Deve essere risarcito il commerciante all’ingrosso costretto a chiudere per erroneo provvedimento della Prefettura

All’inizio del mese di aprile 2020, in piena emergenza sanitaria da COVID-19, la Prefettura di Napoli aveva intimato ad una società di commercio all’ingrosso di materiale elettrico la chiusura immediata, trascurando il fatto che tale attività rientrasse tra quelle consentite ai sensi del d.p.c.m. 22 marzo 2020. Il TAR Napoli ha dunque riconosciuto il diritto al risarcimento del danno subito.

Così il TAR Napoli con la sentenza n. 789/21, depositata il 4 febbraio. Una società chiedeva l’annullamento del provvedimento con cui la Prefettura , in applicazione del d.p.c.m. 22 marzo 2020 , aveva disposto la sospensione coatta e immediata dell’attività di commercio all’ingrosso di materiale elettrico. La società aveva infatti inutilmente inoltrato alla Prefettura la comunicazione prevista dall’art. 1, lett. d , del citato d.p.c.m. sostenendo la qualificazione di attività funzionale a quelle consentite durante la fase di emergenza sanitaria e dunque l’illegittimità del provvedimento. La questione è dunque giunta all’attenzione dei giudici del TAR Napoli. Il Collegio rileva in primo luogo la sopravvenuta carenza di interessa alla coltivazione del gravame essendo ormai decaduta l’efficacia del provvedimento impugnato. Ciò posto, nel merito, la domanda risulta fondata nella parte in cui invoca il risarcimento del danno ingiusto ex art. 2043 c.c Nel caso di specie sussistono infatti tutti i presupposti per il riconoscimento del diritto al risarcimento, tra cui in primo luogo l’ illegittimità del provvedimento emesso dalla Prefettura nei confronti della società ricorrente. Ripercorrendo le disposizioni previste dal d.p.c.m. 22 marzo 2020, risulta infatti evidente che l’attività di commercializzazione all’ingrosso di materiale elettrico esercitata dalla ricorrente rientra tra quelle funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all'allegato 1, nonché dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla lettera e , previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l'attività produttiva , attività di cui il testo consentiva la prosecuzione. La società aveva inoltre correttamente documentato ab initioi le caratteristiche dell’attività. Risulta inoltre sussistente anche la colpa della P.A. e il nesso causale con il pregiudizio lamentato. Come sottolinea il TAR si è al cospetto, nel caso in questione, del tipico danno da disturbo che, quale lesione di un interesse legittimo di tipo oppositivo, consiste nel pregiudizio asseritamente subito in conseguenza dell'illegittima compressione delle facoltà di cui il privato cittadino era già titolare cfr. Cons Stato, sez. VI, 12 marzo 2004, n. 1261 . Quindi, il danno da disturbo si verifica quando l'Amministrazione, esercitando un'attività illegittima, apprezza, indebitamente, come prevalente l'interesse pubblico su quello privato, imponendo al proprietario o ad altro titolare di diritti soggettivi una limitazione delle loro facoltà . In conclusione, in tema di liquidazione del danno , il TAR applica un criterio equitativo giungendo a riconoscere un importo pari a 5mila euro come lucro cessante alla società ricorrente.

TAR Campania, sez. V, sentenza 11 gennaio – 4 febbraio 2021, numero 789 Presidente Abbruzzese – Estensore Maffei Fatto e diritto 1.- Con ricorso ritualmente notificato, la società in epigrafe indicata ha impugnato, domandandone l'annullamento, il provvedimento, notificato in data 8 aprile 2020, con cui la Prefettura di Napoli, in applicazione del D.P.C.M. del 22 marzo 2020, aveva disposto la sospensione coatta ed immediata delle attività di commercio all’ingrosso di materiale elettrico, svolta dalla società ricorrente presso la propria filiale di Casoria NA . In particolare, la ricorrente deduceva che il succitato D.P.C.M. aveva distinto tre diverse categorie di attività commerciali e produttive il cui svolgimento era stato consentito durante l’attuale fase di emergenza sanitaria determinata dal COVID-19, così qualificandole i attività individuate con l’indicazione di appositi codici Ateco ii attività di erogazione di servizi essenziali iii attività funzionali alle attività di cui ai due punti precedenti in quest’ultima categoria doveva essere sussunta l’attività di commercio all’ingrosso di materiale elettrico costituente l’oggetto sociale della Sonepar Italia S.p.A. Apparendo incontestabile tale qualificazione dell’attività svolta, in data 24 marzo 2020, la Sonepar aveva inoltrato alla Prefettura di Napoli la comunicazione prevista dall’art. 1, lett. d del d.P.C.M. del 22 marzo 2020, onde proseguire la propria attività presso la sede di Casoria, a tal fine corredandola con numerose attestazioni provenienti dalle imprese destinatarie dei suoi prodotti e, come tali, comprovanti il suo organico inserimento nella filiera produttiva relativa ad una pluralità di servizi essenziali, il cui svolgimento era pacificamente ammesso durante la fase di emergenza epidemiologica. Nonostante la completezza della predetta documentazione, con il provvedimento oggetto dell’odierna impugnazione, la Prefettura di Napoli aveva nondimeno ritenuto di dover disporre la sospensione immediata dell’attività svolta dalla società ricorrente presso la sede di Casoria fino al 13 aprile 2020, ovvero fino al termine successivamente stabilito da un’ulteriore eventuale proroga. Nello specifico, la Prefettura, ritenendo decisive le risultanze dell’istruttoria svolta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza, aveva considerato insussistenti i presupposti di cui all’art. 1, lett. d del D.P.C.M. del 22 marzo 2020. Avverso il predetto provvedimento è insorta l’odierna ricorrente adducendone l’illegittimità, in via prioritaria, per vizi propri e, secondariamente, per profili di invalidità direttamente discendenti dall’ illegittimità del D.P.C.M. 22 marzo 2020, del D.P.C.M. 11 marzo 2020, del decreto del Ministro dello Sviluppo Economico 25 marzo 2020, del D.P.C.M. 1 aprile 2020. Con riguardo al primo ordine di censure, la ricorrente ha stigmatizzato il grave difetto istruttorio e motivazionale in cui era incorsa la resistente amministrazione, oltreché la palese violazione di legge commessa nell’applicazione dell’art. 1 del d.P.C.M. del 22 marzo 2020, atteso che la documentazione corredante la presentata istanza, qualora fosse stata correttamente esaminata, avrebbe dato evidenza all’essenzialità dell’attività svolta dalla filiale di Casoria della Sonepar S.p.a. rispetto a diverse filiere produttive correlate ad attività economiche ex lege autorizzate. Con riferimento alla dedotta illegittimità derivata da cui era viziato l’impugnato provvedimento, la ricorrente censurava, sotto i concorrenti profili della violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità, gli atti generali, ovverosia il D.P.C.M. 11 marzo 2020, D.M. 25 marzo 2020 e D.P.C.M. del 1 aprile 2020, in applicazione dei quali era stata disposta la contestata sospensione, qualora fossero interpretati come preclusivi della prosecuzione di un’attività, quale la commercializzazione all’ingrosso di prodotti elettrici, che, da un lato, si svolgeva ordinariamente con modalità tali da non contribuire ad accrescere il rischio pandemico e, dall’altro, rivestiva un ruolo essenziale, tale normativamente riconosciuto, per l’esercizio di servizi di interesse generale. Infine, la ricorrente spiegava specifica domanda risarcitoria onde conseguire il ristoro patrimoniale del danno patito in conseguenza della illegittima e arbitraria sospensione forzata della propria attività nella filiale di Casoria. Con successivo atto per motivi aggiunti, la ricorrente estendeva le censure proposte con il gravame principale anche agli atti istruttori, - la comunicazione del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli del 30 marzo 2020, la comunicazione delle Organizzazioni Sindacali confederali, la comunicazione della Regione Campania -, su cui la Prefettura aveva adottato l’impugnato provvedimento di sospensione. Si costituiva la resistente amministrazione contestando le doglianze articolate dalla ricorrente ed insistendo per l’integrale reiezione del gravame. Con ordinanza numero 851/2020, pronunciata all’esito dell’udienza camerale del 22.4.2020, il Collegio accoglieva la proposta domanda cautelare, sospendendo l’efficacia dell’impugnato provvedimento interdittivo. Nonostante quest’ultimo alla scadenza del suo termine di efficacia non fosse stato reiterato dall’amministrazione, con memoria difensiva depositata in data 11 dicembre 2020, la società ricorrente dichiarava di avere interesse alla declaratoria della sua illegittimità in ragione della finalità di carattere essenzialmente risarcitorio, insistendo per l’accoglimento della domanda all’uopo spiegata. Alla udienza dell’11.gennaio 2021, previo deposito di memorie difensive, la causa veniva trattenuta in decisione. 2.- In via liminare deve essere rimarcata la sopravvenuta carenza di interesse alla coltivazione del gravame con riguardo alla domanda volta alla caducazione di un provvedimento la cui efficacia è ormai, e da lungo tempo id est, dal 23 aprile 2020 , cessata. Com’è infatti noto, l'interesse al ricorso, in quanto condizione dell'azione, deve sussistere sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione, con conseguente attribuzione al Giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti. Nel caso di specie, l'interesse fatto valere dal ricorrente con l'atto introduttivo del presente giudizio non presenta più il carattere dell'attualità, non configurandosi, allo stato, alcuna attuale” lesione della sfera giuridica che lo sorreggeva. Da tanto discende la carenza di interesse alla ulteriore coltivazione della domanda di caducazione dell'atto, stante l'esaurimento della efficacia del provvedimento e, indi, la cessazione della sua attitudine lesiva cfr. TAR Lombardia - Milano, I, 30 aprile 2019, numero 952 e TAR Lombardia – Milano, III, 17 giugno 2019, numero 1388 TAR Abruzzo, L’Aquila, 29 aprile 2019, numero 230 . Sussiste, tuttavia, l'interesse della parte ricorrente all'accertamento giudiziale dell'illegittimità degli atti impugnati, finalizzato a dare fondamento alla domanda risarcitoria formulata con l’atto introduttivo del presente giudizio e ribadita con la memoria depositata in data 11 dicembre 2020, limitatamente al pregiudizio subito a titolo di lucro cessante per il periodo di chiusura dell'esercizio commerciale, ovverosia dal 9 al 23 aprile 2020. 3.- Tanto premesso, passando alla disamina del merito, la domanda è fondata entro i limiti di seguito precisati, sussistendo tutti i presupposti in presenza dei quali si configura l'obbligo di risarcire il danno ingiusto ex art. 2043 c.c. Per valutare se sussistano i presupposti della domanda risarcitoria, è necessaria la positiva verifica di tutti gli elementi che caratterizzano l'illecito la sussistenza della colpa o del dolo della P.A., la lesione di un interesse tutelato dall'ordinamento e la presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della P.A all'evento dannoso cfr. sul punto, tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2019, numero 1815 sez. III, 9 giugno 2014, numero 2896 sez. VI, 30 giugno 2011, numero 3887 sez. V, 30 giugno 2009, numero 4237 . Ai fini della disamina della questione controversa, occorre premettere che la posizione giuridica, assunta come lesa dalla società ricorrente, ha natura e consistenza di interesse legittimo oppositivo lesione alla libertà di iniziativa economica e l'affermata responsabilità dell'Amministrazione, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, espresso con la storica sentenza numero 500 del 1999, è da ricondurre al paradigma dall'art. 2043 c.c., con la conseguente necessità che il danneggiato fornisca la prova di tutti i suoi elementi costitutivi, ovverosia l'illegittimità del provvedimento causativo del danno, la colpa della pubblica amministrazione e la spettanza del bene della vita ingiustamente negato. Ne consegue, come sostenuto in giurisprudenza, che la possibilità di riconoscere il risarcimento del danno da lesione dell'interesse legittimo perviene solo se l'attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita cui l'interesse legittimo effettivamente si collega, sempreché sia meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 2019, numero 137 . Rilievo centrale, quindi, è assunto dal danno di cui l'art. 30 del codice del processo amministrativo prevede il risarcimento qualora sia ingiusto, sicché, nella sistematica dei rapporti di diritto pubblico, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria, in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima e colpevole dell'amministrazione pubblica, l'interesse materiale cui il soggetto aspira. Infatti, è la lesione al bene della vita che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell'Amministrazione, così da consentire di configurare l'illecito risarcibile ai sensi del citato art. 30. Invero, la pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell'interesse legittimo si fonda su una lettura di tale fondamentale norma del codice del processo amministrativo che riferisce il carattere dell'ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità - oltre a una condotta rimproverabile - è l'evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento sicché, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del legittimo agire dell'Amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell'interesse. 4.- Venendo al caso di specie, emerge innanzitutto l'illegittimità del provvedimento emesso dalla resistente amministrazione nei confronti della ricorrente, ritenendo il Collegio di dover confermare, anche in questa sede a cognizione piena, la valutazione già operata in fase cautelare. Al riguardo, va osservato che l'art. 1 del D.P.C.M. Misure urgenti di contenimento del contagio sull'intero territorio nazionale prevedeva 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, sull'intero territorio nazionale sono adottate le seguenti misure a sono sospese tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell'allegato 1 . Detto allegato, alla lettera d , stabiliva espressamente d restano sempre consentite anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all'allegato 1, nonché dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla lettera e , previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l'attività produttiva, nella quale sono indicate specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga che non sussistano le condizioni di cui al periodo precedente. Fino all'adozione dei provvedimenti di sospensione dell'attività, essa è legittimamente esercitata sulla base della comunicazione resa. Alla stregua di tale disposizione l'attività di commercializzazione svolta dalla Sonepar S.r.l. poteva proseguire in quanto la stessa era indubbiamente funzionale” ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all'allegato 1 , essendo a tal fine sufficiente, alla stregua della citata regolamentazione, la sola funzionalità e non anche l'essenzialità, come viceversa sembra postulare il decreto prefettizio impugnato. Inoltre, con la presentazione della prescritta istanza, la ricorrente, ab initio, aveva documentato la veridicità del dichiarato rapporto commerciale sussistente con le imprese impegnate nello svolgimento di attività dichiarate ex lege essenziali v. ordini proveniente da Terna S.p.a. , nonché gli ordini ricevuti dagli enti pubblici v. contratto con Asl Napoli 1 Centro . La predetta documentazione comprovava ictu oculi che l'attività posta in essere dalla ricorrente era strumentale a quella caratterizzante le imprese operanti nella filiera produttiva, come volta a garantire lo svolgimento di attività ritenute essenziali ex lege ed individuate in ragione esclusivamente del codice ATECO v. art. 1, lett. A DPCM cit. attività, dunque, idonea a soddisfare le specifiche esigenze delle suddette attività essenziali” e quindi ad esse funzionale”. Nondimeno, l’indicata documentazione non è stata affatto vagliata, o comunque di detto vaglio non è traccia, nella motivazione corredante l’impugnato provvedimento, onde confutarne l’evidente portata asseverativa del carattere dell’attività commerciale svolta dalla società ricorrente rispetto a quelle definite come essenziali, cosicché l'omessa valutazione degli apporti forniti dal privato in sede procedimentale ha determinato l'illegittimità del provvedimento finale per difetto di motivazione ex plurimis, TAR Lazio, Sez.II, 10.07.2014, numero 7343 TAR Liguria, Sez.I, 20.02.2004 Cons. St., Sez.IV, 21 Maggio 2010, numero 3224 . Mette conto aggiungere, a comprova della accertata illegittimità dell’atto, che neppure nella presente sede giurisdizionale l’Amministrazione ha confutato la sopra indicata qualificazione dell’attività esercitata come funzionale” a quelle essenziali, non apportando alcun elemento tale da inficiare l’ordito argomentativo utilizzato dalla ricorrente per sostenere l’assunto e contestare validamente il provvedimento impugnato. 5.- Acclarata l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, deve essere ancora dimostrata, ai fini del risarcimento, secondo i delineati elementi costitutivi della fattispecie d'illecito, la sussistenza della colpa della P.A. nonché del nesso causale con il pregiudizio lamentato. A tal riguardo non si può ignorare il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui nel caso di procedimenti amministrativi coinvolgenti interessi di tipo oppositivo, la lesione dell'interesse implica ex se la lesione del bene della vita preesistente al provvedimento affetto da vizi di illegittimità, sicché l'accertamento della circostanza che la P.A. ha agito non iure di per se stesso implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera giuridica del privato. In altri termini, la riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta, nella normalità dei casi, l'indice della colpa dell'amministrazione, indice tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l'illegittimità in cui l'apparato amministrativo sia incorso. In tale eventualità spetta all'amministrazione fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a dimostrare l'assenza di colpa cfr. Cons. Stato, sez. V, numero 4237/2009 . In altri termini, si afferma che la riscontrata illegittimità dell'atto rappresenta, nella normalità dei casi, un elemento idoneo a presumere la colpa della P.A, spettando poi a quest'ultima l'onere di provare il contrario. Si è al cospetto, nel caso in questione, del tipico danno da disturbo che, quale lesione di un interesse legittimo di tipo oppositivo, consiste nel pregiudizio asseritamente subito in conseguenza dell'illegittima compressione delle facoltà di cui il privato cittadino era già titolare cfr. Cons Stato, sez. VI, 12 marzo 2004, numero 1261 . Quindi, il danno da disturbo si verifica quando l'Amministrazione, esercitando un'attività illegittima, apprezza, indebitamente, come prevalente l'interesse pubblico su quello privato, imponendo al proprietario o ad altro titolare di diritti soggettivi una limitazione delle loro facoltà. In altri termini, si realizza una compressione totalmente ingiustificata delle situazioni giuridiche soggettive appartenenti al privato. Affinché tale danno si verifichi, non è sufficiente dimostrare l'attività illecita della P.A., essendo necessario verificare la lesione nei confronti della sfera giuridica del cittadino nonché il nesso causale tra la condotta dell'Amministrazione e la lesione stessa. Occorre, inoltre, che venga dimostrato in giudizio sia che tale condotta è connotata dall'elemento soggettivo della colpa, sia che sussiste un reale e concreto pregiudizio collegato causalmente alla lesione inferta. 6.- Nel caso in esame, il danno lamentato dalla ricorrente, per il quale è domandato il risarcimento, è quello di non aver potuto proseguire l’attività commerciale nonostante la sua funzionalità ad una filiera economica essenziale. In questa prospettiva, è innegabile il nesso eziologico fra il danno lamentato da parte ricorrente, come sopra circoscritto, e l'illegittimità dell'azione amministrativa in discussione, atteso che la sospensione dell'attività commerciale, fonte del danno economico, in assenza di altri fattori causali assorbenti o concorrenti, è direttamente ed esclusivamente riferibile alla censurata attività amministrativa che ne ha illegittimamente impedito la regolare prosecuzione. 7.- Passando all'elemento soggettivo, sul punto giova premettere che, in presenza di illegittima attività provvedimentale, la responsabilità dell'amministrazione non può farsi conseguire, in via diretta e automatica, all’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo. Tuttavia, l'illegittimità del provvedimento lesivo, pur non identificandosi nella colpa, costituisce un indizio grave, preciso e concordante idoneo a fondare una presunzione di colpa, che la p.a. può vincere solo dimostrando elementi concreti da cui possa evincersi la scusabilità dell'errore cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 4.9.2015, numero 4115 Sez. V, 9.3.2015, numero 1182 id., 22.11.2017, numero 5444 Sez. III, del 7.6.2016, numero 3858 . Nel caso di specie, osserva il Collegio che la evidente e grave erroneità che inficia la determinazione annullata, l'assenza di complesse valutazioni rimesse all'organo competente, unitamente alla mancanza di elementi idonei a rendere scusabile l'operato dell'Amministrazione, che, come sopra detto, ha omesso di vagliare con la dovuta attenzione la documentazione corredante l’istanza presentata dalla ricorrente, rende palese la violazione delle regole basilari di imparzialità, correttezza e buona fede e quindi la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpevolezza cfr., per tutte, Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.6.2001, numero 3169 id., Sez. III, 1.4.2015 numero 1717 Cassazione civ., S.U., 22.7.1999, numero 500 . 8.- Una volta accertati gli elementi costitutivi della responsabilità, occorre procedere alla quantificazione del risarcimento in relazione alla voce di danno sopra indicata. A tal uopo, il Collegio non condivide i criteri seguiti ed i conteggi esposti nella relazione di stima effettuata dal perito di parte, poiché tali conteggi, oltre a non essere supportati da una concludente ed affidabile documentazione contabile non sono state allegate le scritture contabili ed i bilanci , si fondano esclusivamente sul raffronto tra il fatturato conseguito, nel medesimo periodo mese di aprile , rispettivamente nell’anno 2019 e nell’anno 2020, laddove il riconoscimento della domandata posta risarcitoria mancato guadagno impone l'onere di dimostrare, previa stima dei beni presumibilmente oggetto di vendita nel periodo considerato, quale sarebbe stato l'utile netto conseguibile dal danneggiato mediante la vendita dei beni prodotti utile costituito dalla differenza tra l’ordinario prezzo di vendita ed i costi fissi e variabili della produzione che sarebbe stato necessario sostenere. Stante l’inattendibilità della liquidazione del danno risarcibile prospettata dal ricorrente, che non dà conto dei due parametri richiesti, opportunamente calibrati sulla particolare contingenza temporale caratterizzata dall’emergenza sanitaria e alla conseguente riduzione complessiva della domanda di beni , ritiene il Collegio di poter muovere ex art. 1226 c.c. su basi meramente equitative, costituendo tale criterio il metodo normale per la valutazione del lucro cessante, utilizzato per qualsiasi danno e, in particolare, per la determinazione della quota di spese generali, costi di ammortamento, impegno improduttivo di materiali e mano d'opera, quando sia impossibile o assai difficoltoso fornire la prova precisa dell'entità del pregiudizio sofferto. Pertanto, considerando la parziale ed ordinaria erosione del fatturato conseguito da parte dei costi sopra indicati, il carattere eccezionale e straordinario dell’emergenza pandemica che, a causa delle adottate misure di contenimento sociale, ha indubbiamente ridotto le quote di mercato cui erano normalmente rivolti i prodotti della ricorrente, - circoscrivendole prevalentemente, e dunque limitandole, alla domanda proveniente da imprese ritenute ex lege essenziali per l’economia nazionale -, nonché la media dei prezzi di vendita dei prodotti commercializzati come desumibile dalla tabella allegata in atti, l'utile non conseguito dalla ricorrente a seguito della illegittima sospensione della sua attività può essere equitativamente determinato nel complessivo importo di € 5.000.00 cinquemila/00 , espresso in valori monetari attuali. Quanto, infine, al danno subito per il ritardo nella corresponsione dell'equivalente pecuniario dell’accertato pregiudizio, deve rammentarsi che qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata per equivalente, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio Cass. Sez. Unite 17.2.1995 numero 1712 . Ritiene il Collegio che tale danno possa certamente presumersi, nel caso di specie, in ragione della qualità soggettiva della ricorrente che rende prevedibile l'impiego fruttifero del danaro secondo i modi e le forme tipiche dell’imprenditore, con conseguente liquidazione in applicazione del criterio degli interessi, al tasso legale, su tutte le somme liquidate, via via rivalutate dal fatto generatore del danno, secondo l'orientamento ormai pacifico dei giudici di legittimità cfr. Sez. Unumero 14/1/09 numero 557 Sez. Unumero 11/1/08 numero 584 Sez. Unumero 5/4/07 numero 8521 Sez. Unumero 17/2/95 numero 1712 . Pertanto, si rivela equo, ai sensi del secondo comma dell'art. 2056 c.c., adottare, come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento delle somme dovute cd. lucro cessante , quello degli interessi legali, stante anche il ridotto arco temporale intercorso tra la commissione dell’illecito ed il riconosciuto risarcimento pecuniario. In definitiva, alla ricorrente deve essere riconosciuto il pregiudizio da ritardato conseguimento delle somme dovute cd. lucro cessante , da liquidarsi mediante il metodo degli interessi legali cfr. Cassazione civile sez. I, 19/03/2020, numero 7466 . L'ammontare dei danni, liquidato all'attualità in Euro 5.000,00, dovrà dunque essere devalutato al momento del verificarsi del fatto illecito 23 aprile 2020, data di cessazione degli effetti dell’impugnato provvedimento interdittivo e dovranno essere calcolati gli interessi sul capitale così devalutato fino alla data di deposito della sentenza segnante la trasformazione dell'obbligazione risarcitoria da debito di valore in debito di valuta cfr. Cass. numero 24896/05 Cass. numero 8214/04 , ferma restando la corresponsione degli interessi sull'intero importo dovuto residuo capitale maggiorato di rivalutazione monetaria e danno da ritardo dalla data di deposito della sentenza al soddisfo cfr. Sez. Unumero 10/7/17 numero 16990 conf. Cass. 10/10/14 . In conclusione, l'azione risarcitoria merita accoglimento entro i limiti fin qui precisati. 9.- Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Napoli Sezione Quinta , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede a dichiara improcedibile la domanda di annullamento proposta dalla ricorrente per sopravvenuta carenza di interesse b in accoglimento della spiegata domanda risarcitoria, condanna l’amministrazione resistente al risarcimento del danno in favore della ricorrente, quantificato in € 5.000,00 cinquemila/00 , oltre interessi come in motivazione c condanna l’amministrazione resistente a rimborsare alla ricorrente le spese di giudizio, liquidate in euro 1.500,00 millecinquecento/00 , oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge, nonché alla rifusione del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.