L’avviso bonario è impugnabile

L’avviso bonario con cui l’ufficio comunica l’esistenza di una irregolarità sulla dichiarazione dei redditi è impugnabile dal contribuente in quanto espressione di una pretesa fiscale definita.

La S.C., con la sentenza 11 maggio 2012, n. 7344, ha affermato che l’elencazione degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario ex art. 19, DLgs n. 546/1992 non è tassativa e non esclude l’impugnabilità di atti non compresi in tale elenco ma contenenti la manifestazione di una compiuta pretesa tributaria. Accertamento comunicazioni al contribuente . L’art. 36- bis , D.p.r. n. 600/1973, recante disposizioni in materia di liquidazione e rimborsi delle imposte prevede al terzo comma che, qualora dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un'imposta o una maggiore imposta, l'ufficio invia una comunicazione o avviso bonario al contribuente o al sostituto d'imposta per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, fornendo la possibilità al contribuente di fornire i chiarimenti necessari all'amministrazione finanziaria per sanare eventuali errori. Quali sono gli atti impugnabili? Tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, elencati espressamente all’art. 19, D.Lgs n. 546/1992, non rientra il cd avviso bonario. Il citato art. 19 prevede, infatti, che il ricorso può essere proposto soltanto avverso determinati atti ad esempio, avviso di accertamento del tributo avviso di liquidazione del tributo il ruolo e la cartella di pagamento , stabilendo al terzo comma che gli atti diversi da quelli indicati non sono autonomamente impugnabili. Pertanto nonostante tale norma di chiusura, la giurisprudenza di legittimità ha individuato alcune eccezioni che devono essere contraddistinte dalla presenza nell’atto della manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria. Anche il preavviso di fermo amministrativo è annoverabile tra gli atti impugnabili ex art. 19 e rientra nella competenza del giudice tributario atteso che lo stesso non adotta alcun concreto provvedimento Cass., SS.UU., 7 maggio 2010, n. 11087 . L’invito di pagamento per il recupero delle spese di giustizia, qualificabile come atto dovuto ex art. 212, comma 1, D.p.r. n. 115/2002, è un atto di definita pretesa tributaria ed è impugnabile dinanzi al giudice tributario nonostante non sia espressamente elencato tra gli atti tributari contro cui è possibile esperire ricorso ex art. 19, D.Lgs n. 546/1992 CTR Piemonte 22 gennaio 2008, n. 78 . L’Agenzia delle Entrate ha affermato che gli avvisi bonari non sono impugnabili perché non contengono una pretesa tributaria definita ma soltanto un semplice invito a fornire chiarimenti in via preventiva ris. n. 110/E/2010 . Il caso. Una società bancaria del nord impugnava le cartelle di pagamento con cui l’Agenzia delle entrate chiedeva il pagamento della differenza Irap per gli anni 2003-2005. La CTP e la CTR accoglievano il ricorso della società e, a seguito di ciò, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione. Con precedente sentenza la CTR Veneto aveva dichiarato inammissibile l’originario ricorso della Società avverso la comunicazione ex art. 36, D.p.r. n. 600/73, in quanto priva di valenza impositiva. A seguito di ciò la stessa società ha impugnato quest’ultima sentenza dinanzi alla S.C., eccependo la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, D.lgs. n. 546/92 in quanto l’elencazione degli atti ivi contenuta non è tassativa e considerato che la comunicazione costituisce una mera pretesa tributaria. Rovesciando l’orientamento sin qui espresso dall’amministrazione finanziaria ris n. 110/E/2010 , la S.C. con la sentenza in esame ha affermato espressamente che, in virtù della necessità di applicare in via estensiva l’art. 19, DLgs. n. 546/1992, è ammessa l’autonoma impugnazione delle comunicazioni bonarie ex art 36- bis , emanate dagli Uffici finanziari prima del ruolo, in occasione della liquidazione automatica della dichiarazione. Avviso bonario impugnabile. I giudici, richiamando precedenti pronunciamenti, relativi in gran parte ad atti ritenuti impugnabili nell’ambito della fiscalità locale Cass. 8 ottobre 2010, n. 21045 , hanno sostenuto che l’elencazione degli atti impugnabili ex art. 19 non esclude l’impugnabilità di atti non compresi in questo elenco ma contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria. Tale elencazione di atti deve essere interpretata tenendo presente le norme costituzionali di buon andamento della P.A. art. 97 e di tutela del contribuente artt. 24 e 53 riconoscendo l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ufficio che portino a conoscenza del contribuente un pretesa fiscale definita. Alla luce di quanto precede, si deve riconoscere l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario ogni volta che vi sia un collegamento tra atti della P.A. e rapporto tributario , nel senso che tali atti devono incidere su quest’ultimo, dovendosi riconoscere una interpretazione non solo estensiva ma analogica degli atti di cui al citato art. 19. Infine, la S.C. fissa qualche limite ponendo in evidenza che l’emissione della cartella di pagamento integra una pretesa tributaria nuova rispetto a quella originaria con la conseguenza che la comunicazione bonaria segue le sorti del processo instaurato avverso la cartella di pagamento, per cui l’annullamento della cartella comporta, in automatico, la caducazione della comunicazione di irregolarità.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 23 febbraio – 11 maggio 2012, numero 7344 Presidente Adamo – Relatore Chindemi Fatto Con sentenze numero 20/18/2010, depositata il 8.4.2010, numero 11/21/2010, depositata il 15.1.2010, numero 86/14/2010, depositata il 17.11.2010, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, confermava le decisioni delle rispettive Commissioni Tributarie Provinciali che avevano accolto il ricorso proposto dalla V. Banca , soc. coop. p.a. avverso le cartelle di pagamento con la quale I'Agenzia delle Entrate, chiedeva il versamento della differenza per Irap relativa agli anni 2003-2005 La Commissione Tributaria Regionale riteneva corretta l'applicazione dell'aliquota, a titolo di Irap, del 4,25%, in luogo di quella maggiorata del 5,25%, avendo l'art. 3, comma 1, I. numero 289/2002 disposto la sospensione delle maggiorazioni delle aliquote Irap, non trovando applicazione la sanatoria di cui all'art. 2, commi 22 e 23 L. 350/2003, sia con riferimento all'ambito temporale di applicazione, sia per non essere applicabile alla fattispecie in esame, avendo legittimamente la regione Veneto incrementato I'aliquota Irap, per il 2003, di un punto percentuale. Veniva dichiarato inammissibile anche il secondo subordinato motivo di appello dell'Agenzia, diretto a richiedere l'applicazione dell'aliquota Iva del 4,75%, in quanto tale pretesa tributaria non era contenuta nell'atto originariamente impugnato, cioè l'iscrizione a ruolo notificata alla società. Proponeva ricorso per cassazione, con riferimento alle citate sentenze, I'Agenzia delle Entrate deducendo, i seguenti motivi comuni a violazione o falsa applicazione dell'art. 16, comma 3, D.lgs 446/97 dell'art. 2 della legge Veneto numero 34/2002, dell'art. 3, primo comma lettera a della legge 289/2002, dell'art. 2, commi 21 e 22 L. numero 350/2003, in relazione all'art. 360, numero 3 c.p.c, ritenendo erronea la mancata applicazione della sanatoria, avendo la Regione Veneto illegittimamente disposto l'aumento percentuale di un punto dell'aliquota Irap per l'anno 2003, in mancanza di potere normativo in materia in forza della sentenza della Corte Costituzionale numero 381/2004 b violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 2 D.lgs 546/92, 112 c.p.c, 45 D.lgs 446/97, in relazione all'art. 360, numero 4 c.p.c., ritenendo dovuta, in via subordinata, quanto meno l'aliquota del 4,75%, prevista per gli istituti bancari dall'art. 45, comma 2, d.lgs 446/97. La società intimata si costituiva nei giudizi di legittimità contestando perché inammissibili e, comunque, infondati i motivi di ricorso formulando, anche, con riferimento al ricorso numero 10 19729 numero 8 ricorso incidentale e deducendo, con riferimento al ricorso R.G. 11 17861 11 anche violazione e falsa applicazione degli artt. 1 comma 2 e 18, lett. e D.lgs 546/92, 112 c.p.c. in relazione all'art. 360, numero 4 c.p.c. lamentando il vizio di ultrapetizione in relazione alla affermata illegittimità della cartella esattoriale, non preceduta dalla notificazione di un avviso di accertamento trattandosi di questione non sollevata dalla banca ricorrente nel ricorso di primo grado. Con sentenza numero 64/18/2009, depositata il 5.11.2009 la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso numero 55/3/2007, dichiarava inammissibile l'originario ricorso proposto dalla V. Banca , soc.coop. p.a. avverso la comunicazione di irregolarità , ex art. 36 bis, comma 3, d.p.r. numero 600/73 con la quale I'Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale,chiedeva spiegazioni in merito al mancato versamento dell'importo di € 871. 282 a titolo di Irap per il periodo di imposta 2003, proponendone il recupero a tassazione con l'aggiunta degli interessi e delle sanzioni. La sentenza di primo grado aveva, invece, ritenuto l'impugnabilità del citato provvedimento, diretto ad accertare la sussistenza e l'entità di un debito tributario, accogliendo il ricorso della società contribuente, ritenendo non dovuta la maggiorazione di un punto, richiesta dall'ufficio, dal 4,25% al 5,25%, con riferimento all'lrap 2003. Rilevava la Commissione Tributaria Regionale l'inammissibilità del ricorso avverso la comunicazione di irregolarità, ritenuta priva di valenza impositiva che non conteneva alcuna intimazione e termine di pagamento, né il termine per l'impugnativa. La V. Banca , soc. coop. p.a. impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, una prima volta con atto notificato all' Agenzia delle Entrate presso l'Avvocatura Generale dello Stato in Roma, e una seconda volta, ritenuta l'erroneità di tale prima notifica, in sostituzione del precedente ricorso, alla Agenzia delle Entrate, presso la sede di Roma. In entrambi i ricorsi deduceva i seguenti motivi a violazione e falsa applicazione dell'articolo 19 del decreto legislativo numero 546/1992 art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c. per avere ritenuto la non impugnabilità della comunicazione di irregolarità, non essendo tassativa L’elencazione degli atti impugnabili di cui all'articolo 19 del D.lgs 546/92 e contenendo il provvedimento una compiuta e non condizionata pretesa tributaria b in via subordinata lamentava I'insufficiente motivazione della sentenza art. 360, comma 1, numero 5, c.p.c. per aver dato rilevanza a aspetti formali, ininfluenti, tralasciando quelli sostanziali, gli unici ad essere determinanti, riproponendo i motivi di merito già formulati davanti alla Commissione Tributaria regionale dai quali si desume che l'aliquota Iva applicabili alle banche per il periodo di imposta 2003 era, per la Regione Veneto, pari al 4,25% per effetto della sospensione degli incrementi delle maggiorazioni delle aliquote Iva disposte dall'art. 3, comma 1, lett. a e L. 389/2002 . Si è costituita, in entrambi i giudizi, I'Agenzia delle Entrate. Con riferimento al primo ricorso, ha preso atto della rinuncia, chiedendo la declaratoria di estinzione del processo, con riferimento al secondo ricorso deduceva, in via gradata a l'inammissibilità della seconda impugnazione, non essendo il primo ricorso affetto da un vizio di inammissibilità o improcedibilità, essendo la notifica eseguita presso l'Avvocatura Generale dello Stato solo nulla e, comunque, sanata dalla costituzione in giudizio dell' Agenzia delle Entrate b inammissibilità dell'impugnazione essendo stata emessa, nelle more, cartella di pagamento con riferimento alla medesima pretesa, anch'essa impugnata dalla società contribuente c in ulteriore subordine rigetto del ricorso ritenendo corretta la decisione della Commissione Tributaria regionale. La società contribuente produceva memorie. I ricorsi sono stati discussi alla pubblica udienza del 23.2.2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe. Motivi della decisione Preliminarmente occorre riunire tutti i ricorsi. Quelli numero R.G. 10 3380 numero 6 e R.G. 10 6264 numero 7 perché proposti contro la stessa sentenza, in applicazione dell'art. 335 del codice di procedura civile, il quale prescrive che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite, anche d'ufficio, in uno solo processo e, tutti, trattandosi di cause connesse che possono essere riunite ai sensi dell'art. 274 c.p.c., stesse parti, stesse questioni di fatto e di diritto e che vanno riunite al fine prevenire il rischio di contrasto sostanziale di giudicati, posto che la riunione non comporta alcun ritardo nella trattazione. 1 Vanno, preliminarmente esaminate le questioni preliminari non assorbite. Devono essere disattesi i motivi di ricorso della Banca avente ad oggetto genericità, mancanza o incompleta esposizione dei fatti e mancanza di autosufficienza dei ricorsi risultando una chiara e sufficiente esposizione da parte dell'Agenzia delle Entrate dei fatti anche con riferimento alle norme di legge asseritamente violate. In relazione al ricorso R.G. 11 17861 11 va osservato che la sentenza impugnata ha fondato il rigetto del ricorso su due ordini di motivi concorrenti e, quindi, autonomi e disgiunti l'uno dall'altro. Il primo motivo concerne la illegittimità della cartella esattoriale per non essere stata l'iscrizione a ruolo della differenza di imposta Irap preceduta dalla notificazione di un avviso di accertamento, mentre I'altro motivo si incentra sull'infondatezza della pretesa sostanziale dell'Amministrazione. La sentenza impugnata è affetta da ultra petizione con riferimento al primo motivo, trattandosi di questione mai sollevata dalla banca ricorrente nel ricorso di primo grado, con rilievo eccepito dalla Agenzia delle Entrate nei motivi di ricorso, ribadito nella successiva memoria. Deve ritenersi, tuttavia, ammissibile la motivazione che si fonda su due autonome rationes decidendi, con distinte argomentazioni sufficienti a sorreggere la decisione del giudice di merito, il quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea Sez. 3, Sentenza numero 6045 del 12/03/2010 Rv. 612032 Cass. 7.11.2005, numero 21490 L'accoglimento del motivo di ricorso dell'Ufficio in ordine al vizio di ultra petizione implica che la ritenuta infondatezza del ricorso in appello non può fondarsi su tale motivo, trattandosi di questione mai sollevata in giudizio ma non esime questa Corte dal valutare anche i motivi concernenti la rilevata infondatezza della pretesa sostanziale dell'Amministrazione, motivo ulteriore su cui la Commissione tributaria regionale ha, anche, fondato il rigetto del ricorso dell'Agenzia delle entrate. Infatti la fondatezza del motivo dedotto con riferimento a una sola delle rationes decidendi non porta alla cassazione della sentenza ove la seconda argomentazione, oggetto anch'essa di impugnazione da parte dell'Ufficio, dovesse risultare sufficiente a mantenere ferma la sentenza 2 In ordine logico vanno trattati i ricorsi numero R.G. 10 19729 8 R.G. 11 4458 9 R.G. 11 4922 10 , e R.G.17861 11 È infondato il motivo di ricorso dell' Agenzia delle Entrate che ritiene la maggiorazione dell'aliquota Irap non conforme ai poteri attribuiti alle Regioni dalla normativa statale, con conseguente sanatoria della sospensione della maggiorazione prevista per l'anno 2003 e applicazione della maggiore aliquota Irap del 5,25%. Ai sensi dell'art. 16, comma 3, D.lgs 446/2007, le Regioni hanno facoltà di variare l'aliquota Irap del 4,25% fino a un punto percentuale tale facoltà è stata esercitata dalla regione Veneto con la legge 22 novembre 2002, numero 34, art. 2, che ha incrementato l'aliquota Iva applicabile alle banche e società finanziarie per l'anno 2003 di un punto percentuale aumentando dal 4,25% al 5,25%. L'efficacia di tale norma è stata sospesa, per effetto dell'art. 3, comma 1, lettera a I. 289/2002. La regione Veneto ha impugnato alle normativa davanti alla Corte Costituzionale ritenendo che la sospensione citata fosse in contrasto con l'autonomia finanziaria riconosciuta alle Regioni. La Consulta, con la sentenza numero 381/2004, ha dichiarare infondata la questione rilevando che è vero che la norma impugnata dell'art. 3, comma 1, lettera a , sospende il potere delle Regioni di utilizzare uno spazio di autonomia nel prelievo tributario, che la legge statale loro riconosceva. Ma tale misura risulta giustificabile, sul piano della legittimità costituzionale, in base alla considerazione che essa si traduce in una temporanea e provvisoria sospensione dell'esercizio del potere regionale in attesa di un complessivo ridisegno dell'autonomia tributaria delle Regioni, nel quadro dell'attuazione del nuovo art. 119 Cost., nonché di una manovra che investe la struttura di un tributo indubitabilmente statale, quale è l'IRPEF, destinato, nella prospettiva del legislatore statale, a modificazioni profonde, nonché di un tributo, come l'IRAP, che resta un tributo istituito e tuttora disciplinato dalla legge dello Stato. Veniva, con tale sentenza, implicitamente ribadita la legittimità costituzionale della sospensione degli incrementi delle aliquote Irap per l'anno 2003, poi prorogata al 2004 art. 2, comma 21, I. 350/2003 , sospensione non ritenuta illegittima dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza numero 381/2004, e poi prorogata fino al 2006 con le successive leggi finanziarie. Non trova applicazione,alla fattispecie in esame, il successivo comma 22 della I. numero 350/2003 che prevede nelle regioni che hanno emanato disposizioni legislative in tema di tassa automobilistica e di Irap in modo non conforme ai poteri ad essi attribuiti in materia dalla normativa statale, l'applicazione della tassa opera, a decorrere dalla data di entrata in vigore di tali disposizioni legislative e fino al periodo d'imposta decorrente dal 1 gennaio 2010 . Ancorché tale comma appaia non chiara, citando nella prima parte le 'disposizioni legislative in tema di tassa automobilistica e di Irap e successivamente parlando di applicazione della tassa , non può ritenersi che l'ambito oggettivo di applicazione della sanatoria sia limitato solamente alla tassa automobilistica, non potendo considerarsi un mero refuso il riferimento anche all'lrap,contenuto nel primo alinea della norma, dovendosi invece ritenersi che il legislatore abbia usato il termine tassa in modo atecnico , come sinonimo di tributo . La citata sentenza della Corte Costituzionale, ha ritenuto che la sospensione , proprio con riferimento al ricorso proposto dalla Regione Veneto, fosse efficace e legittimamente disposta non essendo contrastante con i poteri attribuiti alle Regioni dal legislatore statale, per gli anni 2003 e 2004, avendo, sia pure implicitamente, ritenuto ininfluente al riguardo, la citata sanatoria con riferimento alla sospensione degli incrementi dell'lrap. L'art. 1, comma 61 della I. numero 311/2004 e l'art. 1, comma 165 I. 266/2005 hanno ulteriormente prolungato la sospensione delle maggiorazioni delle aliquote Irap fino al 31 dicembre 2006, chiarendo, con norma ricognitiva, l'art. 1, comma 61, I. 311/2004 che la sanatoria cui all'articolo due, comma 22, L.numero 350/2003 salvo quanto disposto dal comma 175 , non opera con riferimento alle maggiorazioni delle aliquote Irap. La deroga di cui al citato comma 175 opera, ma solo a decorrere dal 1 gennaio 2005, a favore delle Regioni che dovevano coprire i disavanzi finanziari, tra cui anche la Regione Veneto, ma non ha efficacia retroattiva e non concerne, quindi, l'anno 2003 in contestazione. 3 Infondato è anche il motivo di ricorso finalizzato a richiedere l'applicazione dell' aliquota 'Irap del 4,75%,prevista per gli istituti bancari dall'art. 45, comma 2, d.lgs 446/97, pretesa non contenuta nell'atto impugnato e che, configura, quindi, domanda nuova. Ancorché il giudizio tributario sia un giudizio di impugnazione-merito e non già di impugnazione-annullamento e, pertanto, il giudice investito della cognizione, non solo dell'atto, ma anche del rapporto non viola la regola dell'articolo 112 c.p.c. ove riconosca fondata la pretesa erariale in limiti minori, purché sia comunque ricompresa e riconducibile nell'ambito di quella oggetto dell'atto impugnato. Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate ha fondato le cartelle di pagamento sull'art. 2 della legge regionale Veneto numero 34/2002 e sull'art. 2, comma 22, I. numero 350/2003, mentre con la domanda subordinata chiede l'applicazione dell'aliquota minore del 4,75% in forza di leggi diverse art. 3, comma 1, letta I. 289/2002 e art. 45 D.lgs 446/1997 modificando il presupposto sostanziale, di fatto e di diritto della pretesa impositiva, sostituendo, in giudizio, peraltro in via subordinata, la stessa causale dell'atto impositivo. Tale modifica deve ritenersi inammissibile in quanto i poteri di accertamento del rapporto tributario spettanti al giudice tributario sono circoscritti ai presupposti di fatto e diritto indicati nell'atto impositivo e alla verifica della legittimità della pretesa avanzata dall'ufficio nell'atto impugnato, essendo illegittimo l'ampliamento del thema decidendum della controversia rispetto al limite fissato dall'atto impositivo dell'Ufficio che non può richiedere giudizialmente l'accertamento di pretese diverse da quelle avanzate nell'atto impugnato, verificandosi altrimenti di una modifica surrettizia della motivazione dell'atto impositivo, comunque vietata, anche con riferimento all'art. 23 del D.lgs 546/92, in tema di controdeduzioni della parte resistente, potendo ufficio solamente difendere la legittimità dell'atto impugnato, senza modificare, nel corso del giudizio, la pretesa impositiva originariamente azionata. 4 Con riferimento ai ricorsi riuniti numero R.G. 10 3380 numero 6 e R.G. 10 6264 numero 7 1 In ordine logico va esaminata la questione relativa alla inammissibilità del secondo ricorso per cassazione proposto dalla V. Banca , soc. coop. p.a. in sostituzione del primo, asseritamente affetto da nullità della notifica. Il motivo è infondato. Soltanto il ricorso per cassazione dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge art. 387 c.p.c. Non rileva, invece, ai fini della consumazione del diritto all'impugnazione la valutazione delle parti in ordine alla eventuale declaratoria di inammissibilità o improcedibilità, essendo rilevante la sola declaratoria emessa con provvedimento della Suprema Corte. Il principio di consumazione dell'impugnazione è da interpretare in senso restrittivo, evitando formalismi rigoristici, in conformità ai criteri costituzionali del giusto processo, diretti a rimuovere gli ostacoli alla compiuta realizzazione del diritto di difesa, e quindi a ridurre le ipotesi d'inammissibilità, escludendola ogniqualvolta non sia comminata espressamente dalla legge, come non lo è nel caso del secondo ricorso proposto, in termini, contro un atto impositivo fiscale, o, comunque, ritenuto tale, dopo avere rinunziato esplicitamente al primo. Il suddetto criterio rigoristico deve essere seguito nel processo tributario che, dovendo essere introdotto attraverso un meccanismo impugnatorio di determinati atti impositivi, da esercitarsi entro brevissimi termini di decadenza, già comporta, rispetto al modello classico del processo civile, una notevole compressione delle garanzie costituzionali. Il principio di consumazione dell'impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo ricorso per cassazione, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva, dovendo la tempestività valutarsi, anche in caso di mancata notificazione della sentenza di secondo grado, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante cfr Sez. 3, Sentenza numero 22957 del 12/11/2010 Rv. 615533, Sez. 3, Sentenza numero 5053 del 03/03/2009 Rv. 606865 . La validità del principio è implicitamente desumibile dall'art. 164 c.p.c. che prevede la possibilità, anche nell'ipotesi in cui l'attore si sia già costituito, di rinnovare la citazione nulla, previsione estensibile a qualunque atto instaurativo di giudizio e quindi anche al ricorso per cassazione nel giudizio tributario, dovendosi, pertanto, ritenere che la proposizione del ricorso non consuma il potere di ricorrere, purché nei termini prescritti, non influendo sull'inoppugnabilità dell'atto amministrativo, che non interviene in seguito alla proposizione del ricorso, ma solo in seguito alla scadenza del termine per ricorrere. La parte, ove ancora nei termini della impugnazione, può, quindi, sostituire il primo ricorso per cassazione con un secondo ricorso, non solo non viziato, ma, eventualmente, anche più ricco sotto il profilo motivazionale, purché, nelle more dell'impugnazione, non sua stato pronunciata inammissibilità o improcedibilità del primo ricorso. Nel caso di specie i due ricorsi sono simili, proponendo le medesime questioni. Va, quindi, dichiarata la validità del secondo ricorso in quanto al momento della notifica di tale ricorso non era stata emessa alcuna dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità del primo ricorso il secondo ricorso è stato notificato entro il termine breve di 60 giorni, ex art. 325, comma 2, c.p.c. dalla notifica del primo ricorso, avvenuta in data 9 febbraio 2010 e, comunque, entro il termine lungo di impugnazione, ex art. 327 c.p.c, decorrente dalla data del deposito della sentenza impugnata, avvenuto in data 5 novembre 2009. 5 Il primo motivo di ricorso della V. Banca , soc. coop. p.a. è fondato ed è assorbente degli altri. L'elencazione degli atti impugnabili davanti al giudice tributario, di cui all'art. 19 del D.Lgs. numero 546 del 1992, non esclude l'impugnabilità di atti non compresi in tale novero ma contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa Tributaria Cass 8.10.2007, numero 21045 Va, al riguardo, operata una precisazione nel senso che l'elencazione degli atti impugnabili , contenuta nell'art. 19 d.lgs. numero 546 del 1992, tenuto conto dell'allargamento della giurisdizione Tributaria operato con la legge numero 448 del 2001, deve essere interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della P.A. art. 97 Cost. e di tutela del contribuente art. 24 e 53 Cost. , riconoscendo la impugnabilità davanti al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall'ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa Tributaria, con l'esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 citato. L’aver consentito l'accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi, comporta la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta la Amministrazione manifesti anche attraverso la procedura del silenzio-rigetto la convinzione che il rapporto tributario o relativo a sanzioni tributarie debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare in assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita non sussisterebbe l'interesse del ricorrente ad agire in giudizio ex art. 100 c.p.c. Cass. SS.UU.,10.8. 2005, numero 16676 . Va, quindi, riconosciuta la possibilità di ricorrere alla tutela del giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche che la sorreggono, porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa Tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 cit. atteso l'indubbio sorgere in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione di quella notizia, dell'interesse art. 100 c.p.c. a chiarire, con pronuncia idonea ad acquistare effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale - ormai, allo stato, esclusiva del giudice tributario -comunque di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico Cass., SS.UU., 27.3.2007 numero 7388 Si deve, quindi, riconoscere la ricorribilità di provvedimenti davanti al giudice tributario ogni qual volta vi sia un collegamento tra atti della Amministrazione e rapporto tributario, nel senso che tali provvedimenti devono essere idonei ad incidere sul rapporto tributario, dovendosi ritenere possibile una interpretazione non solo estensiva ed anche analogica della categoria degli atti impugnabili previsti dall'art. 19 D.Igs 546/92. Costituisce, ormai, principio affermato che con l'art. 12, comma 2, della L. 28 dicembre 2001, numero 448 secondo cui appartengono alla giurisdizione Tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie la giurisdizione Tributaria è divenuta - nell'ambito suo proprio - una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qual volta si controverta di uno specifico rapporto tributario, o di sanzioni inflitte da uffici tributari. Di conseguenza, è stato modificato l'art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, numero 546, in quanto il contribuente può rivolgersi al giudice tributario ogni qua! volta abbia interesse a contestare art. 100 del codice di procedura civile la convinzione espressa dall'Amministrazione in ordine alla disciplina del rapporto tributario. Pertanto, nonostante l'elencazione tassativa degli atti impugnabili, contenuta nell'art. 19 del D.Lgs. numero 546 del 1992, il contribuente può impugnare anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco, purché espressione di una compiuta pretesa Tributaria. La mancata ricorribilità di tali atti davanti al giudice tributario comporterebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli artt. 24 e 113 Cost. perché il carattere esclusivo della giurisdizione Tributaria non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione Cass., SS.UU., 27. 3.2007, numero 7388 Cass. SS.UU. ord. numero 13793/2004 Pertanto anche la comunicazione di irregolarità , ex art. 36 bis, comma 3, d.p.r. numero 600/73 che ha tali caratteristiche, portando a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta, è immediatamente impugnabile. 6 Nelle more del giudizio, è, tuttavia, stata emessa cartella di pagamento con riferimento alla medesima pretesa di cui alla comunicazione di irregolarità , ex art. 36 bis, comma 3, d.p.r. numero 600/73, annullata dalle Commissioni tributarie provinciali e regionali chiamate a pronunciarsi al riguardo, con sentenze confermate da questa Corte nelle cause riunite numero R.G. 10 19729 8 R.G. 11 4458 9 R.G. 11 4922 10 R.G. 11 17861 11 , oggetto del presente giudizio. Le citate cartelle sostituiscono la precedente comunicazione di irregolarità e va, quindi, dichiarata la carenza di interesse delle parti relativamente al primo atto di natura impositivo impugnato comunicazione di irregolarità , essendosi, peraltro, formato il giudicato, con la presente sentenza, in ordine alla medesima pretesa tributaria avanzata dalla Amministrazione finanziaria con le cartelle di pagamento impugnate, in sostituzione della comunicazione di irregolarità. L'emissione della cartella di pagamento integra una pretesa Tributaria nuova rispetto a quella originaria che sostituisce l'atto precedente e ne provoca la caducazione d'ufficio, con la conseguenza carenza di interesse delle parti nel giudizio avente a oggetto il relativo rapporto sostanziale, venendo meno l'interesse a una decisione relativa a un atto - comunicazione di irregolarità -sulla cui base non possono essere più avanzate pretese tributarie di alcun genere, dovendosi avere riguardo unicamente alla cartella di pagamento che lo ha sostituito integralmente. Le ulteriori questioni degli altri ricorsi riuniti rimangono assorbite. Stante la particolarità delle questioni principali vanno compensate le spese di lite dell'intero giudizio. P.Q.M. Riunito al presente ricorso i ricorsi numero R.G. 6264/2010, numero 19729/2010, numero 4458/2011, numero 4922/2011, numero 17861/2011, rigetta i ricorsi numero R.G. 19729/10, Rg 4458/11, R.G. 4922/11, RG 17861/2011. Accoglie i ricorsi R.G. 10 3380 numero 6 e R.G. 10 6264 numero 7 e cassa senza rinvio l'impugnata sentenza. Dichiara compensate le spese dell'intero giudizio.