Omesso versamento IVA, rischia il liquidatore nominato poco prima del termine?

In tema di omesso versamento di IVA da parte di una società a responsabilità limitata, versa quanto meno in dolo eventuale, e non in mera colpa, il soggetto che, subentrando ad altri dopo la dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, abbia assunto la carica di amministratore o di liquidatore, senza aver compiuto il preventivo controllo, di natura puramente documentale, sugli ultimi adempimenti fiscali.

Questo il principio di diritto riaffermato dalla Terza Sezione della Cassazione Penale, con la pronuncia n. 14744/2016 depositata l’11 aprile scorso. Il caso di specie. Avverso la sentenza di condanna della Corte di appello di Milano per omesso versamento dell’IVA dichiarata propone ricorso per Cassazione l’imputato, deducendo che la condanna a suo carico si fonderebbe su un’ipotesi di responsabilità oggettiva attribuita al medesimo, poiché lo stesso avrebbe assunto, solo tre mesi prima dello scadere del termine ex lege stabilito per il versamento dell’acconto IVA dovuta sulla base dell’anno di imposta pregresso, il ruolo di liquidatore. Deduce il ricorrente che la situazione di gravissima insolvenza in cui si era ritrovata la società era riconducibile esclusivamente alla condotta dei precedenti legali rappresentanti, mentre nessun profilo di responsabilità, nemmeno a titolo di colpa, poteva essere attribuito all’imputato. In conseguenza, l’impossibilità di adempiere al pagamento, nel termine ultimo indicato dalla legge penale, di oltre un milione di euro di IVA dovuta sarebbe stata, quindi, imputabile al precedente organo gestorio e non certo al solo ricorrente, nominato liquidatore appena tre mesi prima della scadenza di detto termine. La struttura della fattispecie criminosa. L’individuazione della via per la soluzione del caso proposto passa esclusivamente attraverso una puntuale ricostruzione dell’elemento oggettivo e soggettivo della fattispecie di cui all’art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000. Orbene, per dottrina prevalente e giurisprudenza assolutamente consolidata, la fattispecie in esame costituisce un c.d. delitto omissivo proprio, che si verifica nel momento in cui scade il termine ultimo per il versamento dell’acconto per l’anno di imposta successivo. Sotto il profilo della consumazione è dunque assolutamente consolidato il principio per cui il reato in oggetto è di natura istantanea, mentre sotto il profilo dell’elemento psicologico è sufficiente il dolo anche nella forma più labile del dolo eventuale e, quindi, della accettazione del rischio. Nessun dolo specifico, dunque, richiede la norma, ma nemmeno un dolo diretto di evasione. Una conclusione necessitata. Sulla base di tali premesse, che costituiscono ormai ius receptum , osserva la Cassazione che il debito IVA verso lo Stato, nel caso di specie, non costituiva certo un debito remoto, occulto o di difficile accertamento, anche perché trattavasi di IVA dovuta sulla base della stessa ultima dichiarazione IVA della società. Era quindi sufficiente, sottolinea la Cassazione, la considerazione che l’imputato, prima di assumere l’incarico di liquidatore, ben avrebbe potuto e dovuto compiere una due diligence , almeno visionando la dichiarazione IVA presentata e la quietanza dell’IVA, per verificare la possibilità di adempiere nel termine stabilito al pagamento della obbligazione tributaria. Pertanto, il ricorrente versava quanto meno in una posizione soggettiva di dolo eventuale e non di mera colpa e, meno che mai, allo stesso il reato era stato imputato, come sosteneva la difesa, a titolo di responsabilità oggettiva. Il ricorso viene dunque rigettato e la condanna confermata. I precedenti conformi I precedenti giurisprudenziali succedutisi negli ultimi anni sulla medesima questione paiono essere assolutamente conformi. Di recente, infatti, la stessa Sezione III aveva affermato Cass., sez. III, n. 34927/2015 che risponde del reato di omesso versamento di IVA art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000 , quanto meno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all'Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. In senso del tutto analogo sulla medesima questione si erano pronunciati gli Ermellini circa un anno prima Cass., sez. III, n. 38687/2014 . e solo una timida apertura. In tale contesto di rigore giurisprudenziale vale allora la pena di ricordare che, seppur in una singola pronuncia, la Cassazione aveva chiarito, in caso di misura cautelare reale per il reato di omesso versamento dell'IVA, che, se il liquidatore appena nominato di una società deduce di non aver potuto pagare a causa della carenza di ogni forma di liquidità imputabile ai suoi predecessori , non ci si può limitare a ribattere, per la conferma del provvedimento cautelare, che l'indagato aveva a disposizione un congruo tempo per far fronte all'adempimento fiscale, con conseguente accoglimento del ricorso proposto dall’imputato avverso la pronuncia della Corte di appello Cass., sez. III, n. 5190/2015 . Tuttavia, in un tale contesto giurisprudenziale, come ci si poteva attendere, una rondine non ha fatto primavere e, pertanto, l’appena citato arresto è rimasto isolato. Ciò nonostante resta, in chiunque legga la pronuncia in commento, la necessità di ancorare ad un maggiore profilo di rigore la valutazione della sussistenza del dolo rispetto alle fattispecie delittuose di cui agli artt. 10 bis e 10 ter .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 febbraio – 11 aprile 2016, numero 14744 Presidente Amoresano – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dei 8.10.2012, il Tribunale di Milano, pronunciando nei confronti dell'attuale ricorrente Z.P., quale legale rappresentante della società DIODORO COSTRUZIONI s.r.l. in liquidazione. con sede legale in Milano via Perugini numero 44, lo dichiarava colpevole dei reato di cui all'art. 10 ter d.lgs.74/2000 per omesso versamento dell'acconto deli' I.V.A. relativo al periodo di imposta successivo, dovuta in base alla dichiarazione annuale dell'anno d'imposta 2007, per un ammontare complessivo di euro 1.034.670,00 fatto accertato in Milano il 27.12.2008 e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi nove di reclusione con le pene accessorie dì legge, oltre al pagamento delle spese processuali. Con sentenza dei 16.10.2014 la Corte di appello di Milano, a seguito di appelli presentati dall'imputato e dal P.G. in via incidentale confermava la sentenza del Tribunale di Milano, condannando Z.P. al pagamento delle spese del grado. 2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, Z.P., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. penumero a. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 10 ter d.lgs. 74/2000 ed erronea applicazione dell'art. 10 ter d igs. 74/2000. Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata assumeva quale unico criterio di attribuzione della responsabilità penale quello assoluto e rigido della responsabilità oggettiva basato sulla formale rappresentanza legale della società al momento dei termine stabilito ex lege per l'acconto Iva dovuta sulla base dell'anno di imposta pregresso. Argomenta che deve ritenersi, invece, che l'obbligo giuridico di adempiere gravasse su coloro che effettivamente avevano determinato le condizioni di insolvenza della società, mentre il ricorrente aveva assunto l'incarico di liquidatore e, quindi, di rappresentante legale della società solo in data 10.9.2008 e, cioè, tre mesi prima dello spirare dei termine per l'adempimento dell'obbligazione fiscale. Aggiunge che, nella specie, deve configurarsi la causa di non punibilità costituita dalla forza maggiore. b. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ìn relazione all'art. 133 cod. penumero . Il ricorrente deduce che la Corte territoriale, sebbene confermando la concessione delle attenuanti generiche, non motivava, o erroneamente motivava, la decisione di non ridurre la pena irrogata nei minimi edittali. Argomenta che il Giudice deve valutare complessivamente i criteri indicati nell'art. 133 cod. penumero e, che, nella specie, non si era tenuto conto della oggettiva marginalità temporale dei ruolo assunto dal ricorrente nella amministrazione della società e la concorrenza di altri soggetti responsabili della illiquidità della società e della successiva impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. II primo motivo di ricorso è infondato. Com'è noto, o nelle società di capitali, come nel caso di specie, la responsabilità per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, è attribuita all'amministratore individuato secondo i criteri ex art. 2380 e ss., artt. 2455, 2475 e 2475 bis c.c. , ovvero a coloro che rappresentano e gestiscono l'ente e che, in quanto tali, sono tenuti a presentare e sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l'ordinamento tributario D.Lgs. numero 74 del 2000, art. 1, lett. c ed e , adempiendo agli obblighi conseguenti. Alla medesima disciplina soggiace il liquidatore ex artt. 2276 e 2489 c.c., nominato in caso di scioglimento della società, passibile della responsabilità per i delitti previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, in virtù della espressa previsione dell'art. 1, comma 1, lett. c , dei decreto in combinazione con le norme che ne definiscono poteri e responsabilità. Va, poi, ricordato che costituisce ius receptum in materia di responsabilità nella gestione societaria Sez.3, numero 38687del 04/06/2014,dep.23/09/2014,Rv. 260390 Sez.3,numero 34927 del 24/06/2015, Rv.264882 il principio secondo cui colui che assume la carica di liquidatore, al pari di chi assume quella di amministratore, si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Si è, infatti, affermato che in tema di omesso versamento dell'IVA da parte di una società a responsabilità limitata, versa quantomeno in dolo eventuale, e non in mera colpa, il soggetto che, subentrando ad altri dopo la dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, abbia assunto la carica dì amministratore o di liquidatore, senza aver compiuto il previo controllo, di natura puramente documentale, sugli ultimi adempimenti fiscali. L'assunzione della carica di amministratore o di liquidatore comporta, infatti, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, è evidente che colui che subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze, accettandone il relativo anche di rispondere penalmente. Nella specie, nulla è stato dedotto in ordine ad obiettive difficoltà di effettuare, in via preventiva, verifiche della documentazione fiscale della società, peraltro semplici e coincidenti con i minimi riscontri d'obbligo che devono essere eseguiti prima dei subentro nella carica rappresentativa e di gestione dell'ente. Nel caso in esame, infatti, non si verteva in materia di debito verso l'erario particolarmente remoto, occulto o di difficile accertamento poiché si trattava dell'IVA dovuta sulla base dell'ultima dichiarazione presentata nello stesso anno 2007 e quindi era sufficiente, prima dì assumere la carica di liquidatore, di chiedere in visione la dichiarazione e l'attestato di versamento all'erario dell'IVA a debito per adempiere nel termine stabilito al pagamento dell'obbligazione tributaria. 2. II secondo motivo di ricorso è infondato In ordine alla censura mossa alla sentenza impugnata relativamente alla mancata irrogazione di una pena contenuta nel minimo edittale, va richiamato il principio consolidato in base al quale la motivazione in ordine alla determinazione della pena base ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale. Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come pena congrua , pena equa , congrua riduzione , congruo aumento o il richiamo alla gravita dei reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al quantum della pena Sez.2, numero 36245 del 26/06/2009,Rv.245596 . Nella specie, la Corte di appello, nel confermare l'entità della pena inflitta dal Tribunale in misura contenuta nella media edittale, ha reso sintetica ma adeguata motivazione, richiamando l'entità dei debito ed i precedenti penali, così che ha ritenuto congrua la pena comminata dal primo giudice. 3. Attesa l'infondatezza dei motivi, il ricorso va rigettato. 4. Consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. penumero , la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.