Avvocato Generale UE: sistema di misurazione dell’orario di lavoro obbligatorio

Secondo l’Avvocato Generale, l’obbligo della misurazione dell’orario di lavoro giornaliero svolge una funzione essenziale a supporto del rispetto, da parte del datore di lavoro, di tutti gli altri obblighi previsti dalla direttiva 2003/88 allo scopo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro.

Lo afferma l’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia dell’UE nella causa C-55/18 del 31 gennaio 2019 ECLI EU C 2019 87 . La vicenda. La questione al centro della controversia in esame riguarda un ricorso collettivo presentato da un sindacato spagnolo contro la Deutsche Bank chiedendo che tale istituto fosse obbligato ad istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero effettivo svolto dal personale dipendente in modo da permettere la verifica del rispetto dell’orario di lavoro stabilito e dell’obbligo di trasmettere ai rappresentanti sindacali le informazioni relative al lavoro straordinario effettuato mensilmente. La Corte Suprema spagnola aveva escluso l’esistenza di un tale obbligo evidenziando che la legislazione nazionale obbliga a tenere un registro delle ore e a comunicarle ai sindacati unicamente per il lavoro ordinario e non straordinario, altrimenti vi sarebbe un rischio d’ingerenza ingiustificata dell’impresa nella vita privata del lavoratore. Tuttavia, l’Audencia Nacional sostiene che, accogliendo l’interpretazione della Corte Suprema, si priverebbero i lavoratori di un mezzo di prova essenziale per dimostrare una prestazione eccedente le ore di lavoro ordinarie e i loro rappresentanti non avrebbero a disposizione un mezzo necessario per verificare il rispetto delle regole, rendendo così inefficaci gli obblighi previsti dalle direttive 2003/88 e 89/391, rispettivamente sull’organizzazione dell’orario di lavoro e sull’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro. Il diritto comunitario. La Direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003 prescrive gli obblighi a carico del datore di lavoro, quali i limiti alla durata della giornata lavorativa, il riposo giornaliero, i limiti alla durata della settimana lavorativa, il riposo settimanale e l’eventuale svolgimento di lavoro straordinario. In particolare, all’art. 3 si obbligano gli Stati membri a intraprendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive, prevedendo che la durata media dell'orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario l'orario di lavoro normale dei lavoratori notturni non può superare le 8 ore in media per periodo di 24 ore . Si stabilisce, inoltre, che Stati membri prendano le misure necessarie affinché il datore di lavoro che prevede di organizzare il lavoro secondo un certo ritmo tenga conto del principio generale dell'adeguamento del lavoro all'essere umano, segnatamente per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo, a seconda del tipo di attività e delle esigenze in materia di sicurezza e di salute, in particolare per quanto riguarda le pause durante l'orario di lavoro art. 13 . L’effettività della tutela dei diritti dei lavoratori. Secondo l’Avvocato Generale, al fine di salvaguardare effettivamente i lavoratori - parte debole del contratto di lavoro - applicando la piena tutela prevista dalla citata direttiva nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, occorre individuare specifici obblighi in capo ai soggetti coinvolti. In particolare, benché gli Stati membri abbiano la facoltà di scegliere le forme e le modalità di attuazione della citata direttiva, sono tuttavia vincolati a un’obbligazione di risultato con riferimento alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori tramite l’effettivo rispetto dei limiti sui tempi di lavoro. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti ad eliminare ogni ostacolo fattuale che possa pregiudicare o limitare il godimento dei diritti scolpiti dalla direttiva. Per contro, il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare tutte le misure idonee per permettere ai lavoratori di esercitare i diritti che la direttiva 2003/88 assicura loro. Senza il sistema di misurazione il lavoratore non avrebbe una traccia probatoria essenziale. Se occorre consentire il pieno ed effettivo godimento dei diritti riconosciuti ai lavoratori, qualora difettasse un sistema di misurazione dei tempi di lavoro, non vi sarebbe alcuna garanzia dell’effettivo rispetto dei limiti temporali su descritti, in quanto non sarebbe possibile determinare la quantità di lavoro effettivamente svolta e la sua collocazione nel tempo né differenziare il lavoro ordinario da quello straordinario. Allo stesso modo, neppure la pubblica autorità demandata del controllo della sicurezza sul lavoro sarebbe nelle condizioni di verificare ed eventualmente contestare inadempienze. Inoltre, in mancanza di un sistema di misurazione dei tempi di lavoro impedisce in concreto al lavoratore di provare in giudizio la violazione dei diritti riconosciutigli dalla direttiva, risultando così estremamente difficile azionare rimedi efficaci contro eventuali comportamenti illegittimi da parte del datore di lavoro. In conclusione. L’Avvocato Generale, propone dunque alla Corte di dichiarare che il diritto UE obbliga le imprese ad instaurare un sistema di misurazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non abbiano espressamente accettato, individualmente o collettivamente, di svolgere ore di lavoro straordinario. Pertanto, poiché il giudice nazionale ha l’obbligo di verificare se sia possibile interpretare il diritto interno in modo da assicurare la piena effettività del diritto UE, nell’ipotesi in cui non sia possibile garantirne la conformità del diritto nazionale alla direttiva 2003/88 e alla Carta, il giudice nazionale sarà tenuto a disapplicare la normativa nazionale in modo da rispettare l’effettività dell’obbligo per l’impresa di dotarsi di un sistema idoneo alla misurazione dell’orario effettivo di lavoro.

Avvocato Generale CGUE, conclusioni 31 gennaio 2019, causa C-55/18 * Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori – Organizzazione dell’orario di lavoro – Direttiva 2003/88/CE – Riposo giornaliero – Riposo settimanale – Durata massima della settimana lavorativa – Articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali – Direttiva 89/391/CEE – Sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro – Obbligo per le imprese di instaurare un sistema di misurazione dell’orario giornaliero di lavoro 1. Per assicurare la piena effettività della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/88/CE 2 attraverso, tra l’altro, la fissazione di limiti massimi ai tempi di lavoro, è necessario che gli Stati membri prevedano l’obbligo per il datore di lavoro di introdurre strumenti di misurazione dell’effettiva durata della giornata e della settimana lavorativa? 2. Questa è, in sostanza, la questione sollevata dalla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di giustizia dall’Audiencia Nacional Corte centrale, Spagna oggetto del presente giudizio. Tale domanda è sorta nell’ambito di una controversia collettiva introdotta da alcuni sindacati dei lavoratori con l’obiettivo di accertare e far dichiarare l’obbligo in capo alla convenuta, la Deutsche Bank SAE in prosieguo la Deutsche Bank , di istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero effettivo realizzato che consenta di verificare l’adeguato rispetto degli orari fissati dalle disposizione di legge e dai contratti collettivi. 3. Nelle presenti conclusioni illustrerò le ragioni per le quali ritengo che dal diritto dell’Unione discenda per gli Stati membri l’obbligo di introdurre una disciplina dei tempi di lavoro che, pur con i margini di discrezionalità garantiti agli Stati membri in ragione della funzione di armonizzazione minima della direttiva 2003/88, assicuri l’effettivo rispetto delle regole sui limiti dei tempi di lavoro, mediante l’introduzione di sistemi di misurazione del lavoro effettivamente prestato. L’assenza di simili meccanismi nell’ordinamento di uno Stato membro pregiudica, infatti, a mio avviso, l’effetto utile della citata direttiva. 4. Ritengo, pertanto, che la direttiva 2003/88 osti ad una legislazione nazionale che non imponga espressamente ai datori di lavoro alcuna forma di misurazione o controllo del tempo di lavoro ordinario dei lavoratori in generale. I. Quadro giuridico A. Diritto dell’Unione 5. Il considerando 4 della direttiva 2003/88 enuncia quanto segue 4 Il miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico . 6. L’articolo 3 della direttiva 2003/88, rubricato Riposo giornaliero dispone Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive . 7. Ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2003/88, rubricato Riposo settimanale Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all’articolo 3. Se condizioni oggettive, tecniche o di organizzazione del lavoro lo giustificano, potrà essere fissato un periodo minimo di riposo di 24 ore . 8. L’articolo 6 della direttiva 2003/88, rubricato Durata massima settimanale del lavoro dispone Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori a la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali b la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario . 9. L’articolo 22 della direttiva 2003/88, rubricato Disposizioni varie dispone Gli Stati membri hanno facoltà di non applicare l’articolo 6, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, a condizione che assicurino, mediante le necessarie misure a tale scopo, che a nessun datore di lavoro chieda a un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera b , a meno che non abbia ottenuto il consenso del lavoratore all’esecuzione di tale lavoro b nessun lavoratore possa subire un danno per il fatto che non è disposto ad accettare di effettuare tale lavoro c il datore di lavoro tenga registri aggiornati di tutti i lavoratori che effettuano tale lavoro d i registri siano messi a disposizione delle autorità competenti che possono vietare o limitare, per ragioni di sicurezza e/o di salute dei lavoratori, la possibilità di superare la durata massima settimanale del lavoro e il datore di lavoro, su richiesta delle autorità competenti, dia loro informazioni sui consensi dati dai lavoratori all’esecuzione di un lavoro che superi le 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera b . 3. Quando si avvalgono delle facoltà di cui al presente articolo, gli Stati membri ne informano immediatamente la Commissione . 10. L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro 3 dispone Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per garantire che i datori di lavoro, i lavoratori e i rappresentanti dei lavoratori siano sottoposti alle disposizioni giuridiche necessarie per l’attuazione della presente direttiva . 11. L’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 89/391 enuncia I rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori hanno il diritto di chiedere al datore di lavoro di prendere misure adeguate e di presentargli proposte in tal senso, per ridurre qualsiasi rischio per i lavoratori e/o eliminare le cause di pericolo . B. Diritto spagnolo 12. L’articolo 34 de l’Estatuto de los Trabajadores, nella sua versione risultante dal Real decreto legislativo Regio decreto legislativo 2/2015, che ha approvato il testo riformato dello Statuto dei lavoratori, del 23 ottobre 2015 4 in prosieguo lo Statuto dei lavoratori , dispone quanto segue 1. La durata dell’orario di lavoro è quella stabilita nei contratti collettivi o nei contratti individuali. La durata massima dell’orario di lavoro ordinario è di 40 ore a settimana di lavoro effettivo calcolato sulla media dell’anno. 3. Devono trascorrere almeno dodici ore tra la fine di un periodo di lavoro e l’inizio del periodo seguente. Il numero di ore ordinarie di lavoro effettive non può superare le nove ore al giorno, a meno che un accordo collettivo o, in mancanza di questo, un accordo concluso tra l’impresa e i rappresentanti dei lavoratori non preveda un’altra ripartizione dell’orario di lavoro giornaliero il riposo tra i periodi di lavoro deve in ogni caso essere rispettato. . 13. L’articolo 35 dello Statuto dei lavoratori, rubricato Lavoro straordinario , così dispone 1. Costituiscono ore di lavoro straordinario le ore di lavoro prestate oltre la durata massima dell’orario di lavoro ordinario stabilito in conformità all’articolo che precede. 2. Il numero di ore di lavoro straordinario non può eccedere le 80 ore all’anno. . 4. La prestazione di ore di lavoro straordinario è volontaria, salvo che sia stato stabilito in un accordo collettivo o in un contratto individuale di lavoro, nei limiti previsti nel paragrafo 2. 5. Ai fini del calcolo delle ore di lavoro straordinario, l’orario di lavoro di ciascun lavoratore è registrato di giorno in giorno e sommato al momento fissato per il pagamento della remunerazione, consegnando al lavoratore una copia del prospetto nel giustificativo del versamento corrispondente . 14. La terza disposizione addizionale del Real Decreto 1561/1995, de 21 de septiembre 1995, sobre jornadas especiales de trabajo regio decreto 1561/1995, del 21 settembre 1995, relativo agli orari speciali di lavoro 5 , rubricato Competenze dei rappresentanti dei lavoratori in materia di orario di lavoro , enuncia Senza pregiudizio delle competenze riconosciute ai rappresentanti dei lavoratori in materia di orario di lavoro nello statuto dei lavoratori e nel presente regio decreto, quei rappresentanti hanno il diritto a b di essere informati ogni mese dal datore di lavoro sulle ore di lavoro straordinario effettuate dai lavoratori, quale che sia la forma di compensazione adottata essi ricevono a questo fine una copia del prospetto di cui all’articolo 35, paragrafo 5, dello statuto dei lavoratori . II. Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali 15. In data 26 luglio 2017, la Federación de Servicios de Comisiones Obreras CCOO , un sindacato di lavoratori che fa parte dell’organizzazione sindacale più rappresentativa a livello statale in Spagna, ha presentato un ricorso collettivo dinanzi alla Audiencia Nacional Corte centrale contro la Deutsche Bank, chiedendo la pronuncia di una sentenza che dichiarasse l’obbligo a carico di quest’ultima di istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero effettivo svolto dal personale dipendente. 16. Tale sistema dovrebbe consentire la verifica, da un lato, del rispetto dell’orario di lavoro stabilito e, dall’altro, dell’obbligo di trasmettere ai rappresentanti sindacali le informazioni relative al lavoro straordinario effettuato mensilmente, in osservanza dell’articolo 35, comma 5, dello statuto dei lavoratori e della terza disposizione addizionale del regio decreto 1561/1995. 17. Nel giudizio sono intervenute, a supporto della posizione della CCOO, quattro altre organizzazioni sindacali la Federación Estatal de Servicios de la Unión General de Trabajadores FES-UGT , la Confederación General del Trabajo CGT , la Confederación Solidaridad de Trabajadores Vascos ELA , la Confederación Intersindacal Galega CIG . 18. Ad avviso dei ricorrenti l’obbligo di stabilire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero discende dall’interpretazione degli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori, letti in combinato disposto con l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali e con gli articoli 3, 5, 6, 8 e 22 della direttiva 2003/88. La Deutsche Bank sostiene, invece, che dalle sentenze del Tribunal Supremo Corte suprema del 23 marzo e del 20 aprile 2017 discende che il diritto spagnolo non prevede un tale obbligo generale. 19. L’Audiencia Nacional Corte centrale ha constatato che, benché l’impresa convenuta sia vincolata a diverse regole sui tempi di lavoro, derivanti da una pluralità di accordi collettivi nazionali di settore e aziendali, essa non utilizza alcun tipo di registrazione dell’orario di lavoro effettivo svolto dal personale che consenta di verificare il rispetto delle regole sui tempi di lavoro stabilite dalle disposizioni di legge e dagli accordi collettivi nonché l’eventuale svolgimento di ore di lavoro straordinario. L’impresa convenuta utilizza un’applicazione informatica Absences Calendar la quale permette di registrare esclusivamente le assenze per un giorno intero ferie, permessi, assenze per malattia, etc. . 20. La Inspección de Trabajo y Seguridad Social Ispettorato del Lavoro e della Previdenza sociale delle Province di Madrid e Navarra ha chiesto alla convenuta di istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero e, di fronte all’inosservanza di tali richieste, ha redatto un verbale di accertamento con proposta di sanzione. La sanzione non è stata applicata in ragione della sentenza del Tribunal Supremo Corte suprema del 23 marzo 2017. 21. Il giudice del rinvio espone che, in tale sentenza, resa in assemblea plenaria ma con alcune opinioni dissenzienti, il Tribunal Supremo Corte suprema ha escluso l’esistenza nel diritto spagnolo di un obbligo generale di registrare l’orario di lavoro ordinario. In particolare, il Tribunal Supremo Corte suprema ha sottolineato che l’articolo 35, comma 5, dello Statuto dei lavoratori obbliga unicamente alla tenuta di un registro delle ore di lavoro straordinario effettuate e a comunicare alla fine di ogni mese il numero delle ore eventualmente svolte dai lavoratori ai loro rappresentanti sindacali. 22. A fondamento della suddetta decisione il Tribunal Supremo Corte suprema ha articolato, in sostanza, i seguenti motivi l’obbligo della tenuta del registro è contenuta nell’articolo 35 dello Statuto dei lavoratori, relativo alle ore di lavoro straordinario e non nell’articolo 34, relativo all’orario di lavoro quando il legislatore spagnolo ha voluto imporre un tale registro lo ha fatto in modo specifico come per i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori mobili, marittimi o ferroviari l’articolo 22 della direttiva 2003/88 impone, come il diritto spagnolo, l’obbligo di tenere un registro dell’orario di lavoro speciale e non dell’orario di lavoro normale che non ecceda la durata massima prevista la tenuta di un tale registro implicherebbe il trattamento di dati personali del lavoratore con i rischi di un’ingerenza ingiustificata dell’impresa nella vita privata del lavoratore la mancata tenuta di un tale registro non è qualificata come una violazione chiara e manifesta delle regole relative alle infrazioni e alle sanzioni in materia sociale una tale interpretazione non lederebbe il diritto di difesa in giudizio del lavoratore dal momento che, ai sensi delle norme procedurali spagnole, non è impedito al lavoratore di provare con altri mezzi l’eventuale svolgimento di ore di lavoro straordinario. 23. Il giudice del rinvio esprime dubbi sulla conformità della posizione del Tribunal Supremo Corte suprema al diritto dell’Unione. A tal riguardo osserva, anzitutto, che un’inchiesta sulla forza lavoro in Spagna del 2016 ha rivelato che il 53,7% delle ore di lavoro straordinario non sono registrate. Inoltre, due rapporti del 31 luglio 2014 e del 1° marzo 2016 della Direzione generale del lavoro del Ministero del lavoro e della sicurezza sociale spagnolo hanno affermato che, al fine di accertare se sono state svolte ore di lavoro straordinario, è necessario conoscere con esattezza il numero di ore di lavoro svolte ciò spiega perché gli Ispettori del lavoro hanno chiesto l’introduzione di un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero, considerato l’unico mezzo in grado di verificare eventuali superamenti dei limiti massimi previsti nel periodo di riferimento. Il giudice del rinvio rileva altresì che l’interpretazione del diritto spagnolo adottata dal Tribunal Supremo Corte suprema avrebbe come conseguenza, nella pratica, che i lavoratori non disporrebbero di un mezzo di prova essenziale per dimostrare una prestazione eccedente le ore di lavoro ordinarie e i loro rappresentanti non avrebbero a disposizione un mezzo necessario per verificare il rispetto delle regole, con la conseguenza ulteriore che il controllo del rispetto dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo sarebbe lasciato al mero arbitrio del datore di lavoro. 24. Secondo il giudice del rinvio, in tale situazione, il diritto nazionale non sarebbe in grado di garantire l’effettività del rispetto degli obblighi relativi alla gestione dei tempi di lavoro previsti dalla direttiva 2003/88 e, per quanto attiene ai diritti dei rappresentanti dei lavoratori, dalla direttiva 89/391. 25. In tale contesto, l’Audiencia Nacional Corte centrale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali 1 Se il Regno di Spagna, con gli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori, quali progressivamente interpretati dalla giurisprudenza, abbia adottato le misure necessarie per garantire l’effettività dei limiti di durata dell’orario di lavoro e del riposo settimanale e giornaliero stabiliti dagli articoli 3, 5 e 6 della direttiva 2003/88 , per i lavoratori a tempo pieno che non si siano impegnati in forma espressa, individualmente o collettivamente, a effettuare ore di lavoro straordinario e che non presentino la qualifica di lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari. 2 Se l’articolo 31, paragrafo 2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea e gli articoli 3, 5, 6, 16 e 22 della direttiva 2003/88 , in relazione agli articoli 4, paragrafo 1, 11, paragrafo 3 e 16, paragrafo 3 della direttiva 89/391 , debbano interpretarsi nel senso che ostano ad una normativa nazionale interna, quali gli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori, da cui, come posto in rilievo da giurisprudenza consolidata, non si può dedurre l’obbligo per le imprese di instaurare un sistema di registrazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non si siano impegnati in forma espressa, individualmente o collettivamente, a effettuare ore di lavoro straordinario e che non presentino la qualifica di lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari. 3 Se l’ingiunzione perentoria agli Stati membri, di cui all’articolo 31, paragrafo 2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, e agli articoli 3, 5, 6, 16 e 22 della direttiva 2003/88 , in relazione agli articoli 4, paragrafo 1, 11, paragrafo 3 e 16, paragrafo 3, della direttiva 89/391 , di limitare la durata dell’orario di lavoro di tutti i lavoratori in generale, sia garantita per i lavoratori comuni con la normativa di diritto interno, contenuta negli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori dai quali, come posto in rilievo da giurisprudenza consolidata, non si può dedurre l’obbligo per le imprese di instaurare un sistema di registrazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non si siano impegnati in forma espressa, individualmente o collettivamente, a effettuare ore di lavoro straordinario, a differenza dei lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari . III. Analisi giuridica A. Osservazioni preliminari 26. A titolo preliminare occorre, a mio avviso, rilevare che, come messo in evidenza dalla Commissione nelle sue osservazioni, le tre questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio, sono connesse tra loro e si sovrappongono per diversi aspetti. 27. In effetti, risulta alla loro lettura che la risposta alla prima questione consegue alla risposta alla seconda e alla terza questione pregiudiziale le quali, tra loro, sono sovrapponibili nei contenuti. 28. In sostanza, con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte se disposizioni di diritto nazionale, quali gli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori come interpretati dal Tribunal Supremo Corte suprema , consentano un’effettiva tutela del lavoratore in materia di durata della giornata e della settimana lavorativa e di riposi giornalieri e settimanali, quale prevista in attuazione del diritto dell’Unione, pur non imponendo la tenuta di un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero. 29. In tale contesto, ritengo pertanto opportuno esaminare congiuntamente le tre questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio, riformulandole nei termini seguenti l’articolo 31, paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e gli articoli 3, 5, 6, 16 e 22 della direttiva 2003/88, in relazione agli articoli 4, paragrafo 1, 11, paragrafo 3, e 16, paragrafo 3, della direttiva 89/391, disposizioni che attraverso l’imposizione di limiti di durata all’orario di lavoro perseguono l’obiettivo di un’effettiva tutela della salute e della sicurezza del lavoratore sui luoghi di lavoro, ostano a una normativa nazionale, come quella contenuta negli articoli 34 e 35 dello Statuto dei lavoratori spagnolo quali interpretati nella giurisprudenza spagnola, da cui non si può dedurre l’obbligo per le imprese di instaurare un sistema di registrazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non abbiano espressamente accettato, individualmente o collettivamente, di svolgere ore di lavoro straordinario e che non rivestano la qualifica di lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari? 30. A tale riguardo, rilevo che dinanzi alla Corte si sono contrapposte, seppure con differenti sfumature, due tesi di fondo. 31. La prima, fatta propria dal giudice del rinvio, dalla Commissione e dalle federazioni di sindacati ricorrenti, ritiene che il diritto dell’Unione implichi senz’altro un obbligo strumentale di misurazione dell’orario di lavoro a carico del datore di lavoro con la conseguenza che tale diritto osterebbe ad una normativa nazionale come quella spagnola che, nell’interpretazione del Tribunal Supremo Corte suprema , esclude la sussistenza di un tale obbligo. 32. La seconda tesi, fatta propria dalla banca convenuta in via principale, dal Regno di Spagna e dagli altri Stati membri intervenuti dinanzi alla Corte, ossia il Regno Unito e la Repubblica ceca, ritiene che, in assenza di una specifica previsione nella direttiva 2003/88, non si possa imporre alle imprese un obbligo generalizzato di misurazione dell’orario di lavoro. 33. Per rispondere alle questioni poste dal giudice del rinvio ritengo necessario chiarire, anzitutto, la portata della direttiva 2003/88 nel sistema del diritto sociale dell’Unione alla luce dei principi giurisprudenziali sviluppati dalla Corte in materia, per poi determinare, sulla base di tale analisi, se il diritto dell’Unione e, in particolare, tale direttiva prevedano l’esistenza di un obbligo generalizzato di misurazione dell’orario di lavoro. B. Obiettivi e contenuto della direttiva 2003/88 34. La direttiva 2003/88 ha come obiettivo quello di fissare prescrizioni minime destinate a migliorare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, obiettivo che viene raggiunto, tra l’altro, mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti l’orario di lavoro 6 . 35. Ai fini del raggiungimento dei predetti obiettivi, le disposizioni della direttiva 2003/88 fissano periodi minimi di riposo giornaliero undici ore consecutive nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, ai sensi dell’articolo 3 e settimanale [ventiquattro ore per ogni periodo di sette giorni, ai sensi dell’articolo 5 , nonché un tetto di quarantotto ore per la durata media della settimana lavorativa, comprese le ore di lavoro straordinario ai sensi dell’articolo 6, lettera b ]. 36. Attraverso le suddette previsioni è attuato l’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali, che, dopo avere riconosciuto, al suo paragrafo 1, che ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose , dispone, al paragrafo 2, che ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie retribuite . Tale diritto si collega direttamente al rispetto della dignità umana tutelata in modo più ampio nel titolo I della Carta 7 . 37. Il diritto alla limitazione della durata massima del lavoro e il diritto a periodi di riposo giornalieri e settimanale costituiscono, peraltro, espressione delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, come risulta dal testo di numerose Costituzioni nazionali 8 . 38. È in tale quadro sistematico che la Corte ha affermato, che le regole enunciate dalla direttiva 2003/88 costituiscono disposizioni della normativa sociale dell’Unione che rivestono importanza particolare e di cui ogni lavoratore deve poter beneficiare quali prescrizioni minime necessarie per garantire la tutela della sua sicurezza e della sua salute 9 , tutela, quest’ultima che non rientra solo nell’interesse individuale del lavoratore, ma anche in quello del datore di lavoro e nell’interesse generale 10 . 39. Una prima conseguenza che, a mio avviso, può essere tratta dal nesso di strumentalità tra la direttiva 2003/88 e i diritti sociali fondamentali riconosciuti dalla Carta è che l’interpretazione della direttiva 2003/88 e la determinazione del suo campo di applicazione devono essere idonee a consentire il pieno ed effettivo godimento delle posizioni soggettive da essa riconosciute ai lavoratori, eliminando ogni ostacolo che di fatto ne possa limitare o pregiudicare il suddetto godimento. 40. A tal fine, nell’interpretare e nell’attuare la direttiva 2003/88 va tenuto presente che, come più volte sottolineato dalla Corte, il lavoratore dev’essere considerato come la parte debole nel contratto di lavoro, sicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti 11 . 41. Di conseguenza, ogni azione o omissione di un datore di lavoro, avente un effetto potenzialmente dissuasivo sull’esercizio dei suoi diritti, deve ritenersi incompatibile con le finalità della direttiva 12 . 42. Inoltre, sempre secondo la Corte, tenuto conto di tale situazione di debolezza, va considerato che il lavoratore potrebbe essere dissuaso dal far valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro, dal momento che la relativa rivendicazione potrebbe esporlo a misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro in danno di detto lavoratore 13 . 43. Alla luce di tali premesse, un’interpretazione della direttiva 2003/88 che permetta la coerente realizzazione dei suoi obiettivi e la piena ed effettiva tutela dei diritti che essa attribuisce ai lavoratori, dovrebbe implicare l’individuazione di specifici obblighi in capo ai soggetti coinvolti nella sua attuazione che siano idonei a evitare che il disequilibrio strutturale nella relazione economica tra datore di lavoro e lavoratore pregiudichi l’effettivo godimento dei diritti attribuiti dalla direttiva stessa. C. Sulla necessità di garantire l’effetto utile della direttiva 2003/88 44. Il quadro sistematico sopra descritto permette di precisare in maniera migliore il contenuto degli obblighi che la direttiva 2003/88 pone in capo ai diversi soggetti cui essa si applica. 45. Innanzitutto gli Stati membri sono tenuti, nell’attuazione della direttiva, a prendere le misure necessarie per far si che il lavoratore benefici dei diritti garantiti dalla direttiva stessa riposo giornaliero, settimanale, durata della settimana lavorativa, etc. . 46. L’incipitdi tutti gli articoli contenenti le prescrizioni minime in materia di limiti ai tempi di lavoro articoli 3, 4, 5 e 6 per quel che interessa in questa sede [g]li Stati membri prendono le misure necessarie affinché ha, a mio parere, una duplice valenza. 47. Da un lato, esso conferma l’importanza del momento attuativo all’interno delle legislazioni nazionali, con ampie, ma funzionalizzate possibilità di deroga. 48. Dall’altro, alla luce del quadro sistematico descritto nel precedente capitolo, tale incipit rafforza la responsabilità degli Stati membri ad assicurare il risultato dell’effettiva tutela della salute e della sicurezza del lavoratore, la cui protezione rientra tra gli obiettivi fondamentali perseguiti dalla direttiva 2003/88, come risulta espressamente, tra gli altri, dal considerando 4 della direttiva stessa. 49. La formula linguistica reiterativamente utilizzata sembra pertanto comportare che, se gli Stati membri sono liberi di scegliere le forme e i modi con cui attuare la direttiva 2003/88, essi devono comunque adottare misure che possano assicurare l’effettivo godimento dei diritti garantiti dalla direttiva stessa, attraverso una disciplina normativa nazionale che sia in concreto idonea a conseguire il risultato della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori tramite l’effettivo rispetto dei limiti sui tempi di lavoro. 50. Si aggiunga che, risulta da costante giurisprudenza, che, relativamente al recepimento di una direttiva nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, è indispensabile che l’ordinamento nazionale di cui trattasi garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva, che la situazione giuridica scaturente da tale ordinamento sia sufficientemente precisa e chiara e che i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti 14 . 51. In particolare, l’obbligo degli Stati membri di adottare le misure necessarie dovrebbe articolarsi, oltre che nella trasposizione nell’ordinamento nazionale delle regole sui tempi di lavoro, nell’introduzione di tutto quanto sia necessario alla realizzazione dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 31 della Carta, eliminando ogni ostacolo che, di fatto, pregiudichi o limiti il godimento delle posizioni soggettive riconosciute a tal fine dalla direttiva 2003/88 la quale, come osservato al precedente paragrafo 36, costituisce un’attuazione dell’articolo 31 della Carta. 52. Risulta del resto dalla giurisprudenza che gli Stati membri sono, in ogni caso, vincolati a un’obbligazione di risultato precisa e incondizionata quanto all’applicazione delle regole enunciate nella direttiva 2003/88 15 , dovendo adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo 16 e evitare che sia pregiudicato, anche attraverso le omissioni del legislatore nazionale 17 , l’effetto utile della direttiva stessa. 53. Con riferimento specificamente alla disciplina del diritto dell’Unione in materia di orario di lavoro, la Corte ha avuto modo di precisare che occorre che l’efficacia dei diritti riconosciuti ai lavoratori venga integralmente assicurata, il che implica necessariamente l’obbligo per gli Stati membri di garantire il rispetto delle singole prescrizioni minime stabilite dalla direttiva stessa. Tale interpretazione, infatti, è l’unica conforme all’obiettivo di detta direttiva di garantire una tutela efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori 18 . 54. La normativa di uno Stato membro deve cioè garantire integralmente l’effetto utile dei diritti conferiti ai lavoratori dalla direttiva 2003/88 ai fini della protezione effettiva della salute e della sicurezza di questi ultimi 19 . 55. A tali obblighi degli Stati membri in sede di attuazione della direttiva, per garantire l’effetto utile, corrisponde una responsabilità particolare del datore di lavoro 20 che, a sua volta, ha l’obbligo di adottare le misure adeguate per consentire ai lavoratori di esercitare senza ostacolo i diritti ad essi garantiti dalla direttiva 2003/88. D. Misurazione dell’orario di lavoro e effettività della tutela dei diritti del lavoratore 56. È nell’ambito del contesto giuridico fin qui esposto che, al fine di rispondere ai quesiti posti dal giudice del rinvio, occorre verificare se l’assenza di un sistema di misurazione della durata e della collocazione della prestazione oraria del lavoratore priverebbe di sostanza i diritti riconosciuti dalla direttiva 2003/88, vanificando l’effetto utile delle disposizioni ivi previste e la protezione dei diritti che quelle disposizioni conferiscono ai lavoratori nell’Unione. 57. A tale riguardo, occorre osservare, in primo luogo, che, in mancanza di un tale sistema, non vi è alcuna garanzia che i limiti temporali stabiliti dalla direttiva 2003/88 siano effettivamente rispettati e pertanto che i diritti che la direttiva stessa attribuisce ai lavoratori possano essere esercitati senza ostacoli. 58. In effetti, in assenza di un sistema di misurazione dei tempi di lavoro non c’è modo di stabilire con oggettività e certezza la quantità di lavoro effettivamente svolta e la sua collocazione nel tempo. Senza un tale sistema non è possibile, inoltre, distinguere tra ore prestate a titolo di lavoro ordinario o di lavoro straordinario e, quindi, verificare, in modo agevole e certo, se i limiti introdotti dalla direttiva 2003/88 siano o meno in concreto rispettati. 59. Per supplire all’assenza di garanzie di effettiva tutela dei diritti connessi al rispetto dei tempi di lavoro non possono, peraltro, essere sufficienti i poteri attribuiti agli organi di controllo quali gli ispettori del lavoro. Infatti, anche l’autorità pubblica preposta al controllo del rispetto del sistema di sicurezza sul lavoro, in assenza di un sistema di misurazione dell’orario, è privata della concreta possibilità di accertare e contestare eventuali inadempienze agli obblighi. 60. A tale riguardo rileva osservare che le difficoltà di accertamento, in assenza di un sistema affidabile di misurazione dell’orario di lavoro, delle ore di lavoro effettivamente prestate sono, del resto, state messe in evidenza dinanzi al giudice del rinvio nei due rapporti, citati al precedente paragrafo 23, della Direzione generale del lavoro del Ministero del lavoro e della sicurezza sociale, autorità cui la legge spagnola delega le funzioni di controllo in materia di salute e sicurezza sul lavoro 21 . 61. A tale proposito, rilevo, inoltre, che la Corte ha già messo in evidenza l’importanza dell’esistenza di un sistema di misurazione dell’orario di lavoro per garantire l’effetto utile della normativa dell’Unione in materia di limiti all’orario di lavoro. Nella sentenza Worten sentenza del 30 maggio 2013, -342/12, EU C 2013 355 , infatti, la Corte ha precisato che l’obbligo per il datore di lavoro di fornire alle autorità preposte un accesso immediato al registro dell’orario di lavoro può risultare necessario se contribuisce a un’applicazione più efficace della normativa in materia di condizioni di lavoro 22 . 62. Orbene, se l’immediatezza dell’esibizione del registro delle presenze può essere necessaria per garantire l’effettività delle disposizioni in materia di orario di lavoro a tutela del lavoratore, a fortiori l’assenza di un qualsivoglia strumento di misurazione dell’orario di lavoro priva i soggetti preposti ai controlli di un elemento essenziale per la verifica del rispetto delle regole. 63. In secondo luogo, l’assenza di un sistema efficace di rilevazione dell’orario di lavoro non solo non permette l’accertamento effettivo del lavoro svolto, ma rende altresì molto più difficile per il lavoratore tutelare in giudizio i diritti che la direttiva 2003/88 gli conferisce. In effetti, in assenza di un tale sistema, qualora il datore di lavoro imponesse prestazioni lavorative in violazione dei limiti dell’orario di lavoro previsti dalla succitata direttiva, risulterebbe estremamente difficile azionare rimedi efficaci contro tali comportamenti illegittimi. 64. Al riguardo non sembra sufficiente affermare, come ha fatto il Regno di Spagna durante l’udienza, che il lavoratore potrebbe far valere in giudizio i suoi diritti. Senza un idoneo sistema di misurazione del normale orario di lavoro, il lavoratore è, infatti, tenuto a un onere probatorio maggiormente gravoso nel caso in cui egli agisca in giudizio contro il datore di lavoro nei casi di violazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2003/88. 65. Se è vero, infatti, che il lavoratore può ricorrere ad altri mezzi per dimostrare in giudizio l’inadempimento del datore di lavoro a obblighi derivanti dalla disciplina dell’orario di lavoro, come ad esempio testimoni o altri indizi quali mail o messaggi ricevuti o inviati, è altrettanto vero che la mancanza di elementi oggettivi sulla durata della propria giornata lavorativa lo priva di una prima traccia probatoria essenziale. 66. Inoltre, l’efficacia in giudizio della prova testimoniale, sconta la debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro e dunque la possibile reticenza di colleghi a testimoniare contro il datore di lavoro per timore di ritorsioni. 67. A tale riguardo, va richiamata la giurisprudenza menzionata ai precedenti paragrafi da 40 a 42, in cui la Corte ha sottolineato come la situazione di debolezza del lavoratore all’interno del rapporto di lavoro possa di fatto dissuadere il lavoratore stesso dal far valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro. 68. Tale forza dissuasiva, intrinsecamente legata alla posizione contrattuale del datore di lavoro, aumenta considerevolmente quando il sistema è privo di strumenti di misurazione dell’orario di lavoro e quindi rende l’eventuale prova in giudizio particolarmente difficile. 69. Risulta dalle considerazioni che precedono che l’assenza di un meccanismo di rilevazione dell’orario di lavoro indebolisce notevolmente l’effettività dei diritti che la direttiva 2003/88 garantisce ai lavoratori, che sono, in sostanza, rimessi all’arbitrio del datore di lavoro. 70. Si aggiunga che, anche se un tale obbligo non è espressamente previsto dalla direttiva 2003/88, risulta dalle considerazioni che precedono che esso è strumentale ed essenziale per il raggiungimento degli obiettivi da questa previsti e per il godimento delle posizioni soggettive da essa riconosciute. 71. Peraltro, l’assenza di un sistema di misurazione dell’orario di lavoro depotenzia, altresì, in modo significativo i diritti di informazione e la connessa funzione di controllo dei rappresentanti sindacali dei lavoratori, a loro espressamente riconosciuti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, dagli articoli 4, paragrafi 1 e 11, paragrafo 3 della direttiva 89/391, coerentemente con quanto stabilito dall’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali 23 . 72. In sintesi, le considerazioni che precedono mostrano che l’obbligo della misurazione dell’orario di lavoro giornaliero svolge una funzione essenziale a supporto del rispetto di tutti gli altri obblighi previsti dalla direttiva 2003/88 quali i limiti alla durata della giornata lavorativa, il riposo giornaliero, i limiti alla durata della settimana lavorativa, il riposo settimanale e l’eventuale svolgimento di lavoro straordinario. Tali obblighi sono connessi non soltanto al diritto del lavoratore e dei suoi rappresentanti di poter controllare periodicamente la quantità di lavoro svolto a fini retributivi, ma soprattutto al fine della tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro. 73. L’interpretazione effettuata ai paragrafi precedenti non può essere, a mio avviso, rimessa in discussione dalle diverse argomentazioni offerte a sostegno della tesi contraria dalle parti intervenute dinanzi alla Corte. 74. A tale riguardo, in primo luogo, ritengo non decisivo l’argomento che, al fine di escludere l’esistenza di un obbligo generale di introdurre qualche meccanismo di misurazione dei tempi effettivi del lavoro prestato, fa leva sulla mancata espressa previsione da parte della disciplina dell’Unione di un sistema di misurazione dei tempi di lavoro, laddove, invece, il diritto dell’Unione prevede l’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro in casi speciali 24 . 75. Tale argomento, riconducibile al noto argomento dell’interpretazione giuridica espresso nel brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, è tuttavia contraddetto dai risultati dell’interpretazione sistematica e teleologica della direttiva 2003/88 svolti ai paragrafi precedenti che hanno mostrato la necessità dell’esistenza di un sistema di misurazione dei tempi effettivi del lavoro prestato al fine di assicurare l’effetto utile delle disposizioni di diritto dell’Unione riguardanti la limitazione massima dell’orario di lavoro. 76. D’altro canto, l’esistenza di un obbligo espresso di registrazione dell’orario di lavoro per taluni casi speciali non è in alcun modo in contraddizione con l’interpretazione da me proposta. Alcune categorie di lavoratori e i lavoratori di alcuni specifici settori, infatti, necessitano di una particolare protezione – per le intrinseche caratteristiche della prestazione come ad esempio i lavoratori a tempo parziale o i lavoratori mobili – e per essi il diritto dell’Unione prevede sistemi di controllo particolarmente rigorosi e completi. 77. Per i lavoratori ordinari , non rientranti in tali specifiche categorie, la direttiva 2003/88 presuppone, invece, l’esistenza di un mezzo di rilevazione dell’orario di lavoro che può essere un semplice registro cartaceo, elettronico o uno strumento diverso, purché idoneo allo scopo. 78. Per quanto attiene, in secondo luogo, alla pretesa lesione di diritti fondamentali relativi al trattamento dei dati personali attraverso l’introduzione di sistemi di misurazione dell’orario di lavoro, la Corte, ha già avuto modo di precisare che, pur potendo rientrare il contenuto di un registro dell’orario di lavoro nella nozione di dati personali ai sensi del diritto dell’Unione, quest’ultimo non osta a una normativa nazionale che imponga la messa a disposizione dell’autorità nazionale competente in materia di vigilanza sulle condizioni di lavoro del medesimo registro dell’orario di lavoro al fine di consentirne la consultazione immediata 25 . 79. Naturalmente il datore di lavoro dovrà fare un uso legittimo dei dati disponibili nel registro, consentendone l’accesso solo a soggetti che abbiano un interesse qualificato. 80. Quanto, in terzo luogo, all’argomento secondo cui il diritto spagnolo avrebbe recepito le prescrizioni della direttiva 2003/88 in modo addirittura più favorevole al lavoratore riducendo, ad esempio, il numero massimo di ore settimanali , esso sconta l’equivoco di confondere la diversa valenza rivestita dagli obblighi sostanziali le prescrizioni minime della direttiva e da quelli invece strumentali sistemi di controllo dell’effettivo rispetto dei primi . 81. Nel giudizio odierno non è in discussione la corretta attuazione degli obblighi espressamente imposti agli Stati membri dalla direttiva 2003/88 durata minima del riposo giornaliero e settimanale, durata massima della settimana lavorativa, etc. , ma il fatto che al fine del corretto rispetto di quegli obblighi sia o meno necessario prevedere anche uno strumento di controllo idoneo. 82. Neppure mi sembra, in quarto luogo, possibile fare riferimento, al fine di contestare la tesi a favore dell’esistenza di un obbligo giuridico di prevedere un sistema di misurazione dei tempi di lavoro, alla tutela che il sistema giuridico dell’Unione accorda alla libertà di impresa, che comporta il diritto alla scelta dei modelli organizzativi ritenuti più idonei per lo svolgimento della specifica attività. 83. A tale riguardo occorre ricordare che il quarto considerando della direttiva 2003/88 afferma chiaramente che [i]l miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico . 84. Del resto, in udienza i rappresentanti della parte convenuta in via principale non hanno indicato quali siano gli effettivi ostacoli pratici all’adozione di un sistema di misurazione dell’orario di lavoro all’interno dell’impresa. 85. Peraltro se, come si dirà nel prossimo capitolo, gli Stati membri godono di significativi margini di apprezzamento nell’adozione delle discipline nazionali riguardanti l’orario di lavoro, dovrebbe rientrare nella loro discrezionalità anche la previsione di sistemi differenziati in ragione della complessità organizzativa e delle caratteristiche di ciascuna impresa. E. Autonomia degli Stati membri nella determinazione del sistema di misurazione 86. Se dall’interpretazione da me proposta ai paragrafi precedenti risulta la sussistenza di un obbligo di introdurre un sistema di rilevazione dell’orario di lavoro, in ragione della finalità di armonizzazione minima della direttiva 2003/88 e conformemente a quanto affermato al precedente paragrafo 49, ritengo peraltro che sia rimessa alla discrezionalità degli Stati membri la determinazione delle forme e dei modi di attuazione di tale obbligo 26 , nonché la definizione delle modalità concrete che consentono un agevole controllo del rispetto delle regole sui limiti dei tempi di lavoro. 87. A questo proposito va sottolineato, che la tecnologia attuale consente i più svariati sistemi di rilevazione dell’orario di lavoro 27 registri cartacei, applicazioni informatiche, badge elettronici , sistemi che potrebbero anche essere differenziati a seconda delle caratteristiche e delle esigenze delle singole imprese. 88. Pur gli Stati membri disponendo di un margine di discrezionalità importante nella scelta delle forme e dei modi di attuazione dell’obbligo di introdurre un sistema di rilevazione dell’orario di lavoro, risulta dal ragionamento svolto ai paragrafi precedenti, ed in particolare dall’obbligo a carico degli Stati membri messo in evidenza ai precedenti paragrafi 45 e seguenti di garantire l’effetto utile della direttiva 2003/88 e l’effettività dei diritti da questa riconosciuti ai lavoratori, che un tale sistema di rilevazione deve essere idoneo a raggiungere tali obiettivi 28 . F. Sulle questioni pregiudiziali 89. Risulta da tutte le considerazioni che precedono che, a mio avviso, non è compatibile con il diritto dell’Unione una normativa nazionale che non ritiene sussistente l’obbligo per le imprese di introdurre un sistema di rilevazione dell’orario di lavoro giornaliero effettuato da tutti i lavoratori. Resta comunque affidato al giudice del rinvio verificare se la normativa discussa nel procedimento principale possa essere interpretata conformemente ai citati articoli della direttiva 2003/88 e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta. 90. Al riguardo, occorre rammentare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, i giudici nazionali, quando applicano il diritto interno, sono tenuti a interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione in modo tale da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288 TFUE 29 . 91. Ai fini della soluzione del caso in esame nel procedimento principale, va rammentato che il medesimo obbligo d’interpretazione conforme include l’obbligo per i giudici nazionali di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva. Di conseguenza, un giudice nazionale non può validamente ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto che detta disposizione è stata costantemente interpretata in un senso che è incompatibile con tale diritto 30 . 92. Pertanto, spetta al giudice del rinvio verificare se, utilizzando gli strumenti di interpretazione conosciuti nel diritto spagnolo, sia possibile interpretare lo Statuto dei lavoratori in modo tale da ritenere che esso preveda l’obbligo per l’impresa di introdurre un sistema di misurazione delle presenze giornaliere dei lavoratori a tempo pieno. 93. Ove l’interpretazione conforme non fosse possibile, non essendo consentito applicare direttamente la direttiva 2003/88 nei rapporti orizzontali tra soggetti privati, andrebbe verificato se per imporre all’impresa l’obbligo di tenere un sistema di misurazione delle presenze giornaliere possa essere applicato l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta. 94. La Corte si è già pronunciata riconoscendo l’effetto diretto nei rapporti orizzontali tra soggetti privati dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta con riguardo al diritto alle ferie 31 . Poiché la struttura del diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornaliero e settimanale è la medesima del diritto alle ferie e visto che si tratta di diritti strettamente connessi, finalizzati entrambi alla tutela di condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose, e che sono previsti dalla medesima disposizione della Carta, la giurisprudenza della Corte sull’effetto diretto nei rapporti orizzontali dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta può, a mio avviso, trovare applicazione anche con riguardo ai diritti a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi al riposo del lavoratore. 95. Questi diritti, dunque, possono essere fatti valere direttamente nei confronti del datore di lavoro, a condizione che si tratti di una situazione ricadente nel campo di applicazione del diritto dell’Unione 32 , circostanza che ricorre nel caso in esame visto che la normativa nazionale in causa costituisce attuazione della direttiva 2003/88, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro. 96. A tale riguardo, ritengo che il contenuto dei diritti a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi al riposo del lavoratore garantiti dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta e dei corrispondenti obblighi del datore di lavoro si estenda fino a comprendere anche l’adozione di un sistema di misurazione dei tempi di lavoro. 97. A sostegno di tale interpretazione estensiva dei diritti alla limitazione della durata massima del lavoro e al riposo può osservarsi, in via preliminare, che trattandosi di un diritto sociale è nella natura di questo tipo di diritti la pretesa del titolare a prestazioni positive da parte dello Stato o di altri soggetti obbligati. Questo tipo di diritti non può essere garantito se non attraverso delle prestazioni positive da parte del soggetto obbligato, la cui assenza o insufficienza priva di effettività il diritto. 98. Le osservazioni precedentemente svolte in ordine all’interpretazione della direttiva 2003/88, che hanno evidenziato come l’effettività del diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo dipenda dalla possibilità che esista un metodo certo e oggettivo che permetta di verificare le ore di lavoro realmente prestate, depongono del resto a favore di un’interpretazione dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta da cui si deduce l’esistenza di un obbligo per l’impresa di adottare un simile meccanismo di controllo, restando essa comunque libera di scegliere le tecniche che riterrà più opportune in relazione alle proprie specifiche esigenze legate all’organizzazione di impresa. IV. Conclusioni 99. Alla luce delle suesposte considerazioni propongo alla Corte di rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dall’Audiencia Nacional Corte centrale, Spagna nei termini seguenti 1 L’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e gli articoli 3, 5, 6, 16 e 22 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento e del Consiglio, del 4 novembre 2003 devono essere interpretati nel senso che impongono l’obbligo per le imprese di instaurare un sistema di misurazione dell’orario giornaliero di lavoro effettivo per i lavoratori a tempo pieno che non abbiano espressamente accettato, individualmente o collettivamente, di svolgere ore di lavoro straordinario e che non rivestano la qualifica di lavoratori mobili, della marina mercantile o ferroviari e ostano ad una normativa nazionale, da cui non si può dedurre l’esistenza di un tale obbligo. 2 Gli Stati membri sono liberi di prevedere la forma di rilevazione dell’orario giornaliero effettivo più idonea al raggiungimento dell’effetto utile delle disposizioni del diritto dell’Unione sopracitate. 3 Il giudice del rinvio è, comunque, tenuto a verificare, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, se gli sia possibile pervenire a un’interpretazione di tale diritto che sia in grado di garantire la piena effettività del diritto dell’Unione. Qualora sia impossibile interpretare una normativa nazionale come quella discussa nel procedimento principale in modo da garantirne la conformità alla direttiva 2003/88 e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, deriva da quest’ultima disposizione che il giudice del rinvio deve disapplicare tale normativa nazionale e assicurarsi che sia rispettato l’obbligo per l’impresa di dotarsi di un sistema idoneo alla misurazione dell’orario effettivo di lavoro. * Fonte curia.eu