Il comportamento anti-economico del contribuente giustifica la pretesa erariale

Ok della Cassazione all’accertamento analitico-induttivo in presenza di comportamento anti-economico che il contribuente non è in grado di giustificare.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 26167 depositata il 6 dicembre 2011, ha statuito che l'amministrazione finanziaria può legittimamente rettificare il comportamento anti-economico del contribuente non in grado di fornire idonee giustificazioni riguardo le proprie scelte. Tale potere non consente, tuttavia, all'ufficio di applicare percentuali di ricarico senza tener conto dell'effettiva realtà aziendale del contribuente. Il caso. La Cassazione ha confermato l’operato dei giudici di merito tributari che avevano ritenuto legittimo un accertamento analitico-induttivo, effettuato dal Fisco nei confronti di una società in considerazione della condotta anti-economica dalla stessa posta in essere infatti, la contribuente aveva presentato delle dichiarazioni IVA che evidenziavano per diversi periodi di imposta, delle perdite costanti ed un volume di acquisti di beni sempre superiore al fatturato dalla stessa conseguito. Sia la commissione provinciale, sia la regionale, hanno confermato l'operato dell'ufficio ritenendo legittimo l'accertamento in presenza di una condotta palesemente anti-economica della società. Nel caso di specie, l’accertamento analitico-induttivo consisteva nell’applicazione di una percentuale di ricarico agli acquisti effettuati dalla società, relativa al settore di appartenenza, e determinata nella misura del l'85% sulla base delle tabelle allegate al Dl 853/1984 la cosiddetta legge Visentini peraltro diminuita, pro contribuente il ricarico previsto dalla norma infatti era del 122% . Comportamento antieconomico? Sì all’accertamento analitico-induttivo. In particolare ,il ragionamento del giudice di legittimità ha evidenziato i seguenti capisaldi Il comportamento anti-economico della società giustifica di per sé l'accertamento analitico-induttivo dei ricavi da parte dell'amministrazione finanziaria la presenza di scritture contabili formalmente regolari non preclude all'amministrazione di procedere all'accertamento analitico-induttivo dei ricavi nei confronti dell'imprenditore che abbia posto in essere un comportamento palesemente anti-economico. Inoltre, grava sull'imprenditore l'onere di provare e motivare le scelte non in linea con i canoni dell'economicità il giudice di merito, chiamato a verificare la regolarità della scelta operata dall'ufficio nel ricarico, deve tener conto delle critiche svolte dal contribuente, dei canoni di coerenza logica e congruità , nonché della natura dei beni e della rilevanza dei campioni selezionati. A nulla rileva, poi, un semplice abbattimento forfetario rispetto a una percentuale prevista da una norma, peraltro, non applicabile nella specie. Il contribuente deve fornire una giustificazione razionale del comportamento antieconomico adottato. Si configura ipotesi di operazione antieconomica quando il contribuente assume un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia e non spieghi in alcun modo le ragioni sottostanti a tale comportamento .Per valutare la congruenza sostanziale delle scritture contabili ci si deve rifare alla regola che ispira chiunque svolga un'attività economica che è quella della massimizzazione del profitto. Pertanto alla presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso ed in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che l'incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si nasconda una diversa realtà. Il principio che il contribuente, che abbia adottato un comportamento antieconomico, deve fornire una giustificazione razionale della sua scelta trova conferma nel tenore dell'art. 37 bis del DPR 600/73, introdotto dal d.lgs. 358/97, tendente alla repressione di comportamenti elusivi secondo il quale sono, tra l'altro, inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti ed i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario . Inoltre, l'onere imposto al contribuente di motivare le scelte che non sono in linea con i criteri di gestione economica della propria attività e che quindi appaiono incomprensibili in base ai normali criteri di valutazione è reciproco e simmetrico all'obbligo di motivazione degli atti che grava sull'amministrazione finanziaria art. 7 l. numero 212/2000, Statuto del contribuente . Addirittura nello stesso Statuto viene sancito art. 10 per il futuro il principio della collaborazione e della buona fede nei rapporti tra contribuente ed amministrazione, per cui ancora di più, le eventuali reticenze potranno assumere valore indiziante. Inoltre , in mancanza di documentate spiegazioni, è sicuramente irragionevole da un punto di vista economico il comportamento, di un operatore economico che per più anni dichiari perdite nella propria attività in presenza di costi sicuramente sproporzionati rispetto ai ricavi ottenuti. Perciò, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia che il contribuente non spieghi in alcun modo, o che non giustifichi in maniera non convincente, è legittimo l'accertamento induttivo ai sensi dell'art. 39, comma 1 lett. d d.p.r. numero 600/73. Sebbene, il comportamento antieconomico sia, di per sé, del tutto legittimo e non necessariamente patologico in quanto può essere una diretta conseguenza della libera autonomia dell’attività di impresa, se esso sottende un’evidente anomalia nell’azione del contribuente in grado di celare una grave irregolarità nelle operazioni svolte e quindi nell’imponibile indicato nella dichiarazione dei redditi, allora tale comportamento è da ritenersi contrario alla legge. Difatti, in tal caso risulta legittimo il ricorso all’accertamento induttivo Cass. numero 11645 e numero 6337 cit. e Cass 9 febbraio 2001, numero 1821 . In presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l'accertamento ai sensi dell'art. 39 e 40 d.p.r. numero numero 600/73 Qualora in presenza di contabilità inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza e dall'andamento generale dell'azienda desunto dalla contabilità, l'onere della prova si sposta sul contribuente. L’Ufficio può dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi CTR Lazio sent. numero 402/2011 . Il d.p.r. numero 600/1973, art. 39, comma 1, lett. d , consente l'accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza - ad esempio in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico Cass. numero 7487/2002 e numero 24532/2007 . L'accertamento induttivo si giustifica anche nel caso in cui le scritture contabili siano formalmente corrette, se nel complesso rileva un comportamento irragionevole e antieconomico. Cass., sent. numero 11154/2010 . Massimo risultato al minimo mezzo, in contrasto con le scelte del buon senso? Il sindacato dell'Amministrazione finanziaria circa il comportamento antieconomico del contribuente non trova limiti nella disposizione relativa alla libertà di iniziativa privata art. 41 Cost. . Una condotta non ispirata ai normali criteri di economicità dell'imprenditore principio del massimo risultato e del minimo mezzo , in contrasto con le scelte del buon senso e prive di razionale motivazione può assumere valenza di indizio fornito dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che legittimano il disconoscimento della deducibilità dei costi, avuto riguardo al parametro del valore normale che costituisce punto di riferimento nella valutazione fiscale delle cessioni di beni e prestazioni di servizi. Né a tale giudizio di congruità il contribuente si sottrae attraverso la regolare tenuta delle scritture contabili. L'Amministrazione finanziaria è legittimata ad escludere taluni componenti negativi di reddito dal novero dei costi deducibili dal reddito imponibile allorquando, avuto riguardo alle peculiarità dello svolgimento della concreta attività d'impresa del contribuente, detti oneri presentino caratteri di incongruità tali che il relativo sostenimento si palesa manifestamente irrazionale ed antieconomico. Il comportamento antieconomico è elemento indiziario da cui è consentito dedurre l'esistenza di un reddito occultato. Questo, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette di conseguenza, incombe sul contribuente, il quale voglia contestare tale determinazione, documentare il proprio assunto e fornire una giustificazione razionale ed analitica delle proprie scelte dando adeguata ragione delle singole operazioni giudicate antieconomiche. CTR Lazio, sent. numero 115/2007 . L'Amministrazione finanziaria può procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi d'impresa del contribuente - facendo ricorso al metodo analitico induttivo - anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, dimostrando l'inesattezza o l'incompletezza di una o più poste. La rettifica è legittimata dall'esistenza di un comportamento manifestatamente antieconomico che determina l'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente. Onere della prova a carico del contribuente L'accertamento è legittimo in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente ex plurimis , Cass., numero 11645 2001 numero 13995/2002 . L'Amministrazione finanziaria può rettificare la dichiarazione dei redditi d'impresa del contribuente anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, dimostrando secondo il c.d. metodo analitico-induttivo l'inesattezza o l'incompletezza di una o più poste, mediante i dati forniti dal contribuente o mediante presunzioni semplici, gravi o precise e concordanti, desunte da dati di comune esperienza, anche secondo regole fondamentali di buon senso e ragionevolezza. l'Ufficio è tenuto a provare quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte. La regola alla quale si ispira chiunque svolga una attività economica è quella di ridurre i costi, a parità di tutte le altre condizioni, e pertanto in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso ed in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà, con il conseguente onere di colui che ha posto in essere un comportamento antieconomico di fornire una giustificazione razionale della propria scelta, che d'altra parte appare essere il simmetrico od il reciproco all'obbligo di motivazione degli atti che grava sull'amministrazione finanziaria Cass. civ. Sez. V, numero 1821/2001 In punto di prova, la presunzione che assiste l'operato degli accertatori è legale, nel senso che null'altro l'Ufficio è tenuto a provare se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, gravando sul contribuente l'onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse Cass. 18 maggio 2007 numero 11599, Cass. civ. Sez. V, Ord., 02-02-2011, numero 2484 Nel giudizio tributario, una volta contestata dall'erario l'antieconomicità di un'operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea Cass. 23 marzo 2007 numero 7144.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 6 luglio - 6 dicembre 2011, n. 26167 Presidente Adamo – Relatore Terrusi Svolgimento del processo L'ufficio Iva di Latina notificò alla s.r.l. Ideai Arredo due avvisi di rettifica delle dichiarazioni iva rispettivamente attinenti agli anni 1994 e 1995. Accertò, invero, minori crediti d'imposta per entrambi gli anni. La società propose dapprima ricorso alla commissione tributaria provinciale di Latina e quindi appello contro la relativa decisione di rigetto. Anche l'appello venne respinto dalla commissione tributaria regionale del Lazio, la quale considerò che l'ufficio aveva accertato la costante dichiarazione - dal 1989 al 1994 - di un volume d'affari di molto inferiore agli acquisti, e che solo nel 1995 la società aveva applicato al costo del venduto una modestissima percentuale di ricarico 5,4357 % , determinativa di un volume d'affari non riconducibile ad alcun criterio di razionalità imprenditoriale. Considerò che una tale anomala situazione era emersa dai dati esposti nei bilanci, confrontati con quelli evinti dalle dichiarazioni, e ritenne pertanto assolto, negli indicati profili, l'onere probatorio incombente sull'amministrazione finanziaria. Di contro soggiunse che, relativamente alle notevoli discrepanze emerse tra il volume d'affari asseritamente realizzato e il costo del venduto, le argomentazioni della società - intese a riferire il dato all'attuazione di una politica di sconti, nel tentativo di risanare una gestione in perdita - erano state giustamente ritenute inidonee dai primi giudici a giustificare la sproporzione riscontrata, al riguardo invocando l'insegnamento di questa Corte, secondo cui, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni di economia, è legittimo l'accertamento previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, corrispondente alla modalità analitico - induttiva di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 ove il contribuente non ne spieghi in alcun modo, o non giustifichi in maniera convincente, la ragione. In tal senso ritenne la commissione, appunto, non convincenti e non plausibili le giustificazioni rese dalla società. Infine considerò a che, contrariamente a guanto affermato nei motivi di gravame, l'accertamento non poteva ritenersi contrastante con la disposizione contenuta nel D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies , essendo comunque consentita la rettifica su base presuntiva dinanzi a gravi incongruenze tra i dati dichiarati e i dati desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni dell'attività svolta b che la percentuale di ricarico era stata determinata ai sensi del D.L. 19 dicembre 1984 n. 853 , con riguardo al settore di appartenenza dell'attività commerciale, ed era stata applicata in misura inferiore, e dunque più favorevole al contribuente, pari all'85 %, rispetto a uno standard del 122 %. Contro questa sentenza, resa pubblica il 29 giugno 2005, la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi. Il ministero dell'economia e finanze e l'agenzia delle entrate hanno resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. - Va dichiarata l'inammissibilità del ricorso a misura del coinvolgimento del Ministero dell'economia e delle finanze, che non fu parte degli antecedenti gradi di merito ed essendo, difatti, l'agenzia delle entrate, alla data in cui fu pronunciata la sentenza d'appello, unica titolare dei poteri giuridici strumentali all'adempimento delle obbligazioni tributarie, in quanto successore a titolo particolare del Ministero in ordine a tali rapporti a decorrere dalla data relativa di operatività 1 gennaio 2001 con conseguente assunzione in via esclusiva della gestione del contenzioso e connessa spettanza dell'esercizio delle facoltà processuali in ordine all'impugnazione proposta in sede di legittimità per tutte, sez. un. 2006/3116 . La non ancora stabile giurisprudenza sul tema, con riguardo all'epoca di introduzione del presente giudizio, giustifica la compensazione delle spese nel rapporto con l'ente erroneamente evocato. 2. - Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, L. n. 241 del 1990, art. 3, e L. n. 212 del 2000, art. 7, per avere i giudici ritenuto motivato l'avviso di accertamento nonché omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia per non essersi i giudici espressi in relazione all'eccepito vizio di difetto di motivazione il tutto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Nella sostanza, si chiede alla Corte di stabilire se la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto legittima la motivazione dell'avviso di accertamento recante, ai fini della determinazione dell'imponibile, asserite considerazioni soltanto astratte, si sia posta in contrasto con le indicate previsioni di legge. Osserva il collegio che il motivo muove dall'affermazione che tanto in primo grado, quanto in appello, era stato eccepito, tra l'altro, un vizio di legittimità degli atti impositivi per difetto di motivazione. Ma tanto non risulta dall'impugnata sentenza. Consegue che, in quanto denunziante, nella prima parte, un errore di diritto art. 360 c.p.c., n. 3 , e, nella seconda, un'omissione di pronuncia, il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non risultando dalla sentenza - nè essendo trascritto nel ricorso - un motivo specifico di opposizione in tal senso svolto contro l'atto impositivo e - soprattutto - un conforme motivo d'appello della società contro la pronuncia di primo grado. 3. - Il secondo e il sesto motivo possono essere congiuntamente esaminati in quanto connessi nel riferimento al presupposto della operata rettifica del volume d'affari con metodo induttivo, e della ripartizione dell'onere probatorio afferente. Nello specifico la società - richiamando l'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, - denunzia, col secondo motivo, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies , per avere il giudice tributario ritenuto applicabile un metodo di accertamento presuntivo sebbene in mancanza dei relativi presupposti. Sostiene che l'accertamento con metodo presuntivo non può ritenersi giustificato dalla semplice affermazione circa l'antieconomicità delle scelte imprenditoriali. Denunzia altresì, nel contesto del medesimo motivo, 1 una insufficiente motivazione della sentenza, stante che questa si sarebbe limitata ad affermare - genericamente l'antieconomicità dell'attività svolta senza spiegare la ragione per cui la specifica realtà aziendale, come descritta e documentata negli atti processuali, dovesse ritenersi invece irrilevante e 2 una omessa pronuncia in merito alla eccepita contraddittorietà della stessa sentenza di primo grado sull'anzidetto profilo di illegittimità. Col sesto motivo, la ricorrente - in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, - censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., e dell'art. 115 c.p.c., sostenendo che, nei termini sopra esposti, valorizzando cioè, a presupposto della rettifica, la sola generica affermazione di antieconomicità dell'azione imprenditoriale, essa avrebbe di fatto invertito il principio dell'onere probatorio, fondando la decisione su un' inesistente presunzione di legittimità degli atti emessi dall'amministrazione finanziaria avrebbe inoltre reso la decisione facendo riferimento a documenti non citati, nè prodotti dall'ufficio. 4. - Le censure consegnate ai suddetti due motivi sono in parte inammissibili e in parte infondate. A Inammissibili si rivelano 1 la censura di omessa pronuncia di cui all'ultima parte del secondo motivo, in guanto riferita a una statuizione circa l'asserita contraddittorietà della sentenza di primo grado non richiesta al giudice d'appello, cui è invece demandato - nei limiti della devoluzione involta dai motivi di gravame - di decidere la regiudicanda in funzione interamente sostitutiva rispetto alla prima sentenza 2 la seconda censura di cui al sesto motivo, allusiva di una decisione resa con riferimento a documenti non citati, né prodotti, perché intesa a sollecitare un sindacato di fatto circa la valutazione del materiale probatorio. B Infondate sono le restanti censure, di cui ai soprascritti motivi, per le considerazioni appresso indicate. La giurisprudenza è da tempo orientata a sostegno dell'affermazione che, a fronte di condotte aziendali che risultano in netto contrasto con le leggi del mercato, compete all'imprenditore dimostrare, in modo specifico, che la differenza negativa tra costi di acquisto e prezzi di rivendita, emersa dalle scritture contabili, non è dovuta all'occultamento di corrispettivi, ma trova valide ragioni economiche che la giustificano ex pluribus , Cass. n. 8068/2010 n. 11242/2011 . La circostanza, invero, che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell'imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonché una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell'erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, cui corrisponde, in materia di Iva, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate v. Cass. n. 21536/2007, nonché, da ultimo, quanto all'omologa affermazione di presunta esistenza di proventi non dichiarati, correttamente desunta dall'anomalia contabile costituita dal disavanzo di cassa, Cass. n. 11987/2011 n. 24509/2009 n. 27585/2008 . In questo senso, la presenza di scritture contabili formalmente regolari non preclude all'amministrazione finanziaria di procedere, legittimamente, all'accertamento analitico induttivo dei ricavi o del reddito d'impresa dichiarati da un contribuente che, nel corso dell'esercizio controllato, abbia posto in essere un comportamento palesemente antieconomico. Da qui, il conseguente spostamento dell'onere della prova a carico di quest'ultimo, il quale, dal canto suo, deve validamente motivare quelle scelte imprenditoriali non in linea con i criteri di economicità cfr. per tutte Cass. n. 398/2003 n. 6337/2002 . A questi insegnamenti si è attenuta l'impugnata sentenza, per cui è consequenziale dedurne l'infondatezza, innanzi tutto, del sesto motivo nella parte afferente, atteso che - in presenza di una pluriennale condotta antieconomica - l'onere della prova, appunto, si inverte a carico dell'imprenditore. La sentenza, inoltre, contrariamente a quanto sostenuto in tal caso nel secondo motivo, indica le ragioni per cui ha ritenuto implausibile la spiegazione fornita, nel rilievo che la politica aggressiva di ribasso dei prezzi comunque non poteva giustificare il riscontro di un volume d'affari dichiarato in misura costantemente inferiore agli acquisti, considerato che la regola alla quale si ispira chiunque svolga un'attività economica è semmai quella di ridurre i costi . Trattasi di argomentazione lineare e pienamente sintonica alla premessa, sicché la stessa si sottrae al sindacato in questa sede. 5. - I restanti quattro motivi terzo, quarto, quinto e settimo attengono alla questione del ricarico. E in quanto a ciò rapportati possono essere esaminati congiuntamente. A Il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies , nonché insufficiente motivazione, per avere la sentenza determinato il maggior volume d'affari sulla base di una presunta percentuale media di settore. Assume invece la ricorrente che le percentuali di ricarico possono costituire un semplice parametro di riferimento teorico rispetto l'azione accertativa, la quale invece deve essere condotta con concretezza, specificità e pertinenza al reale andamento gestionale e commerciale. Nel caso di specie, la società lamenta che, pur in presenza di regolarità contabile, si sia ricostruito il volume d'affari applicando al valore degli acquisti e delle giacenze iniziali di ogni singolo anno una generica percentuale dell'85 % desunta da tabella non applicabile al caso di specie la tab. A allegata al D.L. n. 853 del 1984, conv. in L. n. 17 del 1985 , e non tenendosi conto di quanto evidenziato dal contribuente a proposito della politica di svendita adottata. Chiede alla Corte di stabilire se la detta ricostruzione del volume d'affari, fondata esclusivamente su percentuali generiche di ricarico, senza tener conto, cioè, delle condizioni economiche dell'impresa, sia conforme al dettato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies. B Il quarto motivo riproduce la critica di violazione e falsa applicazione delle citate disposizioni per il fatto di avere il giudice d'appello ritenuto legittima la ricostruzione presuntiva del reddito ancorché in mancanza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, essendo stato avallato, in definitiva, un accertamento in rettifica basato sul solo profilo della percentuale di ricarico desunta dal settore di appartenenza. C Il quinto motivo denunzia la violazione delle medesime disposizioni, nonché, correlativamente, l'illogicità della motivazione, in relazione alla evocata tab. A allegata al D.L. 19 dicembre 1984, n. 853, conv. con modificazioni in L. 17 febbraio 1985, n. 17. La critica in questo caso attiene al fatto di avere il giudice tributario ritenuto applicabile al caso concreto una percentuale di ricarico desunta da norme riguardanti tutt'altra fattispecie la detrazione forfetaria dell'Iva . D Il settimo, infine, denunzia omessa o insufficiente motivazione su fatto decisivo, ascrivendo alla commissione territoriale di non aver indicato le ragioni logico - giuridiche della conferma della sentenza di primo grado in relazione all'eccepita applicazione delle percentuali di ricarico sulle rimanenze iniziali, pur essendo codeste già comprensive del ricarico suddetto in guanto valorizzate a prezzo di listino. 6. - Quest'ultima censura è manifestamente infondata, avendo il giudice del merito spiegato che delle rimanenze finali era stato tenuto conto, nell'ambito della verifica fiscale, giustappunto in considerazione dell'essere le medesime comprensive del ricarico donde, diversamente da quanto presupposto nel motivo, è nella sentenza detto che la percentuale di ricarico rettificata è stata applicata solo sulla merce acquistata. Trattasi - com'è evidente - di accertamento di fatto contro il quale non risultano svolte specifiche censure, sorrette da autosufficiente indicazione di contrari elementi non considerati dalla commissione, o insufficientemente valutati. 7. - Infondato è altresì il suesposto quarto motivo nell'affermazione previa di violazione di legge, risolta nell'addebito di avere la commissione ricostruito il volume d'affari esclusivamente in forza della rettifica della percentuale di ricarico. Premesso che, con apprezzamento anche in tal caso sorretto da congrua motivazione, la commissione regionale ha ritenuto antieconomico proseguire un'attività che frutta solo perdite, sì da giungere all'alternativa, più convincente, conclusione di esistenza di un fenomeno evasivo pluriennale, non è giuridicamente errata l'inferenza in ordine al metodo di rettifica globale dei ricavi fondato sulle c.d. percentuali di ricarico. Difatti - essendo il ricarico rappresentato dal rapporto tra i ricavi contabilizzati e gli acquisti registrati in contabilità - il confronto dell'effettivo margine di guadagno sulle merci con quanto risultante dalla contabilità consente di fondatamente presumere che acquisti registrati abbiano dato luogo a vendite non regolarmente registrate. 8. - il punto critico è invece rappresentato dalla scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico concretamente applicabile, oggetto di esplicita censura contenuta nell'atto di interposizione di appello della cui esistenza la decisione della commissione regionale - seppur sinteticamente - da atto giacché detto criterio deve comunque rispondere a canoni di coerenza logica e di congruità, a disparte dall'esser rapportato alla omogeneità dei beni-mercé e alla scelta del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di acquisto e di rivendita. Nel caso di specie, l'impugnata sentenza ha condiviso l'operato dell'amministrazione finanziaria sulla sola considerazione che la determinazione della percentuale di ricarico rettificata potesse avvenire ai sensi del D.L. 19 dicembre 1984 , ed essere così valutata nel 122 % per il settore di appartenenza dei beni oggetto dell'attività commerciale di cui è titolare la ditta appellante , essendo infine stata applicata - ha aggiunto - in misura inferiore, più - favorevole al contribuente, pari all'85 % . In questo senso la statuizione non si sottrae alla censura svolta nel terzo e nel quinto motivo, sotto entrambi i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, dal momento che l'evocata norma di riferimento il D.L. n. 853 del 1984, conv. in L. n. 17 del 1985 e la tabella a essa allegata in particolare la tab. A , non risultano attinenti al tema, trattandosi delle disposizioni legittimanti, quanto all'Iva dovuta dagli esercenti le imprese commerciali per gli anni 1985, 1986 e 1987 e salva la successiva proroga , il regime forfetario di detrazione dell'imposta afferente gli acquisti e le importazioni. Né si comprende, poiché la sentenza nulla dice al riguardo, in qual senso il giudice del merito abbia desunto da siffatta disciplina un criterio determinativo utile alla ricostruzione del ricarico medio per il settore di appartenenza della odierna contribuente. Consegue che l'impugnata sentenza va cassata in accoglimento dei ridetti due motivi, con rinvio ad altra sezione della medesima commissione regionale, la quale provvederà a riesaminare - per quanto rileva ai fini della decisione - il profilo della determinazione della percentuale di ricarico, attenendosi al seguente principio di diritto in tema di rettifica della dichiarazione Iva, la scelta dell'amministrazione finanziaria in ordine al criterio di determinazione della percentuale di ricarico, astrattamente legittima, deve essere dal giudice del merito verificata in rapporto alle critiche svolte dal contribuente, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura - omogenea o disomogenea - dei beni - merce e della rilevanza dei campioni selezionati, da ciò dipendendo altresì la scelta, purché adeguatamente motivata, tra i criteri di media aritmetica o ponderale . Il giudice del rinvio provvederà anche, nel rapporto con l'agenzia delle entrate, sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte - dichiara l'inammissibilità del ricorso nei riguardi del Ministero dell'economia e finanze, compensando, nel rapporto attinente, le spese processuali - dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso proposto contro l'agenzia delle entrate, e rigetta i motivi secondo, quarto, sesto e settimo - accoglie il terzo e il quinto motivo del ricorso detto cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione nel rapporto processuale attinente, alla commissione tributaria regionale del Lazio.