Negata la patente al condannato per i reati in materia di stupefacenti: la questione alla Consulta

Il TAR Lombardia, con due differenti ordinanze, ha dichiarato rilevanti e non manifestatamente infondate le questioni relative alla legittimità costituzionale dell’art. 120, comma , d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 Nuovo codice della strada , nella parte in cui dispone che non possono conseguire la patente di guida coloro che sono stati condannati per uno dei delitti previsti in materia di sostanze stupefacenti e coloro che sono stati sottoposti alle misure di prevenzione.

Ordinanza 16 giugno 2020, n. 1076. Un ricorrente impugnava il provvedimento con cui l’Ufficio della Motorizzazione di Milano ha negato il rilascio del titolo abilitativo alla guida , risultando inserito nel sistema informativo del Dipartimento dei Trasporti un ostativo al rilascio del predetto titolo a carico dell’istante. Infatti, il Tribunale di Milano aveva disposto a carico del ricorrente la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di PS con obbligo di soggiorno per anni due. Inoltre, veniva notificato all’imputato anche il provvedimento con cui il Prefetto della Provincia di Milano disponeva la revoca della patente di guida per sopravvenuta carenza dei requisiti morali , ai sensi dell’art. 120 del Codice della Strada, in ragione dell’irrogazione della misura di prevenzione. Osserva il Tribunale Amministrativo Regionale che è evidente che il diniego automatico del rilascio della patente di guida in presenza della sottoposizione, presente o passata, ad una misura di prevenzione impedisce di fatto all’interessato di svolgere con maggiore agio una attività lavorativa lecita per tutto il periodo in cui egli è sottoposto alla sorveglianza speciale il che rende la misura ancora più gravosa di quanto abbia inteso configurarla il giudice penale . Inoltre, il Tribunale ritiene che l’art. 120 comma CdS sia costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3, 4, 16 e 35 Cost. laddove, nel disporre che non possono conseguire la patente di guida coloro che sono o sono stati sottoposti alle misure di prevenzione , attribuisce al Prefetto un potere automatico e vincolato , come risulta dal tenore letterale della disposizione e dal diritto vivente, senza consentire all’autorità amministrativa margini di esercizio della discrezionalità in relazione alle peculiarità delle singole fattispecie al suo esame. Pertanto, il Tribunale ritiene che ai sensi dell’art. 23, comma , l. n. 87/1953 deve essere sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 120 comma del D.lgs. n. 285/n. 285. Ordinanza 16 giugno 2020, n. 1075. La stessa decisione è stata presa, sempre dal TAR Lombardia-Milano, con l’ordinanza n. 1075/2020 con la quale i Giudici hanno osservato che è rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma , d.lgs. n. 285/1992 Nuovo codice della strada , nella parte in cui dispone che non possono conseguire la patente di guida coloro che sono stati condannati per uno dei delitti previsti in materia di sostanze stupefacenti artt. 73 e 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 , per contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., anche in relazione al comma 2 del medesimo articolo, per come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22

TAR Lombardia, sez. I, ordinanza 22 aprile 16 giugno 2020, n. 1075 Presidente Giordano - Estensore Perilli Fatto e diritto 1. Il ricorrente ha domandato l’annullamento del provvedimento del 30 novembre 2019 con il quale l’Ufficio provinciale della motorizzazione di Milano gli ha negato il rilascio della patente di guida di tipo B, per mancanza dei requisiti morali di cui all’articolo 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, Nuovo codice della strada, d’ora in avanti anche solo %& lt %& lt codice della= strada= & gt & gt . Il ricorrente ha contestato l’irragionevolezza della mancata considerazione, da parte del Prefetto di Milano, della sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con riferimento alla fattispecie della revoca della patente per la condanna per uno dei delitti di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, d’ora in avanti anche solo %& lt %& lt testo stupefacenti= unico= & gt & gt , riportata in data successiva al rilascio della patente. Secondo il ricorrente, la condanna inflittagli dal Tribunale di Milano, ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale, per il delitto di cui all’articolo 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, divenuta irrevocabile in data 8 maggio 2014, non potrebbe spiegare effetti automaticamente ostativi al conseguimento della patente di guida. Il ricorrente ha pertanto specificamente dedotto i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, di illogicità e di irragionevolezza del provvedimento impugnato, in quanto la Prefettura avrebbe espresso il giudizio di inaffidabilità morale esclusivamente sulla scorta della predetta condanna, senza tenere conto di altri elementi favorevoli, quali la lieve entità del fatto commesso, la non particolare afflittività della pena irrogata, la concessione dei benefici di legge, il positivo percorso di reinserimento sociale, la distanza di oltre un quinquennio intercorsa tra la commissione del reato e la presentazione dell’istanza e la sua condizione familiare e lavorativa. 1.1. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, le quali hanno preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario nel merito hanno altresì dedotto l’infondatezza del ricorso, dal momento che l’articolo 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attribuisce al prefetto un potere vincolato, sia nel presupposto che nel contenuto, che non lascia spazio a valutazioni di sorta. 1.2. Alla camera di consiglio del 22 aprile 2020 la causa è stata trattenuta in decisione in base agli atti depositati, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. 2. L’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, rubricato %& lt %& lt requisiti 116= abilitativi= articolo= cui= dei= di= il= morali= ottenere= per= rilascio= titoli= & gt & gt , al comma 1, primo periodo, dispone che & lt & lt 1. Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all’articolo 2, e della legge 31 maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti dei provvedimenti riabilitativi& gt & gt . Al secondo comma detto articolo prevede che & lt & lt se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida& gt & gt . Con sentenza di accoglimento c.d. %& lt %& lt sostitutiva& gt & gt del 9 febbraio 2018, n. 22, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo 120, in relazione all’articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui, con riferimento all’ipotesi di condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, intervenuta in data successiva a quella del rilascio della patente di guida, dispone che il prefetto %& lt %& lt provvede& gt & gt in luogo di %& lt %& lt può provvedere= & gt & gt alla revoca della patente di guida. Con analoga sentenza del 20 febbraio 2020, n. 24, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo 120, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, anche per l’ipotesi di revoca della patente disposta nei confronti di coloro che, successivamente al rilascio della patente di guida, sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali. 2.1. La manipolazione della norma ad opera della Corte costituzionale ha determinato l’attribuzione all’amministrazione competente di poteri di diversa natura, ovvero - di un potere di natura assolutamente vincolata per tutte le fattispecie di diniego di rilascio del titolo abilitativo e per tutte le fattispecie di revoca, ad esclusione di quelle per cui la condizione ostativa al mantenimento del titolo, sopravvenuta al rilascio dello stesso, consiste in una condanna per i delitti di cui agli articoli 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 o nella irrogazione di una misura di sicurezza personale - di un potere di natura discrezionale per le sole fattispecie di revoca della patente di guida, determinate dalla sopravvenienza di una condanna per i delitti di cui agli articoli 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 o dall’applicazione di una misura di sicurezza personale. 2.2. Il Collegio dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada, limitatamente al meccanismo ostativo derivante dalla condanna per uno dei delitti previsti in materia di sostanze stupefacenti, rispetto al principio di uguaglianza enunciato dall’articolo 3 della Costituzione, in relazione alla diversa disciplina delineata dal secondo comma del medesimo articolo, per come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22. La differenza di trattamento che la dicotomia ha determinato all’interno del medesimo articolo di legge, originariamente formulato in maniera unitaria mediante l’utilizzo della tecnica del rinvio agli elementi descrittivi della fattispecie contemplata dal primo comma per estenderne gli effetti ostativi alla diversa fattispecie delineata dal secondo comma, non sembra infatti giustificata a fronte di situazioni omogenee, sostanzialmente connotate dal medesimo disvalore sociale, ossia l’aver riportato una condanna per un reato in materia di stupefacenti. Il Collegio dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada, oltre che in relazione alla sua coerenza con la fattispecie della revoca della patente, anche in relazione alla sua coerenza rispetto alle altre disposizioni contenute nel codice della strada. Il Collegio dubita infine della legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada in riferimento alla proporzionalità del sacrificio che esso impone al pieno svolgimento dei diritti della personalità del soggetto che desidera conseguire la patente rispetto alla realizzazione del fine della sicurezza del traffico che la norma intende perseguire. 3. La dicotomia creata all’interno dell’articolo 120 in seguito agli interventi manipolativi della Corte costituzionale è destinata a spiegare effetti anche sull’individuazione del giudice munito di giurisdizione. Secondo la tradizionale giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, richiamata dalla sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22, tutti i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 120 del codice della strada, siano essi di diniego o di revoca del titolo abilitativo, incidono su diritti soggettivi e sono pertanto attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ex multis , Corte di cassazione, sezioni unite, sentenze 14 maggio 2014, n. 10406, e 6 febbraio 2006, recepite da Consiglio di Stato, sez. III, 6 giugno 2016, n. 2413, e sez. V, 29 agosto 2016, n. 3712 . Anche in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2018, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno confermato il precedente orientamento in relazione alla fattispecie di cui al comma 1 dell’articolo 120, di diniego di conseguimento della patente di guida, per aver riportato una sentenza di condanna in materia di stupefacenti intervenuta in un momento anteriore all’istanza di rilascio, in quanto la norma contempla l’esercizio da parte dell’Amministrazione %& lt %& lt di del= tutto= vincolata= & gt & gt rispetto alla quale si configurano diritti soggettivi dei richiedenti ex multis , Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanze 13 dicembre 2019, n. 32977 e 32978, e 16 dicembre 2019, n. 33090 . Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento espresso dalle sezioni unite della Corte di cassazione con le ordinanze 13 dicembre 2019, n. 32977 e 32978, e 16 dicembre 2019, n. 33090, e ritiene che, a prescindere dalla qualificazione dell’attività come & lt & lt del tutto vincolata& gt & gt , ossia %& lt %& lt vincolata che= contenuto= nel= presupposto= sia= & gt & gt Consiglio di Stato, sez. V, 29 agosto 2016, n. 3712 o come %& lt %& lt dovuta& gt & gt Consiglio di Stato, parere, sez. I, 22 febbraio 2013, n. 1517 , la situazione soggettiva del privato che si staglia a fronte della stessa è quella di diritto soggettivo per cui, in applicazione dell’ordinario criterio di riparto, le controversie relative al diniego di rilascio della patente per mancanza dei requisiti morali devono essere attribuite alla giurisdizione ordinaria civile T.a.r. Lombardia, sede di Milano, sez. I, 7 gennaio 2020, n. 32 T.a.r. Piemonte, sez. II, 18 giugno 2019, n. 691 T.a.r. Emilia Romagna, sede di Parma, 1 aprile 2019, n. 77 . 3.1. Con la sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia con ordinanza del 17 dicembre 2015, n. 114, per irrilevanza nel giudizio a quo , in quanto il giudice remittente non risulta munito di giurisdizione, ai sensi dall’articolo 5 del codice di procedura civile, per cui la giurisdizione si determina %& lt %& lt con ad= al= alla= allo= della= dello= di= e= esistente= esse= fatto= hanno= i= legge= medesimo= momento= mutamenti= non= o= proposizione= riguardo= rilevanza= rispetto= stato= successivi= vigente= & gt & gt . Con la sentenza del 20 febbraio 2020, n. 24, la Corte costituzionale ha tuttavia mutato il proprio orientamento sull’interpretazione del presupposto processuale della giurisdizione del giudice remittente, la quale deve essere affermata in base alle conseguenze eventualmente derivanti dall’accoglimento della questione di legittimità prospettata, ed ha dichiarato ammissibile l’analoga questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche con ordinanza del 24 luglio 2018, n. 519, in quanto, ove la stessa dovesse essere accolta, sarebbe %& lt %& lt non opinabile= sebbene= & gt & gt affermarne la giurisdizione. 3.2. La questione di legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada è pertanto rilevante ai fini della decisione del presente giudizio anche sotto il profilo della sua attualità, poiché, in caso di accoglimento della stessa, l’attribuzione della giurisdizione al giudice remittente non dipenderebbe da un successivo mutamento della legge c.d. proroga della giurisdizione o dello stato di fatto, considerati inefficaci dall’articolo 5 del codice di procedura civile, ma dalla dichiarazione di un’invalidità preesistente della norma, in relazione alla qualificazione del potere attribuito all’amministrazione competente ed alla situazione soggettiva ad esso correlata. Il Collegio ritiene inoltre che la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada è rilevante nel presente giudizio impugnatorio, sia in quanto dalla decisione della Corte costituzionale dipende l’esito dei motivi con i quali il ricorrente ha censurato il difetto di istruttoria e di motivazione, sia perché la stessa ha ad oggetto direttamente la legittimità costituzionale del potere attribuito dalla norma Consiglio di Stato, sez. IV, 9 marzo 2012, n. 1349 . L’attuale formulazione dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada dovrebbe indurre infatti il Collegio, secondo l’orientamento delineato dalla Corte di cassazione a sezioni unite ed accolto dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, a dichiarare il difetto di giurisdizione ovvero, nell’ipotesi in cui, discostandosi da tale consolidato orientamento giurisprudenziale, dovesse trattenere la propria giurisdizione, a rigettare il ricorso poiché il prefetto, nell’esercizio del potere vincolato attribuitogli dalla norma, non potrebbe valutare altri elementi all’infuori dell’accertamento dell’esistenza di una condanna ostativa al conseguimento del titolo. Ove invece la Corte costituzionale dovesse dichiarare l’illegittimità dell’articolo 120, comma 1, nella parte in cui questo preclude al prefetto di bilanciare la gravità del reato commesso con altri elementi, non solo il Collegio dovrebbe trattenere la giurisdizione ma dovrebbe annullare il provvedimento impugnato per i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, specificamente dedotti dal ricorrente, demandando al Prefetto di Milano di rivalutare l’istanza sulla scorta di un apprezzamento discrezionale della concreta situazione prospettata dal ricorrente. Il Collegio ritiene dunque che la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada sia rilevante nella decisione del presente giudizio, il quale, ai sensi dell’articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della stessa. 4. Preliminarmente il Collegio osserva che la Corte costituzionale, nella sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, non ha esercitato i poteri previsti dall’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il quale, in deroga al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, consente di dichiarare l’illegittimità c.d. consequenziale di disposizioni legislative che, pur non essendo oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, derivano la propria illegittimità da quella della disposizione impugnata. Il Collegio ritiene pertanto di non poter percorrere la via dell’interpretazione conforme dell’articolo 120, comma 1, in base ai principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 22 del 2018 per la fattispecie di cui al secondo comma dell’articolo 120 del codice della strada, dal momento che l’obbligo di vagliare, prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale, la percorribilità di tutte le ipotesi ermeneutiche astrattamente possibili per attribuire alla norma un significato non incompatibile con i principi costituzionali incontra pur sempre il limite della formulazione letterale della disposizione sospettata di incostituzionalità, la quale, con l’utilizzo della locuzione %& lt %& lt non possono= & gt & gt non consente altra interpretazione che quella di attribuire al prefetto il dovere di affermare, a fronte dell’accertamento di una sentenza di condanna per delitti in materia di stupefacenti, l’insussistenza dei requisiti morali del soggetto che richiede di conseguire la patente. Il Collegio ritiene inoltre che sia preclusa in assoluto la via dell’interpretazione conforme della norma perché ogni altra interpretazione diversa da quella letterale si porrebbe in contrasto con la consolidata giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione, anche successiva alla sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22, e con la giurisprudenza dominante del giudice amministrativo che la recepisce, illustrate al paragrafo 3. Deve dunque essere rimessa all’esclusivo giudizio della Corte costituzionale la valutazione della legittimità del primo comma dell’articolo 120 del codice della strada rispetto all’articolo 3 della Costituzione, in relazione alla differente fattispecie prevista nel secondo comma del medesimo articolo della revoca del titolo abilitativo. 5. Il Collegio ritiene che la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada, limitatamente alla fattispecie ostativa in cui il soggetto abbia riportato una condanna per reati in materia di stupefacenti, non sia manifestamente infondata, anche alla luce della sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, con la quale la Corte costituzionale ha modificato la disposizione contenuta nel comma 2 del medesimo articolo. Il Collegio dubita della compatibilità della disposizione di cui al comma 1 con il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, e dunque della coerenza intrinseca di una disciplina che, a fronte di fattispecie omogenee, connotate dal medesimo disvalore sociale, ossia l’aver riportato una condanna per reati in materia di sostanze stupefacenti, prevede un trattamento diverso a seconda che la condanna intervenga prima o dopo il rilascio del titolo abilitativo alla guida. E’ ben vero che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, potrebbe aggravare la posizione di colui che intende conseguire per la prima volta il titolo abilitativo rispetto a quella di colui che tale titolo abbia già conseguito e che ha maturato una situazione di affidamento nella sua conservazione. Il Collegio ritiene tuttavia che la maggiore integrità della sfera morale del soggetto che intende conseguire la patente ed il conseguente sacrificio nell’attuazione dei diritti della personalità dovrebbero essere giustificati da prevalenti esigenze di tutela dei beni e degli interessi coinvolti. Ciò di cui dubita il Collegio, e che è stato già ritenuto costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 22 del 2018 e n. 24 del 2020, è la disparità di trattamento che discende dal mantenimento del meccanismo dell’automatismo ostativo della condanna nell’ipotesi del conseguimento del titolo, in relazione alla sua avvenuta eliminazione per la fattispecie della revoca. La conservazione dell’articolo 120, comma 1, il quale vieta al prefetto di valutare, oltre alla condanna per reati in materia di stupefacenti, altri elementi favorevoli al richiedente, creerebbe infatti, a parità di situazioni sostanziali, una ingiustificata discriminazione rispetto alla fattispecie della revoca della patente, per la quale la Corte costituzionale ha attribuito al prefetto il potere-dovere di valutare anche tali elementi ed ha riconosciuto al titolare della patente la situazione soggettiva di interesse legittimo e dunque la possibilità di dialogare con il potere, introducendo nel procedimento elementi in suo favore da bilanciare con la gravità della condanna, al fine di valutarne la concreta inaffidabilità nella guida dei veicoli. 5.1. Il Collegio ravvisa un primo profilo di fondatezza della questione di legittimità costituzionale nella circostanza che l’automatismo ostativo della condanna non tiene conto della diversa gravità che connota, sia in astratto che in concreto, le diverse fattispecie di reato contemplate dagli articoli 73 e 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Il mantenimento dell’articolo 120, comma 1, nella sua attuale formulazione, finirebbe pertanto per ricollegare i medesimi effetti ostativi al conseguimento della patente a fattispecie dotate di un differente disvalore penale, come si verificherebbe nella fattispecie oggetto del presente giudizio in cui il ricorrente è stato condannato, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per l’autonoma fattispecie attenuata prevista dall’articolo 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in epoca risalente rispetto alla presentazione dell’istanza per il conseguimento della patente. La Corte costituzionale, al paragrafo 7 della sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, ha già ritenuto fondata la medesima questione, sollevata in riferimento all’articolo 120, comma 2, del codice della strada, per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione. Il Collegio osserva che dovrebbe ritenersi fondata, per le medesime ragioni, anche la questione di legittimità sollevata in relazione all’articolo 120, comma 1, poiché l’unico elemento distintivo tra le due fattispecie, ovvero la circostanza che la condanna per un reato in materia di stupefacenti sia intervenuta in un momento anteriore o successivo al rilascio della patente, deve considerarsi affatto neutro rispetto all’esigenza di tutela della sicurezza della circolazione stradale, che rappresenta l’interesse primario tutelato dalla norma sospettata di illegittimità costituzionale. Ove dovesse ritenersi che la condanna penale configuri una presunzione assoluta di inaffidabilità del soggetto che aspira al conseguimento del titolo abilitativo, si rischierebbe infatti di riservargli un trattamento deteriore rispetto al soggetto che tale titolo ha già conseguito, in capo al quale l’ordinamento, pur nel rispetto dell’affidamento nella sua conservazione, dovrebbe semmai esigere un più intenso dovere di diligenza e una maggiore responsabilità nella protezione dei rilevanti beni giuridici coinvolti. 5.2. Un secondo profilo di possibile fondatezza della questione deve essere ravvisato nella ulteriore disparità del trattamento che le norme contenute nel primo e nel secondo comma dell’articolo 120 riservano, a parità di gravità della condanna riportata per un medesimo reato in materia di stupefacenti, rispettivamente al soggetto che intenda conseguire per la prima volta il titolo abilitativo ed al soggetto che l’abbia già conseguito. Al soggetto che intenda conseguire il titolo abilitativo è infatti richiesto l’onere di eliminare l’effetto automaticamente ostativo e potenzialmente perenne della condanna mediante la riabilitazione penale. In seguito agli interventi della Corte costituzionale sul secondo comma dell’articolo 120, tale onere è invece sostanzialmente venuto meno in capo al soggetto che aspiri a conservare il titolo abilitativo, il quale può eliminare l’effetto ostativo della condanna, comunque temporaneamente contenuto nei tre anni successivi al passaggio in giudicato della sentenza, semplicemente introducendo elementi da valutare in suo favore nel procedimento amministrativo avviato per la revoca della patente. Ove la disposizione dell’articolo 120, comma 1, venisse mantenuta nella sua attuale formulazione, il candidato al conseguimento della patente potrebbe pertanto riacquistare i necessari requisiti morali esclusivamente con l’eliminazione degli effetti penali della condanna ad opera della riabilitazione, ottenuta ai sensi dell’articolo 178 del codice penale. L’imposizione dell’onere di riabilitazione, il rinvio indiscriminato effettuato dalla disposizione a tutti i %& lt %& lt reati 309= 73= 74= 9= agli= al= articoli= cui= decreto= del= della= di= e= n.= ottobre= presidente= repubblica= testo= unico= & gt & gt , senza distinzioni di sorta, oltre che l’efficacia ostativa, potenzialmente perenne, della sentenza di condanna introducono una irragionevole discriminazione per quei soggetti, di solito di giovane età, i quali, pur condannati per fatti di non particolare gravità - come accaduto nella fattispecie oggetto del presente giudizio in cui il ricorrente ha riportato una condanna ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale per l’autonoma fattispecie attenuata prevista dall’articolo 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 - sono costretti, prima di poter conseguire la patente di guida, ad attendere i tempi tecnici richiesti dall’articolo 179 del codice penale per la concessione della riabilitazione, previsti nel minimo di tre anni dall’esecuzione, dall’estinzione o dalla concessione della sospensione condizionale della pena principale, e a sostenere i costi del procedimento penale di sorveglianza. 5.3. Un terzo dubbio di fondatezza della questione deve essere ravvisato nella circostanza che al sacrificio imposto dalla disposizione sospettata di incostituzionalità a colui che intende conseguire il titolo abilitativo non sembra corrispondere un beneficio proporzionale per l’interesse pubblico alla sicurezza del traffico e per il bene dell’incolumità collettiva, i quali, anche in difetto dell’automatismo ostativo, possono essere perseguiti con pari efficacia mediante gli strumenti predisposti dal medesimo codice della strada. L’articolo 119 del codice della strada demanda infatti alle competenti autorità sanitarie l’accertamento dell’idoneità fisica e psichica del richiedente, anche in relazione all’eventuale uso che egli faccia di sostanze stupefacenti, ed all’autorità competente al rilascio del titolo, in seguito all’esame teorico e pratico, l’accertamento del senso di autoresponsabilità e del rispetto delle regole prudenziali per garantire la sicurezza della strada, anche in relazione allo specifico rischio derivante dall’utilizzo di sostanze stupefacenti circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 19 settembre 2019, prot. n. 28819, per il conseguimento della patente B . L’articolo 117 del codice della strada disciplina inoltre la misura amministrativa delle limitazioni automatiche nella guida di autoveicoli di cilindrata elevata per i primi tre anni dal rilascio del titolo, alla cui violazione consegue l’applicazione sia della sanzione amministrativa pecuniaria che della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della validità della patente. 5.4. Un quarto ed ultimo profilo di fondatezza della questione di costituzionalità deve essere ravvisato nella ulteriore contraddittorietà intrinseca dell’articolo 120, comma 1, del codice della strada rispetto all’intero sistema normativo del settore degli stupefacenti. Mentre colui che commette un reato in materia di stupefacenti si prefigura la possibilità di conseguenze sanzionatorie aventi ad oggetto il titolo abilitativo acquisito, lo stesso non può dirsi per chi commette il medesimo reato in epoca anteriore al suo conseguimento. Il Collegio osserva che, pur nella doverosa distinzione tra la disciplina incriminatrice, contenuta nel testo unico stupefacenti e la disciplina amministrativa, di natura preventiva, contenuta nel codice della strada, il mantenimento del meccanismo dell’ostatività automatica della condanna per delitti in materia di stupefacenti, per le sole fattispecie del conseguimento della patente di guida, rischia di creare un’ingiustificata disparità di trattamento anche in relazione alla prevedibilità e alla calcolabilità di tutte le possibili conseguenze sfavorevoli, anche di quelle non strettamente sanzionatorie, derivanti dalla violazione della norma incriminatrice. Il titolare della patente di guida è infatti posto in grado di rappresentarsi che la commissione di un reato in materia di stupefacenti avrà conseguenze sfavorevoli sul mantenimento del titolo conseguito, sia pure mediante l’applicazione della sanzione penale accessoria del ritiro della patente, contemplata dall’articolo 85 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e con la quale la stessa Corte costituzionale, al paragrafo 7 della sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, ha istituito un parallelismo con l’istituto della revoca della patente, al fine di affermare l’irragionevolezza del suo automatismo. Lo stesso non può dirsi per il soggetto che commette il medesimo reato in epoca anteriore al conseguimento della patente, il quale, in base alla disciplina incriminatrice, non è posto in grado di rappresentarsi neppure genericamente le conseguenze interdittive della sua condotta sul futuro conseguimento della patente, delle quali avrà contezza solo in un momento successivo, ovvero quando, con la presentazione dell’istanza per il rilascio del titolo, instaurerà un rapporto con l’amministrazione. 6. In conclusione il Collegio ritiene rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, Nuovo codice della strada , per contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione, anche in relazione al comma secondo del medesimo articolo, per come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22, nella parte in cui dispone che %& lt %& lt non conseguire= di= guida= la= patente= possono= & gt & gt i soggetti condannati per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza , senza consentire all’autorità amministrativa margini di esercizio della discrezionalità in relazione alle peculiarità delle singole fattispecie al suo esame. 7. Ai sensi dell’articolo 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere pertanto disposta la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimità costituzionale sollevata ad iniziativa del Collegio. Deve essere altresì disposta la sospensione del presente giudizio sino alla definizione del giudizio incidentale sulla questione di legittimità costituzionale. Devono essere infine ordinati gli adempimenti di notificazione e di comunicazione della presente ordinanza, nei modi e nei termini indicati nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia Sezione prima dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, Nuovo codice della strada , nella parte in cui dispone che %& lt %& lt non conseguire= di= guida= la= patente= possono= & gt & gt coloro che sono stati condannati per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza , per contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione, anche in relazione al comma secondo del medesimo articolo, per come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22, e ne rimette la decisione alla Corte costituzionale. Dispone la sospensione del presente giudizio e l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria, alle parti del presente giudizio e al Presidente del Consiglio dei Ministri. Manda altresì alla Segreteria di comunicare la presente ordinanza al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

TAR Lombardia, sez. I, ordinanza 27 maggio 16 giugno 2020, n. 1076 Presidente Giordano - Estensore Mameli Fatto e diritto 1. Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha impugnato il provvedimento del 9 dicembre 2019 con il quale l’Ufficio della Motorizzazione di Milano ha negato il rilascio del titolo abilitativo alla guida, risultando inserito nel sistema informativo del Dipartimento dei Trasporti un ostativo al rilascio del predetto titolo a carico dell’istante. Con l’atto introduttivo del giudizio il ricorrente ha premesso le seguenti circostanze di fatto. In data 18 febbraio 2016 il Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, con decreto n. - omissis -, nel p.p. n. - omissis - R.G.M.P., disponeva a carico del ricorrente la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di PS con obbligo di soggiorno per anni due. Al momento della notificazione 26 febbraio 2016 il ricorrente era agli arresti domiciliari, con scadenza in data 24 marzo 2020. Il provvedimento precisava che alla scadenza della data del 24 marzo 2020 o di anticipata liberazione sarebbe stato sottoposto alla predetta misura di prevenzione. Sempre in data 15 aprile 2016 veniva notificato il provvedimento con cui il Prefetto della Provincia di Milano disponeva la revoca della patente di guida per sopravvenuta carenza dei requisiti morali, ai sensi dell’art. 120 del Codice della Strada, in ragione della sola irrogazione della misura di prevenzione. In data 18 aprile 2019, ad esito del p.p. - omissis - P.V. - omissis - R.G.M.P. , veniva revocata la misura di prevenzione. L’interessato chiedeva quindi al Prefetto la restituzione della patente. La Prefettura di Milano, con atto prot. 2019/2970 del 14 agosto 2019, respingeva la richiesta, ritenendo ormai definitivo il provvedimento con il quale era stata revocata la patente di guida. La Prefettura precisava che il ricorrente avrebbe dovuto ottenere un nuovo titolo abilitativo alla guida e, in quell’occasione, lo scrivente Ufficio sarà chiamato ad esprimere il proprio nulla osta ai sensi del 1 comma dell’art. 120 del C.d.S. In merito si informa sin d’ora che, alla luce del dettato normativo dell’art. 120 C.d.S., la revoca della misura di prevenzione non rappresenta elemento sufficiente per il conseguimento di una nuova patente di guida, rendendosi necessario a tal fine ottenere idonea riabilitazione in sede penale ai sensi del D.Lgs. 159/2011. Inoltre, nonostante le evoluzioni giurisprudenziali, il diniego del nulla osta nei confronti di coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di prevenzione rimane un’attività vincolata in capo allo scrivente Ufficio, e conseguentemente non possono essere oggetto di valutazione la situazione personale, familiare o lavorativa in cui versano i soggetti interessati . Sulla scorta di tale indicazione in data 14 ottobre 2019 il ricorrente presentava istanza per il conseguimento della patente di guida, essendo trascorso comunque un triennio dal suo ritiro, ai sensi dell’art. 120, comma, 3 del Codice della Strada. Superava la prova teorica, e si accingeva a sostenere la prova pratica quando, con il provvedimento impugnato con il ricorso in epigrafe, il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti - Ufficio della Motorizzazione Civile, negava il rilascio del titolo abilitativo alla guida, stante la non sussistenza dei requisiti morali di cui all’art. 120, comma 1, CdS . 2. Ciò posto, con l’atto introduttivo del giudizio il ricorrente ha impugnato il diniego di rilascio della patente di guida, chiedendone l’annullamento previa tutela cautelare. 3. Si sono costituiti in giudizio i Ministeri intimati, con memoria di mera forma e senza il deposito di documentazione alcuna. 4. Alla camera di consiglio del 27 maggio 2020, tenutasi con le modalità previste dall’art. 84 del D.L. n. 18/2020 mediante collegamenti da remoto, il Tribunale ha trattenuto il ricorso in decisione. 5. Il ricorso proposto è affidato ai motivi di gravame di seguito sintetizzati I violazione di legge, art. 120, comma 1 del Codice della Strada eccesso di potere sotto il profilo della carente motivazione e del difetto di istruttoria la censura operata dalla Corte Costituzionale in relazione al comma 2 dell’art. 120 del Codice della Strada quanto all’automatismo nella valutazione del Prefetto sarebbe traslabile anche in relazione alla fattispecie di cui al comma 1 della medesima disposizione, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata. Nessun automatismo potrebbe operare in relazione al rilascio della patente. Il provvedimento impugnato sarebbe, di conseguenza, affetto da carenza di motivazione, laddove richiama sic et simpliciter il disposto di cui al comma 1 dell’art. 120, senza alcuna autonoma valutazione da parte dell’Amministrazione II violazione di legge, art. 120 comma 3 del Codice della Strada in relazione ai commi 1 e 2 eccesso di potere sotto il profilo della carente motivazione e del difetto di istruttoria il terzo comma dell’art. 120 del Codice della Strada dispone che La persona destinataria del provvedimento di revoca di cui al comma 2 non può conseguire una nuova patente di guida prima che siano trascorsi almeno tre anni . Una volta trascorsi tre anni dalla revoca, l’esistenza di un precedente ostativo, quanto meno se ad essa precedente, non dovrebbe avere alcun effetto sulla nuova concessione del titolo. La norma dovrebbe essere letta anche alla luce dell’ultimo periodo del comma 2 dello stesso articolo, laddove dispone che La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre anni dalla data di applicazione delle misure di prevenzione, o di quella del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1 . 6. Il Collegio ritiene che il secondo mezzo di gravame non sia fondato. La disposizione di cui all’art. 120 comma 3 del Codice della Strada pone una sorta di condizione temporale di procedibilità all’ottenimento di una nuova licenza di guida. Aggiunge, in altri termini, un ulteriore requisito necessario all’ottenimento di una nuova patente, ma non incide sui requisiti morali necessari per conseguire la patente, indicati al comma 1, che si applicano a tutti coloro che intendono conseguire la patente di guida, e quindi anche a coloro che l'hanno avuta revocata. Il decorso del termine di tre anni dalla revoca della patente non è quindi condizione sufficiente per ottenere il rilascio di una nuova patente. 7. Il punto centrale ai fini della decisione della controversia è lo scrutinio del primo mezzo di gravame. 8. L’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 Codice della Strada , rubricato Requisiti morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all’articolo 116 , al comma 1, primo periodo, dispone che 1. Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all’articolo 2, e della legge 31 maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti dei provvedimenti riabilitativi, nonché i soggetti destinatari dei divieti di cui agli articoli 75, comma 1, lettera a , e 75-bis, comma 1, lettera f , del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per tutta la durata dei predetti divieti. . Al secondo comma detto articolo prevede che se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida . 8.1. Con sentenza 9 febbraio 2018, n. 22 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo 120, in relazione all’articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui, con riferimento all’ipotesi di condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del D.P.R. n. 309 del 1990, intervenuta in data successiva a quella del rilascio della patente di guida, dispone che il prefetto provvede in luogo di può provvedere alla revoca della patente di guida. 8.2. Con analoga sentenza del 20 febbraio 2020, n. 24, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo 120, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, anche per l’ipotesi di revoca della patente disposta nei confronti di coloro che, successivamente al relativo rilascio, sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali. 8.3. Da ultimo con la sentenza 27 maggio 2020 n. 99 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo 120, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, anche per l’ipotesi di revoca della patente disposta nei confronti di coloro che, successivamente al rilascio della stessa, sono o sono stati sottoposti a misure di prevenzione ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. 9. Il ricorrente ha richiamato diffusamente le sentenze nn. 22/2018 e 24/2020, invocando un’interpretazione costituzionalmente orientata del comma 1 dell’art. 120 del Codice della Strada, alla luce dei principi ivi affermati, e deducendo come non irragionevole ritenere che incorra nelle medesime ragioni di dichiarata incostituzionalità di cui al secondo comma, anche il primo comma dell’art. 120 CdS cfr. pag. 8 del ricorso e nello stesso senso pag. 17 . 10. Si è detto che le richiamate sentenze, come pure la recentissima n. 99/2020 intervenuta in pendenza del ricorso in epigrafe , riguardano il comma 2 dell’art. 120 del Codice della Strada. 10.1. Il Collegio ritiene non possibile percorrere la via dell’interpretazione conforme dell’articolo 120, comma 1, in base ai principi enunciati dal Giudice delle leggi in particolare con la sentenza della Corte 27 maggio 2020 n. 99, su cui si tornerà infra . Se è vero che il giudice, prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale, ha l’obbligo di vagliare la percorribilità di tutte le ipotesi ermeneutiche astrattamente possibili per attribuire alla norma un significato non incompatibile con i principi costituzionali, è altrettanto vero che tale obbligo incontra pur sempre il limite della formulazione letterale della disposizione sospettata di incostituzionalità. D’altro canto la stessa Corte Costituzionale, nelle sentenze nn. 22/2018, 24/2020 e 99/2020, non ha esercitato i poteri previsti dall’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il quale, in deroga al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, consente di dichiarare l’illegittimità c.d. consequenziale di disposizioni legislative che, pur non essendo oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, derivano la propria illegittimità da quella della disposizione impugnata. A fortiori questo Tribunale ritiene di non poter dare una interpretazione diversa da quella letterale al comma 1 dell’art. 120 del Codice della Strada. 11. Tuttavia, ad avviso del Collegio, sussistono i presupposti per dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame. 11.1 Sulla rilevanza della questione di costituzionalità. Come sopra osservato, la pretesa azionata dal ricorrente non può che essere esaminata in riferimento alla disposizione censurata che, così come è formulata, attribuisce al Prefetto un potere vincolato. Non sarebbe quindi possibile per il ricorrente conseguire la patente di guida, non possedendo i requisiti morali indicati dalla norma stessa, e dovendo l’Autorità pubblica applicare automaticamente la disposizione medesima. L’Amministrazione infatti, nel caso di specie, si è limitata, appunto, a fare applicazione automatica della norma in vigore che non si presta, anche secondo il c.d. diritto vivente, ad un’interpretazione diversa da quella letterale. Pertanto si rende necessario sollevare la questione di legittimità costituzionale il cui accoglimento soltanto consentirebbe al giudice adito di annullare il provvedimento impugnato. Il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’esercizio del potere amministrativo di cui all’art. 120 comma 1 del Codice della Strada avrebbe carattere vincolato e la posizione del privato sarebbe quindi di diritto soggettivo, radicandosi pertanto la giurisdizione del giudice ordinario Cassazione SS.UU. ordinanze 13 dicembre 2019, n. 32977 e 32978, e 16 dicembre 2019, n. 33090 idem sentenze 14 maggio 2014, n. 10406, e 6 febbraio 2006, recepite da Consiglio di Stato, sez. III, 6 giugno 2016, n. 2413, e sez. V, 29 agosto 2016, n. 3712 . Tuttavia il Collegio ritiene che tale orientamento debba essere rivisitato proprio alla luce delle recenti sentenze della Corte Costituzionale nn. 24/2020 e 99/2020, laddove si esclude che nella specie la giurisdizione del giudice amministrativo possa ritenersi ictu oculi manifestamente insussistente , sulla base della qualificazione della posizione giuridica del privato e del carattere del potere pubblico esercitato, ridondando quindi, in ultima analisi, in termini di giurisdizione. 11.2 Sulla non manifesta infondatezza della questione. Il Collegio ritiene di sottoporre al vaglio della Corte Costituzionale la disposizione di cui all’art. 120 comma 1 del Codice della Strada nella parte in cui, disponendo che Non possono conseguire la patente di guida coloro che sono o sono stati sottoposti alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, oggi da intendersi come previste dal D.lgs. 159/2011, impone un automatismo e non consente all’Autorità pubblica una valutazione discrezionale e in concreto. 12. Ad avviso di questo giudice la questione di legittimità costituzionale va posta in relazione agli artt. 3, 4, 16 e 35 Cost. 13. Va ricordato che con la sentenza 27 maggio 2020 n. 99 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 120 comma 2 del Codice della Strada come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a , della legge 15 luglio 2009, n. 94, e come modificato dall’art. 19, comma 2, lettere a e b , della legge 29 luglio 2010, n. 120 e dall’art. 8, comma 1, lettera b , del decreto legislativo 18 aprile 2011, n. 59 , nella parte in cui dispone che il prefetto provvede invece che può provvedere alla revoca della patente di guida nei confronti dei soggetti che sono o sono stati sottoposti a misure di prevenzione ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. 13.1. Con la predetta sentenza n. 99/2020 la Corte Costituzionale hacensurato in termini di irragionevolezza il meccanismo che riconnette automaticamente la revoca della patente a coloro che siano o siano stati sottoposti a misure di prevenzione, senza che sia consentito all’Amministrazione operare un bilanciamento con ulteriori elementi di valutazione che possano emergere in concreto. 14. Posti tali principi, il Collegio ritiene che anche il comma 1 dell’art. 120 del Codice della Strada ugualmente si ponga in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui la sottoposizione a misure di prevenzione costituisca automaticamente un presupposto ostativo al rilascio della patente. Il contrasto con l’art. 3 della Costituzione appare evidente, sotto il profilo del principio di uguaglianza, in relazione alla diversa disciplina delineata dal secondo comma del medesimo articolo a seguito della sentenza della Corte costituzionale 27 maggio 2020 n. 99. La differenza di trattamento venutasi a determinare all’interno del medesimo articolo di legge, originariamente formulato in maniera unitaria mediante l’utilizzo della tecnica del rinvio agli elementi oggettivi della fattispecie contemplata dal primo comma per estenderne gli effetti ostativi alla diversa fattispecie delineata dal secondo comma, non appare giustificata a fronte di situazioni omogenee, connotate dal medesimo presupposto oggettivo l’applicazione delle misure di prevenzione , e dunque partecipanti di una medesima ratio. Appare evidente la disparità di trattamento che si viene a creare a seconda che la sottoposizione alle misure di prevenzione avvenga prima o dopo il rilascio del titolo abilitativo alla guida. 14.1. Sotto altro ma concorrente profilo l’esercizio del potere in sede di rilascio e in sede di revoca della patente di guida risponde alla tutela del medesimo interesse pubblico, ovvero quello della sicurezza stradale, degradando ad interesse legittimo la posizione giuridica del privato, necessariamente, sia in un caso che nell’altro. Ne consegue che anche il comma 1 deve ritenersi affetto dai medesimi vizi di incostituzionalità, laddove la norma non venga interpretata nel senso di attribuire all’Autorità pubblica non già un potere con carattere automatico e vincolato, bensì pienamente discrezionale a fronte della specifica misura di prevenzione cui nel caso concreto è sottoposto il soggetto istante, come discrezionale deve intendersi il potere esercitato in sede di revoca, per effetto dell’intervento della Corte n. 99/2020. 14.2. Tale sentenza ha rilevato che le categorie dei destinatari delle misure di prevenzione sono variegate ed eterogenee, al punto che non è agevole identificarne un denominatore comune. La diversità delle fattispecie di cui al D.lgs. 159/2011, che rilevano come indice di pericolosità sociale, impone che l’Autorità pubblica, anche in sede di rilascio della patente di guida, oltre che di revoca del titolo, operi una valutazione in concreto. La circostanza che la misura di prevenzione sia intervenuta in un momento anteriore o successivo al rilascio della patente deve considerarsi un fatto neutro rispetto alla sicurezza della circolazione stradale, che rappresenta l’interesse primario tutelato dalla norma sospettata di illegittimità costituzionale. 15. L’art. 120 comma 1 del Codice della Strada si pone altresì in contrasto con gli artt. 4, 16 e 35 della Costituzione, in quanto, nel prevedere l’attribuzione al Prefetto di un potere vincolato ridonda in termini di sproporzionalità e irragionevolezza incidenti sulla libertà personale, sul diritto al lavoro e sulla libertà di circolazione. Con riferimento alle misure di prevenzione, condividendo quanto rilevato dal Tar Marche con l’ordinanza di rimessione 27 maggio 2019 n. 356, va aggiunto che - l’autorità giudiziaria che dispone l’applicazione della sorveglianza speciale di P.S. è tenuta, ai sensi dell’art. 8 del citato decreto legislativo, a stabilire le prescrizioni a cui l’interessato deve attenersi per tutto il periodo di efficacia della misura - tali prescrizioni, tuttavia, non possono avere l’effetto di inibire all’interessato la possibilità di vivere una vita quanto più possibile normale anche se vengono notevolmente limitate la libertà di spostamento e la libertà di frequentazione di altre persone e, soprattutto, non debbono impedirgli di svolgere attività lavorativa lecita. Questo secondo profilo emerge sia dall’art. 8, comma 3, laddove si prevede addirittura che il Tribunale in determinati casi ordini all’interessato di darsi alla ricerca di un lavoro, sia, a livello più generale, dall’art. 67, comma 5, del D.lgs. n. 159/2011 laddove si prevede che Per le licenze ed autorizzazioni di polizia, ad eccezione di quelle relative alle armi, munizioni ed esplosivi, e per gli altri provvedimenti di cui al comma 1 le decadenze e i divieti previsti dal presente articolo possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia . Ora, è evidente che il diniego automatico del rilascio della patente di guida in presenza della sottoposizione, presente o passata, ad una misura di prevenzione impedisce di fatto all’interessato di svolgere con maggiore agio una attività lavorativa lecita per tutto il periodo in cui egli è sottoposto alla sorveglianza speciale il che rende la misura ancora più gravosa di quanto abbia inteso configurarla il giudice penale . A fronte di quanto sopra rilevato, di contro, il carattere discrezionale del provvedimento prefettizio, come sottolineato dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero /2020, evita di non contraddire l’eventuale finalità della misura di prevenzione di inserimento del soggetto nel circuito lavorativo , che la misura stessa si propone. 16. In conclusione questo Tribunale ritiene che l’art. 120 comma 1 del Codice della Strada sia costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3, 4, 16 e 35 Cost. laddove, nel disporre che non possono conseguire la patente di guida coloro che sono o sono stati sottoposti alle misure di prevenzione , attribuisce al Prefetto un potere automatico e vincolato, come risulta dal tenore letterale della disposizione e dal diritto vivente, senza consentire all’autorità amministrativa margini di esercizio della discrezionalità in relazione alle peculiarità delle singole fattispecie al suo esame. Ai sensi dell’articolo 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87 deve essere pertanto essere sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 120 comma 1 del D.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, secondo i profili e per le ragioni sopra indicate, con sospensione del giudizio fino alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana della decisione della Corte Costituzionale, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79 ed 80 del c.p.a. e art. 295 c.p.c. 17. Riserva al definitivo ogni ulteriore decisione, nel merito e sulle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Prima , ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 120 comma 1 del D.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 per violazione degli artt. 3, 4, 16 e 35 della Costituzione, dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Rinvia ogni definitiva statuizione nel merito e sulle spese di lite all’esito del giudizio incidentale ai sensi degli artt. 79 ed 80 del cpa. Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.