L’essere omosessuali non giustifica di per sé l’esclusione permanente dalla donazione di sangue

Secondo l’Avvocato generale il solo fatto che un uomo abbia avuto o abbia rapporti sessuali con un altro uomo non costituisce un comportamento sessuale che giustifichi l’esclusione permanente dalla donazione di sangue l’esclusione può essere giustificata solo in considerazione dell’obiettivo di tutela della salute pubblica, solo a condizione che essa non sia discriminatoria, incoerente e sproporzionata.

Lo ha affermato l’Avvocato Generale Mengozzi nelle sue conclusioni alla causa C-528/13 del 17 luglio 2014. La rilevanza della questione in Italia e in Europa. Molti Paesi europei vietano ancora a gay, bisessuali con altri uomini di donare il sangue per quello che sono o fanno, non per le abitudini e le pratiche sessuali dell’individuo interessato, cioè le condizioni concrete nelle quali i rapporti sessuali si realizzano. In Italia, l’allora ministro della Sanità, Umberto Veronesi nel 2000 era stato firmatario di un decreto che modificava le norme in vigore, introdotte nel 1991 dall'allora ministro Francesco De Lorenzo, per evitare la diffusione dell’Aids tramite trasfusioni o trapianti. Da allora in Italia donare il sangue è vietato solo a chi adotti comportamenti sessuali a rischio essendo stata superata, formalmente, la concezione per categorie” che vedeva gli omosessuali esclusi, in quanto tali, dalla possibilità di essere donatori. Tuttavia, nella prassi, gli operatori sanitari e gli enti coinvolti spesso impediscono agli omosessuali in quanto tali di donare il sangue. Si comprende dunque la rilevanza delle conclusioni dell’avvocato generale nella causa discussa dalla Corte di Giustizia Europea. La vicenda. La fattispecie al centro della controversia in esame riguarda un caso francese. Il 29 aprile 2009 il medico dell’Istituto ematologico francese EFS ha rifiutato la donazione di sangue che desiderava fare un cittadino francese, per il motivo che quest’ultimo era omosessuale e il diritto francese esclude dalla donazione di sangue, in maniera permanente, gli uomini che hanno avuto o hanno rapporti sessuali con altri uomini. Il cittadino francese ha pertanto contestato tale decisione davanti al giudice amministrativo di Strasburgo, il quale, a sua volta, si è rivolto alla Corte di giustizia domandando se una siffatta esclusione permanente sia compatibile con una direttiva dell’Unione. Il quadro normativo. Al fine di meglio comprendere la questione esaminata dalle conclusioni dell’Avvocato Generale, si rivela opportuno ricordare il quadro normativo comunitario rilevante. Si tratta della direttiva 2004/33/CE della Commissione, del 22 marzo 2004, che applica la direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni requisiti tecnici del sangue e degli emocomponenti. In particolare, secondo tale direttiva, tra i criteri di esclusione permanente di donazioni si ravvisa un determinato comportamento sessuale, per cui le persone esposte per il loro comportamento sessuale al rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili con il sangue sono escluse in maniera permanente dalla donazione di sangue. Cosa si intende per comportamento sessuale? Nelle sue conclusioni, l’Avvocato Generale italiano Paolo Mengozzi si concentra sull’interpretazione della direttiva e in particolare dell’espressione comportamento sessuale . Infatti, l’Avvocato Generale ritiene che il solo fatto che un uomo abbia avuto o abbia rapporti sessuali con un altro uomo non costituisce, ai sensi della suddetta direttiva, un comportamento sessuale tale da giustificare l’esclusione permanente dell’uomo donatore dalla donazione di sangue. La direttiva peraltro non definisce espressamente cosa intende per comportamento sessuale, di conseguenza l’Avvocato Generale si riferisce al significato comune di tale termine. Secondo l’avvocato Generale Mengozzi, il comportamento definisce la maniera in cui un individuo si comporta, ossia il suo modo di agire. Pertanto, il comportamento sessuale può così definirsi, in particolare, attraverso le abitudini e le pratiche sessuali dell’individuo interessato, in altri termini mediante le condizioni concrete nelle quali i rapporti sessuali si realizzano. In tale prospettiva, il fatto che un uomo abbia avuto o abbia un rapporto sessuale con un altro uomo non costituisce un comportamento sessuale atto a rappresentare una causa di esclusione dalla donazione nel senso cui la direttiva si riferisce. Nella disciplina francese l’omosessualità è sinonimo di rischio elevato. La normativa francese tende invece a considerare il fatto che un uomo abbia avuto o abbia un rapporto sessuale con un altro uomo come una presunzione assoluta di esposizione a un rischio elevato, indipendentemente dalle condizioni e dalla frequenza dei rapporti o delle pratiche osservate. In base a tale presunzione, il diritto francese esclude quindi dalla donazione di sangue, sostanzialmente, la totalità della popolazione maschile omosessuale e bisessuale per il solo motivo che tali uomini hanno avuto o hanno rapporti sessuali con un altro uomo. Di conseguenza, è evidente come il criterio adottato dalla Francia sia formulato in una maniera troppo ampia e troppo generica, mentre la nozione di comportamento sessuale utilizzata dal legislatore dell’Unione richiede l’identificazione di una condotta o di un atteggiamento precisi che espongano il candidato donatore a un rischio elevato di contagio. L’esclusione degli omosessuali integra una discriminazione indiretta. L’Avvocato Generale esamina, quindi, la compatibilità della suddetta normativa francese con la disciplina comunitaria. In particolare, secondo l’art. 168, paragrafo 4, punto a del Trattato TFUE risulta che gli Stati membri possono mantenere o introdurre misure protettive più rigorose di quelle previste nella direttiva. A tale riguardo, l’Avvocato Generale sottolinea che la libertà degli Stati membri si ferma nel momento in cui il rispetto del diritto primario dell’Unione, e, in particolare, diritti e libertà fondamentali sono minacciati. Considerando quanto precisato dal Trattato TFUE, quindi, qualora si escludesse in maniera definitiva dalla donazione di sangue qualsiasi uomo che abbia avuto o che abbia rapporti sessuali con un altro uomo, la legge francese introdurrebbe un’evidente discriminazione indiretta fondata, in combinazione, sul sesso - ossia gli uomini - e sull’orientamento sessuale - vale a dire l’omosessualità e la bisessualità. La disparità di trattamento tra omosessuali e eterosessuali non è proporzionata. Il diritto comunitario ammette le discriminazioni indirette esclusivamente però nel caso in cui la disparità di trattamento sia giustificata e proporzionata. A tale riguardo l’Avvocato Generale osserva che la normativa francese persegue certamente uno scopo legittimo nei limiti in cui essa mira a ridurre al massimo i rischi di contagio per i riceventi e contribuisce così all’obiettivo generale di garantire un livello elevato di tutela della salute pubblica. Per contro, circa il rispetto del principio di proporzionalità, l’Avvocato generale considera che, sebbene la legge francese sembri essere idonea alla realizzazione dell’obiettivo perseguito, essa potrebbe andare oltre quanto è necessario alla sua realizzazione. L’esclusione degli omosessuali è palesemente incoerente. L’Avvocato Generale sottolinea altresì l’incoerenza della normativa francese non esistono, infatti, controindicazioni specifiche per una donna il cui partner abbia avuto o abbia rapporti sessuali con altri uomini. Peraltro, una persona il cui partner sia sieropositivo è unicamente oggetto di una controindicazione temporanea di quattro mesi, mentre in un caso siffatto l’esposizione al rischio è concreta. Infine, l’incoerenza della disciplina transalpina è evidente se solo si confronti l’ipotesi di un uomo che ha avuto, una volta nella sua vita o occasionalmente, un rapporto omosessuale protetto tale uomo è definitivamente escluso dalla donazione di sangue e quella di un’altra persona eterosessuale che intrattiene regolarmente rapporti non protetti tale persona è colpita solamente da una controindicazione temporanea . Le indicazioni dell’Avvocato Generale. Di conseguenza, secondo l’Avvocato Generale, il giudice del rinvio dovrà quindi verificare se la situazione epidemiologica propria della Francia si basa su statistiche affidabili, rappresentative e recenti e se, allo stato attuale di conoscenze scientifiche, non sia possibile, senza sottoporre la catena trasfusionale a vincoli eccessivi, prevedere misure di messa in quarantena delle donazioni in attesa che scada il periodo finestra . L’Avvocato Generale, infatti, ritiene che questo costituisca il periodo più critico e che espone i riceventi al rischio più elevato. Far trascorrere il periodo durante il quale il virus non è individuabile prima di analizzare la donazione di sangue permetterebbe di avvicinarsi considerevolmente al rischio zero. Sempre secondo l’Avvocato Generale, il giudice del rinvio dovrà altresì verificare se non sia possibile riformulare il questionario destinato a valutare i candidati donatori di sangue in modo da permettere al personale medico di identificare, nel corso di un colloquio individuale, se i candidati hanno un comportamento sessuale cosiddetto a rischio una siffatta valutazione è peraltro possibile per il resto della popolazione e di tutelare, così, in modo soddisfacente, la salute dei riceventi.

Avvocato Generale, conclusioni 17 luglio 2014, causa C-528/13 * Santé publique – Don du sang – Critères d’admissibilité des donneurs – Critères d’exclusion permanente ou temporaire – Exclusion définitive des hommes ayant eu des rapports sexuels avec un autre homme – Principe de non ‑ discrimination en raison de l’orientation sexuelle – Proportionnalité Table des matières I – Le cadre juridique A – Le droit de l’Union B – Le droit franÇ ais II – Le litige au principal et la question préjudicielle III – La procédure devant la Cour IV – Analyse juridique A – Résumé de la position du gouvernement franÇ ais B – Appréciation 1. Sur l’interprétation du point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 a Le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 ne peut être mis en œuvre qu’en présence d’un risque élevé de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang b Le fait pour un homme d’avoir eu ou d’avoir des rapports sexuels avec un autre homme constitue-t-il un comportement sexuel au sens du point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33? 2. Sur la marge d’appréciation laissée aux États membres par la directive 2004/33 et la possibilité reconnue à ces derniers de maintenir ou d’introduire des mesures de protection plus strictes a Le respect des dispositions du traité comme limite à l’exercice des compétences nationales b L’arrêté ministériel comporte une discrimination indirecte fondée sur la double combinaison du sexe et de l’orientation sexuelle c La différence de traitement est-elle justifiée et proportionnée? V – Conclusion 1. Le présent renvoi préjudiciel soulève une question délicate, celle de la compatibilité avec le droit de l’Union d’une mesure nationale qui exclut du don du sang, de manière permanente, les hommes qui ont eu ou ont des rapports sexuels avec d’autres hommes. I – Le cadre juridique A – Le droit de l’Union 2. Le cadre juridique en droit de l’Union peut être résumé comme suit. 3. Adoptée sur le fondement de l’article 152, paragraphe 4, sous a , CE [devenu l’article 168, paragraphe 4, sous a , TFUE], la directive 2002/98/CE du Parlement européen et du Conseil, du 27 janvier 2003, établissant des normes de qualité et de sécurité pour la collecte, le contrôle, la transformation, la conservation et la distribution du sang humain, et des composants sanguins, et modifiant la directive 2001/83/CE 2 , est née du constat fait par le législateur de l’Union d’une situation dans laquelle la qualité et la sécurité [du sang total, du plasma et des cellules sanguines d’origine humaine] ne font l’objet d’aucune réglementation communautaire contraignante, dans la mesure où ils sont destinés à la transfusion et ne sont pas transformés en tant que tels 3 . Ledit législateur a donc fait part de son intention d’adopter des dispositions garantissant que le sang et ses composants, quelle que soit leur destination, présentent un niveau comparable de qualité et de sécurité tout au long de la filière transfusionnelle dans tous les États membres , l’établissement de normes élevées de qualité et de sécurité devant contribuer à rassurer le public 4 . La directive 2002/98 poursuit ainsi l’objectif d’établir des normes de qualité et de sécurité pour le sang humain et les composants sanguins afin d’assurer un niveau élevé de protection de la santé humaine 5 . Elle a notamment imposé aux États membres de veiller à ce que seuls les établissements dûment désignés et agréés puissent se livrer à des activités de collecte, de contrôle, de transformation, de stockage et de distribution de sang et de composants sanguins et à ce qu’ils soient soumis à différentes inspections et mesures de contrôle 6 . Elle a également consacré les principes de la traÇ abilité du sang, de la gratuité et de la base volontaire du don ainsi que du contrôle obligatoire de chaque don 7 . 4. En revanche, les exigences relatives à l’admissibilité des donneurs de sang et de plasma, c’est-à-dire notamment les critères d’exclusion permanente et les critères d’exclusion temporaire, n’ont pas été arrêtées par la directive 2002/98, mais, au contraire, elles ont été adoptées par la directive 2004/33/CE de la Commission, du 22 mars 2004, portant application de la directive 2002/98 concernant certaines exigences techniques relatives au sang et aux composants sanguins 8 , en application de la procédure de comitologie visée à l’article 28 de la directive 2002/98 9 . 5. C’est donc la directive 2004/33 qui est venue fixer ces exigences. Son annexe III fixe les critères d’admissibilité pour les donneurs de sang total ou de composants sanguins. Le point 2 de l’annexe III est consacré aux critères d’exclusion desdits donneurs. 6. Le point 2.1 de l’annexe III énumère, dans un tableau, les critères d’exclusion permanente pour les candidats à des dons homologues 10 . La description du comportement sexuel, tel que visé par le tableau, est rédigée dans les termes suivants Sujets dont le comportement sexuel les expose au risque de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang . 7. Le point 2.2 de l’annexe III énumère les critères d’exclusion temporaire pour les candidats à des dons homologues, et le point 2.2.2 de ladite annexe vise, plus particulièrement, les critères d’exclusion liés à l’exposition au risque d’infection transmissible par transfusion. L’entrée du tableau consacrée aux [i]ndividus dont le comportement sexuel ou l’activité professionnelle les expose au risque de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang fixe l’exclusion suivante Exclusion après la fin du comportement à risque pendant une période dont la durée dépend de la maladie en question et de la disponibilité des tests adéquats . B – Le droit franÇ ais 8. La ministre de la Santé et des Sports a adopté, le 12 janvier 2009, un arrêté fixant les critères de sélection des donneurs de sang 11 ci-après l’ arrêté ministériel . 9. L’article 1er de l’arrêté ministériel fixe les conditions dans lesquelles un don du sang peut être effectué. Aux termes de l’article 1er, titre V, point 1, qui porte sur les caractéristiques cliniques du donneur, il appartient à la personne habilitée à procéder à la sélection des donneurs d’apprécier la possibilité d’un don au regard des contre-indications et de leur durée, de leur antériorité et de leur évolution grâce à des questions complémentaires au questionnaire préalable au don 12 . Ces questions sont posées, le cas échéant, lors de l’entretien préalable au don qui, lui, est systématique. Toujours aux termes de cette disposition, le candidat est ajourné du don s’il présente une contre-indication mentionnée dans l’un des tableaux de l’annexe II de l’arrêté ministériel. Il est prévu que les autorités sanitaires puissent modifier, ajouter ou supprimer des contre-indications au don du sang en fonction de situations épidémiologiques particulières ou des données de l’hémovigilance. 10. L’annexe II de l’arrêté ministériel contient les tableaux relatifs aux contre‑indications. Plus précisément, le tableau B énumère les contre-indications en cas de risque pour le receveur. La partie du tableau B consacrée au risque lié à la transmission d’une infection virale se présente comme suit Transmission d’une infection virale Risque d’exposition du candidat au don à un agent infectieux transmissible par voie sexuelle Rapport s sexuel s non protégé s avec un partenaire occasionnel CI [ 13 ] de quatre mois après le dernier rapport sexuel non protégé Multipartenariat sexuel plus d’un partenaire dans les quatre derniers mois CI de quatre mois après la fin de la situation de multipartenariat Homme ayant eu des rapports sexuels avec un homme CI permanente Rapports sexuels non protégés avec un nouveau partenaire depuis moins de deux mois CI de quatre mois après le dernier rapport sexuel non protégé Risque d’exposition du partenaire sexuel du candidat au don à un agent infectieux transmissible par voie sexuelle Partenaire ayant lui-même plus d’un partenaire dans les quatre derniers mois CI de quatre mois Partenaire ayant utilisé par voie injectable des drogues ou des substances dopantes et sans statut sérologique VIH [ 14 ] et VHB connu CI de quatre mois après le dernier rapport sexuel Partenaire ayant une sérologie positive pour VIH, HTLV, VHC, VHB AgHBs+ CI de quatre mois après le dernier rapport sexuel [] Partenaire ayant eu une IST récente ou en traitement CI de quatre mois après la guérison du partenaire II – Le litige au principal et la question préjudicielle 11. Le 29 avril 2009, le médecin de l’Établissement franÇ ais du sang EFS a refusé le don du sang que souhaitait faire M. Geoffroy Léger, au motif que ce dernier déclarait être homosexuel. 12. Par sa décision de refus, le médecin de l’EFS a fait application de l’arrêté ministériel, lequel considère comme une contre-indication permanente au don du sang le fait pour un candidat au don d’avoir eu des rapports sexuels avec un homme. 13. M. Léger a saisi la juridiction de renvoi d’un recours en annulation à l’encontre de cette décision. Il argue notamment que l’arrêté ministériel, en ce qu’il fixe la contre-indication permanente susmentionnée, méconnaîtrait la directive 2004/33, et plus particulièrement son annexe II, point B 15 , et son annexe III, point 2.1. L’arrêté ministériel violerait également, et par ailleurs, les articles 3, 8 et 14 de la convention européenne de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales, signée à Rome le 4 novembre 1950 ci‑après la CEDH , ainsi que le principe d’égalité. 14. Ainsi confronté à une difficulté liée à l’interprétation du droit de l’Union, le tribunal administratif de Strasbourg a décidé de surseoir à statuer et, par décision de renvoi parvenue au greffe de la Cour le 8 octobre 2013, de saisir cette dernière, sur le fondement de l’article 267 TFUE, de la question préjudicielle suivante Au regard de l’annexe III de la directive [2004/33], la circonstance pour un homme d’avoir des rapports sexuels avec un autre homme constitue-t-elle, en soi, un comportement sexuel exposant au risque de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang et justifiant une exclusion permanente [du] don du sang pour les sujets ayant eu ce comportement sexuel, ou est-elle simplement susceptible de constituer, en fonction des circonstances propres de l’espèce, un comportement sexuel exposant au risque de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang et justifiant une exclusion temporaire de don du sang pendant une durée déterminée après la fin du comportement à risque? III – La procédure devant la Cour 15. Seuls le gouvernement franÇ ais et la Commission européenne ont déposé des observations écrites devant la Cour. IV – Analyse juridique A – Résumé de la position du gouvernement franÇ ais 16. Le gouvernement franÇ ais considère que la directive 2004/33 ne s’oppose pas à ce qu’un État membre considère que la circonstance pour un homme d’avoir des rapports sexuels avec un autre homme HSH 16 constitue un comportement sexuel exposant au risque de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang qui justifie une exclusion permanente du don. 17. Premièrement, le comportement sexuel consistant, pour un homme, à avoir des rapports sexuels avec un autre homme constituerait, en soi, un comportement sexuel de nature à justifier une exclusion permanente du don. La directive 2002/98 s’inscrit plus largement dans le contexte de la mise en place d’une politique commune de santé publique et vise à fixer des normes élevées de qualité et de sécurité – objectifs omniprésents dans ladite directive – par une approche coordonnée de la sécurité du sang faisant suite à divers cas d’infections par voie transfusionnelle. La directive 2002/98 a ainsi été adoptée sur la base de l’article 152, paragraphe 4, sous a , CE. L’objectif prioritaire est, en outre, celui de la protection du receveur du don et, à cet égard, la directive insiste sur le fait que les dons doivent provenir de personnes dont l’état de santé est tel qu’aucun effet néfaste ne résultera du don et que tout risque de transmission d’une maladie infectieuse est réduit au maximum 17 . Précisément, la sélection des donneurs est un des trois moyens de réduire ce risque 18 . 18. Si la directive 2004/33 prévoit que les sujets dont le comportement sexuel les expose au risque de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang doivent être exclus de manière permanente du don, elle ne définit toutefois pas cette notion. Par ailleurs, c’est cette même exposition à un risque qui est visée par le point 2.2.2 de l’annexe III de ladite directive, lequel vise les critères d’exclusion temporaire. Les autres versions linguistiques présentent, en outre, des divergences. Dans un tel cas, la jurisprudence constante de la Cour impose de se référer à l’économie générale et à la finalité de la directive, qui est, d’après le gouvernement franÇ ais, la limitation maximale du risque et la mise en place de normes élevées de sécurité et de qualité. Dans ce contexte, un risque transitoire justifierait une exclusion temporaire, alors qu’un risque plus élevé pouvant justifier une mesure plus stricte devrait motiver une exclusion permanente. L’action de l’Union en la matière s’inscrivant en complément de celle des États membres et dans le respect de la responsabilité de ces derniers 19 , l’appréciation du risque reviendrait à ceux-ci en fonction de leurs situations épidémiologiques propres. 19. Sur ce point, le gouvernement franÇ ais mentionne des éléments statistiques montrant que la proportion d’individus vivant avec le VIH 20 dans la population HSH serait 65 fois plus élevée que dans le reste de la population. En ce qui concerne l’incidence de l’infection par le VIH 21 , en 2008, sur 6 940 nouvelles infections recensées, 3 320 personnes appartiendraient à la population HSH. Or, compte tenu de la fenêtre silencieuse pendant laquelle les virus VIH 1 et VIH 2 ne peuvent être détectés lors des tests de dépistage – respectivement 12 et 22 jours – une telle situation serait particulièrement problématique pour les dons du sang. Le Conseil de l’Europe, dans sa résolution du 27 mars 2013 22 , aurait d’ailleurs confirmé que la population HSH est exposée à un risque élevé de contraction, et donc de transmission, de maladies infectieuses graves transmissibles par le sang. 20. Deuxièmement, le gouvernement franÇ ais soutient que, au vu de ces éléments, l’application d’une exclusion seulement temporaire ne serait pas possible. Ainsi, le Conseil de l’Europe préconise de n’appliquer une contre-indication temporaire qu’après avoir établi que le comportement concerné n’expose pas à un risque élevé. Or, ce même Conseil a conclu, en appréciant l’impact sur la sécurité transfusionnelle des dons en provenance de la population HSH, à une augmentation du risque de transmission du VIH 23 . Le gouvernement franÇ ais considère que le comportement HSH expose à un risque élevé, non temporaire, comme en témoignent les données statistiques déjà mentionnées. Il ajoute que le risque résiduel d’infection au VIH – c’est-à-dire le rapport de dons infectés par rapport au nombre total de dons – est de 1 don potentiellement contaminant sur 2 900 000 et que la moitié des dons infectés par le VIH provient de la population HSH, laquelle aurait de plus en plus tendance à donner son sang, malgré la contre-indication permanente. Le gouvernement franÇ ais considère que le passage d’une exclusion permanente à une exclusion temporaire serait un faux signal envoyé à la population HSH, laquelle a, malgré tout, tendance, actuellement, à s’auto-exclure de la chaîne transfusionnelle et risquerait à la fois de transformer le don en un moyen supplémentaire de dépistage du VIH et de minimiser la portée du discours général de prévention contre le VIH. 21. Le gouvernement franÇ ais soutient également que juger l’exclusion permanente des HSH contraire à la directive 2004/33 priverait de tout effet utile le point 2.1 de l’annexe III de ladite directive. S’il existe d’autres comportements sexuels exposant à un risque de contamination 24 , tous exposeraient à un risque moins élevé de contracter de graves maladies infectieuses transmissibles par le sang par rapport à la population HSH, comme en témoignent les données statistiques rappelées plus haut. Or, si un tel risque ne répond pas au cas de figure visé par le point 2.1 de l’annexe III, le gouvernement franÇ ais s’interroge sur ce qui pourrait bien y répondre. Il en conclut que la population HSH ne peut faire l’objet que d’une exclusion permanente. 22. Troisièmement, même si le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 devait être interprété en ce sens que la population HSH ne pourrait être visée que par une exclusion temporaire, un État membre pourrait toujours appliquer des mesures plus protectrices et considérer qu’un tel niveau de risque de contamination justifie une exclusion permanente. Le gouvernement franÇ ais rappelle les articles 6, sous a , TFUE et 168, paragraphe 4, sous a , TFUE. Ce dernier prévoit que les États membres peuvent maintenir ou établir de telles mesures, ce qui est rappelé non seulement par le considérant 22, mais aussi par l’article 4, paragraphe 2, de la directive 2002/98, lequel énonce que ladite directive n’empêche pas les États membres de maintenir ou d’introduire des mesures de protection plus strictes, dans le respect des dispositions du traité. La protection de la santé humaine et de la vie des personnes occupant, au terme d’une jurisprudence constante, le premier rang parmi les biens et les intérêts protégés par l’Union et les États membres étant libres de décider du niveau de protection et de la manière de l’atteindre, rien ne s’opposerait à ce qu’un État membre considère que la population HSH doive faire l’objet d’une exclusion permanente du don en raison du risque élevé auquel cette population exposerait les donneurs, risque qui serait confirmé par les données épidémiologiques fournies par le gouvernement franÇ ais. Ainsi, la mesure de protection plus stricte que constituerait une telle exclusion définitive se révélerait proportionnée à l’objectif légitime poursuivi. B – Appréciation 23. Dans un premier temps, il s’agira de déterminer si le fait, pour un homme, d’avoir des rapports sexuels avec un autre homme est constitutif d’un comportement sexuel exposant au risque élevé de contracter des maladies infectieuses graves, au sens du point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33. 24. Si tel ne devait pas être le cas, il faudra alors examiner, dans un second temps, si un État membre peut, dans l’exercice de la marge d’appréciation qui lui est traditionnellement reconnue en matière de santé publique, adopter une mesure plus protectrice de cette dernière, telle que celle consistant en l’exclusion permanente du don du sang de la population HSH. 1. Sur l’interprétation du point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 a Le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 ne peut être mis en œuvre qu’en présence d’un risque élevé de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang 25. L’interprétation à donner au motif d’exclusion visé au point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 est d’autant plus débattue que, comme le gouvernement franÇ ais l’a souligné, un des motifs d’exclusion temporaire listé par le point 2.2.2 de ladite annexe est libellé dans les mêmes termes, puisqu’il mentionne les [i]ndividus dont le comportement sexuel ou l’activité professionnelle les expose au risque de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang 25 . Manifestement, l’intention du législateur ne peut pas avoir été celle de prévoir qu’un comportement défini dans les mêmes termes puisse faire l’objet d’une exclusion à la fois permanente et temporaire. Le gouvernement franÇ ais comme la Commission ont mis en évidence, sur ce point, l’existence de divergences dans les versions linguistiques disponibles de l’annexe III de la directive 2004/33. 26. En effet, selon les versions linguistiques envisagées, soit l’exclusion temporaire vise seulement l’existence d’un risque simple, par rapport au risque élevé visé par l’exclusion permanente 26 soit l’annexe III mentionne, dans les deux cas, un risque élevé 27 soit, comme c’est le cas pour la version franÇ aise, l’annexe fait également référence, dans les deux cas, à la seule notion de risque , sans plus de précision 28 . Or, la nécessité d’une interprétation uniforme du droit de l’Union exclut que, en cas de doute, le texte d’une disposition soit considéré isolément mais commande, au contraire, qu’il soit interprété également à la lumière des versions établies dans les autres langues officielles – comparaison qui, on l’a vu, n’est pas davantage éclairante – et en fonction de l’économie générale et de la finalité de la réglementation dont cette disposition constitue un élément 29 . Autrement dit, le simple fait que le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33, dans sa version en langue franÇ aise, ne vise que les sujets dont le comportement sexuel les expose au simple risque de contracter de graves maladies infectieuses n’est pas, en soi, un élément suffisant pour conclure à la compatibilité de l’exclusion permanente nationale avec la directive. 27. La directive 2004/33 précisant les exigences techniques de la directive 2002/98, elle poursuit la même finalité que cette dernière. Or, à l’instar de ce qu’a relevé le gouvernement franÇ ais, le législateur a fait de l’amélioration de la qualité et de la sécurité de la chaîne transfusionnelle une priorité de la directive 2002/98. 28. Son adoption s’inscrit dans un contexte dans lequel les États membres avaient préalablement éprouvé les défaillances de leurs systèmes de surveillance et de sécurisation de la chaîne transfusionnelle. En conséquence, les autorités supranationales se sont saisies de la question, que ce soit tant au niveau du Conseil de l’Europe 30 que de l’Union. Mais il faut attendre la directive 2002/98, qui a pour base juridique l’article 152, paragraphe 4, sous a , CE – lequel prévoyait l’adoption de mesures fixant des normes élevées de qualité et de sécurité [] du sang – pour voir l’Union se doter de son premier texte contraignant en la matière 31 . L’objectif de qualité et de sécurité y est omniprésent 32 . Il s’agit de prévenir la transmission de maladies 33 en s’assurant que les dons proviennent de personnes dont l’état de santé est tel qu’aucun effet néfaste ne résultera du don et que tout risque de transmission est réduit au maximum 34 , et ce afin de renforcer la confiance des individus 35 . Ces mêmes préoccupations se retrouvent à la lecture de la directive 2004/33 36 , dont l’objectif affiché est d’assurer un niveau élevé de protection de la santé humaine 37 . 29. Il est donc évident que les annexes de la directive 2004/33 doivent être interprétées à la lumière de cet objectif. Je suis également d’avis que le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 doit être interprété, comme le reconnaît d’ailleurs le gouvernement franÇ ais dans ses écritures, en ce sens que les sujets dont le comportement sexuel les expose à un risque élevé de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang sont exclus définitivement du don du sang. Une telle interprétation apparaît non seulement opportune, afin que la distinction opérée par le législateur de l’Union entre, d’une part, les motifs d’exclusion temporaire et, d’autre part, les motifs d’exclusion permanente garde toute sa pertinence, mais également cohérente avec l’idée, elle aussi présente dans la directive, de réduire au maximum tout risque de transmission. Ainsi, un risque élevé entraîne une exclusion permanente, alors qu’un risque moindre, plus limité n’entraîne qu’une exclusion temporaire. b Le fait pour un homme d’avoir eu 38 ou d’avoir des rapports sexuels avec un autre homme constitue-t-il un comportement sexuel au sens du point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33? 30. Si, eu égard à ce qui précède, la frontière entre exclusion temporaire et exclusion permanente semble se préciser, il reste à déterminer ce que peut être un comportement sexuel exposant à un risque élevé de contamination. 31. Sur ce point, le dossier soumis à la Cour ne contient aucun élément relatif aux travaux préparatoires de la directive 2004/33 qui aurait été susceptible d’indiquer ce que le législateur a voulu entendre par comportement sexuel et la directive ne contient aucune définition sur ce point. Un examen des documents émanant du Conseil de l’Europe n’est pas plus éclairant, le comité des ministres s’étant tout juste borné à définir un comportement sexuel à risque comme un comportement sexuel exposant les individus concernés à un risque ou un risque élevé de contracter des maladies infectieuses graves susceptibles d’être transmises par le sang 39 . Force est donc de s’en référer au sens commun. 32. D’un point de vue strictement littéral, le comportement définit la manière dont un individu se comporte, sa faÇ on de se conduire il s’agit de l’ensemble de ses réactions, c’est-à-dire de sa conduite 40 . La notion de comportement induit, a priori, une appréciation subjective et le comportement sexuel se définirait alors par les habitudes et les pratiques sexuelles de l’individu concerné, autrement dit par les conditions concrètes dans lesquelles ont été réalisés le s rapport s sexuel s en question. 33. Partant, une question se pose l’exclusion permanente pour les HSH vise‑t‑elle à affecter une orientation sexuelle particulière ou plutôt un véritable comportement, à proprement parler? 34. En effet, le critère excluant utilisé par l’arrêté ministériel est le fait, pour un homme, d’avoir eu ou d’avoir une activité sexuelle consistant en un rapport sexuel avec un homme, peu importe les conditions de ce s rapport s , leur fréquence ou les pratiques observées. Bien sûr, le critère n’est pas explicitement et directement formulé sur la base de l’orientation sexuelle, la catégorie HSH n’étant officiellement pas définie en fonction de l’orientation sexuelle 41 . Mais il pose néanmoins une sorte de présomption irréfragable selon laquelle une relation HSH expose nécessairement et systématiquement à un risque élevé de contamination. Et, en pratique, c’est essentiellement, si ce n’est exclusivement 42 , la totalité de la population masculine homosexuelle et bisexuelle qui se retrouve, de fait, exclue pour toujours du don pour la seule raison que ces hommes ont eu ou ont actuellement des rapports sexuels avec un autre homme. 35. À mon sens, le critère national retenu est formulé d’une manière à la fois trop large et trop générique, alors que la notion de comportement sexuel utilisée par le législateur de l’Union exige l’identification d’une conduite, d’une attitude précises exposant le candidat au don à un risque élevé de contamination. D’ailleurs, la Commission a déjà mis en exergue le fait que le comportement sexuel visé par la directive 2004/33 ne devait pas être entendu comme synonyme d’ orientation sexuelle 43 . 36. Conclure que le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 exige que soient exclues pour toujours du don du sang des personnes à propos desquelles a été identifié un comportement précis, circonstancié les ayant exposées ou les exposant à un risque élevé et qu’il ne se prête pas à une exclusion aussi générique que celle prévue par l’arrêté ministériel ne revient pas, contrairement à ce qu’a soutenu le gouvernement franÇ ais, à priver de son effet utile le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33. Cela oblige néanmoins, il est vrai, à affiner les critères d’exclusion permanente. Mais l’on peut d’ores et déjà penser aux professionnel le s du sexe 44 , qui, à mon sens, rempliraient les conditions pour être visé e s par une exclusion permanente sur le fondement de ce point 2.1 de ladite annexe. 37. Il résulte de ce qui précède que le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33 doit être interprété en ce sens que la seule circonstance, pour un homme, d’avoir eu ou d’avoir des rapports sexuels avec un autre homme n’est pas, en soi et à elle seule, constitutive d’un comportement sexuel exposant au risque élevé de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang. 2. Sur la marge d’appréciation laissée aux États membres par la directive 2004/33 et la possibilité reconnue à ces derniers de maintenir ou d’introduire des mesures de protection plus strictes a Le respect des dispositions du traité comme limite à l’exercice des compétences nationales 38. Comme je l’ai déjà souligné, la directive 2002/98, dont la directive 2004/33 a fixé les exigences techniques, a été adoptée sur la base juridique de l’article 152, paragraphe 4, sous a , CE, qui prévoyait les conditions dans lesquelles le Conseil pouvait contribuer à la réalisation de certains objectifs, et plus particulièrement celui d’adopter des mesures fixant des normes élevées de qualité et de sécurité [] du sang et des dérivés du sang . Le littera a dudit article précisait encore que ces mesures ne peuvent empêcher un État membre de maintenir ou d’établir des mesures de protection plus strictes 45 . L’article 152, paragraphe 5, CE affirmait que l’action de la Communauté dans le domaine de la santé publique respectait pleinement les responsabilités des États membres et, notamment, que les mesures visées au paragraphe 4, point a , ne port[aient] pas atteinte aux dispositions nationales relatives aux dons [] de sang 46 . 39. S’il faut déduire de ce qui précède que l’action de la Communauté hier, et de l’Union aujourd’hui, ne peut prendre la forme que de mesures d’accompagnement, d’encouragement ou de coordination, mais certainement pas d’harmonisation, la Cour n’a jamais interprété ces dispositions en ce sens que les mesures nationales échappent à tout contrôle de leur compatibilité avec le droit de l’Union. 40. Ainsi, en matière de sécurité sociale, la Cour a jugé que, [c]ertes, il est constant que le droit de l’Union ne porte pas atteinte à la compétence des États membres pour aménager leurs systèmes de sécurité sociale et que, en l’absence d’une harmonisation au niveau de l’Union, il appartient à la législation de chaque État membre de déterminer les conditions d’octroi des prestations en matière de sécurité sociale []. Il y a lieu, également, de relever que, aux termes de l’article 152, paragraphe 5, CE, l’action de l’Union dans le domaine de la santé publique respecte pleinement les responsabilités des États membres en matière d’organisation et de fourniture de services de santé et de soins médicaux. Il demeure toutefois que, dans l’exercice de cette compétence, les États membres doivent respecter le droit de l’Union, notamment les dispositions relatives à la libre prestation des services []. Ainsi, la Cour a jugé que l’article 152, paragraphe 5, CE n’exclut pas que les États membres soient tenus, au titre d’autres dispositions du traité [] d’apporter des adaptations à leur système de sécurité sociale, sans pour autant que l’on puisse considérer qu’il y aurait de ce fait une atteinte à leur compétence souveraine en la matière 47 . 41. Mutatis mutandis, la Cour devrait également juger que soumettre l’exercice des autres compétences nationales visées par l’article 152, paragraphe 5, CE au respect des dispositions du traité ne porte pas atteinte à leur compétence souveraine en la matière. La précision finale contenue audit article, qui vise spécifiquement le don du sang, n’apparaît pas devoir s’y opposer. 42. Ainsi, face à une législation nationale visant à s’assurer du caractère volontaire et non rémunéré du don, et apparaissant comme plus protectrice par rapport aux prescriptions de la directive 2002/98 48 , la Cour n’a pas refréné son contrôle au motif que la législation nationale relevait du champ d’application de l’article 152, paragraphe 5, CE. Elle a, au contraire, soumis ladite législation à un test de compatibilité avec d’autres dispositions du traité, en l’occurrence celles consacrées à la libre circulation des marchandises. Plus encore, elle a conclu que l’article 28 CE, lu en combinaison avec l’article 30 CE, s’opposait à la réglementation nationale selon laquelle l’importation de sang ou de composants sanguins en provenance d’un autre État membre n’était licite qu’à la condition, également applicable aux produits nationaux, que les dons de sang à la base de ces produits aient été effectués sans que les donneurs aient bénéficié d’une rémunération et sans que ces derniers aient obtenu un remboursement des frais qu’ils ont exposés pour effectuer ces dons 49 . 43. Je note, enfin, que le fait que le respect des dispositions du traité constitue la limite naturelle à l’exercice des compétences nationales est confirmé par l’article 4, paragraphe 2, premier alinéa, de la directive 2002/98, aux termes duquel [l]a présente directive n’empêche pas un État membre de maintenir ou d’introduire sur son territoire des mesures de protection plus strictes, dans le respect des dispositions du traité 50 et n’est contesté ni par le gouvernement franÇ ais 51 ni par la Commission 52 . b L’arrêté ministériel comporte une discrimination indirecte fondée sur la double combinaison du sexe et de l’orientation sexuelle 44. Puisque la liberté des États membres s’arrête dès que le respect du droit primaire de l’Union est menacé, je me bornerai à observer, à cet égard, que l’arrêté ministériel, en excluant de manière définitive tout homme ayant eu ou ayant des rapports sexuels avec un autre homme, introduit, dans le système de sélection des donneurs, une évidente discrimination indirecte 53 consistant en la combinaison d’un traitement différencié en raison du sexe – le critère en question ne visant que les hommes – et de l’orientation sexuelle – le critère en question ne visant quasi exclusivement que les hommes homosexuels et bisexuels. 45. Bien que la recommandation R 95 14 ait rappelé l’importance de mettre en place une sélection appropriée des donneurs évitant toute possibilité de discrimination, la résolution CM/Res 2013 3, précitée, a reconnu que l’exclusion de la population HSH, c’est-à-dire d’une catégorie entière de la population, avait cours, faute de pouvoir affiner les données statistiques disponibles en fonction des prises de risque individuelles. Or, précisément, les statistiques opposent régulièrement la population HSH à la population hétérosexuelle c’est bien que l’expression HSH est, dans l’esprit tant commun que scientifique, devenue synonyme d’ homosexuel ou de bisexuel 54 . La communauté masculine homosexuelle et bisexuelle est exclue du don du sang, et ce de manière définitive elle fait donc l’objet d’une discrimination. Or, l’Union entend lutter contre les discriminations fondées sur le sexe et l’orientation sexuelle, comme en attestent tant l’ancien article 13 CE que l’actuel article 19 TFUE et l’article 21 de la Charte 55 . 46. On pourrait certes objecter que tout mécanisme de sélection est, par nature, discriminatoire. Néanmoins, il importe de s’assurer que de telles différences de traitement apparaissent bien justifiées et proportionnées. c La différence de traitement est-elle justifiée et proportionnée? 47. La Cour a itérativement jugé que la santé et la vie des personnes occupent le premier rang parmi les biens et les intérêts protégés par le traité 56 . L’arrêté ministériel qui entraîne l’exclusion totale et permanente de la population HSH du don du sang constituant une mesure de protection plus stricte, au sens de l’article 4, paragraphe 2, de la directive 2002/98, il est incontestable qu’elle poursuit un objectif légitime, celui de réduire au maximum les risques de contamination pour les receveurs et de contribuer ainsi à l’objectif général d’assurer un niveau élevé de protection de la santé publique, rappelé aujourd’hui tant à l’article 168, paragraphe 1, TFUE qu’à l’article 35 de la Charte. 48. Si la réglementation en cause au principal poursuit bien un objectif légitime, il reste à vérifier qu’elle respecte, par ailleurs, le principe de proportionnalité, c’est-à-dire qu’elle soit appropriée et nécessaire à la réalisation de l’objectif poursuivi, étant entendu que, lorsqu’un choix s’offre entre plusieurs mesures appropriées, il convient de recourir à la moins contraignante et que les inconvénients causés ne doivent pas être démesurés par rapport aux buts visés 57 . 49. Premièrement, l’exclusion permanente de la population HSH tend effectivement à la réalisation de l’objectif légitime poursuivi. 50. Deuxièmement, quant aux inconvénients causés, au regard des enjeux en présence, ils devraient être considérés comme relativement supportables, le sentiment d’exclusion pour des raisons tenant à sa vie privée devant être mis en balance avec l’intérêt supérieur de la protection de la santé des receveurs. En outre, je peux concevoir que le rejet d’un geste de générosité et de solidarité désintéressées, comme l’est le don du sang, puisse provoquer une réaction d’incompréhension dans le chef des personnes auxquelles le refus est opposé, mais force est de reconnaître que le don du sang n’est, en soi, pas un droit, que son universalité n’a jamais été reconnue, puisque les donneurs font l’objet d’une sélection et doivent, à cet égard, satisfaire à un certain nombre de conditions, et que, en tout état de cause, le dernier mot appartient strictement aux autorités médicales qui, seules, endossent la pleine responsabilité immédiate de leurs décisions 58 . 51. Troisièmement, dans le contexte de la santé publique, le contrôle du respect du principe de proportionnalité exige de tenir compte du fait que l’État membre peut décider du niveau auquel il entend assurer la protection de la santé publique et de la manière dont ce niveau doit être atteint. Ce niveau pouvant varier d’un État membre à l’autre, il y a lieu de reconnaître aux États membres une marge d’appréciation 59 . En conséquence, le fait qu’un État membre impose des règles moins strictes que celles applicables dans un autre État membre ne signifie pas que ces dernières sont disproportionnées 60 . 52. Concrètement, cela signifie que le fait que l’Espagne, l’Italie, la Slovaquie, la Finlande et le Royaume-Uni n’excluent ni systématiquement ni définitivement la population HSH du don du sang 61 ne doit pas être pris en compte au moment de décider si une mesure moins attentatoire au principe de l’égalité de traitement, mais capable d’atteindre le même résultat, pourrait être adoptée par le gouvernement franÇ ais. Cela est d’autant plus vrai que le niveau de risque n’est pas uniforme entre les États membres, puisque leur situation épidémiologique, notamment à l’égard de l’infection par le VIH, est très disparate et qu’il est constant que la France présente un taux de prévalence du VIH dans la population HSH particulièrement élevé 62 . 53. Toutefois, pour déterminer si l’exclusion permanente contenue dans l’arrêté ministériel ne va pas au-delà de ce qui est nécessaire, la juridiction de renvoi devra procéder à un certain nombre de vérifications que l’état du dossier soumis à la Cour ne permet pas à cette dernière de mener. 54. Ainsi, il faut, en premier lieu, tenir compte de la situation épidémiologique propre à la France en s’assurant que les données statistiques fournies sont récentes 63 , représentatives et fiables. 55. En deuxième lieu, un certain nombre d’éléments relevant de la technique sanitaire devront être vérifiés. 56. L’argumentation du gouvernement franÇ ais s’est quasi exclusivement focalisée sur le risque de contracter le VIH auquel est exposée la population HSH. Si l’exclusion permanente est essentiellement justifiée par le risque qu’encourrait le receveur en raison de la fenêtre silencieuse , je relève que le gouvernement franÇ ais a indiqué que la période la plus longue – celle qui concerne le virus VIH 2 – est estimée à 22 jours. Or, sauf erreur de ma part, le délai maximal de conservation du sang est de 45 jours environ. La mise en quarantaine systématique des dons émanant de la population HSH pendant une telle période avant qu’ils soient testés pourrait être objectivement une solution permettant de réaliser au mieux l’objectif poursuivi. 57. La juridiction de renvoi devrait ainsi s’interroger sur le fait de savoir si une telle quarantaine serait économiquement tolérable et scientifiquement réalisable pour tout ou partie des composants sanguins. Elle devrait notamment vérifier que cela ne nuit pas au bon fonctionnement de la chaîne transfusionnelle. Pour ce faire, elle pourrait, par exemple, s’appuyer sur les conclusions du rapport sur la filière du sang remis en 2013 à la ministre des Affaires sociales et de la Santé par M. Olivier Véran, député franÇ ais ci-après le rapport Véran , aux termes duquel les experts s’accordent à dire que la mise en quarantaine systématique du plasma, associée au dépistage virologique, permettrait de neutraliser tout risque de transmission virale 64 . En termes de protection de la santé des receveurs, une telle solution apparaît optimale d’une part, elle permet de surmonter les problèmes liés au sentiment de discrimination que pourraient éprouver les membres de la population HSH – sentiment qui pourrait les pousser à ne pas répondre sincèrement au questionnaire – et, d’autre part, elle soumet tous les dons à un même traitement, en laissant s’écouler la période pendant laquelle le virus n’est pas détectable avant de le tester, de sorte que l’on se rapproche considérablement du risque zéro. Je relève que les observations du gouvernement franÇ ais, pourtant postérieures à la remise de ce rapport, ne font pas mention de ce dernier. 58. En outre, il existe un certain doute quant au caractère cohérent de l’exclusion permanente. En application de la contre-indication permanente fixée par l’arrêté ministériel et par une lecture combinée de ce dernier avec le questionnaire susvisé 65 , le fait pour un homme d’avoir eu, au moins une fois dans sa vie – fût-ce il y a dix ans – un rapport sexuel avec un autre homme entraîne son exclusion définitive du don du sang. Il faut en déduire que le caractère actuel du comportement à risque est indifférent, alors que, puisque tous les dons du sang sont testés pour ce qui concerne le VIH, c’est, en fait, la fenêtre silencieuse qui constitue la période la plus critique et qui expose les receveurs au risque le plus élevé 66 . Or, à nouveau, si la motivation principale est celle de la fenêtre silencieuse, l’on pourrait imaginer qu’une exclusion temporaire, fixée en fonction de la date du dernier rapport, s’avère plus appropriée. 59. Dans le même ordre d’idées, l’on peut s’interroger sur les raisons pour lesquelles il n’existe pas de contre-indication spécifique visant une femme dont le partenaire appartiendrait à la population HSH. Par ailleurs, une personne dont le partenaire est séropositif fait l’objet d’une contre-indication temporaire de quatre mois. D’un côté, on peut imaginer qu’une vigilance accrue est exercée au sein d’un tel couple, mais, d’un autre côté, l’on pourrait également considérer que, dans un tel cas, l’exposition au risque est réelle, alors que pour la population HSH, sans examen individuel des pratiques suivies, elle apparaît moins certaine. Il faut également mettre en perspective l’hypothèse de l’homme qui a eu, une fois dans sa vie ou occasionnellement, un rapport homosexuel protégé – exclu définitivement – avec celle d’une personne hétérosexuelle qui entretient régulièrement des rapports non protégés, mais qui ne sera pourtant frappée que d’une contre-indication temporaire est-ce que la seule appartenance à la population HSH est de nature à justifier, dans un tel cas, une exclusion définitive? 60. Pour en revenir aux statistiques, je relève qu’en 2011, 2 400 personnes issues de la population HSH ont découvert leur séropositivité. Pour la même année, 3 500 personnes ont été contaminées par rapports hétérosexuels, dont 2 400 personnes hétérosexuelles nées à l’étranger 67 . La juridiction de renvoi devrait chercher à éclaircir les raisons pour lesquelles cette catégorie de donneurs ne fait l’objet d’aucune contre-indication aux termes de l’arrêté ministériel en cause dans le cadre du litige au principal 68 . 61. Enfin, et peut-être surtout, le questionnaire pourrait être remanié de sorte qu’il puisse servir à l’identification des comportements à risque dans la population HSH, comme il le fait, semble-t-il de manière satisfaisante, pour le reste de la population des donneurs. Des questions plus ciblées – concernant le délai depuis le dernier rapport, le nombre de partenaires, la nature des rapports, le caractère protégé des rapports, la fréquentation des lieux nocturnes – permettraient non plus d’identifier une orientation sexuelle, mais, au contraire, d’évaluer le niveau de risque que présente individuellement chaque donneur en raison de son propre comportement sexuel 69 . 62. Il résulte de ce qui précède qu’il appartient à la juridiction de renvoi de s’assurer que, en excluant de manière permanente du don du sang les hommes ayant eu ou ayant des rapports sexuels avec un homme, le gouvernement franÇ ais a exercé la marge d’appréciation qui est traditionnellement reconnue aux États membres dans le domaine de la protection de la santé publique d’une manière qui soit conforme aux exigences du principe de non-discrimination en raison de l’orientation sexuelle, et plus particulièrement du principe de proportionnalité. En contrôlant que la mesure d’exclusion définitive ne va pas au-delà de ce qui est nécessaire pour réaliser l’objectif légitime de la protection de la santé des receveurs, il lui appartient, notamment, de s’assurer, premièrement, que la situation épidémiologique propre à la France, telle que celle présentée à la Cour, repose sur des statistiques fiables, représentatives et récentes, et, deuxièmement, que, en l’état actuel des connaissances scientifiques, il n’est pas possible, sans soumettre la chaîne transfusionnelle à des contraintes excessives, de prévoir des mesures de mise en quarantaine des dons dans l’attente de l’expiration de la fenêtre silencieuse. Enfin, il lui appartient également de rechercher les éventuelles raisons pour lesquelles l’évaluation de la prise de risque individuelle, au travers d’un questionnaire éventuellement remanié et d’un entretien individuel mené par le personnel médical visant à identifier si le candidat au don a un comportement sexuel dit à risque , alors qu’elle est possible pour le reste de la population, se révélerait impropre à assurer de manière satisfaisante la protection des receveurs en ce qui concerne les dons provenant d’hommes ayant eu ou ayant des rapports sexuels avec un homme. V – Conclusion 63. Eu égard à l’ensemble des considérations qui précèdent, je suggère à la Cour de répondre comme suit à la question posée par le tribunal administratif de Strasbourg Le point 2.1 de l’annexe III de la directive 2004/33/CE de la Commission, du 22 mars 2004, portant application de la directive 2002/98/CE du Parlement européen et du Conseil concernant certaines exigences techniques relatives au sang et aux composants sanguins, doit être interprété en ce sens que la seule circonstance, pour un homme, d’avoir eu ou d’avoir actuellement des rapports sexuels avec un homme n’est pas, en soi et à elle seule, constitutive d’un comportement sexuel exposant au risque élevé de contracter des maladies infectieuses graves transmissibles par le sang. Il appartient à la juridiction de renvoi de s’assurer que, en excluant de manière permanente du don du sang les hommes ayant eu ou ayant des rapports sexuels avec un homme, le gouvernement franÇ ais a exercé la marge d’appréciation qui est traditionnellement reconnue aux États membres dans le domaine de la protection de la santé publique d’une manière qui soit conforme aux exigences du principe de non‑discrimination en raison de l’orientation sexuelle, et plus particulièrement du principe de proportionnalité. En contrôlant que la mesure d’exclusion définitive ne va pas au-delà de ce qui est nécessaire pour réaliser l’objectif légitime de la protection de la santé des receveurs, il lui appartient, notamment, de s’assurer, premièrement, que la situation épidémiologique propre à la France, telle que celle présentée à la Cour, repose sur des statistiques fiables, représentatives et récentes, et, deuxièmement, que, en l’état actuel des connaissances scientifiques, il n’est pas possible, sans soumettre la chaîne transfusionnelle à des contraintes excessives, de prévoir des mesures de mise en quarantaine des dons dans l’attente de l’expiration de la fenêtre silencieuse. Enfin, il lui appartient également de rechercher les éventuelles raisons pour lesquelles l’évaluation de la prise de risque individuelle, au travers d’un questionnaire éventuellement remanié et d’un entretien individuel mené par le personnel médical visant à identifier si le candidat au don a un comportement sexuel dit ‘à risque’, alors qu’elle est possible pour le reste de la population, se révélerait impropre à assurer de manière satisfaisante la protection des receveurs en ce qui concerne les dons provenant d’hommes ayant eu ou ayant des rapports sexuels avec un homme. fonte http //curia.europa.eu/