Il rogito è indizio della residenza

Per individuare l’effettiva residenza fiscale in Italia del contribuente italiano ‘fuggito’ a Montecarlo, occorre tenere in considerazione anche gli atti e i rogiti conclusi nel nostro Paese. Non vanno solo considerate le bollette relative alle varie utenze della casa all’estero.

Per la valutazione il giudice deve dare un peso agli atti stipulati in Italia e non solo a bollette pagate all'estero. Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12861 del 24 maggio 2013. Il caso. Il fisco ha contestato ad un contribuente il trasferimento fittizio della residenza nel Principato di Monaco e, pertanto, ha recuperato a tassazione i compensi professionali conseguiti e tassati nello Stato estero. Il fisco ha precisato, nel processo, che il contribuente non solo aveva ricevuto in mani proprie in Italia e non all'estero l'avviso di accertamento ma risultavano vari rogiti e atti pubblici dai quali era possibile desumere, anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate dal contribuente in tali atti, la residenza di fatto in Italia. I giudici di merito tributari, accogliendo le tesi difensive, hanno affermato l'effettiva residenza fiscale del contribuente in territorio estero. Secondo il giudice del gravame, in particolare, agli atti risultava la certificazione di residenza anagrafica del contribuente e della propria famiglia nel Principato e, soprattutto, c'erano numerose ricevute di pagamenti di forniture di elettricità e gas relative all'abitazione del contribuente a Monaco. Anche il rogito vale. Gli ermellini hanno accolto il ricorso in cassazione del fisco e relativamente agli elementi probanti la residenza all'estero, hanno ritenuto che il giudice di merito non aveva in alcun modo considerato i rogiti e gli atti pubblici contestati dal fisco. Per tali ragioni, non può ritenersi ingiusta la decisione del giudice del gravame. Tuttavia, il giudice di merito ha omesso qualsivoglia valutazione sul punto, dato che dai rogiti potevano trarsi elementi per dedurre eventualmente che il centro degli affari del contribuente e quindi i suoi obblighi fiscali era in Italia e non all'estero. Da qui la necessità di un nuovo giudizio di merito per valutare anche siffatti elementi. La residenza fiscale. L'art. 2, comma 2, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, individua, perché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via del tutto alternativa il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio netto Stato ai sensi del codice civile ne consegue che l’iscrizione del cittadino nell’Anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali Cass. n. 21689/2010 . Gli elementi utili ad individuare i redditi da attrarre a tassazione nel nostro Paese possono essere così sintetizzati -dichiarazioni rese agli organi di informazione possono essere rilevanti se dimostrano un interesse verso il nostro Paese - presenza in Italia di un nucleo familiare presenza anche di affetti che facciano presumere un contatto costante con il nostro Paese - titolarità e relativa movimentazione di conti correnti e/o di valori mobiliari in Italia.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 11 aprile - 24 maggio 2013, numero 12861 Presidente Cicala – Relatore Caracciolo Fatto e diritto La Corte, ritenuto che, ai sensi dell'articolo 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati Osserva La CTR di Bari ha accolto l'appello di M.N. , appelli proposti contro la sentenza della CTP di Taranto numero 118-05-2008 che aveva respinto il ricorso della parte contribuente avverso avviso di accertamento ai fini IVA-IRPEF-IRAP per l’anno 1999, emesso per recuperare a tassazione redditi derivanti da compensi professionali percepiti all'estero e che il contribuente aveva impugnato prospettando sia di essere cittadino straniero e di non essere tenuto a dichiarare in Italia detti redditi, sia di avere definito la questione qui controversa a mezzo di condono ai sensi dell'articolo 9 della legge numero 289/2002. La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che le censure formulate dall'Agenzia apparivano sprovviste di prova, giacché non emergeva l'effettività della fissazione del domicilio del signor M.N. in Italia, nel periodo in considerazione e ciò vuoi perché era risultato non vero che il contribuente e la sua famiglia risiedessero, di fatto, stabilmente in Italia mentre agli atti vi era certificazione anagrafica del Principato di Monaco circa la loro residenza in quel Paese sin dal 1983 vuoi perché non era risultato vero che il contribuente avesse stipulato in Italia numerosi atti di compravendita e contratti assicurativi risultando invece che il medesimo contribuente fosse proprietario di un solo immobile sito in vuoi perché si trovavano in atti numerose ricevute di pagamenti di forniture di elettricità e gas relative alla abitazione del contribuente sita nel Principato. Quanto alla questione dell'efficacia del condono, la CTR ha ritenuto che i redditi professionali esteri e quelli prodotti in Italia risultano tassati in Italia con la dichiarazione dei redditi alla medesima stregua e cumulativamente , sicché la definizione effettuata ex articolo 9 predetto non può non comprendere anche i proventi professionali prodotti all'estero . Diversa è l'ipotesi prevista nell'articolo 8 comma 5 della stessa legge che trova riferimento applicativo ai soggetti ed imponibili non rientranti nelle categorie professionali i quali ultimi – infatti - trovano collocazione in quadri della dichiarazione diversi da quelli che concorrono alla formazione del reddito complessivo e soggiacciono ad imposta sostitutiva. L'Agenzia ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La parte intimata si è difesa con controricorso. Il ricorso - ai sensi dell'articolo 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell'articolo 375 cpc. Con il primo motivo di ricorso centrato sulla violazione dell'articolo 9 delle legge numero 289/2002 la ricorrente si duole che il giudice di appello abbia ritenuto efficace anche ai fini del reddito prodotto all'estero la definizione effettuata dalla parte contribuente in applicazione dell'articolo 9 dianzi menzionato, per quanto quest'ultima escluda espressamente dalla base reddituale definibile i redditi del tipo appena indicato. Il motivo appare fondato ed accoglibile. Ed invero il primo comma del menzionato articolo 9 recita come di seguito I contribuenti, al fine di beneficiare delle disposizioni di cui al presente articolo, presentano una dichiarazione con le modalità previste dai commi 3 e 4 dell'articolo 8, concernente, a pena di nullità, tutti i periodi d'imposta per i quali i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni sono scaduti entro il 31 ottobre 2002, chiedendo la definizione automatica per tutte le imposte di cui al comma 2, lettera a , nonché, anche separatamente, per l'imposta sul valore aggiunto. Non possono essere oggetto di definizione automatica i redditi soggetti a tassazione separata, nonché i redditi di cui al comma 5 dell'articolo 8, ferma restando, per i predetti redditi, la possibilità di avvalersi della dichiarazione integrativa di cui al medesimo articolo 8, secondo le modalità ivi indicate . I redditi che sono espressamente esclusi secondo la previsione dell'articolo 8 comma 5 sono proprio quelli della categoria di cui qui si tratta, secondo quanto espressamente detta la norma or ora richiamata Per i redditi e gli imponibili conseguiti all'estero con qualunque modalità, anche tramite soggetti non residenti o loro strutture interposte, è dovuta un'imposta sostitutiva di quelle indicate al comma 1, pari al 6 per cento. Per la dichiarazione e il versamento della predetta imposta sostitutiva si applicano le disposizioni dei commi 3 e 4 . Alla luce della chiara previsione del combinato disposto delle due norme, quindi, il giudice del merito ha fatto erronea applicazione alla specie di causa della disciplina dell'articolo 9 più volte menzionato, sicché la sentenza - sul punto - merita cassazione. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso centrati tutti sul difetto di motivazione la parte ricorrente si duole del fatto che - in sostanza - il giudice del merito abbia fatto superficiale valutazione delle risultanze probatorie dedotte in atti da essa parte qui ricorrente, vuoi in ordine al fatto che l'avviso di accertamento per l'anno di imposta 2000 era stato notificato proprio a mani del M. presso la sua dimora di vuoi perché era stata valorizzata una circostanza del tutto priva di significato, e cioè il fatto che risultassero pagate bollette di forniture della residenza omissis vuoi in ordine alla documentata esistenza di numerosi rogiti ed atti pubblici diversi prodotti con atto di appello terzo gruppo di allegati che avrebbero dovuto considerarsi idonei anche alla luce delle espresse dichiarazioni ivi fatte dallo stesso M. a evidenziare come - in realtà - la parte contribuente abbia mantenuto il proprio domicilio siccome sede principale dei suoi affari ed interessi sul territorio nazionale ed in specie in Taranto. Anche detti motivi appaiono fondati e possono essere accolti. Invero, alla luce delle autosufficienti ricostruzione degli elementi addotti in giudizio dall'Agenzia, emerge dalla stessa considerazione della motivazione della sentenza impugnata e dai dati fattuali da quest'ultima valorizzati, privi di effettiva valenza induttiva che il giudice del merito – negligentemente - non ha tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possono essere desunte dagli anzidetti elementi, essendosi limitato il medesimo giudice ad assumere insussistenti le prove a favore della tesi dell'Agenzia, senza però farne analitica considerazione. E ciò si dice non già come valutazione della giustezza o meno della decisione, ma come indice della presenza di difetti sintomatici di una possibile decisione ingiusta, che tali possono ritenersi allorquando sussiste un'adeguata incidenza causale come nella specie esiste della manifesta negligenza di dati istruttori qualificanti, oggetto di possibile rilievo in cassazione, esigenza a cui la legge allude con il riferimento al punto decisivo in termini Cass. Sez. 3, Sentenza numero 7635 del 16/05/2003 . Nella specie, parte ricorrente ha evidenziato una pluralità di elementi di fatto non adeguatamente e specificamente considerati dal giudice del merito che costituiscono senz'altro idonei indici sintomatici di una possibile decisione ingiusta, siccome capaci di generare una difettosa ricostruzione del fatto dedotto in giudizio. Consegue da ciò entrambi i motivi di impugnazione possono essere accolti e che, per conseguenza, la controversia debba essere rimessa al medesimo giudice di secondo grado che - in diversa composizione - tornerà a pronunciarsi sulle questioni oggetto dell'atto di appello proposto dall'Agenzia e regolerà anche le spese del presente grado di giudizio. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza. che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.