Il contribuente può proporre domanda di restituzione delle imposte e sanzioni versate al Fisco?

E’ affetta da vizio di ultrapetizione la sentenza del giudice di rinvio che condanna il Fisco alla restituzione delle somme, pagate dal contribuente, con maggiorazione di rivalutazione monetaria e interessi.

L’art. 63 d.lgs. n. 546/92 non consente la proposizione da parte del contribuente della domanda di restituzione delle imposte e sanzioni versate al Fisco in corso di causa a titolo di riscossione frazionata, nel giudizio di rinvio in assenza di un provvedimento, sia pur tacito di diniego, e senza il decorso del termine di adempimento stabilito a favore dell’Erario. Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 13 aprile 2016, n. 7222. Il caso. Il giudice del gravame ha condannato il Fisco al rimborso delle somme che il contribuente aveva pagato in corso di causa e che risultavano indebite a seguito dell’applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione e del conseguente annullamento dell’atto impositivo, maggiorate di rivalutazione monetaria ed interessi, in assenza di una specifica domanda di risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria da parte del contribuente. Gli Ermellini , con la pronuncia citata, in accoglimento delle doglianza del Fisco hanno ribadito che - Il particolare regime, previsto dagli artt. 63 e 68 d.lgs. n. 546/92, per la restituzione del tributo corrisposto in eccedenza dal contribuente in pendenza di processo, è applicabile anche in caso di accoglimento del ricorso all’esito di giudizio di rinvio dalla Cassazione - Il carattere impugnatorio proprio del processo tributario, in relazione agli atti previsti dal d.lgs. n. 546/1992, art. 19, ivi compreso il diniego tacito di rimborso , segna la distinzione tra lo stesso ed il processo civile, impedendo di ricondurre l'oggetto del primo all'accertamento di un’obbligazione - Non è applicabile al giudizio tributario, per mancanza dei relativi presupposti, l'art. 389 c.p.c., che disciplina l’ipotesi di domande di restituzione e riduzione in pristino conseguenti alla cassazione della sentenza - Prevedendo il d.lgs. n. 546/1992, art. 68, comma 2, il rimborso d'ufficio entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, quest'ultimo, non ricevendo il prescritto rimborso, non può adire direttamente il giudice tributario, ma deve prima sollecitare il rimborso in sede amministrativa e solo successivamente può impugnare il diniego, anche tacito - L’art. 63 d.lgs. 546/92 si limita a stabilire, al comma 4, che nel giudizio di rinvio le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse, salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza della cassazione - L’art. 68, d.lgs. n. 546/92 dispone, in via generale, che l’ammontare d’imposta versato in eccedenza dev’essere rimborsato d’ufficio entro 90 gg. dalla notificazione della sentenza, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali - L’obbligazione restitutoria in materia tributaria soggiace, dunque, ad un regime speciale quanto ai criteri di determinazione dell’ammontare dei relativi interessi ed alle modalità di corresponsione, ed avuto riguardo alla rivalutazione monetaria dell’importo da restituire, la sua liquidazione è subordinata, secondo i principi generali, ad una specifica domanda del contribuente ed alla prova del maggior danno subito a causa del ritardo nella restituzione. In accoglimento del ricorso in Cassazione del Fisco, gli Ermellini hanno cassato, senza rinvio, il capo della sentenza impugnata, che aveva disposto la condanna del Fisco alla restituzione con rivalutazione monetaria ed interessi della somme versata dal contribuente a titolo di riscossione frazionata. Conclusioni. Nel giudizio di rinvio è precluso alle parti di ampliare il thema decidendum e di formulare nuove domande ed eccezioni ed al giudice - il quale è investito della controversia esclusivamente entro i limiti segnati dalla sentenza di cassazione ed è vincolato da quest’ultima relativamente alle questioni da essa decisa - non è, pertanto, consentito qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di fatti o profili non dedotti, né egli può procedere ad una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso ovvero all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità Il giudizio di rinvio è un processo ad istruzione sostanzialmente chiusa in cui è preclusa la proposizione di nuove domande e la richiesta di nuove prove e le parti vengono riportate alla situazione di fatto e di diritto in cui si trovavano al momento dell’instaurazione del giudizio di appello. In materia di processo tributario, posto che l'art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 prevede il rimborso d'ufficio del tributo corrisposto in eccedenza entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, quest'ultimo, qualora non riceva detto rimborso, non può adire direttamente il giudice tributario, ma deve prima sollecitare detto rimborso in sede amministrativa, e solo successivamente può impugnare il diniego, anche tacito, ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. g del citato decreto Cass. Civ., Sez. V, n. 20616/2008 .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 17 dicembre 2015 – 13 aprile 2016, numero 7222 Presidente Di Amato – Relatore Federico Svolgimento del processo La Banca M.P.S. spa, in qualità di incorporante la Banca Agricola M., provvedeva a riassumere ai sensi dell’art. 392 cpc innanzi alla CTR della Lombardia , a seguito della sentenza di questa Corte numero 17201/06, la causa avente ad oggetto il recupero a tassazione delle quote di avviamento del disavanzo, reveniente dall’operazione di fusione per incorporazione della Banca Operaia di B. da parte della Banca Agricola M., quote che erano state iscritte tra gli oneri quinquennali ammortizzabili nei bilanci 1988 e 1989. La Corte di cassazione, con la sentenza su menzionata, di cassazione con rinvio, aveva affermato il principio di diritto secondo cui, in caso di fusione per incorporazione, il disavanzo, generato nel bilancio dell’incorporante in relazione alla differenza tra il valore del patrimonio netto dell’incorporata ed il prezzo in precedenza corrisposto dall’incorporante per l’acquisto delle partecipazioni che quel patrimonio rappresentino, è utilizzabile dall’incorporante per iscrivere nell’attivo del proprio bilancio di esercizio una corrispondente posta di avviamento, ai fini del successivo ammortamento per quote costanti nell’arco di un quinquennio, con conseguente deducibilità dal reddito d’impresa ex art. 123 TUIR. La CTR, all’esito del giudizio di rinvio, in accoglimento dell’appello della contribuente ed in attuazione del principio di diritto affermato da questa Corte, ha annullato gli avvisi di accertamento nella parte in cui era stato ripreso a tassazione anche il disavanzo da fusione per incorporazione, ed ha condannato l’Agenzia al rimborso di tutte le somme rivalutate e con gli interessi che il contribuente aveva pagato in corso di causa. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi, l’Agenzia delle Entrate, censurando il capo della sentenza della CTR che ha condannato l’Amministrazione alla corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme da restituire al contribuente. La contribuente ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 63 d.lgs. 546/96, in relazione all’art. 360 numero 3 cpc, chiedendo a questa Corte di dire se detta norma consenta la proposizione da parte del contribuente della domanda di restituzione delle imposte e sanzioni versate all’Amministrazione finanziaria in corso di causa, a titolo di riscossione frazionata , nel giudizio di rinvio ex art. 392 cpc in assenza di un provvedimento, sia pur tacito di diniego, e senza il decorso del termine di adempimento stabilito a favore dell’Erario. Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cpc in relazione all’artt. 360 numero 4 cpc in quanto la CTR ha condannato l’Amministrazione al pagamento delle somme maggiorate da rivalutazione ed interessi. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia la omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio ex art. 360 numero 5 cpc, costituito dall’esistenza di un danno da svalutazione monetaria nel patrimonio della ricorrente, ai sensi dell’art. 1224 comma 2 c.c. Con il quarto motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 comma 2 e 2697 c.c., in relazione all’ art. 360 numero 3 lamentando che la CTR abbia riconosciuto la rivalutazione monetaria ex art. 1224 c.c. in assenza di prova del danno. Il primo motivo è fondato. La CTR ha condannato l’Ufficio al rimborso delle somme che il contribuente aveva pagato in corso di causa e che risultavano indebite a seguito dell’applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione e del conseguente annullamento dell’atto impositivo, maggiorate di rivalutazione monetaria ed interessi, in assenza di una specifica domanda di risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria da parte del contribuente. Tale statuizione appare in contrasto con il particolare regime, previsto dagli artt. 63 e 68 d.lgs. 546/92, per la restituzione del tributo corrisposto in eccedenza dal contribuente in pendenza di processo, regime che deve ritenersi applicabile anche in caso di accoglimento del ricorso all’esito di giudizio di rinvio dalla Cassazione. Va, infatti, rilevato che il carattere impugnatorio proprio del processo tributario, in relazione agli atti previsti dal D.Lgs. numero 546 del 1992, art. 19, ivi compreso il diniego tacito di rimborso , segna la distinzione tra lo stesso ed il processo civile, impedendo di ricondurre l'oggetto del primo all'accertamento di un’obbligazione. Ne consegue che non è applicabile al giudizio tributario, per mancanza dei relativi presupposti, l'art. 389 c.p.c., che disciplina l’ipotesi di domande di restituzione e riduzione in pristino conseguenti alla cassazione della sentenza, e che, prevedendo il D.Lgs. numero 546 del 1992, art. 68, comma 2, il rimborso d'ufficio entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, quest'ultimo, non ricevendo il prescritto rimborso, non può adire direttamente il giudice tributario, ma deve prima sollecitare il rimborso in sede amministrativa e solo successivamente può impugnare il diniego, anche tacito Cass. numero 20616 del 2008 . Ed invero, posto che l’art. 63 d.lgs. 546/92 si limita a stabilire, al comma 4, che nel giudizio di rinvio le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse, salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza della cassazione, l’art. 68 d.lgs. 546/92 dispone, in via generale, che l’ammontare d’imposta versato in eccedenza dev’essere rimborsato d’ufficio entro 90 gg. dalla notificazione della sentenza, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali. L’obbligazione restitutoria in materia tributaria soggiace, dunque, ad un regime speciale quanto ai criteri di determinazione dell’ammontare dei relativi interessi ed alle modalità di corresponsione, ed, avuto riguardo alla rivalutazione monetaria dell’importo da restituire, la sua liquidazione è subordinata, secondo i principi generali, ad una specifica domanda del contribuente ed alla prova del maggior danno subito a causa del ritardo nella restituzione. Gli altri motivi sono assorbiti. Va dunque cassato senza rinvio il capo della sentenza impugnata che ha condannato l’Amministrazione al rimborso delle somme versate in corso di causa dal contribuente, maggiorate di rivalutazione monetaria ed interessi le somme versate dalla contribuente a titolo di riscossione frazionata devono esserle restituite con le modalità e nei limiti stabiliti dall’art. 68 D.lgs. 546/1992. Considerata la particolarità e complessità della questione sussistono i presupposti per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri per l’effetto cassa senza rinvio il capo della sentenza impugnata che ha disposto la condanna dell’Amministrazione alla restituzione, con rivalutazione monetaria ed interessi, delle somme versate dalla contribuente. Compensa le spese del giudizio di legittimità.