Esercizio dei diritti corporativi, pluralismo mediatico e libertà di stabilimento nella vicenda Vivendi c. Mediaset/AGCOM

Con la sentenza in epigrafe il TAR Lazio si è pronunciato sulla legittimità del rapporto intercorrente tra il principio di pluralismo mediatico ed esercizio dei diritti corporativi – segnatamente l’esercizio dei diritti di voto –, così come sancito dall’art. 43 del d.lgs. n. 177/2005 Testo unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici, di seguito TUSMAR , rispetto alla libertà di stabilimento nel mercato unico europeo, di cui all’art. 49 del TFUE.

Così il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio con la sentenza n. 13958/20, pubblicata il 23 dicembre. Il caso. La questione è sorta dalla delibera emessa dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni di seguito AGCOM del 18 aprile 2017, n. 178/2017/CONS, in cui l’Autorità guardiana del pluralismo mediatico ha sanzionato la società Vivendi S.A. di seguito Vivendi per il superamento delle soglie massime di influenza sul mercato delle informazioni previste dall’art. 43, comma 11, del TUSMAR, dal momento che essa deteneva una partecipazione azionaria di controllo pari al 23,94% in Telecom Italia S.p.A. di seguito Telecom e del 28,8% in Mediaset S.p.A. di seguito Mediaset , condannandola a rimuovere la posizione accertata. Il quadro normativo di riferimento. Giova premettere brevemente che l’art. 43, comma 11, del TUSMAR si inserisce nel più complesso sistema di misure che mirano a preservare la concorrenza dinamica nel mercato dei media e delle telecomunicazioni. Esso stabilisce espressamente il divieto di conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni un ammontare di ricavi superiore al 10% del sistema medesimo a carico di quelle imprese che, anche attraverso società controllate o collegate, registrino ricavi nel mercato delle comunicazioni elettroniche superiori al 40% dei ricavi complessivi del settore. La ratio della disposizione in oggetto è quella di evitare l’acquisizione di una posizione di egemonia in tale mercato dalla quale possa conseguire una pericolosa manipolazione degli strumenti di comunicazione in favore di uno o pochissimi soggetti, a doppio presidio della concorrenza e del pluralismo mediatico, di cui rispettivamente agli artt. 3, par. 3, del TUE e 11, par. 2 della Carta europea dei diritti fondamentali. Tuttavia, come rilevato da Vivendi, tale norma potrebbe avere l’effetto di dissuadere gli imprenditori dall’investire in altri Paesi membri, ponendosi così in frizione con gli artt. 49 e 63 del TFUE. La delibera AGCOM. Sulla base della sollecitazione di Mediaset, l’AGCOM ha affermato l’illegittimità degli incroci azionari detenuti dalla società francese nelle due imprese leader nel settore delle comunicazioni, alla luce di un’istruttoria dalla quale emergeva il superamento delle soglie stabilite dal TUSMAR e, per gli, effetti, ha disposto il ripristino dello stato di legalità. Vivendi si è conformata alla condanna dell’Autorità trasferendo il pacchetto azionario esuberante detenuto in Mediaset in favore di una sua società fiduciaria esclusa dall’esercizio dei diritti di voto. Successivamente ha proposto impugnazione innanzi al TAR Lazio, evidenziando l’inadeguatezza del sistema integrato delle comunicazioni ad individuare le posizioni di forza effettivamente pregiudizievoli per il pluralismo e la concorrenza, nonché i limiti della normativa in vigore a causa della sua incompatibilità con la libertà di stabilimento. Inoltre, veniva rilevato che l’art. 43, commi 11 e 14, utile per la determinazione della soglia di sbarramento dei ricavi del 10%, doveva essere interpretato nel senso di escludervi dal conteggio le imprese collegate, ex art. 2359 c.c., posto che nei confronti di tali società non sarebbe possibile esercitare alcuna influenza sulle informazioni da diffondere. Il Giudice amministrativo, prima di pervenire ad una decisione, ha invocato l’interpretazione pregiudiziale della CGUE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, al fine di individuare una soluzione ermeneutica compatibile con il diritto europeo. Il bilanciamento operato dalla CGUE. Con la sentenza del 3 settembre 2020, causa C-719/18, i Giudici di Lussemburgo hanno condiviso l’interpretazione proposta da Vivendi, affermando expressis verbis che l’art. 49 del TFUE deve essere interpretato nel senso ostativo ad ogni normativa nazionale che abbia l’effetto di impedire ad una società registrata in un altro Stato membro, i cui ricavi realizzati nel settore delle comunicazioni elettroniche siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10% di quelli del sistema medesimo. Invero, tali restrizioni sarebbero affette da irragionevolezza e sproporzionalità rispetto agli obiettivi – seppur meritevoli – di interesse generale perseguiti dal TUSMAR e dunque lederebbero ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libertà di circolazione dei capitali nel territorio europeo. Ciò in ragione del fatto che, trattandosi di un regime eccezionale rispetto al normale esercizio delle menzionate libertà europee, esso può introdurre divieti o limitazioni soltanto a condizione che esse vengano intaccate nella minor misura possibile. Di conseguenza, l’AGCOM avrebbe dovuto disapplicare l’art. 43 del TUSMAR in forza del consolidato primato del diritto europeo, direttamente efficace negli Stati membri. La decisione del TAR. Conformemente alla decisione della CGUE il TAR Lazio ha accolto il ricorso presentato da Vivendi, ravvisando che la delibera oggetto di scrutinio non teneva conto – ai fini del calcolo delle soglie previste dal TUSMAR – di alcuni settori delle comunicazioni elettroniche aventi rilevanza crescente nella trasmissione delle informazioni, quali, ad esempio, i servizi al dettaglio di telefonia mobile e i servizi di radiodiffusione satellitare. Il Giudice amministrativo ha pertanto dichiarato l’invalidità della delibera in discorso giacché in contrasto con l’art. 49 del TFUE e, per gli effetti, ha riammesso Vivendi all’esercizio dei diritti di voto nella compagine societaria di Mediaset. Occorre dar conto, infine, che il 15 dicembre scorso l’AGCOM ha avviato una seconda istruttoria nei confronti del gruppo francese, ai sensi dell’art. 4- bis del d.l. n. 125/2020, per valutare nuovamente il rispetto del pluralismo mediatico nei settori delle comunicazioni, viste le consistenti partecipazioni azionarie possedute in Mediaset e Telecom. Sarà interessante assistere a quali determinazioni giungerà l’Autorità dopo il primo ammonimento del Giudice lussemburghese.

TAR Lazio, sez. III, sentenza 16 – 23 dicembre 2020, n. 13958 Presidente Daniele – Estensore Sinatra Fatto 1. Con ricorso notificato il 16 giugno 2017 e depositato il successivo giorno 22, Vivendi S.A., società di diritto francese, ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa misura cautelare, la delibera n. 178/17/CONS dell’Agcom datata 18 aprile 2017, con l'Autorità odierna resistente ha constatato che la posizione della ricorrente nel settore delle comunicazioni elettroniche e nel sistema integrato delle comunicazioni SIC , in ragione delle partecipazioni azionarie detenute in Telecom Italia S.p.A. e Mediaset S.p.A., comporterebbe la violazione dell'art. 43 comma 11 del d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, recante il Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici Tusmar . Tale norma recita Le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo.” 2. – In punto di fatto la società ricorrente premette di essere il vertice di un gruppo industriale attivo nel settore dei media e nella creazione e distribuzione di contenuti audiovisivi di essere, inoltre, il primo azionista di Telecom, in quanto detiene una partecipazione del 23,94% nel capitale di quest’ultima grazie ad acquisti effettuati tra giugno 2015 e dicembre 2016, così risultando –a seguito dell’assemblea degli azionisti di Telecom del 4 maggio 2017 titolare della maggioranza dei seggi nel Consiglio di amministrazione di tale società. Telecom, a propria volta, è società attiva anche sul mercato dell'accesso all'ingrosso alle reti digitali terrestri per la trasmissione di canali televisivi attraverso la propria controllata Persidera. In ragione di tale posizione nel capitale sociale di Telecom, con decisione del 30 maggio 2017 caso M.8465 , la Commissione UE ha ritenuto che Vivendi abbia acquisito il controllo di Telecom, ai sensi del Regolamento CE n. 139/2004 in materia di concentrazioni tra imprese, ed a seguito del procedimento la società in questione ha sottoscritto un atto di impegni di cui la Commissione Europea ha preso favorevolmente atto con decisione del 4 settembre 2018. 3. Il provvedimento impugnato nel presente giudizio origina da un esposto all’Agcom presentato da Mediaset in data 20 dicembre 2016, in cui la odierna controinteressata ha segnalato che, pur senza acquisire il controllo di Mediaset, Vivendi avrebbe violato l’art. 43 comma 11 del TUSMAR, poiché le partecipazioni da essa detenute in Telecom e Mediaset integrerebbero collegamenti ex art. 2359 terzo comma c.c. La ricorrente continua esponendo che la controinteressata Mediaset è controllata da Fininvest, la quale possiede una partecipazione pari al 38,266% del capitale sociale, e che essa non sarebbe attiva nel SIC né iscritta al Registro degli Operatori della Comunicazione, ma sarebbe titolare della totalità delle azioni di Reti Televisive Italiane – R.T.I. S.p.A. e Publitalia 80 S.p.A., che società, che, invece, sarebbero attive nel SIC e iscritte al detto Registro. 4. – A seguito dell’istruttoria instaurata con delibera n. 654/16/CONS, l’Agcom ha adottato il provvedimento di cui in epigrafe, nel quale ha ritenuto –in sintesi l’avvenuto superamento delle soglie previste dall’art. 43 comma 11 del TUSMAR per le partecipazioni azionarie di Vivendi in Telecom e Mediaset. Ciò in quanto i ricavi conseguiti da Telecom nel 2015 sono circa 8.579 milioni di euro, corrispondenti al 55,9% dei ricavi del settore delle 8 comunicazioni elettroniche” a loro volta pari a 15.361 milioni di euro” , e per tale ragione Telecom supererebbe la soglia del 40% del settore delle comunicazioni elettroniche nel 2015 Mediaset avrebbe realizzato nel SIC un fatturato pari a circa 2.275 milioni di euro, corrispondente al 13,3% dei ricavi SIC” nello stesso anno Telecom avrebbe realizzato nel SIC un fatturato di circa 28 milioni di euro, corrispondente allo 0,17%”. Pertanto, sarebbero complessivamente riconducibili a Vivendi ricavi SIC superiori alla soglia di cui all’art. 43 comma 11 del TUSMAR. In ragione di tanto, il dispositivo della deliberazione impugnata l’Agcom ha affermato quanto segue 1. L’Autorità accerta che la posizione della società Vivendi S.A., in ragione delle partecipazioni azionarie detenute nella società Telecom Italia S.p.A. e nella società Mediaset S.p.A., integra una violazione del comma 11 dell’articolo 43 del Testo Unico. 2. Ai sensi dell’articolo 43, comma 5, del Testo Unico, l’Autorità ordina alla società Vivendi S.A. di rimuovere la posizione accertata di cui al comma 1 entro il termine di 12 mesi. Tale termine decorre dal giorno successivo alla notifica del presente provvedimento. 3. Al fine di consentire un’adeguata attività di monitoraggio, la società Vivendi S.A. presenta all’Autorità, entro il termine di 60 giorni decorrenti dal giorno successivo alla notifica del presente provvedimento, uno specifico piano dettagliando le modalità con le quali la società intende ottemperare all’ordine di cui al comma 2. 4. In caso di inottemperanza all’ordine di cui al comma 2, è applicabile la sanzione amministrativa di cui all’articolo 1, comma 31, della legge 31 luglio 1997, n. 249.” 5. – Il ricorso introduttivo di Vivendi contro tale determinazione dell’Agcom è affidato ai seguenti motivi. 1 Mancato svolgimento della consultazione pubblica. Violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 1, del d.lgs. 31.7.2005 n. 177 e dell’art. 24 del Regolamento di cui alla delibera n. 368/14/CONS violazione dei diritti di difesa eccesso di potere per arbitrarietà, irragionevolezza, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione. L’Agcom avrebbe accertato una violazione del comma 11 dell’articolo 43 del Testo Unico” e ordinato a Vivendi di rimuovere la posizione accertata [ ] entro il termine di 12 mesi”, ai sensi dell’articolo 43, comma 5, del Testo Unico”, senza previamente adottare uno schema di provvedimento, né avviare alcuna consultazione o comunicare in altro modo a Vivendi le risultanze della propria istruttoria, con oggettivo ostacolo all’esercizio di difesa di quest’ultima sussisterebbe, pertanto, la violazione dell’art. 24 del regolamento di cui l’Autorità si è dotata per i casi quali quello di specie, adottato con delibera n. 368/14/CONS. L’Agcom, inoltre, avrebbe escluso dal settore delle comunicazioni elettroniche varie attività e servizi che ne fanno parte, come l’intero settore della telefonia mobile, elevando la quota dei ricavi del settore riconducibile a Telecom dal 44,7% riportato in un precedente comunicato al 55,9%. 2 Violazione dei diritti di difesa. Violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 6 CEDU eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, illogicità, incongruenza, irragionevolezza e insufficienza della motivazione. La delibera violerebbe i diritti di difesa di Vivendi anche sotto un ulteriore profilo, in quanto l’Agcom non avrebbe previamente pubblicato le informazioni necessarie per consentire alle imprese interessate un’autonoma valutazione del rispetto dei limiti fissati dall’art. 43, comma 11, TUSMAR, con riferimento sia alla dimensione del settore delle comunicazioni elettroniche, sia agli operatori inclusi nel SIC e ai ricavi da essi realizzati. Né tali informazioni sarebbero state fornite nel corso del procedimento, pur essendone stata fatta richiesta e pur dovendo le esigenze di difesa prevalere sulle generiche esigenze di riservatezza dei terzi. 3 Erronea interpretazione della nozione di società controllate o collegate ai sensi dell’art. 43, comma 11, TUSMAR. Violazione e falsa applicazione dell’art. 43, commi, 1, 9, 11, 12, 14 e 15 TUSMAR e dell’art. 2359 c.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 1, lett. g e 4, comma 1, dell’all. A alla delibera n. 368/14/CONS eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà manifesta, illogicità, incongruenza, irragionevolezza e insufficienza della motivazione. La delibera sarebbe illegittima perché interpreterebbe il riferimento alle società collegate” di cui all’art. 43 comma 11 Tusmar come una fattispecie del collegamento di cui all’art. 2359, comma 3, del cod. civ., senza accertamento dei requisiti specificamente previsti dall’art. 43 commi 14 e 15 del medesimo Testo Unico, che – non citando il predetto art. 2359 – avrebbe inteso regolamentare autonomamente le nozioni di controllo e di collegamento societario, sostanzialmente avvicinando tali due ipotesi e ravvisando il collegamento là dove finalizzato a conseguire ricavi. Per determinare le soglie di ricavi di cui all’art. 43 commi 9 e 11 del Tusmar, invece, occorrerebbe fare riferimento ai commi 14 e 15 del medesimo articolo, che consentirebbero all’Agcom di intervenire a tutela del pluralismo anche in assenza di collegamento quale delineato dall’art. 2359 comma 3 del codice civile. Sul piano sistematico, entrambi i commi 7 e 9 dell’art. 43 Tusmar confermerebbero che i successivi commi 14 e 15 identificano società controllate o collegate ovvero, soggette ad influenza dominante” , ai fini dell’applicazione divieto. Fino all’adozione della delibera impugnata, peraltro, l’Agcom avrebbe interpretato in maniera restrittiva i limiti di cui all’art. 43 comma 11 del Tusmar, ritenendo che – per attribuire a un’impresa i ricavi di una società collegata – fosse necessario un rapporto di controllo ai sensi del diritto della concorrenza, requisito che corrisponderebbe appunto a quelli specificati ai commi 14 e 15 della medesima norma. Pertanto il riferimento alla nozione di collegamento ex art. 2359, comma 3, cod. civ. sarebbe ultroneo e farebbe ricadere nel divieto situazioni del tutto estranee alla tutela del pluralismo dell’informazione e alla concorrenza. 4 Assenza di collegamento ex art. 2359, comma 3, cod. civ. con società attive nel SIC. violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 11, del Tusmar e dell’art. 2359, comma 3, cod. civ. eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà manifesta, illogicità, incongruenza, irragionevolezza e insufficienza della motivazione, difetto di istruttoria. La delibera sarebbe viziata, altresì, da un’erronea applicazione dei principi civilistici invocati dalla stessa Agcom, la quale assume essere complessivamente riconducibili a Vivendi [ ] per l’anno 2015, ricavi SIC superiori alla quota del 10% pervista dall’art. 43, comma 11 del Testo Unico”, in virtù dell’asserito collegamento con Mediaset ex art. 2359, comma 3, cod. civ. Mediaset, tuttavia, non sarebbe attiva nel SIC. Le società attive nel SIC sarebbero altre società del gruppo Mediaset RTI, Publitalia e le loro controllate Mediaset Premium S.p.A., Digitalia ‘08 S.r.l., Monradio S.r.l. e Boing S.p.a. , che però non risultano controllate da Vivendi ex art. 2359, commi 1 e 2 c.c., né collegate alla stessa ex art. 2359, comma 3 c.c. per questo l’Autorità avrebbe imputato a Vivendi non i ricavi di Mediaset, ma quelli di altre società da essa direttamente o indirettamente controllate. E, considerato che la maggioranza dei membri del Consiglio di Amministrazione e tutte le cariche direttive di Mediaset sarebbero espressione di Fininvest, Vivendi non potrebbe esercitare alcuna influenza tanto meno notevole” su RTI e Publitalia, anche perché essa non è titolare di quote del capitale sociale di queste ultime, né comunque disporrebbe indirettamente di alcun voto nell’assemblea di RTI o Publitalia tramite Mediaset. 5 Erronea definizione del settore delle comunicazioni elettroniche violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 11, del TUSMAR, dell’art. 18 del d.lgs. 259/2003 eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà manifesta, illogicità, incongruenza, irragionevolezza e insufficienza della motivazione, difetto di istruttoria. La delibera sarebbe viziata, altresì, dall’erronea definizione del settore delle comunicazioni elettroniche e da una non corretta interpretazione del combinato disposto dell’art. 43 Tusmar e dell’art. 18 del Codice delle comunicazioni elettroniche, secondo cui il settore delle comunicazioni elettroniche non includerebbe tutti i mercati che ne fanno parte, ma solo quelli che sono stati oggetto, dal 2003 in avanti, di una delibera di analisi di mercato cd. criterio storico” volta a verificarne la presenza di un operatore in posizione dominante, e di regolazione ex ante. L’Agcom avrebbe, quindi, delimitato in maniera arbitraria i confini del settore, includendovi solo una frazione di reti, beni e servizi che ne fanno parte, mediante un criterio che non disporrebbe di basi normative e sarebbe contrario alla ratio della stessa riconducibile all’esigenza di individuare, a tutela del pluralismo, una posizione di forza nel settore delle comunicazioni elettroniche”, e non in un sottoinsieme di mercati oltre che privo di razionalità economica e scollegato dalla situazione attuale dei mercati interessati. In tal modo l’Autorità avrebbe ricompreso nel settore solo quattro gruppi di mercato servizi al dettaglio da rete fissa servizi all’ingrosso da rete fissa servizi all’ingrosso da rete mobile servizi di diffusione radiotelevisiva per la trasmissione di contenuti agli utenti finali, lasciando fuori dal perimetro mercati importanti, quali ad esempio quello dei servizi al dettaglio di telefonia mobile. Inoltre l’Autorità avrebbe confuso il concetto di settore delle comunicazioni elettroniche e quello di mercati rilevanti , mentre il richiamo – operato dall’art. 43 del TUSMAR per definire il settore delle comunicazioni elettroniche – all’art. 18 del d.lgs. n. 259 del 2003 andrebbe inteso nel senso che tutti i mercati, rientranti nel settore delle comunicazioni elettroniche, dovrebbero essere definiti dall’Agcom secondo i criteri previsti da tale norma. L’effetto di tale errata individuazione dell’ambito entro cui calcolare le soglie di cui all’art. 43 comma 11 del Tusmar sarebbe quello di falsare la stima dei ricavi, come emergerebbe dal fatto che, nella delibera impugnata, i ricavi per il 2015 sarebbero stati stimati in misura inferiore alla metà di quanto calcolato invece dall’Autorità nella sua relazione annuale. 6 Vizi di analisi delle quote di ricavi violazione o falsa applicazione dell’art. 43, comma 11, del TUSMAR, e dell’art. 18 del d.lgs. 259/2003, nonchè ancora eccesso di potere sotto ogni profilo sintomatico, in quanto il computo delle quote degli operatori, nel settore delle comunicazioni elettroniche, sarebbe viziato da errori e lacune sia istruttorie che motivazionali. Ferma restando l’illegittimità della perimetrazione del SIC operata dall’Autorità, essa, comunque, non avrebbe raccolto i dati di tutti gli operatori inclusi nel perimetro del settore da essa definito. Essa avrebbe utilizzato i dati già disponibili, in quanto comunicati da determinati operatori in ottemperanza ad altre norme, senza svolgere alcuna istruttoria per raccogliere i dati mancati. La delibera Agcom, in particolare, si fonderebbe sui dati acquisiti nel corso della rilevazione annuale condotta dall’Autorità su 28 imprese ai fini della Relazione Annuale 2016 riguardante il 2015 tali dati sarebbero stati integrati, per i servizi di broadcasting televisivo su rete digitale terrestre, dai dati trasmessi dagli operatori di rete locali e nazionali” tramite l’ Informativa economica di sistema IES ”. La carenza d’istruttoria si rinverrebbe, altresì, nell’aver omesso di considerare i ricavi derivanti dalla vendita dei terminali e, nell’ambito di servizi di radiodiffusione televisiva, nell’aver escluso i ricavi degli operatori satellitari, in quanto l’Autorità avrebbe limitato la propria analisi ai soli dati relativi agli operatori di rete digitale terrestre i terminali”, invece, rientrerebbero tra i prodotti e servizi del settore delle comunicazioni elettroniche”, ex art. 18 CCE. Pertanto non sarebbe stato dimostrato che Telecom e Mediaset avessero effettivamente superato le soglie di cui all’art. 43, comma 11, del TUSMAR. 7 Discriminazione ai danni di Vivendi. Violazione dell’art. 63 TFUE e dei principi di non discriminazione, imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa eccesso di potere per sviamento. La delibera limiterebbe la libera circolazione dei capitali nell’UE, in violazione dell’art. 63, comma 1, del TFUE, ponendosi in contrasto con ulteriori principi del diritto UE e nazionale, come quelli di non discriminazione, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. L’Agcom avrebbe usato i propri poteri ex art. 43 TUSMAR per raggiungere uno scopo diverso da quello previsto dalla legge, vale a dire bloccare l’acquisto di una partecipazione di minoranza in una società italiana da parte di un operatore di altro Stato membro, sulla base di una propria interpretazione delle norme rilevanti. L’intervento dell’Agcom avrebbe indebitamente conculcato la libertà di un’impresa francese di acquistare una partecipazione di minoranza in una società italiana, proteggendo gli azionisti di controllo di Mediaset da un investimento percepito come ostile, per quanto minoritario 8 Incompatibilità con i principi fondamentali del diritto UE. Violazione degli artt. 49, 56 e 63 TFUE eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà manifesta, illogicità, incongruenza, irragionevolezza e insufficienza della motivazione, difetto di istruttoria. L’interpretazione dell’art. 43, comma 11, del TUSMAR sostenuta nella delibera sarebbe incompatibile con i principi fondamentali della libera circolazione dei capitali e della libera prestazione dei servizi. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE tali principi vieterebbero agli Stati membri di introdurre ostacoli alla circolazione dei capitali o alla prestazione dei servizi, anche se applicati in modo non discriminatorio, a meno che la restrizione interessata sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale, sia atta a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguire tale obiettivo. L’interpretazione dell’art. 43, comma 11 del Tusmar proposta nella delibera gravata violerebbe la libertà di circolazione dei capitali di cui all’art. 63 TFUE, che, per la Corte di Giustizia UE, sussiste quando una disposizione impedisca l’acquisto di azioni nelle società interessate e dissuada le aziende dall’investire in altri nazioni, come appunto avverrebbe nel caso in esame. Anche con riferimento alla libera prestazione dei servizi, in base a detta opzione interpretativa un’impresa, in possesso di partecipazioni minoritarie in società attive nel settore delle comunicazioni elettroniche e nel SIC, incontrerebbe limiti stringenti nei settori interessati, perché le sarebbero ricondotti i ricavi di società meramente partecipate, con conseguenti restrizioni che non risulterebbero adeguate, né proporzionate. In generale, l’art. 43, comma 11, del TUSMAR avrebbe introdotto limiti non necessari e discriminatori, determinando una disparità di trattamento tra operatori in possesso di una quota superiore al 40% del settore delle comunicazioni elettroniche ai quali sarebbe impedito di realizzare ricavi superiori al 10% del SIC ed altri operatori quelli tenuti all’iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione, costituito ai sensi dell’art. 1, comma 6, lettera a, numero 5 della legge 31 luglio 1997, n. 249 , soggetti al limite del 20% dei ricavi del SIC ai sensi del comma 9 del medesimo art. 43. La soglia del 10% del SIC potrebbe essere superata da imprese operanti in numerosi mercati del settore dei media, senza detenere una posizione dominante o una quota elevata in alcuno di essi. Secondo l’interpretazione dell’Agcom, il divieto si applicherebbe anche quando un’impresa non sia attiva in alcuno dei due settori, ma detenga mere partecipazioni minoritarie in società che realizzano ricavi superiori alle soglie di guisa che i limiti potrebbero essere superati cumulando mere partecipazioni di minoranza in società tra loro indipendenti, nessuna delle quali si trovi in posizione di forza nei settori in questione oppure anche in presenza di un cumulo di partecipazioni di minoranza, in società che non siano neppure attive nei settori interessati, ma controllino altre società che vi operano. L’Agcom, quindi, avrebbe dovuto disapplicare l’art. 43, comma 11, del TUSMAR, per contrasto con le libertà fondamentali sancite dal diritto dell’UE. E proprio l’inadeguatezza del SIC quale modello per individuare posizioni di forza nei mercati interessati e tutelare il pluralismo e la concorrenza dimostrerebbe l’incompatibilità dei limiti posti dall’art. 43, comma 11, del TUSMAR con i principi fondamentali del diritto UE. 6. – Si sono costituite in resistenza l’Agcom e la controinteressata Mediaset. 7. Con ordinanza n. 10654/2018, depositata il 5 novembre 2018, questo TAR ha disposto il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, delle seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione degli artt. 2, comma 1, lett. s e 43, commi 5, 11 e 14 del d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177 in rapporto alla disciplina prevista dagli artt. 14 e 15 della Direttiva 2002/21/CE ed ai principi di massima concorrenza, proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione, libertà di espressione, tutela del pluralismo, libera circolazione dei capitali e libera prestazione dei servizi se, pur essendo facoltà degli Stati membri accertare quando le imprese godano di una posizione dominante con conseguente imposizione alle stesse di specifici obblighi sia, o meno, contrastante con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con il principio della libertà di circolazione dei capitali di cui all’art. 63 TFUE, la disposizione di cui all’art. 43, comma 11, del d.lgs. 31.7.2005, n. 177, nel testo vigente alla data di adozione della delibera impugnata, secondo cui le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo” quanto sopra, nella parte in cui – attraverso il richiamo all’art. 18 del codice delle comunicazioni elettroniche, si limita il settore in questione ai mercati suscettibili di regolamentazione ex ante, nonostante il dato di comune esperienza, secondo cui l’informazione al cui pluralismo la norma è finalizzata risulta veicolata in misura crescente dall’uso di internet, dei personal computer e della telefonia mobile, tanto da poter rendere irragionevole l’esclusione dal settore stesso, in particolare, dei servizi al dettaglio di telefonia mobile, solo perché operanti in pieno regime di concorrenza. Quanto sopra, tenendo anche conto del fatto che l’Autorità ha delimitato i confini del settore delle comunicazioni elettroniche, ai fini dell’applicazione del citato art. 43, comma 11, proprio in occasione del procedimento in esame, prendendo in considerazione solo i mercati, in ordine ai quali sia stata svolta almeno un’analisi dall’entrata in vigore del CCE, quindi dal 2003 ad oggi e con ricavi, desunti dall’ultimo accertamento utile, effettuato nel 2015 se i principi in tema di tutela della libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea TFUE , gli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE servizi di media audiovisivi e radiofonici”, posti a tutela del pluralismo e della liberà di espressione, e il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici pubblici, come quella italiana, contenuta nell’articolo 43, commi 11 e 14, secondo la quale i ricavi, rilevanti per determinare la seconda soglia di sbarramento del 10%, sono rapportabili anche ad imprese non controllate né soggette ad influenza dominante, ma anche solo collegate” nei termini di cui all’art. 2359 del codice civile richiamato dal comma 14 dell’art. 43 , pur risultando non esercitabile, nei confronti di queste ultime, alcuna influenza sulle informazioni da diffondere se i principi in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea TFUE , gli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE, i principi in materia di tutela del pluralismo delle fonti d'informazione e della concorrenza nel settore radiotelevisivo di cui alla Direttiva 2010/13/UE sui Servizi di media audiovisivi e alla direttiva 2002/21/CE ostino ad una disciplina nazionale come il d.lgs. 177/2005, che nei commi 9 e 11 dell’art. 43, sottopone a soglie di sbarramento molto diverse rispettivamente, del 20% e del 10% i soggetti tenuti all’iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione, costituito ai sensi dell’art. 1, comma 6, lettera a , n. 5 della legge 31 luglio 1997, n. 249” ovvero i soggetti destinatari di concessione o autorizzazione in base alla vigente normativa, da parte dell’Autorità o di altre Amministrazioni competenti, nonché le imprese concessionarie di pubblicità comunque trasmessa, le imprese editrici etc., di cui al comma 9 rispetto alle imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, come in precedenza definito nell’ambito del comma 11 . 8. – Prima che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si pronunciasse sulle questioni pregiudiziali proposte da questo TAR, con ricorso per motivi aggiunti notificato il 2 luglio 2020 e depositato il giorno successivo, la ricorrente Vivendi –che, frattanto, aveva trasferito una parte del capitale sociale di Mediaset di cui era titolare alla società Fiduciaria Simon ha impugnato la comunicazione dell’Agcom del 2 aprile 2020, avente a oggetto Cessazione degli effetti delle misure di ottemperanza alla delibera n. 178/17/CONS”, con cui l’Agcom ha rifiutato di confermare la cessazione delle misure di ottemperanza alla Delibera n. 178/17/CONS del 18 aprile 2017 per il venir meno dei suoi presupposti fattuali e avviare ogni azione amministrativa al riguardo nonché la comunicazione dell’Agcom del 13 maggio 2020, avente il medesimo oggetto, con cui l’Agcom ha reiterato il suo diniego. La ricorrente ha proposto contro tali atti, oltre che un motivo il terzo con cui ha dedotto l’illegittimità derivata dalla delibera n. 178/17/CONS, anche i seguenti mezzi di censura 1 L’illegittimo rifiuto di confermare la cessazione delle Misure e avviare qualsiasi attività istruttoria violazione dell’art. 43 5 TUSMAR e dell’art. 7.3 delle Misure violazione dei principi di doverosità dell’azione amministrativa art. 2 della l. n. 241/90 , proporzionalità, buon andamento art. 97 Cost. efficacia e imparzialità art. 1 della l. n. 241/90 errata interpretazione e applicazione dell’obbligo di conferma dell’avvenuta cessazione delle Misure violazione degli articoli 49, 56 e 63 TFUE e dei principi europei di leale cooperazione art. 4 3 TUE , effetto utile e non discriminazione eccesso di potere per travisamento dei fatti, mancata ed erronea valutazione degli elementi istruttori, illogicità e contraddittorietà manifeste, carenza di istruttoria e motivazione. Le due comunicazioni di diniego di presa d’atto di avvenuta ottemperanza delle misure imposte a Vivendi con la delibera n. 178/17/CONS sarebbero illegittime perché l’Agcom avrebbe dovuto prendere in considerazione i dati comunicati da Vivendi, avviando attività istruttoria per verificare il venir meno dei presupposti fattuali della decisione adottata nel 2017. Tanto sarebbe stato imposto dall’art. 7.3 delle misure proposte da Vivendi in esecuzione della delibera stessa, in osservanza dello specifico meccanismo per la modifica e cessazione delle misure di ottemperanza di cui all’art. 7 delle misure deliberate dalla ricorrente, secondo il quale le Misure cesseranno di avere effetto qualora [] venga meno uno dei presupposti fattuali della Delibera” art. 7.2 ” a questo fine la società ricorrente ha ampiamente e dettagliatamente esposto le modificazioni intervenute more tempore circa i ricavi rilevanti conseguiti nel SIC dalle imprese interessate. 2 L’illegittimità delle restrizioni imposte dall’Agcom in assenza di prove del superamento delle soglie di ricavi violazione dell’art. 43 TUSMAR violazione dei principi di proporzionalità e non discriminazione violazione degli artt. 49, 56 e 63 TFUE eccesso di potere per mancata ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie, illogicità e contraddittorietà manifeste, carenza di istruttoria e motivazione. Le comunicazioni impugnate sarebbero altresì illegittime, perché l’Agcom ha mantenuto in vigore le restrizioni dei diritti di Vivendi e delle libertà fondamentali tutelate dal TFUE in assenza di prove certe del superamento della soglia del 10% del SIC ex art. 43 comma 11 del Tusmar l’Autorità potrebbe infatti continuare ad esercitare il proprio potere inibitorio conferitole dalla detta norma solo qualora accerti” che gli determinati atti o operazioni sono idonei a determinare una situazione vietata”, che qui sarebbe venuta meno l’Autorità dovrebbe inoltre, nell’adottare i provvedimenti necessari per eliminare o impedire il formarsi delle posizioni vietate, anche adeguarsi al mutare delle caratteristiche dei mercati. 9. – I motivi aggiunti recano altresì una istanza cautelare, respinta dal Collegio con ordinanza n. 4994\2020 del 22 luglio 2020, la quale, pur avendo ritenuto ammissibile l’istanza medesima in pendenza di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha rilevato che nella circostanza facevano difetto i necessari requisiti di fondatezza del ricorso per motivi aggiunti e di pregiudizio grave ed irreparabile in capo a Vivendi. Nella medesima ordinanza il Collegio ha ritenuto necessario che Agcom depositasse in giudizio, entro venti giorni dalla comunicazione della medesima ordinanza, ogni atto o provvedimento con cui l’Autorità abbia preso atto delle misure che Vivendi si è impegnata ad adottare o abbia adottato in conseguenza della deliberazione impugnata con il ricorso introduttivo, ed in particolare degli atti del Consiglio dell’Autorità ai quali si accenna –senza indicarne gli estremi nei comunicati stampa dell’Agcom del 13 settembre 2017 e dell’11 aprile 2018”. L’incombente istruttorio è stato assolto mediante deposito documentale in data 4 settembre 2020 10. – In data 17 settembre 2020 è stata acquisita al fascicolo del presente giudizio la sentenza del 3 settembre 2020 della Quinta sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale si è pronunciata sulle questioni oggetto del su richiamato rinvio pregiudiziale disposto da questo TAR. La Corte di Giustizia ha affermato, nel dispositivo della detta sentenza, quanto di seguito si riporta L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro che ha l’effetto di impedire ad una società registrata in un altro Stato membro, i cui ricavi realizzati nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai fini di tale normativa, siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10% di quelli del sistema medesimo.” 11. – In vista dell’udienza di trattazione del ricorso nel merito le parti hanno scambiato le memorie di cui all’art. 73 c.p.a. 11.1. La ricorrente ha sostenuto la necessità che questo TAR, nel decidere la presente controversia, operi una piena disapplicazione dell’art. 43 comma 11 del Tusmar e delle altre norme sottoposte allo scrutinio del Giudice Comunitario, affermando –in sintesi che per la giurisprudenza della Corte l’articolo 267 TFUE impone al giudice del rinvio di dare piena attuazione all’interpretazione del diritto dell’Unione data dalla Corte nella sentenza emessa in via pregiudiziale, alla luce del primato del diritto comunitario su quello nazionale e dell’effetto diretto –qui ritenuto operante dell’art. 49 TFUE, oltre che del principio di leale cooperazione e della natura normativa la natura delle sentenze della Corte di Giustizia seguite a rinvio pregiudiziale, e ciò anche con riferimento a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione e, nella specie, la Corte di Giustizia avrebbe interpretato principi del diritto dell’Unione con diretto riferimento ai fatti di causa e agli effetti restrittivi della normativa italiana in discussione sul diritto di stabilimento di Vivendi, ed avrebbe quindi ritenuto le restrizioni di cui alla normativa interna scrutinata inidonee e non proporzionate al preteso fine di tutela del pluralismo ed al contempo, mai avrebbe utilizzato la locuzione spetta al giudice del rinvio verificare/accertare/stabilire”, che si rinviene in talune pronunce pregiudiziali, quando la Corte intende fissare principi e criteri interpretativi per circoscrive il margine di apprezzamento del giudice nazionale, rimettendogli il compito di effettuare ulteriori valutazioni. 11.2. La controinteressata Mediaset ha opposto, di contro, la possibilità che il Giudice del rinvio adotti, nel caso in esame, una interpretazione conforme del diritto interno rispetto alla norma comunitaria di riferimento ritenuta violata dalla Corte di Giustizia ha poi sostenuto che occorrerebbe tenere in considerazione che tanto l’Avvocato Generale –nelle sue conclusioni quanto la Corte avrebbero riconosciuto che i collegamenti proprietari fra i settori delle TLC e dei media, proprio in considerazione della convergenza” fra tali comparti, potrebbero essere fonte di rischi nella prospettiva del pluralismo. 11.3. L’Agcom che ha depositato solo memoria di replica , infine, ha sostenuto, a sua volta, la sussistenza di un dovere di questo TAR di procedere ad interpretazione conforme della norma nazionale controversa alla luce delle indicazioni formulate dalla Corte, valutandone una lettura che ne salvaguardi l’essenza senza con ciò confliggere con i rilievi del giudice dell’Unione infatti, se è vero che l’incompatibilità con il diritto dell’Unione europea della misura nazionale ne impone la disapplicazione, tuttavia l’attuazione di tale principio nei casi concreti non condurrebbe e a esiti univoci ed infatti, qualora la norma nazionale sia contraria a una disposizione di diritto dell’Unione europea dotata di effetto diretto e direttamente applicabile, alla disapplicazione della norma interna conseguirà la piana applicazione della norma comunitaria mentre non così potrebbe accadere per il caso in cui al diritto comunitario cui non possa attribuirsi effetto diretto caso in cui, una volta disapplicata la norma interna incompatibile, si porrebbe il problema di individuare la disciplina della fattispecie concreta, colmando la lacuna che la disapplicazione avrebbe determinato. Proprio quest’ultima evenienza ricorrerebbe nel caso in esame, in cui la Corte ha affermato che la tutela del pluralismo dell’informazione e dei media costituisce un interesse generale che giustifica eventuali limitazioni alla libertà di stabilimento, oltre che alle altre libertà fondamentali tutelate dai trattati europei e in cui, con riguardo alla nozione di collegamento”, avrebbe riconosciuto che le partecipazioni che determinano possibilità di influenza notevole” su un’altra società comportano rischi per la tutela del pluralismo. L’Amministrazione ha poi chiesto il rinvio della trattazione del ricorso in ragione dell’entrata in vigore dell’art. 4 bis del decreto legge n. 125 del 2020 Disposizioni in materia di poteri di istruttoria dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni , inserito dalla legge di conversione 27 novembre 2020, n. 159, in vigore dal 4 dicembre 2020, per cui 1. In considerazione delle difficoltà operative e gestionali derivanti dall'emergenza sanitaria in atto, in armonia con i princìpi di cui alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 3 settembre 2020, nella causa C-719/ 18, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e per i successivi sei mesi, nel caso in cui un soggetto operi contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e in un mercato diverso, ricadente nel sistema integrato delle comunicazioni SIC , anche attraverso partecipazioni in grado di determinare un'influenza notevole ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è tenuta ad avviare un'istruttoria, da concludere entro il termine di sei mesi dalla data di avvio del procedimento, volta a verificare la sussistenza di effetti distorsivi o di posizioni comunque lesive del pluralismo, sulla base di criteri previamente individuati, tenendo conto, fra l'altro, dei ricavi, delle barriere all'ingresso nonché del livello di concorrenza nei mercati coinvolti, adottando, eventualmente, i provvedimenti di cui all'articolo 43, comma 5, del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, per inibire l'operazione o rimuoverne gli effetti. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano altresì ai procedimenti già conclusi dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in applicazione del comma 11 dell'articolo 43 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. . A seguito dell’entrata in vigore di tale norma l’Agcom avrebbe iniziato un procedimento relativo alla questione oggetto del presente giudizio. 11.4. La ricorrente ha replicato che, in realtà, il Giudice comunitario avrebbe ritenuto incompatibile con il diritto UE la disposizione di cui al procedimento principale”, ossia l’articolo 43, comma 11, del TUSMAR” e non la sua interpretazione e applicazione da parte dell’Agcom, ed ha altresì ribadito le proprie precedenti difese. 12. – In occasione dell’udienza di trattazione del ricorso del 16 dicembre 2020 le parti resistenti hanno ribadito oralmente quanto già esposto nella memoria dell’Avvocatura dello Stato, ossia la asserita necessità di un rinvio dell’udienza di trattazione del presente ricorso a data successiva in ragione dell’intervenuta entrata in vigore dell’art. 4 bis del decreto legge n. 125 del 2020, come convertito dalla legge n. 159 del 27 novembre 2020. La ricorrente si è opposta all’istanza di rinvio, insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione, di cui ha ripercorso le censure. Nel corso della medesima udienza del 16 dicembre 2020 il Collegio ha trattenuto la causa in decisione. Diritto 1. – In via assolutamente preliminare il Collegio deve evidenziare che non sussistono i presupposti per disporre il rinvio dell’udienza di trattazione del ricorso ad altra data, richiesto dalla parti resistenti. Infatti la causa è matura per la decisione, in quanto la norma dell’art. 4 bis del decreto legge n. 125 del 2020 introdotta dalla legge di conversione n. 159 del 2020 non incide direttamente sugli effetti – né, tanto meno sulla validità della delibera n. 178/17/CONS dell’Agcom datata 18 aprile 2017, atteso che due commi della nuova disposizione legislativa si limitano a prevedere che l’Autorità debba procedere ad una nuova istruttoria sulla questione oggetto della deliberazione e che solo a seguito di tale istruttoria l’Autorità potrà esprimersi -intervenendo, se del caso, anche mediante l’esercizio di poteri di secondo grado sulla delibera n. 178/17/CONS. La quale, ad oggi, è valida ed efficace, per quanto consta al Collegio e ciò anche in considerazione del fatto che nessuna delle parti ha inteso provvedere al deposito in giudizio della ventilata deliberazione che il 15 dicembre 2020 giorno precedente all’udienza di trattazione l’Autorità avrebbe adottato per l’apertura dell’istruttoria postulata dal richiamato art. 4 bis, sicché non è neppure possibile una concreta valutazione del Tribunale circa la portata e gli effetti attuali e futuri dell’intervento dell’Amministrazione, al fine di delibare l’opportunità di un eventuale rinvio. 2. – E’ quindi possibile procedere allo scrutinio del ricorso nel merito, che è fondato, e va accolto, nei sensi di cui appresso. 3. – Occorre premettere che la questione della legittimità della delibera n. 178/17/CONS dell’Agcom datata 18 aprile 2017 è condizionata dalla portata e dagli effetti della sentenza della Corte di Giustizia del 3 settembre 2020, chiamata da questo TAR a valutare la compatibilità con il diritto comunitario degli artt. 2, comma 1, lett. s e 43, commi 5, 11 e 14 del d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177 in rapporto alla disciplina prevista dagli artt. 14 e 15 della Direttiva 2002/21/CE ed ai principi di massima concorrenza, proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione, libertà di espressione, tutela del pluralismo, libera circolazione dei capitali e libera prestazione dei servizi. 4. Come detto, la Corte di Giustizia ha concluso l’esame delle questioni pregiudiziali ad essa sottoposte affermando il principio per cui L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro che ha l’effetto di impedire ad una società registrata in un altro Stato membro, i cui ricavi realizzati nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai fini di tale normativa, siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10% di quelli del sistema medesimo”. 5. I passi salienti del percorso motivazionale attraverso cui la Corte è pervenuta a tale interpretazione dell’art. 49 TFUE sono i seguenti. 5.1. Ai paragrafi 62 e seguenti il Giudice comunitario osserva che, posto che un divieto come quello di cui all’art. 43 comma 11 del Tusmar costituisce una deroga al principio della libertà di stabilimento, le autorità nazionali hanno l’onere di dimostrare che detta disposizione sia conforme al principio di proporzionalità, ossia che è idonea e necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito, e che quest’ultimo non potrebbe essere raggiunto attraverso divieti o limitazioni di minore portata o che colpiscano in minor misura l’esercizio di tale libertà v., per analogia, sentenza del 23 dicembre 2015, Scotch Whisky Association e a., C 333/14, EU C 2015 845, punto 53 e giurisprudenza ivi citata ”. In generale, quindi, si può in linea di principio accettare che vengano posti limiti alla possibilità per le imprese che già occupano una posizione dominante nel primo di tali settori di approfittare di tale posizione per rafforzare la loro posizione nel secondo” paragrafo 65 . Tuttavia, la Corte ha osservato che l’art. 43 comma 11 non è idoneo a garantire il rispetto del principio di proporzionalità nel senso affermato sopra, in quanto paragrafo 69 Tale disposizione vieta in maniera assoluta, ai soggetti i cui ricavi realizzati nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai fini di tale disposizione, siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel SIC ricavi superiori al 10% di quelli del sistema medesimo.” L’inidoneità della norma interna a costituire un proporzionale contemperamento tra la libertà di stabilimento e il principio del pluralismo nel settore dell’informazione dipende dalla mancata considerazione della chiara distinzione tra la produzione dei contenuti, che implica un controllo editoriale, e la trasmissione dei contenuti, che esclude qualsiasi controllo editoriale, cosicché i contenuti e la loro trasmissione sono soggetti a discipline distinte che perseguono obiettivi propri v., in tal senso, sentenza del 13 giugno 2019, Google, C 193/18, EU C 2019 498, punto 31 e giurisprudenza ivi citata ” paragrafo 66 . Tuttavia, a dire del Giudice comunitario, la disposizione di cui al procedimento principale non fa riferimento a tali collegamenti tra la produzione dei contenuti e la trasmissione dei contenuti e non è neppure formulata in modo da applicarsi specificamente in relazione a detti collegamenti paragrafi 67 e 68 . 5.2. – La Corte di Giustizia, inoltre, non ha mancato di esaminare i possibili motivi di interesse generale” che potrebbero condurre ad una deroga alla liberà di stabilimento nel diritto interno, fra cui figura, all’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali, paragrafo 2, la libertà e il pluralismo dei media. Tuttavia, la sussistenza di tali motivi è stata negata alla luce dell’art. 43 comma 11 scrutinato, in quanto, al fine di determinare se una norma come la disposizione di cui al procedimento principale sia idonea a conseguire tale specifico obiettivo, occorre valutare quale sia il nesso tra, da un lato, le soglie alle quali tale disposizione fa riferimento e, dall’altro, il rischio che corre il pluralismo dei media paragrafo 70 . L’AGCOM, secondo la Corte, definisce il settore delle comunicazioni elettroniche in maniera restrittiva, riferendolo ai soli mercati suscettibili di regolamentazione ex ante paragrafo 71 tuttavia, limitando la definizione del settore delle comunicazioni elettroniche ai mercati suscettibili di regolamentazione ex ante, la disposizione di cui al procedimento principale, come interpretata dall’AGCOM, esclude dal settore delle comunicazioni elettroniche mercati di importanza crescente per la trasmissione di informazioni, vale a dire i servizi al dettaglio di telefonia mobile e altri servizi di comunicazione elettronica collegati ad Internet nonché i servizi di radiodiffusione satellitare i quali, però, sono divenuti la principale via di accesso ai media, cosicché non è giustificato escluderli da tale definizione paragrafo 74 . In definitiva, per il Giudice comunitario, l’art. 43 comma 11 del Tusmar non può essere considerata norma idonea a conseguire l’obiettivo da essa perseguito, giacché fissa soglie che, non consentendo di determinare se e in quale misura un’impresa sia effettivamente in grado di influire sul contenuto dei media, non presentano un nesso con il rischio che corre il pluralismo dei media” paragrafo 79 . 6. – Per la risoluzione della presente controversia risulta dirimente stabilire se l’art. 43 comma 11 del Tusmar debba essere tout court disapplicato, così da privare di base normativa interna l’impugnata delibera n. 178/17/CONS dell’Agcom datata 18 aprile 2017 con applicazione, in questo caso, dell’art. 49 del Trattato che vieta limitazioni al diritto di stabilimento oppure se, al contrario, vi sia spazio, per il Giudice del rinvio, per operare l’interpretazione conforme” delle norme interne alla luce del diritto comunitario. 7. – Ritiene il Collegio che, nella circostanza, alla luce della motivazione della sentenza della Corte di Giustizia del 3 settembre 2020, non possa darsi una interpretazione conforme all’art. 49 del TFUE del diritto interno implicato nella questione oggetto del giudizio. 7.1. Occorre innanzitutto precisare che tale norma del trattato risulta direttamente applicabile nell’ordinamento italiano è pertanto infondato l’argomento sostenuto dalla difesa dell’Agcom nella propria memoria di replica, volto a negare immediata efficacia diretta all’art. 49 TFUE. Invero, sin dalla sentenza del 5 febbraio 1963 sulla causa 26-62 Algemene Transport-en Expeditie Onderneming van Gend & amp Loos , la Corte di Giustizia ha affermato che, per accertare se le disposizioni di un trattato internazionale e quindi, per quanto qui interessa, dell’art. 49 del TFUE abbiano efficacia diretta nell’ordinamento degli Stati membri, si deve aver riguardo allo spirito, alla struttura ed al tenore di esso. Tanto, quindi, può dirsi delle norme dei trattati a condizione che gli obblighi siano precisi, chiari e incondizionati e non richiedano misure complementari di carattere nazionale o europeo mentre, di converso, tale efficacia diretta non ricorre allorché gli Stati membri abbiano un seppur minimo margine discrezionale nell'attuazione della disposizione considerata sentenza del 12 dicembre 1990, Kaefer e Procacci . 7.2. Come noto, l’art. 49 del TFUE ex articolo 43 del Trattato CE ed ex articolo 52 del Trattato CEE prevede che Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”. Circa tale norma pattizia fondante la libertà di stabilimento, la giurisprudenza della Corte di Giustizia afferma da tempo si veda ad esempio la sentenza della Terza Sezione del 23 febbraio 2006 nel procedimento C 253/03 che l’art. 52 del Trattato è una delle disposizioni fondamentali del diritto comunitario ed è direttamente efficace negli Stati membri v., in particolare, sentenza 21 settembre 1999, causa C 307/97, Saint-Gobain ZN . In forza di detta disposizione, la libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro implica l’accesso alle attività non subordinate e il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di aziende secondo quanto stabiliscono le leggi del paese di stabilimento per i suoi cittadini. L’abolizione delle restrizioni della libertà di stabilimento si estende alle restrizioni per la costituzione di agenzie, di succursali o di filiali da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti nel territorio di un altro Stato membro sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, punto 13, e 29 aprile 1999, causa C 311/97, Royal Bank of Scotland, punto 22 .” 7.3 – Peraltro, per alcune pronunzie della stessa Corte di Giustizia la possibilità, per il Giudice del rinvio, di pervenire ad una interpretazione conforme del diritto interno riguarda controversie tra singoli” Sentenza della Corte Grande Sezione del 7 agosto 2018 , e non già quelle, come la presente, che vedano contrapposta una società privata ad una Autorità regolatrice di un dato settore in impugnazione di un provvedimento amministrativo che abbia inteso fare applicazione di una orma interna volta a garantire il pluralismo dei mezzi d’informazione. 7.4. – Quanto, specificamente, agli argomenti addotti dalla difesa di Mediaset circa la possibilità che questo TAR, quale Giudice del rinvio, adotti una interpretazione conforme del diritto interno rispetto alla norma comunitaria di riferimento ritenuta violata dalla Corte di Giustizia, il Collegio osserva quanto segue. E’ sostenuto da Mediaset che la Corte avrebbe ripreso le conclusioni dell’Avvocato Generale le quali hanno riconosciuto che i collegamenti proprietari fra i settori delle TLC e dei media, proprio in considerazione della convergenza” fra tali comparti, potrebbero essere fonte di rischi nella prospettiva del pluralismo. Inoltre, vi sono tre punti per cui la controinteressata ritiene possibile che questo TAR acceda ad una interpretazione conforme del diritto interno si tratta, rispettivamente, dei punti relativi alla definizione del settore delle comunicazioni elettroniche”, alla soglia del 10% dei ricavi del SIC e alla nozione di collegamento”. Su tutti questi temi Mediaset prospetta argomenti che –sebbene articolati e ampiamente illustrati partono, in definitiva, dall’eguale presupposto che la Corte di Giustizia abbia lasciato spazio all’interprete per riempire” la portata dell’art. 43 comma 11 di un contenuto” ulteriore e diverso da quello che si ricava dalla motivazione della sentenza della Corte di Giustizia e che questo contenuto” sarebbe costituito dalle operazioni già compiute dall’Agcom nel corso dell’istruttoria che ha preceduto la delibera impugnata. Tali assunti non convincono. 7.5. – In particolare, quanto alla definizione del settore delle comunicazioni elettroniche, Mediaset sostiene che sarebbe pacifico che l’art. 43, co. 11, del TUSMAR prevede una formulazione ampia che consente più letture e perimetrazioni”. Tuttavia, a pag. 12 della memoria conclusionale nota 7 , la controinteressata afferma espressamente che L’esclusione della telefonia mobile, come anche il calcolo di una quota di ricavi differente rispetto a quella contenuta nella Relazione annuale, di cui si duole la Ricorrente è, dunque, il frutto della perimetrazione del mercato avvenuta ai sensi dell’art. 18 del CCE e del conseguente calcolo dei ricavi di Telecom sulla base di detto paniere” così confermando, in definitiva, la contrarietà dell’operazione di delimitazione condotta dall’Autorità di settore a quanto statuito dalla Corte di giustizia. Occorre premettere che, come noto, e come affermato più volte dalla Corte di Giustizia per tutte, Grande Sezione 15 gennaio 2013 , il giudice nazionale che abbia esercitato la facoltà conferitagli dall’articolo 267 TFUE è vincolato, ai fini della soluzione della controversia principale, dall’interpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte, tanto da doversi eventualmente discostare dalle valutazioni dell’organo giurisdizionale di grado superiore qualora ritenga, alla luce di detta interpretazione, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione. E, sebbene spetti al Giudice nazionale e non alla Corte di Giustizia regolare il caso concreto portato alla sua cognizione, questo TAR non può prescindere dal percorso motivazionale fornito dal Giudice comunitario nella sua interpretazione pregiudiziale, specie nei casi in cui –come nella specie le considerazioni svolte dalla Corte di Giustizia siano fortemente attinenti alla fattispecie concreta. Orbene, nella sentenza del 3 settembre 2020 la Corte di Giustizia ha affermato espressamente in motivazione che risulta errato l’avere limitato la definizione del settore delle comunicazioni elettroniche ai soli mercati oggetto di regolazione ex ante, ed avere invece escluso dal settore delle comunicazioni elettroniche mercati di importanza crescente per la trasmissione di informazioni, quali i servizi al dettaglio di telefonia mobile e altri servizi di comunicazione elettronica collegati ad Internet nonché i servizi di radiodiffusione satellitare, che oramai costituiscono la principale via di accesso ai media, cosicché non è giustificato escluderli da tale definizione” paragrafo 74 . Tale conclusione è stata supportata dalla considerazione per cui –premesso che l’Agcom ha limitato la perimetrazione ai soli mercati in cui essa opera la regolamentazione ex ante il meccanismo degli obblighi di regolamentazione ex ante è destinato a risolvere problemi specifici che si verificano in determinati mercati del settore delle comunicazioni elettroniche esso, di converso, non è idoneo a garantire il pluralismo nel settore dei media paragrafo 73 . 7.6. – Quanto all’argomento legato alla soglia del 10% dei ricavi del SIC, la controinteressata sostiene che la Sentenza non formula obiezioni sulla previsione di legge che stabilisce la soglia ed il suo valore, ma si limita a rilevare che il SIC comprende mercati diversi e vari”, non tutti necessariamente idonei di incidere sul pluralismo dei media e che, per questo motivo, la soglia potrebbe essere non adeguata rispetto all’obiettivo di tutela prefissato e legittimo”, e sarebbe possibile leggere il parametro del 10% del SIC nel senso che esso impone di verificare se lo sforamento” della soglia dipenda da una concentrazione dei ricavi su mercati che hanno influenza sul pluralismo dei media”. In realtà la motivazione della pronunzia del Giudice Comunitario sul punto non conduce in alcun modo a tali conclusioni, dal momento che essa, invece, contesta expressis verbis la previsione della soglia del 10% in parola e –in definitiva la sua idoneità a costituire efficace baluardo del pluralismo nei mezzi di informazione, affermando paragrafo 75 che Per quanto riguarda, poi, la soglia del 10% dei ricavi complessivi del SIC, menzionata dalla disposizione di cui al procedimento principale, occorre osservare che il fatto di conseguire o meno ricavi equivalenti al 10% dei ricavi complessivi del SIC non è di per sé indicativo di un rischio di influenza sul pluralismo dei media. Infatti, dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera s , del TUSMAR risulta che il SIC comprende mercati diversi e vari. Pertanto, se i ricavi complessivi realizzati da un’impresa nel SIC dovessero essere concentrati in uno solo dei mercati che compongono tale sistema in modo tale che la quota raggiunta in tale mercato sia nettamente superiore al 10% ma, qualora venga preso in considerazione l’insieme dei mercati che compongono il SIC, rimanga inferiore al 10%, il fatto che la soglia del 10% dei ricavi complessivi del SIC non venga raggiunta non potrebbe escludere qualsiasi rischio per il pluralismo dei media. Analogamente, nel caso in cui la soglia del 10% dei ricavi complessivi del SIC fosse sì raggiunta, ma tale 10% di ricavi si ripartisse tra ciascuno dei mercati che compongono il SIC, né il raggiungimento né lo sforamento di tale soglia del 10% costituirebbero necessariamente un pericolo per il pluralismo dei media.” Tale ritenuta inidoneità della soglia prevista dall’art. 43 comma 11 del Tusmar priva di fondatezza le eccezioni della controinteressata per cui la Corte di Giustizia non avrebbe sollevato obiezioni sulla sua misura e sulla sua funzione. 7.7. – Neppure sul terzo punto indicato da Mediaset, relativo alla nozione di collegamento”, è possibile convenire con le difese della controinteressata, le quali premettono che la pronunzia comunitaria non solo non esclude, ma invero riconosce, che le partecipazioni che determinano possibilità di influenza notevole” su un’altra società par. 77 comportano rischi per la tutela del pluralismo qualora beninteso si tratti di società che siano leader del settore ”, e che la Corte avrebbe stigmatizzato unicamente che la nozione di influenza notevole” sia ricavata, nella norma, in virtù di una mera presunzione”, in ragione cioè della soglia di diritti di voto definita dall’art. 2359, co. 3, c.c. titolarità di un quinto, ovvero un decimo, dei diritti di voto , per stabilire se un’impresa può ritenersi collegata” ad un’altra”, mentre nel caso in esame la delibera gravata avrebbe operato una puntuale valutazione delle partecipazioni azionarie correnti tra le imprese interessate. Neppure tali argomenti risultano dirimenti. 7.7.1 Infatti la Corte di Giustizia, al paragrafo 77 della motivazione, dopo avere dato atto che il controllo esercitato su una società collegata si basa su una presunzione ampia, secondo la quale una società esercita un’ influenza notevole su un’altra società quando può esercitare un quinto dei diritti di voto nell’assemblea degli azionisti di quest’ultima, o un decimo degli stessi se la prima società detiene azioni quotate in mercati regolamentati” , ha affermato che le circostanze su cui la presunzione si basa non sembrano consentire di dimostrare che la prima società controllante possa concretamente esercitare sulla seconda controllata un’influenza tale da pregiudicare il pluralismo dei media e dell’informazione. In questo modo la Corte ha ribadito, anche per questo profilo, la radicale inidoneità della norma –in questo caso, nella parte in cui pone una presunzione a tutelare il bene giuridico che essa si proporrebbe di salvaguardare affermazione che, come detto, preclude radicalmente all’interprete sbocchi esegetici differenti. 7.7.2 Ciò risulta coerente con l’art. 3 comma 2 del Regolamento CE n. 139/2004 del Consiglio del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese Regolamento comunitario sulle concentrazioni , che non pone una presunzione di controllo, bensì impone una valutazione in concreto della sussistenza di tale rapporto tra le società, in quanto prevede che Si ha controllo in presenza di diritti, contratti o altri mezzi che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto o di diritto, la possibilità di esercitare un'influenza determinante sull'attività di un'impresa trattasi in particolare di a diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un'impresa b diritti o contratti che conferiscono un'influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un'impresa”. 7.7.3 Peraltro, non può in questa sede rilevare la circostanza, asserita da Mediaset, per cui, nel caso specifico in esame, l’Agcom avrebbe operata tale valutazione in concreto. Infatti – a prescindere dalla intrinseca correttezza della valutazione che si ritiene effettuata dall’Autorità ciò che in questa sede il Tribunale è chiamato a vagliare è la possibilità di evitare la disapplicazione di una norma interna generale ed astratta fornendone una interpretazione conforme al diritto comunitario, e non già se la condotta dell’Autorità sia stata aderente a detta norma interna. 7.8. – Sulla base di quanto appena esposto, in definitiva, ritiene il Collegio che la pronunzia pregiudiziale resa dalla Corte di Giustizia non possa che condurre alla disapplicazione dell’art. 43 del Tusmar. 8. Il principio enunciato nella pronunzia pregiudiziale della Corte di Giustizia, che reca una interpretazione dell’art. 49 TFUE ostativa all’applicazione dell’art. 43 comma 11 del Tusmar, risulta direttamente precettivo anche nel presente giudizio, in cui è proposta davanti al Giudice Amministrativo pur in un ambito coperto da giurisdizione esclusiva una classica domanda di annullamento sulla base di specifici motivi con cui la ricorrente afferma sussistere numerosi vizi di violazione di legge ed eccesso di potere a carico della deliberazione impugnata. 8.1. In particolare, nell’ottavo motivo del ricorso introduttivo la ricorrente afferma l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto esso violerebbe i principi comunitari fondamentali della libera circolazione dei capitali e della libera prestazione dei servizi e di libertà di stabilimento proprio a causa dell’avvenuta applicazione dell’art. 43 comma 11 del Tusmar. Le conclusioni del motivo, che ne compendiano il contenuto, espongono quanto segue 216. L’art. 43 11 TUSMAR, come interpretato dalla Delibera, impone restrizioni alla libertà di circolazione dei capitali, prestazione dei servizi e stabilimento incompatibili con il diritto UE in quanto i inidonee a raggiungere gli obiettivi perseguiti e ii non limitate a quanto necessario a tal fine. 217. In applicazione dei principi sanciti dalla Corte di giustizia, l’Agcom avrebbe dovuto disapplicare l’art. 43 11 TUSMAR, per contrasto con le liberà fondamentali sancite dal diritto UE. Infatti, secondo la giurisprudenza delle Corti UE il principio del primato del diritto comunitario esige che sia disapplicata qualsiasi disposizione della legislazione nazionale in contrasto con una norma comunitaria” ex multis, Corte di giustizia, sent. 9.9.2003, Consorzio Industrie Fiammiferi CIF /Autorità garante della concorrenza e del mercato, causa C-198/01, Racc., I08055, par. 48 tale obbligo di disapplicare [] incombe non solo al giudice nazionale, ma anche a tutti gli organi dello Stato, comprese le autorità amministrative” . 218. La Delibera viola i suesposti principi del diritto UE.” 8.2. Il motivo, alla luce di quanto affermato dal Giudice comunitario, deve essere accolto. 8.3. Al riguardo va premesso, che, sebbene il motivo in esame abbia denunziato la violazione, oltre che della libertà di stabilimento, anche del diritto alla libera circolazione dei capitali, i paragrafi 39 e seguenti della motivazione della sentenza comunitaria escludono la rilevanza, nel giudizio in esame, della libera circolazione dei capitali. Ciò in quanto, per la Corte di Giustizia, una normativa nazionale destinata ad applicarsi esclusivamente alle acquisizioni di partecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società e di determinare le attività di quest’ultima attiene unicamente alla libertà di stabilimento, mentre la libera circolazione dei capitali riguarda disposizioni che possano essere applicate unicamente ad acquisizioni di partecipazioni effettuate al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa interessata e, nel caso in esame, viene in discussione l’applicabilità dell’articolo 43 del Tusmar, che, secondo la Corte, ha, in linea generale, lo scopo di fissare limiti al controllo che può essere esercitato sulle società attive nel SIC. 8.4. – Sulla scorta di tale premessa, come ripetuto, la sentenza del 3 settembre 2020 della Corte di Giustizia ha interpretato l’art. 49 TFUE che afferma la libertà di stabilimento nei Paesi dell’Unione nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro che ha l’effetto di impedire ad una società registrata in un altro Stato membro, i cui ricavi realizzati nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai fini di tale normativa, siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10% di quelli del sistema medesimo. In altri termini, la Corte di Giustizia ha affermato che la libertà di stabilimento sancita dall’art. 49 TFUE osta alla norma del diritto interno costituita dall’art. 43 del Tusmar nella versione applicata dalla delibera n. 178/17/CONS dell’Agcom datata 18 aprile 2017. 8.5. Come detto in precedenza, la norma del trattato che tutela la libertà di stabilimento costituisce una delle disposizioni fondamentali del diritto comunitario ed è direttamente efficace negli Stati membri sentenza 21 settembre 1999, causa C 307/97, Saint-Gobain ZN, paragrafo 33 . In particolare, la sentenza della Corte di Giustizia Seconda Sezione 10 maggio 2012 C 357/10, C-358/10, C-359/10 precisa che Secondo costante giurisprudenza, l’articolo 49 CE impone non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi così anche sentenze del 25 luglio 1991, Säger, C 76/90, punto 12, nonché del 4 ottobre 2011, Football Association Premier League e a., C 403/08 e C 429/08, punto 85 sentenze del 5 ottobre 1994, nonché del 13 dicembre 2007, United Pan-Europe Communications Belgium e a., C 250/06, punto 30 . Pertanto, occorre concludere che la delibera gravata poggia le proprie basi su di una norma interna di cui la sentenza della Corte di Giustizia del 3 settembre 2020 impone la disapplicazione, con conseguente applicazione dell’art. 49 del TFUE alla fattispecie. 8.6 Alla luce delle superiori considerazioni, pertanto, l’ottavo motivo del ricorso introduttivo risulta fondato, e va accolto, con conseguente annullamento della deliberazione n. 178/17/CONS dell’Agcom del 18 aprile 2017. 9. – I residui motivi del ricorso introduttivo possono essere assorbiti, in quanto sussiste, nella specie, una ragione di assorbimento logico necessario, costituita dalla disapplicazione retroattiva della norma interna attributiva del potere dell’Agcom di emettere il provvedimento impugnato e dall’accoglimento del motivo di ricorso –la cui priorità logica rispetto agli altri motivi è evidente per il suo stesso contenuto che tale disapplicazione invocava in via diretta. 10. – Va poi dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso per motivi aggiunti, che si appunta sulle due comunicazioni in epigrafe con le quali, a dire della ricorrente, l’Agcom avrebbe negato la presa d’atto dell’ottemperanza della società ricorrente alle misure che, a seguito della delibera gravata, essa stessa aveva scelto per rientrare nella soglia prevista dall’art. 43 comma 11 del Tusmar. 10.1. E’ infatti palese che, da tale presa d’atto della ritenuta ottemperanza alle misura, la ricorrente non potrebbe trarre più utilità, una volta che sia stata annullata mediante la presente sentenza la delibera n. 178/17/CONS, che quelle misure aveva imposto. 10.2. Peraltro, i motivi aggiunti non palesavano, nel merito, profili di fondatezza, come già evidenziato dal Collegio nell’ordinanza cautelare n. 4994 del 2020. In ossequio al principio di sinteticità, è sufficiente qui rilevare nuovamente –come già della detta ordinanza cautelare che il contenuto concreto delle misure imposte a Vivendi dalla delibera n. 178/17/CONS non è stato determinato d’ufficio dall’Autorità, la quale, ritenuta sussistere violazione dell’art. 43 comma 11 del d.lgs. n. 177\2005, si è limitata a ordinare alla ricorrente di rimuovere la posizione accertata di cui al comma 1 entro il termine di 12 mesi”, rimettendo al soggetto passivo dell’ordine di autonomamente stabilire uno specifico piano dettagliando le modalità con le quali la società intende ottemperare”. Alla luce dell’istruttoria disposta dal Collegio in corso di causa, è possibile confermare che, come già affermato in sede cautelare, non sussistono deliberazioni dell’Agcom che depongano nel senso prospettato dalla ricorrente nei motivi aggiunti, ossia che l’Autorità si fosse vincolata a procedere ad una specifica e singolare presa d’atto del superamento delle condizioni fattuali che l’avevano condotta ad adottare il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo non potendosi quindi escludere che la conseguenza diretta alla eventuale ottemperanza di Vivendi alla deliberazione impugnata con il ricorso introduttivo fosse quella tipizzata dall’art. 43 del Tusmar, a partire dalla periodica rilevazione delle dimensioni economiche del SIC ferme restando le considerazioni svolte sul punto dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 3 settembre 2020 ai fini della determinazione delle soglie legate alla tutela del pluralismo. 11. – Conclusivamente, il ricorso introduttivo è fondato, e va accolto, con conseguente annullamento della delibera n. 178/17/CONS dell’Agcom i motivi aggiunti sono improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse. La novità della questione, che ha reso necessaria una pronunzia pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, induce alla integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Sezione Terza accoglie il ricorso introduttivo, e per l’effetto annulla la delibera n. 178/17/CONS del 18 aprile 2017 dell’Agcom dichiara improcedibile il ricorso per motivi aggiunti. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.