Spetta al Fisco l’onere di provare che il socio abbia riscosso una quota dell’attivo

Nella fase successiva alla cessazione dell’attività i creditori si possono soddisfare sugli ex soci solo se l’attivo è stato ripartito e nel limite della ripartizione pro-quota.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23727 del 21 ottobre 2013. Il caso. l’Agenzia delle Entrate aveva chiesto all’ex socio di una società a responsabilità limitata le imposte conseguenti all’applicazione di un maggior reddito rilevato in sede di accertamento. Il socio aveva eccepito la propria estraneità al rapporto tributario, vedendo accolte le proprie tesi sia in Commissione Tributaria Provinciale che Regionale. A seguito del ricorso in Cassazione da parte dell’Agenzia i Giudici di legittimità hanno sostanzialmente affermato che l’ art. 36, D.P.R. n. 602/1973, è chiaro nel circoscrivere il perimetro delle richieste di imposte ai soli ex soci” che abbiano ricevuto in sede di liquidazione o nei due periodi d’imposta precedenti la stessa, somme o beni da parte di amministratori o liquidatori. Circoscrivendo, tra l’altro, la responsabilità al valore dei beni” ricevuti. La disciplina. In particolare, la disciplina concernente la fase successiva al processo di liquidazione e cessazione della società è regolata, ai fini civilistici, dall’art. 2495 c.c., e, ai fini fiscali, dall’art. 36, D.P.R. 602/1973. In particolare, il codice civile dispone che dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione . Per il Fisco la responsabilità del mancato pagamento spetta ai liquidatori, in prima istanza, laddove assegnino beni ai soci prima di aver soddisfatto i debiti tributari, o nel caso in cui soddisfino altri crediti rispetto a quelli tributari. La responsabilità in capo ai soci esiste se questi hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione art. 36, D.P.R. n. 602/1973 . La prova. Spetta dunque al Fisco, in ipotesi come quelle oggetto del fatto di causa, la dimostrazione che il socio abbia ricevuto somme o beni e la quantificazione del valore degli stessi. Solo in questa circostanza, infatti, il rapporto tributario può riguardare anche l’ex componente della compagine sociale. fonte www.fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 17 dicembre 2012 – 21 ottobre 2013, n. 23727 Presidente Pivetti – Relatore Cigna Svolgimento del processo A seguito di controllo eseguito nei confronti della MATERA EDILE srl l'Agenzia delle Entrate - Ufficio di omissis - emetteva avviso di accertamento con il quale provvedeva a rettificare i redditi della società in materia di IRPEG ed ILOR, recuperando a tassazione ricavi non dichiarati per L. 339.500.000 siffatto accertamento veniva notificato sia al liquidatore della società, cessata in data 24-4- 2001, sia a B.P., in qualità di ex socio della predetta società notifica effettuata in data 21-11-2001 . Avverso detto avviso di accertamento B.P. proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Matera, lamentando che, quale ex socio, era da ritenersi estraneo al rapporto tributario tra la società e l'Amministrazione finanziaria. L'adita CTP accoglieva il ricorso. Con sentenza 54/2/06, depositata l'8-8-2006, la CTR di Potenza rigettava l'appello dell'Ufficio in motivazione la CTR innanzitutto precisava che, in base all'art. 2456 c.c. ora art. 2495 c.c. , i creditori di una società che aveva cessato la propria attività potevano, dopo la cancellazione della stessa, far valere i propri crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme dai soci stessi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione in particolare, con riguardo alla riscossione delle imposte sul reddito, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, statuiva una specifica disciplina della responsabilità dei soci che, negli ultimi due anni di imposta, avevano conseguito utili dalla produzione o beni sociali in assegnazione rilevava, tuttavia, la CTR che l'Ufficio non aveva fornito alcuna prova in merito all'avvenuto conseguimento del denaro o di altri beni sociali da parte del socio, sicchè doveva ritenersi la società unica legittimata passivamente. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l'Agenzia, affidato ad unico motivo il contribuente non svolgeva attività difensiva. Motivi della decisione Con unico motivo di ricorso l'Agenzia, deducendo - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, - violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, rilevava che erroneamente la CTR aveva posto in capo all'Ufficio l'onere di provare la mancata riscossione da parte del socio, nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione, di somme versate dai liquidatori in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero la mancata ricezione di denaro o altri beni sociali in assegnazione. Siffatto motivo è infondato. L'art. 36 cit., comma 3, stabilisce che i soci, i quali abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Alla stregua di detta disposizione, è, dunque, consentito al Fisco di agire in via sussidiaria nei confronti dei soci prò quota , salvo quanto previsto dal vecchio art. 2456, e dal nuovo art. 2495 c.c. per quest'ultima norma, dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. Orbene, come già evidenziato da questa Corte, dal chiaro tenore testuale delle disposizioni tributarie e civilistiche, la responsabilità dei soci per le obbligazioni fiscali non assolte è limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell'attivo nelle varie fasi, sicchè il Fisco, il quale voglia agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto stesso della responsabilità di quest'ultimo, e cioè che, in concreto, in base al bilancio finale di liquidazione, vi sia stata la distribuzione dell'attivo e che una quota di tale attivo sia stata riscossa conf. Cass. 19732/2005 7327/2012 tale vicenda distribuzione attivo e relativa riscossione , infatti, non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per il coinvolgimento del socio stesso nel processo, posto che egli, rispetto ai creditori della società, non è debitore in quanto tale, ma lo diventa nella specifica ipotesi, disciplinata dalla legge, di riscossione della quota di conseguenza, la prova di tale circostanza è a carico delle altre parti ed integra la stessa condizione dell'interesse ad agire, che richiede non solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche la prospettazione della possibilità di ottenere un risultato utile, non essendo il processo utilizzabile in previsione di esigenze soltanto astratte Cass. 7676/2012 . In conclusione, quindi, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione del contribuente nel presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.