Niente congedo di maternità per la madre che ha avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata

Infatti, la disposizione sul congedo di maternità nella direttiva 92/85/CEE sulle lavoratrici gestanti si riferisce espressamente al parto e ha l’obiettivo di proteggere la madre nella peculiare situazione di vulnerabilità derivante dalla sua gravidanza.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia nelle sentenze nelle cause C-167/12 e C-363/12 del 18 marzo 2014. La vicenda. Il caso riguarda due donne, rispettivamente un’impiegata in un ospedale nel Regno Unito, e un’insegnante che lavora in Irlanda, le quali si sono avvalse ciascuna di una madre surrogata per avere un figlio. La prima ha stipulato un contratto di maternità surrogata ai sensi del diritto britannico. Il figlio è stato concepito con spermatozoi del suo compagno e l’ovocita di un’altra donna. Alcuni mesi dopo la nascita, un tribunale britannico ha conferito alla donna e al suo compagno, con il consenso della madre surrogata, la definitiva e piena potestà genitoriale sul bambino, conformemente alla normativa britannica sulla gestazione per conto terzi. La seconda donna soffre di una rara patologia per effetto della quale, pur essendo fertile, è priva di utero e quindi non è in grado di sostenere una gravidanza. Lei e il marito hanno avuto un figlio grazie a un contratto stipulato con una madre surrogata in California. Dal punto di vista genetico, il figlio proviene dalla coppia e sul suo certificato di nascita americano non vi è alcuna menzione dell’identità della madre surrogata. Conformemente al diritto californiano, la donna e suo marito sono considerati i genitori del bambino. La questione. Le due donne hanno chiesto un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione. Le loro richieste sono state respinte con la motivazione che esse non erano mai state incinte e che i bambini non erano stati adottati dai genitori. I giudici nazionali ai quali si sono rivolte le due madri committenti chiedono se un simile rifiuto sia contrario alla direttiva sulle lavoratrici gestanti o se esso costituisca una discriminazione fondata sul sesso o sull’handicap discriminazioni vietate, rispettivamente, dalla direttiva 2006/54/CE e dalla direttiva 2000/78/CE . Il congedo di maternità sulla base di tale direttiva presuppone che la lavoratrice interessata sia stata incinta e abbia partorito. Nelle sentenze in esame, la Corte di Giustizia dichiara che il diritto dell’Unione non riconosce alle madri committenti il diritto a un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o di adozione. Per quanto riguarda la direttiva 92/85/CEE sulle lavoratrici gestanti, la Corte ricorda che il suo scopo è quello di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, considerate come un gruppo esposto a rischi specifici. In questa direttiva, la disposizione sul congedo di maternità si riferisce espressamente al parto e ha l’obiettivo di proteggere la madre nella peculiare situazione di vulnerabilità derivante dalla sua gravidanza. La Corte aggiunge che, sebbene il congedo di maternità sia volto anche ad assicurare la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il suo bambino, tale finalità riguarda tuttavia soltanto il periodo successivo alla gravidanza e al parto . Di conseguenza, il riconoscimento di un congedo di maternità sulla base di tale direttiva presuppone che la lavoratrice interessata sia stata incinta e abbia partorito. La madre committente non è tutelata dalla direttiva ma gli Stati possono applicare disposizioni più favorevoli. Da quanto detto, si ricava che una madre committente che per avere un figlio si sia avvalsa di una madre surrogata non ricade nell’ambito di applicazione della direttiva, nemmeno quando dopo la nascita possa allattare al seno o di fatto allatti al seno il bambino. Di conseguenza, gli Stati membri non sono tenuti, sulla base di detta direttiva, a riconoscere a una tale lavoratrice il diritto al congedo di maternità. Tuttavia, la Corte aggiunge che, poiché la direttiva persegue l’obiettivo di stabilire prescrizioni minime per proteggere le lavoratrici gestanti, gli Stati membri sono liberi di applicare alle madri committenti disposizioni più favorevoli. Il rifiuto di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente non costituisce una discriminazione. Per quanto riguarda la direttiva 2006/54/CE sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione, la Corte dichiara che il rifiuto di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente non costituisce una discriminazione fondata sul sesso, in quanto neppure un padre committente ha diritto a beneficiare di un tale congedo e il diniego non sfavorisce in modo particolare i lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori di sesso maschile. Peraltro, il diniego a una madre committente di un congedo retribuito equivalente a un congedo di adozione non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva sulla parità di trattamento. Questa lascia gli Stati membri liberi di accordare o meno un congedo di adozione. Essa si limita a prevedere che, qualora un siffatto congedo venga riconosciuto, le lavoratrici interessate debbano essere tutelate contro il licenziamento e abbiano il diritto di riprendere il loro impiego o un impiego equivalente. L’incapacità di procreare naturalmente non è un impedimento per la madre committente ad accedere a un impiego. Infine, riguardo alla direttiva 2000/78/CE, che vieta qualsiasi discriminazione fondata sull’handicap in materia di occupazione e di lavoro, la Corte osserva che è innegabile che l’incapacità di procreare possa causare a una donna grande sofferenza. Tuttavia, la nozione di handicap ai sensi di tale direttiva presuppone che la limitazione di cui soffre la persona, in interazione con barriere di diversa natura, sia in grado di ostacolare la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Dunque, l’incapacità di procreare naturalmente non costituisce di per sé, in via di principio, un impedimento per la madre committente ad accedere a un impiego, a svolgerlo o ad avere una promozione. In tale contesto, la Corte dichiara che l’impossibilità di avere un figlio non costituisce un handicap ai sensi della direttiva 2000/78 che, di conseguenza, non è applicabile alla presente fattispecie.

Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 18 marzo 2014, causa C-363/12 * Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento fra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata – Rifiuto di riconoscerle un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione – Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità − Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Divieto di qualsiasi discriminazione fondata su un handicap – Madre committente che non può sostenere una gravidanza – Sussistenza di un handicap – Validità delle direttive 2006/54 e 2000/78 Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione nonché sulla validità delle direttive 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego GU L 204, pag. 23 , e 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro GU L 303, pag. 16 . 2 Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Z., una madre committente che ha avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, da un lato, e un Government department un ministero irlandese e il Board of management of a community school un consiglio di amministrazione di una scuola comunale in prosieguo il Board of management , dall’altro, in merito al rifiuto di concedere alla prima, in seguito alla nascita di detto figlio, un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione. Contesto normativo Il diritto internazionale 3 La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata, a nome della Comunità europea, con la decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009 GU 2010, L 23, pag. 35 in prosieguo la convenzione dell’ONU , alla lettera e del preambolo enuncia quanto segue riconoscendo che la disabilità è un concetto in evoluzione e che la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri . 4 Ai sensi dell’articolo 1 di tale convenzione Scopo della presente convenzione è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità. Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri . 5 L’articolo 4 della suddetta convenzione, rubricato Obblighi generali , è così formulato 1. Gli Stati parti si impegnano a garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità. A tal fine, gli Stati parti si impegnano a ad adottare tutte le misure legislative, amministrative e di altra natura adeguate ad attuare i diritti riconosciuti nella presente convenzione b ad adottare tutte le misure, incluse quelle legislative, idonee a modificare o ad abrogare qualsiasi legge, regolamento, consuetudine e pratica vigente che costituisca una discriminazione nei confronti di persone con disabilità c a tener conto della protezione e della promozione dei diritti umani delle persone con disabilità in tutte le politiche e in tutti i programmi d ad astenersi dall’intraprendere ogni atto o pratica che sia in contrasto con la presente convenzione ed a garantire che le autorità pubbliche e le istituzioni agiscano in conformità con la presente convenzione e ad adottare tutte le misure adeguate ad eliminare la discriminazione sulla base della disabilità da parte di qualsiasi persona, organizzazione o impresa privata 3. Nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente convenzione, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, compresi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative. . 6 Ai sensi dell’articolo 5 della medesima convenzione, rubricato Uguaglianza e non discriminazione 1. Gli Stati parti riconoscono che tutte le persone sono uguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio dalla legge. 2. Gli Stati parti vietano ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità e garantiscono alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento. 3. Al fine di promuovere l’uguaglianza ed eliminare le discriminazioni, gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati, per garantire che siano forniti accomodamenti ragionevoli. 4. Le misure specifiche che sono necessarie ad accelerare o conseguire de facto l’uguaglianza delle persone con disabilità non costituiscono una discriminazione ai sensi della presente convenzione . 7 L’articolo 6 della convenzione dell’ONU, rubricato Donne con disabilità , enuncia 1. Gli Stati parti riconoscono che le donne e le minori con disabilità sono soggette a discriminazioni multiple e, a questo riguardo, adottano misure per garantire loro il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali. 2. Gli Stati parti adottano ogni misura idonea ad assicurare il pieno sviluppo, progresso e piena emancipazione delle donne, allo scopo di garantire loro l’esercizio ed il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali enunciati nella presente convenzione . 8 L’articolo 27 di tale convenzione, rubricato Lavoro e occupazione , al suo paragrafo 1 così dispone Gli Stati parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, inclusivo e accessibile alle persone con disabilità. Gli Stati parti garantiscono e favoriscono l’esercizio del diritto al lavoro, anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l’impiego, prendendo appropriate iniziative, anche legislative, in particolare al fine di b proteggere il diritto delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, di beneficiare di condizioni lavorative eque e favorevoli, compresa la parità di opportunità e l’uguaglianza di remunerazione per un lavoro di pari valore, condizioni di lavoro sicure e salubri, la protezione da molestie e le procedure di composizione delle controversie . 9 L’articolo 28 della suddetta convenzione, rubricato Adeguati livelli di vita e protezione sociale , al suo paragrafo 2 prevede come segue Gli Stati parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità alla protezione sociale e al godimento di questo diritto senza alcuna discriminazione fondata sulla disabilità, e adottano misure adeguate a tutelare e promuovere l’esercizio di questo diritto, ivi incluse misure per b garantire l’accesso delle persone con disabilità, in particolare delle donne e delle minori con disabilità nonché delle persone anziane con disabilità, ai programmi di protezione sociale e a quelli di riduzione della povertà . 10 L’articolo 42 della citata convenzione precisa La presente convenzione è aperta alla firma da parte di tutti gli Stati e delle Organizzazioni d’integrazione regionale presso la sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, a decorrere dal 30 marzo 2007 . 11 Ai sensi dell’articolo 43 della convenzione dell’ONU La presente convenzione è sottoposta a ratifica degli Stati firmatari e alla conferma formale delle organizzazioni d’integrazione regionale firmatarie. È aperta all’adesione di ogni Stato o organizzazione d’integrazione regionale che non abbia firmato la convenzione stessa . 12 La convenzione dell’ONU è entrata in vigore il 3 maggio 2008. La normativa dell’Unione La direttiva 92/85/CEE 13 L’articolo 2 della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16 paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE GU L 348, pag. 1 , reca le seguenti definizioni Ai fini della presente direttiva si intende per a lavoratrice gestante, ogni lavoratrice gestante che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali b lavoratrice puerpera, ogni lavoratrice puerpera ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi c lavoratrice in periodo di allattamento, ogni lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali, che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi . 14 L’articolo 8 di tale direttiva, rubricato Congedo di maternità , prevede quanto segue 1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. 2. Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali . La direttiva 2006/54 15 A termini del considerando 27 della direttiva 2006/54 Condizioni analoghe si applicano alla concessione da parte degli Stati membri a uomini e donne di un diritto individuale e non trasferibile a un congedo per adozione. Spetta agli Stati membri decidere se accordare o meno tale diritto al congedo di paternità e/o per adozione, nonché determinare qualsiasi condizione, diversa dal licenziamento e dal rientro al lavoro, che non rientra nel campo di applicazione della presente direttiva . 16 L’articolo 1 di tale direttiva stabilisce quanto segue Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda b le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione . 17 L’articolo 2 della medesima direttiva recita 1. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni a discriminazione diretta situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga b discriminazione indiretta situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari 2. Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende c qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85 . 18 L’articolo 4 della stessa direttiva, riguardante la parità retributiva, prevede Per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, occorre eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni. . 19 Conformemente al paragrafo 1 dell’articolo 14 della direttiva 2006/54, relativo alla parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene c all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo [157 TFUE] . 20 Ai sensi dell’articolo 16 di tale direttiva, rubricato Congedo di paternità o di adozione La presente direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di riconoscere diritti distinti di congedo di paternità e/o adozione. Gli Stati membri che riconoscono siffatti diritti adottano le misure necessarie per tutelare i lavoratori e le lavoratrici contro il licenziamento causato dall’esercizio di tali diritti e per garantire che alla fine di tale periodo di congedo essi abbiano diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non siano per essi meno favorevoli, e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero loro spettati durante la loro assenza . La direttiva 2000/78 21 L’articolo 1 della direttiva 2000/78 enuncia La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento . 22 L’articolo 2 di tale direttiva, rubricato Nozione di discriminazione , dispone quanto segue 1. Ai fini della presente direttiva, per principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1. 2. Ai fini del paragrafo 1 a sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga b sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che i tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari o che ii nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi. . 23 L’articolo 3 della suddetta direttiva definisce l’ambito di applicazione della stessa nei seguenti termini 1. Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene c all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione . 24 L’articolo 5 della medesima direttiva, rubricato Soluzioni ragionevoli per i disabili , è così formulato Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili . La normativa irlandese 25 L’Irlanda non prevede la maternità surrogata. 26 L’articolo 8 della legge del 1994 sulla tutela della maternità Maternity Protection Act 1994 , nella versione applicabile ai fatti oggetto del procedimento principale, prevede che una lavoratrice in stato di gravidanza abbia diritto a un congedo di maternità per un periodo non inferiore a 26 settimane. 27 Conformemente all’articolo 9 di detta legge, una delle condizioni per la concessione del congedo di maternità è la trasmissione al datore di lavoro, da parte della lavoratrice, di un certificato medico ovvero di altro certificato idoneo che confermi lo stato di gravidanza e specifichi la settimana presunta del parto. 28 L’articolo 6 della legge del 1995 sul congedo di adozione Adoptive Leave Act 1995 , nella versione applicabile ai fatti oggetto del procedimento principale, riconosce a una madre adottante o a un padre adottante non coniugato il diritto a un congedo di adozione per un periodo minimo di 24 settimane dalla data di affidamento del figlio adottato. 29 L’articolo 7 di tale legge richiede, tra le altre cose, la previa notifica dell’adozione al datore di lavoro e la trasmissione al medesimo di un certificato di affidamento oppure, in caso di adozione internazionale, di un certificato di idoneità e di attitudine. 30 I capi 9 e 11 dell’Atto unico del 2005 sulla protezione sociale e i servizi sociali Social Welfare Consolidation Act 2005 stabiliscono, rispettivamente, le norme relative alla concessione dell’indennità di maternità e dell’indennità di adozione. 31 L’articolo 2 del testo unico del 1998‑2011 sull’uguaglianza in materia di occupazione Employment Equality Acts 1998‑2011 definisce l’handicap, in particolare, come la totale o parziale assenza di funzioni fisiche o mentali in una persona, compresa la mancanza di una parte del corpo, e la situazione familiare come la responsabilità, fra l’altro, in qualità di genitore o di persona in loco parentis, verso un minore di 18 anni. 32 Ai sensi dell’articolo 6, paragrafi 1 e 2, di tale testo unico, sussiste discriminazione quando, sulla base di una serie di motivi, una persona è trattata in modo meno favorevole di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in una situazione analoga. Fra tali motivi, applicabili fra due persone qualsiasi, è compreso il fatto che una di esse sia di sesso femminile e l’altra di sesso maschile cosiddetta discriminazione fondata sul sesso , o che una sia portatrice di disabilità e l’altra non lo sia oppure presenti un handicap differente cosiddetta discriminazione fondata sull’handicap . 33 Il paragrafo 2A del suddetto articolo 6 dispone che, fermo restando il carattere generale di quanto disposto ai paragrafi 1 e 2, sussiste una discriminazione fondata sul sesso quando, per una ragione collegata alla gravidanza o al congedo di maternità, una lavoratrice dipendente è trattata, in spregio di ogni norma di legge, meno favorevolmente di quanto sia, sia stato o sarebbe trattato un altro lavoratore dipendente. Procedimento principale e questioni pregiudiziali 34 Dalla decisione di rinvio risulta che la sig.ra Z. lavora come docente di scuola secondaria in una scuola comunale gestita dal Board of management, in base alle condizioni di impiego stabilite dal Government department, che provvede alla sua remunerazione. 35 La sig.ra Z. soffre di una rara patologia per effetto della quale, pur avendo ovaie sane ed essendo fertile, è priva di utero e non è in grado di sostenere una gravidanza. Negli anni 2008 e 2009, la sig.ra Z e suo marito hanno deciso di ricorrere alla maternità surrogata, rivolgendosi a un’agenzia specializzata con sede in California Stati Uniti , Stato dove la legge disciplina dettagliatamente le gravidanze e i parti nell’ambito di tale tipo di maternità. 36 Il trattamento di fecondazione in vitro ha avuto luogo in Irlanda, mentre il trasferimento dell’ovocita nella madre surrogata è avvenuto in California nell’agosto 2009. 37 Il 7 aprile 2010, la sig.ra Z. si è recata in California per presenziare alla nascita del bambino, di sesso femminile, il 28 aprile 2010. La neonata è figlia genetica della sig.ra Z. e di suo marito, poiché è stata generata dai loro gameti. Conformemente al diritto californiano, la sig.ra Z. e suo marito ne sono i genitori e l’identità della madre surrogata non è menzionata nel certificato di nascita. La sig.ra Z., assistita dal marito, si è presa effettivamente cura della bambina a partire dalla sua nascita. Il 18 maggio 2010, la sig.ra Z. e suo marito hanno fatto ritorno con la figlia in Irlanda, Stato membro nel quale i contratti di maternità surrogata non sono disciplinati. 38 Le condizioni di impiego della sig.ra Z. prevedono il diritto a congedi retribuiti per maternità e per adozione. Qualora un docente assunto secondo tali condizioni usufruisca di uno dei suddetti congedi, nella maggior parte dei casi è il Government department ad accollarsene pro parte i costi, mentre il saldo è pagato dal Ministero della Protezione sociale, sotto forma di indennità di maternità. 39 Non essendo stata incinta e non potendo procreare, la sig.ra Z. non ha potuto soddisfare i requisiti fissati dalla legge del 1994 sulla tutela della maternità al fine di beneficiare di un congedo di maternità. Non avendo adottato il bambino nato al termine della maternità surrogata, ella non ha neppure potuto beneficiare del congedo di adozione alle condizioni previste dalla legge del 1995 sul congedo di adozione. 40 Inoltre, né le disposizioni di legge né il contratto di lavoro della sig.ra Z. contengono norme esplicite riguardanti il riconoscimento di un congedo in seguito alla nascita di un figlio nell’ambito di una maternità surrogata. 41 Il 10 febbraio 2010 la sig.ra Z. ha presentato al Government department una richiesta di attribuzione di un congedo equivalente a quello di adozione, richiesta respinta il 5 marzo 2010 con la motivazione che l’interessata non soddisfaceva i requisiti previsti dai regimi vigenti in materia di congedi di maternità o di adozione. 42 Il Government department, tuttavia, ha comunicato di essere disposto a riconoscere alla sig.ra Z. un congedo non retribuito per il periodo del suo soggiorno in California precedente la nascita della bambina. Esso ha aggiunto che, dopo la nascita, la sig.ra Z. avrebbe potuto usufruire del congedo parentale previsto dalla legge per il periodo dalla nascita a fine maggio 2010 e in seguito, nuovamente, a partire dall’inizio del successivo anno scolastico. Esso ha precisato che la sig.ra Z. aveva diritto a un congedo parentale di una durata massima di quattordici settimane e che avrebbe percepito la retribuzione normale nei mesi estivi. 43 In seguito a una combinazione di giorni di chiusura della scuola e di fruizione di un congedo per malattia retribuito e certificato, per ragioni non dipendenti dalla sua patologia, bensì a causa di stress, la sig.ra Z. ha lavorato circa nove giorni nel corso del periodo compreso tra il 12 aprile 2010 e l’inizio del gennaio 2011. Per tutto questo periodo, il Government department ha corrisposto alla sig.ra Z. la totalità della remunerazione. 44 Nel novembre 2010, la sig.ra Z. ha presentato ricorso contro il Government department dinanzi all’Equality Tribunal Tribunale per la parità , affermando che era stata oggetto di una discriminazione fondata sul sesso, sulla situazione familiare e sull’handicap e che il Government department né le aveva proposto soluzioni ragionevoli in quanto persona con disabilità né le aveva riconosciuto un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione nonostante si fosse sottoposta al trattamento della fecondazione in vitro. 45 In tale contesto l’Equality Tribunal ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali 1 Se, considerate le seguenti disposizioni del diritto primario dell’Unione europea – articolo 3 [TUE], – articoli 8 [TFUE] e 157 [TFUE] e/o – articoli 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [in prosieguo la Carta ], la direttiva 2006/54 – in particolare agli articoli 4 e 14 – debba essere interpretata nel senso che sussiste una discriminazione basata sul sesso qualora a una donna, il cui figlio genetico sia nato previo contratto di maternità surrogata e che si occupi del figlio medesimo sin dalla nascita, venga negato un congedo retribuito equivalente al congedo di maternità e/o di adozione. 2 In caso di risposta negativa alla prima questione, se la direttiva 2006/54 sia compatibile con le citate disposizioni del diritto primario dell’Unione . 3 Se, considerate le seguenti disposizioni del diritto primario dell’Unione – articolo 10 [TFUE] e/o – articoli 21, 26 e 34 della [Carta], la direttiva 2000/78 – in particolare agli articoli 3, paragrafo 1, e 5 – debba essere interpretata nel senso che sussiste una discriminazione basata sull’handicap qualora a una donna affetta da una patologia che le impedisce di procreare, il cui figlio genetico sia nato mediante un contratto di maternità surrogata e che si occupi del figlio medesimo sin dalla nascita, venga rifiutato un congedo retribuito equivalente al congedo di maternità e/o di adozione. 4 In caso di risposta negativa alla terza questione, se la direttiva 2000/78 sia compatibile con le citate disposizioni del diritto primario dell’Unione . 5 Se, ai fini dell’interpretazione e/o della contestazione della validità della direttiva 2000/78 , sia possibile basarsi sulla convenzione [dell’ONU]. 6 In caso di risposta affermativa alla quinta questione, se la direttiva 2000/78 – in particolare agli articoli 3 e 5 – sia conforme agli articoli 5, 6, 27, paragrafo 1, lettera b , e 28, paragrafo 2, lettera b , della convenzione [dell’ONU] . Sulle questioni pregiudiziali Sulla questioni prima e seconda 46 Con la prima e la seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se la direttiva 2006/54, in particolare agli articoli 4 e 14, debba essere interpretata nel senso che costituisce una discriminazione fondata sul sesso il diniego di un congedo retribuito equivalente a quelli di maternità e/o di adozione a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre committente, e, in caso di risposta negativa, se la suddetta direttiva sia legittima alla luce dell’articolo 3 TUE, degli articoli 8 TFUE e 157 TFUE nonché degli articoli 21, 23, 33 e 34 della Carta. 47 Occorre anzitutto esaminare la questione se costituisca una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54, il diniego di un congedo di maternità a una madre committente, quale la sig.ra Z. 48 L’articolo 4 di tale direttiva stabilisce che, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, è necessario eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni. 49 Ai sensi dell’articolo 14 della suddetta direttiva, è vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nel settore pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene, in particolare, all’occupazione e alle condizioni di lavoro, fra le quali le condizioni di licenziamento nonché la retribuzione. 50 Nell’ambito della presente causa, tali due articoli della direttiva 2006/54 devono essere letti in combinato disposto con le norme contenute all’articolo 2, paragrafi 1, lettere a e b , e 2, lettera c , della medesima direttiva. 51 Quanto alle discriminazioni di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a e b , della direttiva 2006/54, il rifiuto di riconoscere un congedo di maternità nel caso sottoposto al giudice del rinvio costituisce una discriminazione fondata direttamente sul sesso, ai sensi della lettera a di detta disposizione, se la ragione sostanziale di tale rifiuto riguarda esclusivamente i lavoratori di uno dei due sessi v., in tal senso, sentenze dell’8 novembre 1990, Dekker, -177/88, Racc. pag. I‑3941, punto 10 del 5 maggio 1994, Habermann-Beltermann, -421/92, Racc. pag. I‑1657, punto 14, e del 26 febbraio 2008, Mayr, -506/06, Racc. pag. I‑1017, punto 50 . 52 Ebbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle conclusioni, in forza della normativa nazionale applicabile ad una fattispecie come quella di cui trattasi nel procedimento principale, un padre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata è trattato allo stesso modo di una madre committente in una situazione analoga, nel senso che neppure lui ha diritto a beneficiare di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità. Ne consegue che il diniego opposto alla sig.ra Z. non si fonda su una ragione che riguarda esclusivamente i lavoratori di uno dei due sessi. 53 Per costante giurisprudenza della Corte, poi, sussiste una discriminazione indiretta fondata sul sesso quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di lavoratori di un sesso che dell’altro v., in tal senso, sentenze del 2 ottobre 1997, Gerster, -1/95, Racc. pag. I‑5253, punto 30 del 20 ottobre 2011, Brachner, -123/10, Racc. pag. I‑10003, punto 56, e del 20 giugno 2013, Riežniece, -7/12, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39 . 54 Orbene, riguardo alla discriminazione indiretta così prevista all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b , della direttiva 2006/54, si deve constatare che nessun elemento del fascicolo di causa consente di accertare che il rifiuto di accordare il congedo de quo sfavorisca in particolare i lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori di sesso maschile. 55 Di conseguenza, il rifiuto di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente, quale la sig.ra Z., non costituisce una discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a e b , della direttiva 2006/54. La circostanza che la madre committente si occupi del bambino sin dalla sua nascita, quale menzionata nella prima questione, non inficia questa conclusione. 56 Peraltro, in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c , di tale direttiva, costituisce una discriminazione ai sensi della direttiva 2006/54 qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo di maternità ai sensi della direttiva 92/85. 57 Ebbene, da un lato, una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata non può, per definizione, essere oggetto di un trattamento meno favorevole per ragioni collegate alla sua gravidanza, poiché la stessa non è mai stata incinta di questo figlio. 58 Dall’altro lato, al punto 1 del dispositivo della odierna sentenza D. -167/12, non ancora pubblicata nella Raccolta , la Corte ha statuito che la direttiva 92/85 deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere un diritto al congedo di maternità ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre committente, nemmeno quando, dopo la nascita, essa effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. 59 Pertanto, una tale madre committente non è oggetto di un trattamento meno favorevole per ragioni collegate all’aver beneficiato di un congedo di maternità ai sensi della direttiva 92/85 e non è, quindi, possibile considerarla oggetto di una discriminazione fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c , della direttiva 2006/54. 60 In considerazione di quanto precede, occorre dichiarare che negare un congedo retribuito equivalente al congedo di maternità a una donna che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata non costituisce una discriminazione ai sensi della direttiva 2006/54, in particolare dei suoi articoli 4 e 14. 61 Occorre poi verificare se costituisca una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54, il diniego di un congedo retribuito equivalente a un congedo di adozione a una madre committente, quale la sig.ra Z. 62 Conformemente al suo articolo 16, la direttiva 2006/54 lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di riconoscere diritti distinti di congedo di paternità e/o di adozione. Detto articolo si limita a stabilire che gli Stati membri i quali riconoscono siffatti diritti adottino le misure necessarie per tutelare i lavoratori e le lavoratrici contro il licenziamento causato dall’esercizio di tali diritti e per garantire che, alla fine di tale periodo di congedo, essi possano riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non siano per essi meno favorevoli e beneficiare di ogni eventuale miglioramento delle condizioni lavorative che sarebbe loro spettato mentre erano assenti. 63 Risulta chiaramente da tale articolo, in combinato disposto con il considerando 27 della direttiva 2006/54, che quest’ultima lascia inalterata la libertà degli Stati membri di accordare o meno un congedo di adozione e che le condizioni di applicazione di tale congedo non attinenti al licenziamento e al rientro al lavoro non rientrano nell’ambito di detta direttiva. 64 Occorre infine ricordare, riguardo alla validità della direttiva 2006/54 alla luce dell’articolo 3 TUE, degli articoli 8 TFUE e 157 TFUE nonché degli articoli 21, 23, 33 e 34 della Carta, che, per costante giurisprudenza, la Corte può decidere di non pronunciarsi su una questione pregiudiziale quando la disposizione la cui validità è oggetto del rinvio è manifestamente irrilevante ai fini della statuizione nel procedimento principale v. sentenza del 10 gennaio 2006, Cassa di Risparmio di Firenze e a., -222/04, Racc. pag. I‑289, punto 75 . 65 Orbene, come risulta da quanto precede, la situazione di una madre committente in ordine al riconoscimento di un congedo di maternità o di un congedo di adozione non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/54. 66 Di conseguenza, non vi è luogo a esaminare la validità di tale direttiva alla luce dell’articolo 3 TUE, degli articoli 8 TFUE e 157 TFUE nonché degli articoli 21, 23, 33 e 34 della Carta. 67 Tutto ciò considerato, alle questioni pregiudiziali prima e seconda occorre rispondere come segue – la direttiva 2006/54, in particolare agli articoli 4 e 14, deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre committente – la situazione di una simile madre committente in ordine al riconoscimento di un congedo di adozione non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Sulle questioni terza, quarta, quinta e sesta 68 Con la terza, la quarta, la quinta e la sesta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se la direttiva 2000/78, eventualmente letta alla luce della convenzione dell’ONU, debba essere interpretata nel senso che costituisce una discriminazione fondata sull’handicap il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione a una lavoratrice che sia incapace di sostenere una gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternità surrogata e, in caso di risposta negativa, se tale direttiva sia valida a fronte dell’articolo 10 TFUE, degli articoli 21, 26 e 34 della Carta nonché della convenzione dell’ONU. 69 Occorre preliminarmente rilevare che, come risulta dal suo articolo 1, la direttiva 2000/78 mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su uno qualsiasi dei motivi indicati in detto articolo, tra i quali l’essere portatori di un handicap, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro v. sentenza dell’11 luglio 2006, Chacón Navas, -13/05, Racc. pag. I‑6467, punto 41 . Ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c , tale direttiva si applica, nei limiti dei poteri conferiti all’Unione, a tutte le persone per quanto attiene, fra l’altro, all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione. 70 La nozione di handicap non è definita dalla direttiva 2000/78. 71 Tuttavia, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, gli accordi internazionali conclusi dall’Unione vincolano le sue istituzioni e, di conseguenza, prevalgono sui suoi stessi atti sentenze del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a., -366/10, Racc. pag. I‑13755, punto 50, nonché dell’11 aprile 2013, HK Danmark, -335/11 e -337/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 28 . 72 Il primato degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato impone di interpretare queste ultime in maniera per quanto possibile conforme a detti accordi sentenze del 22 novembre 2012, Digitalnet e a., -320/11, -330/11, -382/11 e -383/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39, nonché HK Danmark, cit., punto 29 . 73 Dalla decisione 2010/48 risulta che l’Unione ha approvato la convenzione dell’ONU. Di conseguenza, le disposizioni di tale convenzione costituiscono, a partire dalla sua data di entrata in vigore, parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione v. sentenze del 30 aprile 1974, Haegeman, 181/73, Racc. pag. 449, punto 5, e HK Danmark, cit., punto 30 . 74 Inoltre, dall’appendice all’allegato II della suddetta decisione risulta che, per quanto riguarda l’autonomia e la partecipazione sociale, le condizioni di lavoro e l’occupazione, la direttiva 2000/78 è tra gli atti dell’Unione concernenti le questioni disciplinate dalla convenzione dell’ONU. 75 Ne consegue che, nel caso di specie, la convenzione dell’ONU può essere invocata ai fini dell’interpretazione della direttiva 2000/78, la quale deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a detta convenzione v. sentenza HK Danmark, cit., punto 32 . 76 Per tali ragioni, in seguito alla ratifica della convenzione dell’ONU da parte dell’Unione, la Corte ha dichiarato che la nozione di handicap ai sensi della direttiva 2000/78 dev’essere intesa nel senso che si riferisce a una limitazione, risultante in particolare da durature menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori v. sentenza HK Danmark, cit., punti da 37 a 39 . 77 Si deve aggiungere che la nozione di handicap di cui alla direttiva 2000/78 dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce non soltanto ad un’impossibilità di esercitare un’attività professionale, ma altresì ad un ostacolo a svolgere una simile attività. Un’interpretazione diversa sarebbe incompatibile con la finalità di questa direttiva, che mira segnatamente a garantire che una persona con disabilità possa accedere ad un lavoro e/o svolgerlo v., in tal senso, sentenza HK Danmark, cit., punto 44 . 78 Nel caso di specie, la sig.ra Z. non può procreare a causa della rara patologia da cui è affetta, più precisamente l’assenza di utero. 79 Tenuto conto della nozione di handicap ricordata al punto 76 della presente sentenza, è pacifico che una simile patologia costituisce una limitazione risultante, segnatamente, da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, e che presenta carattere durevole. A tal riguardo, in particolare, è innegabile che l’incapacità di procreare possa causare a una donna grande sofferenza. 80 Tuttavia, la nozione di handicap ai sensi della direttiva 2000/78, presuppone che la limitazione di cui soffre la persona, in interazione con barriere di diversa natura, sia in grado di ostacolare la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. 81 Così, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 95 a 97 delle conclusioni, l’incapacità di procreare naturalmente non costituisce di per sé, in via di principio, un impedimento per la madre committente ad accedere a un impiego, a svolgerlo o ad avere una promozione. Nel caso in esame, dalla decisione del rinvio non risulta che la patologia di cui soffre la sig.ra Z. le abbia impedito di svolgere il suo lavoro o abbia ostacolato l’esercizio della sua attività professionale. 82 Si deve pertanto dichiarare che la patologia da cui è affetta la sig.ra Z. non costituisce un handicap ai sensi della direttiva 2000/78 e che, di conseguenza, detta direttiva, in particolare l’articolo 5, non è applicabile a una fattispecie come quella di cui trattasi nel procedimento principale. La circostanza che la madre committente si occupi del bambino sin dalla nascita, quale menzionata nella terza questione, non è atta a rimettere in discussione questa conclusione. 83 Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 64 della presente sentenza, non vi è luogo ad esaminare la validità della direttiva 2000/78 alla luce dell’articolo 10 TFUE nonché degli articoli 21, 26 e 34 della Carta. 84 Riguardo all’esame della validità della medesima direttiva rispetto alla convenzione dell’ONU, dalla giurisprudenza citata al punto 71 della presente sentenza risulta che la validità di un atto dell’Unione può essere inficiata dalla sua incompatibilità con norme di diritto internazionale. Qualora tale invalidità sia eccepita dinanzi ad un giudice nazionale, la Corte verifica se, nella causa sottoposta alla sua cognizione, sussistano le condizioni perché sia esaminata in forza dell’articolo 267 TFUE la validità dell’atto di diritto dell’Unione controverso alla luce delle norme di diritto internazionale invocate v. sentenze del 3 giugno 2008, Intertanko e a., -308/06, Racc. pag. I‑4057, punto 43, nonché Air Transport Association of America e a., cit., punto 51 . 85 Fra le condizioni indicate al punto precedente occorre ricordare che, qualora la natura e l’economia di un trattato internazionale consentano un controllo della validità dell’atto di diritto dell’Unione alla luce delle disposizioni di tale trattato, è altresì necessario che le disposizioni di quest’ultimo invocate ai fini dell’esame della validità dell’atto di diritto dell’Unione appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise v. citate sentenze Intertanko e a., punto 45, nonché Air Transport Association of America e a., cit., punto 54 . 86 Una simile condizione risulta soddisfatta qualora la norma invocata stabilisca un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, quanto ad esecuzione o a effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore v. sentenze del 30 settembre 1987, 12/86, Demirel, Racc. pag. 3747, punto 14 del 15 luglio 2004, Pêcheurs de l’étang de Berre, -213/03, Racc. pag. I‑7357, punto 39, nonché Air Transport Association of America e a., punto 55 . 87 Ebbene, nel caso di specie, dall’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione dell’ONU risulta che gli Stati parti devono adottare tutte le misure legislative, amministrative e di altra natura adeguate ad attuare i diritti ivi riconosciuti. Inoltre, ai sensi del paragrafo 3 del medesimo articolo 4, nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche adottate ai fini dell’attuazione della citata convenzione, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, comprese quelle minori di età, attraverso le loro organizzazioni rappresentative. 88 Quindi, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 114 delle conclusioni, tale accordo internazionale, imponendo obblighi agli Stati contraenti, presenta un carattere programmatico. 89 Di conseguenza, le disposizioni della convenzione dell’ONU sono subordinate, quanto ad esecuzione o a effetti, all’intervento di atti ulteriori che competono alle parti contraenti. In tale contesto, l’allegato II della decisione 2010/48 reca una dichiarazione relativa alla competenza dell’Unione nell’ambito cui si riferisce la convenzione dell’ONU ed elenca gli atti dell’Unione attinenti alle materie disciplinate da tale convenzione. 90 Pertanto, senza che occorra esaminare la natura e la struttura della convenzione dell’ONU, si deve dichiarare che le sue disposizioni non sono, dal punto di vista del contenuto, incondizionate e sufficientemente precise, secondo la giurisprudenza citata ai punti 85 e 86 della presente sentenza, e mancano dunque di effetti diretti nel diritto dell’Unione. Ne consegue che la validità della direttiva 2000/78 non può essere esaminata in riferimento alla convenzione dell’ONU. 91 Alla luce delle suesposte considerazioni, alle questioni terza, quarta, quinta e sesta occorre rispondere come segue – la direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sull’handicap il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione a una lavoratrice che sia incapace di sostenere una gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternità surrogata – la validità di tale direttiva non può essere esaminata in riferimento alla convenzione dell’ONU, ma la stessa direttiva deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a detta convenzione. Sulle spese 92 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte Grande Sezione dichiara 1 La direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, in particolare agli articoli 4 e 14, deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre committente. La situazione di una simile madre committente in ordine al riconoscimento di un congedo di adozione non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva. 2 La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sull’handicap il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione a una lavoratrice che sia incapace di sostenere una gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternità surrogata. La validità di tale direttiva non può essere esaminata in riferimento alla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ma la stessa direttiva deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a detta convenzione. * Fonte http //curia.europa.eu/

Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 18 marzo 2014, causa C-167/12 * Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 92/85/CEE − Misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento – Articolo 8 – Madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata – Rifiuto di riconoscerle un congedo di maternità – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento fra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Articolo 14 – Trattamento meno favorevole della madre committente riguardo alla concessione del congedo di maternità Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 1, paragrafo 1, 2, lettera c , 8, paragrafo 1, e 11, paragrafo 2, lettera b , della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE GU L 348, pag. 1 , nonché degli articoli 2, paragrafi 1, lettere a e b , e 2, lettera c , e 14 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego GU L 204, pag. 23 . 2 Detta domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra D., una madre committente che ha avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, e S.T., il suo datore di lavoro, una fondazione appartenente al National Health Service Sistema sanitario nazionale , in merito al rifiuto di concederle un congedo retribuito in seguito alla nascita di tale figlio. Contesto normativo Il diritto dell’Unione La direttiva 92/85 3 I considerando 1, 8, 9, 14 e 17 della direttiva 92/85 enunciano quanto segue considerando che l’articolo [118 A CE] prevede che il Consiglio adotti mediante direttive prescrizioni minime per promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori considerando che le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento devono essere considerate sotto molti punti di vista come un gruppo esposto a rischi specifici e che devono essere adottati provvedimenti per quanto riguarda la protezione della loro sicurezza e salute considerando che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne considerando che la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di allattamento rende necessario un diritto ad un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, ed il carattere obbligatorio di un congedo di maternità di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto considerando d’altronde che le disposizioni concernenti il congedo di maternità sarebbero anch’esse senza effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o dal versamento di un’indennità adeguata . 4 Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della citata direttiva La presente direttiva, che è la decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE, ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento . 5 L’articolo 2 della medesima direttiva reca le seguenti definizioni Ai fini della presente direttiva si intende per a lavoratrice gestante, ogni lavoratrice gestante che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali b lavoratrice puerpera, ogni lavoratrice puerpera ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi c lavoratrice in periodo di allattamento, ogni lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali, che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi . 6 L’articolo 8 della medesima direttiva, rubricato Congedo di maternità , prevede quanto segue 1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. 2. Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali . 7 L’articolo 10 della direttiva 92/85, rubricato Divieto di licenziamento , così dispone Per garantire alle lavoratrici ai sensi dell’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo 1 gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare il licenziamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2 nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità di cui all’articolo 8, paragrafo 1, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali e, se del caso, a condizione che l’autorità competente abbia dato il suo accordo . 8 Ai sensi dell’articolo 11 di tale direttiva, rubricato Diritti connessi con il contratto di lavoro Per garantire alle lavoratrici di cui all’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo 2 nel caso contemplato all’articolo 8, devono essere garantiti b il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata alle lavoratrici di cui all’articolo 2 . La direttiva 2006/54 9 L’articolo 1 della direttiva 2006/54 prevede quanto segue Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda b le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione . 10 L’articolo 2 di tale direttiva enuncia 1. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni a discriminazione diretta situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga b discriminazione indiretta situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari 2. Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende c qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE . 11 L’articolo 14, paragrafo 1, lettera c , della suddetta direttiva è così formulato È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene c all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo [157 TFUE] . La normativa del Regno Unito 12 La legge del 2008 sulla fecondazione e sull’embriologia umana Human Fertilisation and Embryology Act 2008 prevede, all’articolo 54, che un giudice possa, su istanza presentata da due persone, emettere un provvedimento di conferimento della potestà genitoriale su un bambino parental order , affinché quest’ultimo sia considerato, da un punto di vista giuridico, figlio dei richiedenti, qualora – la gravidanza sia stata portata avanti da una donna che non è una delle parti richiedenti, a seguito dell’impianto nel suo utero di un embrione o di spermatozoi e ovociti o dopo un’inseminazione artificiale – ai fini della formazione dell’embrione, siano stati impiegati i gameti di almeno uno dei richiedenti, e – sussistano talune ulteriori condizioni, fra cui il fatto che tra i richiedenti sussista il vincolo coniugale o un vincolo equiparabile. 13 L’articolo 47C della legge del 1996 sui diritti dei lavoratori Employment Rights Act 1996 statuisce che il dipendente ha il diritto di non subire alcun danno da una condotta o da un’omissione volontaria del suo datore di lavoro dovuta a una ragione prestabilita. S’intende tale una qualsiasi delle ragioni stabilite dal Secretary of State e relative, in particolare, alla gravidanza, al parto o alla maternità, al congedo di maternità ordinario, obbligatorio o supplementare, nonché al congedo di adozione ordinario o supplementare. 14 Ai sensi del regolamento del 1999 sui congedi di maternità e parentali ecc. The Maternity and Parental Leave etc. Regulations 1999 , una lavoratrice può beneficiare del congedo ordinario di maternità e del congedo supplementare di maternità qualora risultino soddisfatte determinate condizioni, nonché di una salvaguardia del suo contratto di lavoro durante il congedo di maternità. Il medesimo regolamento conferisce altresì alla lavoratrice il diritto di rientrare in servizio dopo il congedo di maternità nonché una tutela contro il licenziamento illegittimo. 15 Ai sensi dell’articolo 19 del suddetto regolamento, una lavoratrice ha diritto, in applicazione dell’articolo 47C della legge del 1996 sui diritti dei lavoratori, di non subire alcun danno da una condotta o da un’omissione volontaria del suo datore di lavoro dovuta, in particolare, al fatto che la stessa ha beneficiato, ha chiesto di beneficiare o si è avvalsa del beneficio del congedo di maternità ordinario o del congedo di maternità supplementare. 16 La legge del 2010 in materia di parità di trattamento Equality Act 2010 enuncia, fra l’altro, che una donna subisce una discriminazione qualora sia trattata in modo meno favorevole rispetto ad altre persone a motivo del suo sesso, della sua gravidanza o del suo congedo di maternità. Procedimento principale e questioni pregiudiziali 17 Dalla decisione di rinvio risulta che la sig.ra D. lavora dal 7 luglio 2011 alle dipendenze di S.T., in un ospedale gestito da quest’ultimo. 18 La sig.ra D. ha stipulato un contratto di maternità surrogata ai sensi della legge del 2008 sulla fecondazione e sull’embriologia umana per poter avere un bambino. Gli spermatozoi provenivano dal compagno della sig.ra D., ma gli ovociti non erano forniti da quest’ultima. Mai, durante il periodo di cui trattasi, la sig.ra D. si è trovata in stato di gravidanza. 19 S.T. ha previsto taluni regimi applicabili al congedo di maternità e al congedo di adozione, con rispettive indennità, i quali equivalgono ai congedi retribuiti previsti per legge. Detti regimi non prevedono né un congedo né un’indennità in favore delle madri committenti nei casi di surrogazione di maternità. S.T. ha altresì previsto un regime di congedi speciali, che non considera il caso della gestazione per conto terzi. Il 15 ottobre 2009, il direttore delle risorse umane di S.T. aveva precisato, in risposta alla richiesta di un sindacato relativa al regime giuridico applicabile alle madri committenti, che, laddove necessario, i requisiti sarebbero stati verificati su base individuale, alla luce delle disposizioni applicabili in materia di congedo di maternità o di adozione . 20 La sig.ra D. ha presentato al suo datore di lavoro una richiesta di congedo retribuito sulla base del regime da questi previsto in caso di adozione. Con lettera del 14 marzo 2011, S.T. ha comunicato alla sig.ra D. che il contratto di maternità surrogata stipulato dalla medesima non rispondeva alle condizioni previste dal suddetto regime, in quanto la sig.ra D. non poteva fornire alcun certificato attestante la compatibilità tra il futuro genitore adottivo e il bambino adottando, rilasciato da un’agenzia per le adozioni matching certificate . 21 Il medesimo giorno, dopo aver ricevuto questa lettera, la sig.ra D. ha presentato a S.T. una richiesta formale di congedo di maternità surrogata, equivalente, ad avviso della stessa, a un congedo di adozione, con la sola differenza che ella non poteva fornire un certificato di compatibilità in quanto non aveva dovuto sbrigare pratiche di adozione. L’11 aprile 2011, S.T. ha risposto che, qualora la sig.ra D. avesse proceduto a un’adozione, avrebbe avuto diritto a un congedo retribuito, ma che, in caso contrario, per legge non sussisteva alcun diritto a un congedo retribuito nel caso di maternità surrogata . 22 Il 7 giugno 2011, la sig.ra D. ha presentato ricorso dinanzi all’Employment Tribunal Tribunale del lavoro di Newcastle upon Tyne, facendo valere una discriminazione a motivo del sesso e/o della gravidanza e della maternità ai sensi della legge del 2010 in materia di parità di trattamento. Deduceva inoltre una violazione della legge del 1996 sui diritti del lavoro e del regolamento del 1999 sui congedi di maternità e parentali ecc. Allo stesso tempo, asseriva di aver patito un danno a motivo della gravidanza e della maternità nonché per aver cercato di farsi riconoscere un congedo di maternità ordinario o supplementare. Inoltre, la sig.ra D. denunciava una violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. 23 Il 10 giugno 2011, in seguito ad una nuova richiesta della sig.ra D., S.T. ha comunicato di disporre di un margine di discrezionalità residuale nella valutazione della richiesta di congedo retribuito e di aver deciso, a tal titolo, di accordare alla sig.ra D. le condizioni previste dal regime di congedo per adozione, il quale impone, fra l’altro, la produzione di determinati documenti. La sig.ra D. ha pertanto ottenuto un congedo retribuito ai sensi di tale regime, alle condizioni indicate in una lettera del 29 giugno 2011. 24 L’8 luglio 2011, dinanzi all’Employment Tribunal, Newcastle upon Tyne, S.T. ha affermato che la sig.ra D. non aveva il diritto di beneficiare dell’indennità di maternità, sulla base del rilievo che tale diritto spetta alla madre biologica del bambino. 25 Il bambino è nato il 26 agosto 2011. La sig.ra D. intendeva presenziare al parto, ma la nascita è avvenuta in modo improvviso. Entro l’ora successiva alla nascita, la sig.ra D. ha iniziato a occuparsi del bambino e ad allattarlo al seno. Ella ha continuato ad allattarlo per tre mesi. 26 La sig.ra D. e il suo compagno hanno adito il giudice competente al fine di ottenere un provvedimento di conferimento della potestà genitoriale ai sensi dell’articolo 54 della legge del 2008 sulla fecondazione e sull’embriologia umana. Con provvedimento del 19 dicembre 2011, detto giudice conferiva loro la piena e definitiva potestà genitoriale sul bambino. Da un punto di vista giuridico, la sig.ra D. e il suo compagno sono, pertanto, considerati i genitori del bambino. 27 In tale contesto, l’Employment Tribunal, Newcastle upon Tyne, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali In ciascuna delle questioni pregiudiziali riportate di seguito – l’espressione madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata” si riferisce a una madre committente lavoratrice che, nel periodo di cui trattasi, non era in stato di gravidanza o non ha dato alla luce il bambino in questione – l’espressione madre surrogata” si riferisce a una donna che ha portato avanti una gravidanza e ha dato alla luce un bambino per conto di una madre committente. 1 Se l’articolo 1, paragrafo 1, e/o l’articolo 2, lettera c , e/o l’articolo 8, paragrafo 1, e/o l’articolo 11, punto 2, lettera b , della direttiva 92/85 riconoscano un diritto al congedo di maternità a favore della madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata. 2 Se la direttiva 92/85 riconosca un diritto al congedo di maternità alla madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, nel caso in cui essa a possa allattare al seno dopo la nascita e/o b di fatto allatti al seno dopo la nascita. 3 Se il rifiuto del datore di lavoro di accordare il congedo di maternità alla madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata violi il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafo 1, lettere a e/o b , e/o con l’articolo 2, paragrafo 2, lettera c , della direttiva 2006/54 . 4 Se, in considerazione del rapporto sussistente tra la lavoratrice e la madre surrogata del bambino, il rifiuto di accordare il congedo di maternità alla madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata possa violare il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafo 1, lettere a e/o b , e/o con l’articolo 2, paragrafo 2, lettera c , della direttiva 2006/54 . 5 Se, in considerazione del rapporto sussistente tra la madre committente e la madre surrogata del bambino, il riconoscimento di un trattamento meno favorevole alla madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata possa violare il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafo 1, lettere a e/o b , e/o con l’articolo 2, paragrafo 2, lettera c , della direttiva 2006/54 . 6 Se, in caso di risposta affermativa alla quarta questione, lo status di madre committente sia sufficiente ad attribuire a quest’ultima il diritto al congedo di maternità, in qualità di madre committente, sulla base del suo rapporto con la madre surrogata del bambino. 7 In caso di risposta affermativa a una delle questioni dalla prima alla quarta a se la direttiva 92/85 abbia effetti diretti per quanto qui di rilievo, e b se la direttiva 2006/54 abbia effetti diretti per quanto qui di rilievo . Sulle questioni pregiudiziali Sulle questioni prima e seconda 28 Con la prima e la seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se la direttiva 92/85 debba essere interpretata nel senso che una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata ha diritto al congedo di maternità previsto all’articolo 8 di tale direttiva, e ciò, in particolare, nel caso in cui la madre committente, dopo la nascita, effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. 29 In via preliminare, occorre ricordare che lo scopo della direttiva 92/85, che è stata adottata sulla base dell’articolo 118 A CE, corrispondente all’articolo 153 TFUE, è di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento sentenze dell’11 ottobre 2007, Paquay, -460/06, Racc. pag. I‑8511, punto 27, e dell’11 novembre 2010, Danosa, -232/09, Racc. pag. I‑11405, punto 58 . 30 Al riguardo, il considerando 8 di detta direttiva enuncia che le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento devono essere considerate come un gruppo esposto a rischi specifici e che devono essere adottati provvedimenti per quanto riguarda la loro sicurezza e salute. 31 In tale contesto, la direttiva 92/85 prevede, all’articolo 8, paragrafo 1, che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché le lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto , conformemente alle legislazioni e/o alle prassi nazionali. 32 Secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto al congedo di maternità riconosciuto alle lavoratrici gestanti deve essere considerato un mezzo di protezione di diritto sociale che riveste un’importanza particolare. Il legislatore dell’Unione ha infatti ritenuto che i cambiamenti essenziali nell’esistenza delle interessate nel corso del limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, costituiscano un motivo fondato per sospendere l’esercizio della loro attività lavorativa, senza che la legittimità di siffatto motivo possa essere rimessa in questione, in qualsiasi modo, dalle pubbliche autorità o dai datori di lavoro sentenze del 20 settembre 2007, Kiiski, -116/06, Racc. pag. I‑7643, punto 49, e del 19 settembre 2013, Betriu Montull, -5/12, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 48 . 33 Infatti, come il legislatore dell’Unione ha riconosciuto al considerando 14 della direttiva 92/85, la lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento si trova in una situazione specifica di vulnerabilità che giustifica il diritto al congedo di maternità, ma che, in particolare durante tale congedo, non può essere equiparata a quella di un lavoratore di sesso maschile né a quella di un lavoratore di sesso femminile assente dal lavoro per malattia v. sentenze del 27 ottobre 1998, Boyle e a., -411/96, Racc. pag. I‑6401, punto 40, nonché Betriu Montull, cit., punto 49 . 34 Siffatto congedo di maternità di cui fruisce la lavoratrice è inteso a garantire, da un lato, la difesa della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza e, dall’altro, la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il suo bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto, evitando che dette relazioni siano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di un’attività lavorativa v., in particolare, sentenze del 12 luglio 1984, Hofmann, 184/83, Racc. pag. 3047, punto 25 Kiiski, cit., punto 46, e Betriu Montull, cit., punto 50 . 35 Di conseguenza, dallo scopo della direttiva 92/85, dalla formulazione del suo articolo 8, che si riferisce espressamente al parto, e dalla giurisprudenza della Corte citata ai punti da 32 a 34 della presente sentenza risulta, complessivamente, che il congedo di maternità previsto all’articolo 8 di tale direttiva ha lo scopo di proteggere la salute della madre del bambino nella peculiare situazione di vulnerabilità derivante dalla sua gravidanza. 36 Al riguardo occorre aggiungere che, se è vero che la Corte ha dichiarato che il congedo di maternità è volto anche ad assicurare la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il suo bambino, tale finalità, come si evince dalla stessa lettera delle sentenze citate al punto 34 della presente sentenza, riguarda tuttavia soltanto il periodo successivo alla gravidanza e al parto . 37 Ne deriva che il riconoscimento di un congedo di maternità sulla base dell’articolo 8 della direttiva 92/85 presuppone che la lavoratrice cui è accordato sia stata incinta e abbia partorito. 38 Una conclusione siffatta è corroborata dalla risposta della Corte nella sentenza del 26 febbraio 2008, Mayr -506/06, Racc. pag. I‑1017 , riguardante il divieto di licenziamento delle lavoratrici incinte sancito all’articolo 10, punto 1, della direttiva 92/85. In effetti, al punto 37 di tale sentenza, la Corte ha rilevato che tanto dalla formulazione dell’articolo 10 della direttiva 92/85 quanto dallo scopo principale perseguito da quest’ultima, ricordato al punto 29 della presente sentenza, emerge che, per beneficiare della tutela contro il licenziamento riconosciuta da tale articolo, la gravidanza in questione deve aver avuto inizio. 39 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la sig.ra D. non è mai stata, lei stessa, incinta del bambino. 40 Pertanto, una lavoratrice che, in qualità di madre committente, abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata non ricade nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 della direttiva 92/85, nemmeno quando, dopo la nascita, essa effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. Di conseguenza, gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere a una tale lavoratrice il diritto al congedo di maternità ai sensi di detto articolo. 41 Occorre tuttavia aggiungere che la direttiva 92/85, come si evince in particolare dal suo considerando 1, persegue l’obiettivo di stabilire prescrizioni minime per proteggere sul lavoro le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. 42 Tale direttiva, dunque, non esclude in alcun modo la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute delle madri committenti che abbiano avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, consentendo loro di beneficiare di un congedo di maternità a seguito della nascita di detto figlio. 43 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione che la direttiva 92/85 deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere un diritto al congedo di maternità ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva a una lavoratrice che, in qualità di madre committente, abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, nemmeno quando, dopo la nascita, essa effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. Sulle questioni terza, quarta e quinta 44 Con la terza, la quarta e la quinta questione, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafi 1, lettere a e b , e 2, lettera c , della direttiva 2006/54 debba essere interpretato nel senso che costituisce una discriminazione fondata sul sesso il rifiuto di un datore di lavoro di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata. 45 L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nel settore pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene, in particolare, all’occupazione e alle condizioni di lavoro, come le condizioni di licenziamento e la retribuzione. 46 Quanto alle discriminazioni di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a e b , di tale direttiva, il rifiuto di riconoscere un congedo di maternità nel caso sottoposto al giudice del rinvio costituisce una discriminazione fondata direttamente sul sesso, ai sensi della lettera a di tale disposizione, se la ragione sostanziale di tale diniego riguarda esclusivamente i lavoratori di uno dei due sessi v., in tal senso, sentenze dell’8 novembre 1990, Dekker, -177/88, Racc. pag. I‑3941, punto 10 del 5 maggio 1994, Habermann-Beltermann, -421/92, Racc. pag. I‑1657, punto 14, e Mayr, cit., punto 50 . 47 Ebbene, ai sensi della normativa nazionale applicabile a una fattispecie come quella di cui trattasi nel procedimento principale, un padre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata è trattato allo stesso modo di una madre committente in una situazione analoga, nel senso che neppure lui ha diritto a beneficiare di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità. Ne consegue che il diniego opposto alla sig.ra D. non si fonda su una ragione che riguarda esclusivamente i lavoratori di uno dei due sessi. 48 Inoltre, per costante giurisprudenza della Corte, una discriminazione indiretta fondata sul sesso sussiste quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di lavoratori di un sesso che dell’altro v., in tal senso, sentenze del 2 ottobre 1997, Gerster, -1/95, Racc. pag. I‑5253, punto 30 del 20 ottobre 2011, Brachner, -123/10, Racc. pag. I‑10003, punto 56, nonché del 20 giugno 2013, Riežniece, -7/12, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39 . 49 Ora, riguardo alla discriminazione indiretta così prevista all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b , della direttiva 2006/54, si deve constatare che nessun elemento del fascicolo di causa consente di accertare che il rifiuto del congedo de quo sfavorirebbe in modo particolare i lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori di sesso maschile. 50 Di conseguenza, il rifiuto di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente quale la sig.ra D. non costituisce una discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a e b , della direttiva 2006/54. 51 Peraltro, in forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c , di tale direttiva, qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo di maternità ai sensi della direttiva 92/85 costituisce una discriminazione ai sensi della direttiva 2006/54. 52 Orbene, da un lato, una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata non può, per definizione, essere oggetto di un trattamento meno favorevole per ragioni collegate alla sua gravidanza, poiché la stessa non è mai stata incinta di questo figlio. 53 Dall’altro lato, come si evince dalla risposta offerta alle prime due questioni, la direttiva 92/85 non impone agli Stati membri di riconoscere un congedo di maternità a una lavoratrice che, in qualità di madre committente, abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata. Pertanto, tale madre committente non è oggetto di un trattamento meno favorevole per ragioni collegate all’aver beneficiato di un congedo di maternità ai sensi della direttiva 92/85. 54 Non è quindi possibile considerare una tale madre committente come oggetto di una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c , della direttiva 2006/54. 55 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alle questioni terza, quarta e quinta che il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafi 1, lettere a e b , e 2, lettera c , della direttiva 2006/54 deve essere interpretato nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il rifiuto di un datore di lavoro di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata. Sulle questioni sesta e settima 56 Tenuto conto delle risposte fornite alle prime cinque questioni, non vi è luogo ad esaminare la sesta e la settima questione. Sulle spese 57 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte Grande Sezione dichiara 1 La direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE , deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere un diritto al congedo di maternità ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva a una lavoratrice che, in qualità di madre committente, abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, nemmeno quando, dopo la nascita, essa effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. 2 Il combinato disposto dell’articolo 14 con l’articolo 2, paragrafi 1, lettere a e b , e 2, lettera c , della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, deve essere interpretato nel senso che non costituisce una discriminazione fondata sul sesso il rifiuto di un datore di lavoro di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata. * Fonte http //curia.europa.eu/