di modo che se ne possa affermare l’inosservanza anche quando, come qui, il termine decennale sia spirato prima che l’accertamento abbia avuto luogo - ma solo se l’accertamento che sia iniziato prima del decimo anno non sia stato ancora definito, diversamente derivandone, se non un interpretazione sostanzialmente abrogratice della norma, un’applicazione di essa influenzata da un forte indice di discrezionalità, nel senso che, potendo l’amministrazione procedere all’accertamento nei termini dell’art. 43 D.P.R. 600/73, l’obbligo di conservazione, scaduto il periodo decennale, si protrarrebbe sino alla scadenza dei termini per una durata che dipende esclusivamente dalla volontà dell’ufficio rispetto alla quale il contribuente non avrebbe altra difesa che conservare le scritture sine die. 8.1. Il secondo motivo del ricorso erariale addebita alla sentenza impugnata per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.comma la violazione dell’art. 109 Tuir e la falsa applicazione dell’art. 101 Tuir in relazione a quanto da essa statuito in punto di spese per analisi acque, posto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, nella specie era intercorrente tra le parti una convenzione, in guisa della quale si rendeva comunque in linea di massima determinabile l'importo della prestazione, anche se non fatturato e fermo in ogni caso l'onere della parte di farsi almeno comunicare il quantum della prestazione in tempo per un esatta dichiarazione . 8.2. Il motivo — al cui esame non è pregiudizialmente ostativa l'inammissibilità eccepita ut supra dalla parte poiché il quesito di diritto che lo correda descrive la fattispecie se sia correttamente imputata al 2003 una fattura emessa in tale anno per prestazioni di analisi chimiche fondate su una convenzione con l'Università e relative agli anni 2000-2001 e 2002 , indica la regola di diritto applicata dal decidente reputandole non quantificabili prima di detta fatturazione e la regola applicanda anziché ritenere la prestazione imputabile unicamente agli armi di competenza — è fondato. Va qui invero ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte le regole sull'imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall'art. 109 Tuir, sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza. 16349/14 . L'imputazione all'esercizio di competenza è peraltro inderogabile a condizione che il costo soddisfi anche gli ulteriori requisiti dell'art. 109, comma primo, Tuir ovvero che siano certi e determinabili, sicché, a fronte di un'appostazione che non si adegui al criterio della competenza, incombe sull'Amministrazione finanziaria, che, assumendo un'erronea imputazione, pretende una maggiore imposta, dimostrare i fatti costitutivi della pretesa, mentre è onere del contribuente provare il diverso anno in cui i costi sono diventati certi e determinabili nell’ammontare ovvero che negli anni rispetto ai quali sia dedotta la violazione del principio di competenza i detti costi non erano né certi né determinabile 25282/15 . Alla luce di questo regole è dunque evidente l'errore in cui è caduto il giudice d'appello affermando che la Smeraldina non aveva in precedenza alcuna possibilità di determinare il dovuto per gli anni dal 2000 al 2002 , potendo pervenire a tale affermazione non già in base ad un giudizio apodittico, in guisa del quale assumere che l'impossibilità opposta dalla parte è una verità inoppugnabile, ma solo se la parte, a fronte del rilievo dell'ufficio — oggettivamente comprovato dal riferirsi le prestazioni anche ad anni antecedenti a quello in cui si è operata la deduzione del relativo costo — in ragione dell'onere probatorio su di essa gravante, avesse dimostrato che l'ammontare del costo non era effettivamente determinabile per gli anni antecedenti a quello di verifica. 9. Va dunque accolto il secondo motivo del ricorso incidentale con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ex art. 383, comma primo, c.p.c., al giudice territoriale per un nuovo giudizio. P.Q.M. Decidendo sui ricorsi riuniti, respinge il ricorso principale accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettato il primo, cassa nei limiti del motivo accolto l'impugnata sentenza e rinvia la causa avanti alla CTR Sardegna, che, in altra composizione, provvederà, pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.