Delle fittizie rimanenze di magazzino il contribuente deve darne spiegazione

Il mancato rinvenimento di beni risultanti in carico all’azienda in forza di contabilità di magazzino determina l’applicabilità dell’art. 53, primo comma, del decreto IVA, il quale pone la presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, salvo che il contribuente, su cui incombe la prova contraria, fornisca spiegazioni in merito all’assenza degli stessi.

E’ stato così deciso nell’ordinanza n. 25983, della Corte di Cassazione, depositata il 10 dicembre 2014. Il caso. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e confermava l’annullamento dell’atto impositivo notificato ad una società contribuente, in base al quale erano state accertate maggiori imposte dirette e IVA per l’anno 2000, riguardo a fittizie rimanenze di magazzino occultanti cessioni in nero” e relativi ricavi. Il Giudice di secondo grado riteneva, in particolare, che il fisco appellante non fosse stato convincente nel sostenere che le differenze d’inventario tra le giacenze fisiche e contabili di magazzino dovessero essere attribuite all’anno d’imposta 2000 e non anche agli altri esercizi precedenti. L’Agenzia delle Entrate proponeva allora ricorso in Cassazione. La ricorrente denunciava l’insufficienza di motivazione rispetto all’ammontare dei ricavi non dichiarati imputabili all’esercizio 2000. Secondo la ricorrente, la scarna argomentazione non era sufficiente a confermare la riduzione dei maggiori ricavi operata dalla Corte territoriale. Sosteneva, inoltre, che, una volta accertate le differenze di magazzino, operava la presunzione legale di maggiori ricavi per cessioni effettuate in nero” ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. n. 633/1972 Presunzioni di cessione e di acquisto , spettando alla parte contribuente di offrire una rigorosa prova contraria. La presunzione di cessione senza fattura E’ pacifico in sede di legittimità che il mancato rinvenimento, nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni risultanti in carico all’azienda in forza di contabilità di magazzino determina l’applicabilità dell’art. 53, primo comma, del decreto IVA, il quale pone la presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, salvo che il contribuente, su cui incombe la prova contraria, fornisca spiegazioni in merito all’assenza degli stessi in sedi di verifica Cass., n. 27195/2011 . Nella fattispecie, la Corte d’appello si era affidata alla sola circostanza, ritenuta erroneamente auto-evidente, del dissesto aziendale come ragione giustificativa di manipolazioni contabili al fine di mascherare all’esterno il disastroso evolversi della situazione aziendale. La Corte, in sostanza, aveva assunto a fondamento del proprio convincimento una mera congettura collegata a una situazione, quella di dissesto economico, che sarebbe in grado si giustificare di per sé qualsiasi irregolarità rilevante ai fini del citato art. 53. può essere superata se il contribuente fornisce la prova contraria. D’altra parte, ius receptum in sede di legittimità è che la presunzione legale di cessione si supera sole se si prova che i beni di cui alla discrepanza sono stati impiegati nella produzione, perduti o distrutti, ovvero consegnati a terzi a titolo diverso altrimenti, la parte contribuente è tenuta di offrire obiettivi riscontri di una falsità ideologica della contabilità di magazzino, come tale improduttiva di maggiori ricavi . La Cassazione rileva che la sentenza d’appello non si era conformata ai principi soprarichiamati, pertanto accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 24 marzo – 10 dicembre 2014, numero 25983 Presidente Bielli – Relatore Cirillo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 6 dicembre 2007 la Commissione tributaria regionale del Piemonte rigettava l'appello principale proposto dall'Agenzia delle entrate e, disatteso il gravame incidentale proposto dal Fallimento della S.p.A. Industrie Riunite Campagnolo, confermava l'annullamento dell'atto impositivo notificato alla società contribuente il 16 novembre 2005, in forza del quale erano state accertate maggiori imposte dirette e IVA per l'anno 2000 riguardo a fittizie rimanenze di magazzino occultanti cessioni in nero e relativi ricavi. Il ricorso presentato dalla parte contribuente era parzialmente accolto dal giudice tributario di prime cure che riduceva i maggiori ricavi da £ 12.975.000.000 a £ 610.832.657, giusta sentenza del 28 marzo 2007 confermata in appello. 2. In particolare, il giudice di secondo grado, premesso che il ricorso al metodo induttivo di accertamento era legittimo per le numerose irregolarità emerse della contabilità aziendale e che le verifiche della Guardia di finanza avevano fatto emergere ricavi non contabilizzati, riteneva che il fisco appellante non fosse convincente nel sostenere che le differenze d'inventario tra le giacenze fisiche e contabili di magazzino dovessero essere attribuite all'anno d'imposta 2000 e non anche agli esercizi precedenti. Rilevava, infatti, che la sopravvalutazione del magazzino fosse riconducibile non solo a ricavi in nero ma anche ad aggiustamenti contabili operati anche prima dei 2000, stante la necessità della società di mascherare all'esterno il proprio dissesto economico, poi sfociato nel fallimento dichiarato nel 2006. 3. Per la cassazione di tale decisione, l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso affidato a due motivi la curatela della società contribuente resiste con controricorso e memoria. Considerato in diritto 4. Con il primo mezzo, denunciando vizio d'insufficiente motivazione, la ricorrente censura la sentenza d'appello riguardo all'ammontare dei ricavi non dichiarati imputabili all'esercizio 2000. Rileva che dallo scarno argomentare non si comprende la ragione che ha indotto il giudice di secondo grado a confermare la riduzione dei maggiori ricavi da £ 12.975.000.000 a £ 610.832.657. Infatti, una volta accertate le differenze di magazzino, operava la presunzione legale di maggiori ricavi per cessioni effettuate in nero ai sensi dell'articolo 53 del DPR numero 633 del 1972, spettando alla parte contribuente di offrire una rigorosa prova contraria. Invece, di tale prova non v'è traccia neppure grafica nella motivazione della sentenza d'appello, semplicemente adesiva a quella di prime cure e acriticamente appiattitasi sul generico rilievo dello stato di dissesto aziendale quale ragione giustificativa di sopravvalutazioni di magazzino. 5. Con il secondo mezzo, denunciando plurime violazioni di norme di diritto articoli 53 e 55 DPR numero 633 del 1972 articolo 1 DPR numero 441 del 1997 articolo 39 DPR numero 600 dei 1973 articoli 2697, 2727, 2728 e 2729 cod. civ. , la ricorrente interroga questa Corte e chiede se - ove in sede di verifica fiscale, a seguito di un confronto tra giacenze contabili e quelle fisiche, siano state riscontrate, per un certo anno d'imposta, insussistenze di magazzino di un dato ammontare - sia o meno legittimo il recupero a tassazione ai fini dell'IVA e delle II.DD. dell'intero ammontare delle predette insussistenze, quali ricavi non dichiarati di cessioni in nero e se l'onere della prova della erroneità delle rettifica dei reddito operata dall'Ufficio gravi o meno in via esclusiva sul contribuente . 6. Il ricorso è fondato e i due mezzi, correlati tra loro, possono essere trattati congiuntamente. Com'è noto, il mancato rinvenimento, nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni risultanti in carico all'azienda in forza di contabilità di magazzino determina l'applicabilità dell'articolo 53, primo comma, del decreto IVA, il quale pone la presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, salvo che il contribuente, su cui incombe la prova contraria, fornisca spiegazioni in merito all'assenza degli stessi in sede di verifica. Sez. 5, numero 27195 del 2011 Costituisce ius receptum che ricorre il vizio di motivazione della decisione, denunziabile in sede di legittimità, nella duplice manifestazione di motivazione carente o apparente, quando il giudice di merito trascuri d'indicare nella sentenza d'appello gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza un'approfondita disamina logica e giuridica, rendendo cosi impossibile ogni controllo sull'esattezza e la logicità del suo ragionamento Sez. 5, numero 1075 del 2014 . 7. Nella specie, la Commissione regionale si limita ad affermare che il ragionamento seguito dai giudici di primo grado è da condividere perché presume che la sopravvalutazione del magazzino sia dovuto non solo a ricavi in nero ma anche ad aggiustamenti contabili operati non solamente nel 2000, ma sicuramente anche negli esercizi precedenti, vista la necessità per la società di mascherare all'esterno il proprio dissesto economico, che sfocerà poi nella sentenza di fallimento del Tribunale di Torino numero 46/06 . Il giudice d'appello, in sostanza, si affida alla sola circostanza, erroneamente ritenuta auto-evidente, del dissesto aziendale come ragione giustificativa di manipolazioni contabili al fine di mascherare all'esterno il disastroso evolversi della situazione aziendale. Ma quella proposta, è una mera congettura collegata a una situazione, quella di dissesto economico, che, se assunta nella sua assolutezza, sarebbe in grado di giustificare di per sé stessa qualsivoglia irregolarità rilevante ai fini del citato articolo 53, solo perché relativa a ditte in cattive acque. Di contro, è ius receptum che la presunzione legale di cessione si supera solo se si prova che i beni di cui alla discrepanza sono stati impiegati nella produzione, perduti o distrutti, ovvero consegnati a terzi a titolo diverso altrimenti, la parte contribuente è tenuta di offrire obiettivi riscontri di una falsità ideologica della contabilità di magazzino, come tale improduttiva di maggiori ricavi. Nulla di tutto ciò è leggibile nella sentenza d'appello, il cui percorso argomentativo, sul piano giuridico e fattuale, non appare in linea con i citati principi. 8. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte e dei richiamati principi, il ricorso va accolto cassando l'impugnata sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte che, in diversa composizione, procederà al riesame della vertenza e, adeguandosi agli enunciati principi giuridici e regolativi, pronuncerà del merito e sulle spese anche del presente giudizio, con congrua motivazione. P.Q.M. La Corte accoglie in ricorso, cassa la sentenza d'appello e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.