Le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale

Il soggetto che si è trasferito all’estero, per svolgere un’attività di lavoro dipendente che lo impegna a tempo pieno, non deve pagare le tasse in Italia, nonostante in Italia siano rimasti gli affetti più stretti.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6501/2015, depositata il 31 marzo. Residenza fiscale in Italia, ma Ai sensi dell’art. 2, comma 2 bis , del TUIR i cittadini italiani, seppure cancellati dall’AIRE, se trasferiti in Stati con regime fiscale privilegiato, si presumono residenti in Italia, salvo prova contraria, che nella fattispecie è stata assolta. Il contribuente ha documentato di essere cittadino elvetico da molti anni, di svolgere lì un’attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato con orario di 8 ore giornaliere e di avere in Italia solo un immobile locato a uso archivio. I criteri per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche, sono dettati dall’art. 2 TUIR, il quale stabilisce che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti nello Stato le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta si trovino in una delle seguenti condizioni tra loro alternative a sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente b hanno la residenza o c il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile. Il comma 2 bis dell’art. 2, TUIR, prevede invece una presunzione relativa di residenza per i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata al fine di essere esclusi dal novero dei soggetti residenti in Italia ricade su di essi l’onere di provare di risiedere effettivamente in quei Paesi o territori. Le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento. Il giudice del gravame ha adeguatamente motivato, dando giusta prevalenza a elementi decisivi ai fini di superare la presunzione di cui all’art. 2, comma 2 bis , TUIR residenza in Svizzera da tanti anni, passaporto elvetico, attività di lavoro dipendente in Svizzera ecc. . Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 31 marzo 2015, n. 6501. Il caso. Il giudice del gravame ha annullato un avviso di accertamento emesso nei confronti di un ex cittadino italiano per redditi da lavoro autonomo nella specie compensi d’amministratore unico non dichiarati in Italia . Esso ha statuito il contribuente non poteva più essere considerato cittadino italiano, ai sensi dell’art. 2, comma 2 bis , TUIR. In virtù di detta norma, i cittadini italiani, seppure cancellati dall’AIRE, se trasferiti in Stati con regime fiscale privilegiato, si presumono residenti in Italia, salvo prova contraria. Gli Ermellini non hanno attribuito rilevanza prevalente ai legami affettivi e personali mantenuti in Italia dal contribuente. Essi hanno precisato che le relazioni affettive e familiari - la cui centrale importanza è invocata dalla ricorrente Agenzia delle Entrate - non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento. Sul punto la CTR ha adeguatamente motivato, dando giusta prevalenza a elementi decisivi ai fini di superare la presunzione di cui all’art. 2, comma 2bis, del TUIR residenza in Svizzera da tanti anni, passaporto elvetico, attività di lavoro dipendente in Svizzera ecc. . La presunzione di residenza fiscale in Italia del soggetto trasferito in un Paese a fiscalità privilegiata può esser vinta dimostrando di avere, all'estero, la sede principale della propria attività, mentre le relazioni affettive e familiari non hanno importanza prioritaria nella prova della residenza fiscale. La Suprema Corte, pertanto, ha respinto il ricorso in Cassazione dell’Agenzia delle Entrate. Residenza in paradiso fiscale. La presunzione stabilita dal comma 2 bis dell’art. 2 TUIR, lungi dal creare un ulteriore status di residenza fiscale, i cui presupposti sono già compiutamente contemplati dal comma 2 dello stesso art. 2, introduce soltanto un ulteriore criterio rivelativo ai fini dell’individuazione della residenza stessa. In sostanza, con l’introduzione del comma 2 bis citato, il legislatore, utilizzando lo strumento delle presunzioni relative, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, al fine di evitare che risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti di ordine sostanziale”. I cittadini italiani cancellati sono tenuti a dimostrare che in Italia non hanno né la dimora abituale né il complesso dei rapporti riguardanti sia gli affari che gli interessi allargati, oltre che agli aspetti economici, anche a quelli familiari, sociali e morali . E’ quindi possibile utilizzare qualsiasi mezzo di prova di natura documentale o dimostrativa, ad esempio la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell'eventuale nucleo familiare, l'iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero, lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso paese estero, ovvero l'esercizio di una qualsiasi attività economica con carattere di stabilità. La prova contraria prevista dal comma 2 bis dell'art. 2, TUIR, si può ricondurre a tre macrocategorie, costituite dalla presenza nel territorio estero di emigrazione di documentati vincoli di natura 1 familiare 2 economico-finanziaria 3 sociale e culturale. In caso di trasferimento della residenza in un paradiso fiscale rileva comunque il centro di interessi vitali l’art. 2 comma 2 bis del TUIR pone, infatti, a carico della persona fisica che si è trasferita l’onere di dimostrare l’effettività della propria residenza estera, fornendo la prova di non avere in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, né la residenza dimora abituale , né il domicilio centro dei propri interessi vitali .Occorre rilevare la permanenza in Italia del centro di affari, interessi e legami personali richiesti dall’art. 43 c.c. ai fini della definizione della residenza fiscale, qualora il contribuente - anagraficamente residente in paradiso fiscale mantenga in Italia continui contatti con familiari, tifosi e media, dovendosi ricondurre alla volontà dello stesso di conservare il domicilio in Italia anche l’intrecciarsi di rapporti economici e familiari attorno a lui e alle società estere a lui riconducibili.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 16 gennaio – 31 marzo 2015, n. 6501 Presidente Virgilio – Relatore La Torre Svolgimento del processo L'Agenzia delle Entrate notificava al dott. G.K. cittadino elvetico, già cittadino italiano iscritto all'AIRE dal 1978, avviso di accertamento ai fini dell'Irpef per omessa dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo anno 1999 compensi quale amministratore unico U. srl , ai sensi dell’art. 2 comma 2 bis, del d.P.R. 917/1986 TUIR . Contro l'atto impositivo l'intimato proponeva ricorso, che la CTP di Genova accoglieva, affermando che non era più possibile considerarlo cittadino italiano, ai sensi della norma citata. La sentenza veniva appellata dall'Agenzia delle entrate, che deduceva la legittimità dell'accertamento in quanto i cittadini italiani, seppure cancellati dall'anagrafe della popolazione residente, se trasferiti in Stati con regime fiscale privilegiato, si presumono residenti in Italia, salvo prova contraria che, secondo l'Ufficio, nella fattispecie, non era stata assolta. La CTR Liguria, con sentenza dep. il 10.3.2009, ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo fornita la prova idonea a vincere la presunzione di cui all'art. 2, co. 2 bis, TUIR, posto che il dott. K. fin dal 1976 è cittadino elvetico, con passaporto svizzero risiede in Svizzera e ivi svolge la propria attività di lavoro dipendente con contratto a tempo indeterminato che prevede un orario di otto ore giornaliere ha in Italia solo un immobile locato ad uso archivio. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate affidato a due motivi. L'intimato non si costituisce. Motivi della decisione Col primo motivo l'Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 2 co. 2 bis DPR 917/86 in relazione 360 n. 3 cpc, ritenendo che la CTR non abbia idoneamente valutato la rilevanza dei legami affettivi e personali per il riconoscimento della residenza in Italia ai fini fiscali. Col secondo motivo la ricorrente deduce vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata che non avrebbe tenuto in considerazione gli elementi di prova forniti dall'Agenzia, prendendo in considerazione solo le prove offerte dal contribuente. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati. I criteri per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche sono dettati dall'articolo 2 del D.P.R. n. 917/1986 TUIR , il quale stabilisce che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti nello Stato le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d'imposta si trovino in una delle seguenti condizioni tra loro alternative a sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente b hanno la residenza o c il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile. Il comma 2 bis dell'articolo 2 del TUIR aggiunto dall'art. 10, co.1 L. 23 dicembre 1998, n. 448 , dispone che si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze. Tale norma prevede una presunzione relativa di residenza per i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata al fine di essere esclusi dal novero dei soggetti residenti in Italia ricade su di essi l'onere di provare di risiedere effettivamente in quei Paesi o territori. In altri termini avere la sede principale dell'attività, sicché il centro degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi Cass. 18 novembre 2011 n. 24246 Cass. 15 giugno 2010 n. 14434 . Le relazioni affettive e familiari la cui centrale importanza è invocata dalla ricorrente Agenzia al fine della residenza fiscale non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri idoneamente presi in considerazione nel caso in esame che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento Cass. n. 24246/2011 cit. Cass. 1 novembre 2001 n. 13803 . Nella fattispecie la CTR, come detto in narrativa, ha congruamente motivato, dando giusta prevalenza a elementi decisivi ed assorbenti ai fini di superare la presunzione di cui alla norma citata, per cui non è fondata la doglianza sul mancato esame della prova contraria offerta dall'Ufficio, risultandone l'allegazione ininfluente. Nulla sulle spese, non avendo l'intimato svolto attività difensiva. P.Q.M. Rigetta il ricorso.