Quando la notifica via posta ordinaria non va a buon fine

Se la notificazione non ha avuto buon esito per irreperibilità del destinatario” anche se l’indirizzo era quello dello studio legale indicato nel ricorso, la necessità della ri-notifica a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo PEC del medesimo avvocato non può certo essere ascritta a circostanze imputabili al notificante. Con la conseguenza che la rinotificazione retroagisce e impedisce ogni decadenza se è stata riattivata l'attività notificatoria entro un termine ragionevole.

Decidendo a proposito di un provvedimento cautelare, che essendo ontologicamente caratterizzato dalla strumentalità e dalla interinalità, è destinato inevitabilmente a venire meno al momento della pubblicazione della sentenza che definisce il merito della controversia, la IV Sezione del Consiglio di Stato sentenza n. 1690/20, del 9 marzo ha preso in esame le problematiche connesse alla tardività di un appello, a proposito del quale era stato presentato ricorso per revocazione dell’istanza cautelare. La questione di tardività dell’appello era stata sollevata dalla parte, quale vizio revocatorio nella domanda di revocazione dell’ordinanza cautelare ed avente la sostanza di una eccezione di irricevibilità dell’appello per tardività della notifica. Che, secondo la IV Sezione è stata dichiarata invece infondata. La vicenda. Nel caso in questione, la sentenza appellata era stata notificata all’Amministrazione il 2 maggio 2019 e l’Avvocatura generale dello Stato aveva proceduto alla notifica del ricorso in appello con raccomandata A. R. spedita in data 1° luglio 2019, a mezzo sevizio postale, indirizzata all’avvocato allo studio legale indicato nel ricorso introduttivo. La notificazione, tuttavia, non aveva avuto buon esito per irreperibilità del destinatario”, come da carolina postale” del 3 luglio 2019, ed il mancato perfezionamento della notifica è stato successivamente comunicato all’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha successivamente proceduto alla rituale notifica dell’appello, in data 28 agosto 2019, a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo PEC del medesimo avvocato irreperibile. In sostanza, il mancato perfezionamento non poteva certo essere ascritto a circostanze imputabili al notificante. Notificazioni degli atti del processo amministrativo. A tale proposito, il Collegio ha ritenuto che, sul punto, debbano trovare applicazione i principi enucleati dalla consolidata giurisprudenza civile. In particolare, l’art. 44, comma 1, della legge delega n. 69 del 2009 prevede che il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori e di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali . L’art. 39 c.p.a., di conseguenza, dispone che, per quanto non disciplinato dal codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali, e che le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile. La giurisprudenza civile, da ultimo con ordinanza della Corte di Cassazione, VI, 3 dicembre 2018, n. 31136 , ha ribadito che la Corte, a Sezioni Unite, già con la sentenza n. 17352/09, ripercorrendo le posizioni emerse progressivamente nella giurisprudenza negli anni precedenti, aveva affermato esplicitamente il principio secondo il quale In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell'atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l'onere - anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio - di richiedere all'ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l'esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie . Sul concetto indeterminato di termine ragionevolmente contenuto entro il quale dovesse essere ripresa la procedura notificatoria, sono nuovamente intervenute, con un recente arresto, le Sezioni Unite n. 14594/16 , secondo le quali In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa . L'attività del richiedente, quindi, da onere passa a dovere , così chiarendo definitivamente il contenuto dei compiti del notificante e, inoltre, viene quantificato il termine ragionevolmente contenuto , che viene determinato - in una prospettiva ordinaria tenuto conto che, in fondo, si tratta di rinnovare una sola delle attività per le quali il termine complessivo è riconosciuto - nella metà dei termini ex art. 325 c.p.c., mentre è conservata la facoltà per l'interessato di dimostrare che tale dilazione è insufficiente in ragione di circostanze eccezionali, della cui prova resta onerato Cass. n. 5974/17 .

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 6 febbraio – 9 marzo 2020, n. 1690 Presidente Anastasi – Estensore Caponigro Fatto e diritto 1. Il Ministero dell’Interno, con d.m. 18 maggio 2017, per le esigenze di reclutamento di un numero complessivo di 1148 allievi agenti della Polizia di Stato, ha indetto i seguenti concorsi pubblici a concorso pubblico, per esame, a 893 posti, aperto ai cittadini italiani, purché siano in possesso dei requisiti prescritti per l’assunzione nella Polizia di Stato b concorso pubblico, per esame e titoli, a 179 posti, riservato a coloro che sono in servizio, da almeno sei mesi alla data di scadenza della domanda di partecipazione al concorso, come volontari in ferma prefissata di un anno VFP1 o in rafferma annuale, purché siano in possesso dei requisiti prescritti per l’assunzione nella polizia di Stato c concorso pubblico, per esame e titoli, a 76 posti, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno VFP1 collocati in congedo, al termine della ferma annuale, alla data di scadenza della domanda di partecipazione al concorso, nonché ai volontari in ferma quadriennale VFP4 , in servizio o in congedo, purché siano in possesso dei requisiti prescritti per l’assunzione nella polizia di Stato. La signora -OMISSIS ha chiesto di essere ammessa a partecipare al concorso pubblico in argomento e, dopo aver superato la prova scritta, classificandosi in posizione utile in graduatoria, è stata ammessa alle prove di efficienza fisica, nonché ai successivi accertamenti per l’idoneità fisica, psichica ed attitudinale. La Commissione Medica per l’accertamento dei requisiti psico-fisici, in data 23 aprile 2018, ha dichiarato la candidata non idonea al servizio di Polizia avendo riscontrato un tatuaggio, in via di rimozione, in zona non coperta dall’uniforme -OMISSIS- art. 3, comma 2, riferimento Tab 1, punto 2 lettera B DM 30/06/2003 n. 198 e succ. modif. ed integr.”. 2. Il T.a.r. per il Lazio, Sezione Prima Quater, con la sentenza 2 maggio 2019, n. 5491, ha accolto il ricorso proposto dalla signora -OMISSIS e, per l’effetto, ha annullato il giudizio della Commissione Medica, datato 23 aprile 2018, in forza del quale l’interessata è stata riconosciuta non idonea al servizio di polizia per carenza dei requisiti psico-fisici previsti dal D.M. 30 giugno 2003, n. 198. Il Ministero dell’Interno ha interposto appello avverso detta sentenza, articolando le seguenti censure l’art. 3, comma 2, riferimento Tabella 1, punto 2, del d.m. n. 198 del 2003 contempla quale causa di esclusione, alla lettera b , la presenza di tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme”, per cui, ai fini dell’esclusione dal concorso, sarebbe sufficiente anche la presenza di un solo tatuaggio in zona non coperta dall’uniforme la Commissione medica ha evidenziato la presenza di 4 tatuaggi, rilevando come causa invalidante la visibilità di uno solo di questi e, al contrario di quanto ritenuto dal T.a.r., non avrebbe ritenuto il tatuaggio in questione non distinguibile più”, ma avrebbe messo in rilievo il fatto che, per via del trattamento di rimozione dello stesso, le figure del tatuaggio fossero sbiadite, ma comunque ben visibili il giudizio tecnico valutativo della Commissione medica si concretizzerebbe con la redazione di un verbale, cioè di un atto che ha una sua valenza probatoria ed una indubbia fidefacienza sarebbe infondata la tesi sostenuta dal giudice di primo grado, secondo cui la circostanza che il tatuaggio fosse in via di rimozione avrebbe imposto all’Amministrazione di motivare specificamente in ordine all’idoneità della visibilità dello stesso a determinare l’inidoneità al servizio di Polizia la garanzia della par condicio dei candidati sarebbe assicurata anche dalla previsione dello svolgimento dei previsti accertamenti e valutazioni contemporaneamente per tutti i candidati, applicando per ciascuno gli stessi criteri sulla base dei presupposti di fatto e di diritto dati al momento della comune valutazione. Questa Sezione, con ordinanza 27 settembre 2019, n. 4849, ha accolto l’istanza cautelare proposta dal Ministero dell’Interno e, per l’effetto, ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata, con la seguente motivazione Considerato che al momento rilevante, e cioè all’atto della visita di idoneità, la esistenza del tatuaggio su parte del corpo visibile in uniforme è stata puntualmente riscontrata dalla commissione Considerato pertanto che non rileva ai fini di causa l’intrapreso processo di rimozione del tatuaggio medesimo. Considerato che sussiste il periculum”. 3. La signora -OMISSIS ha proposto ricorso per revocazione ex art. 106 c.p.a. che ha assunto indebitamente il diverso numero di R.G. 8634 del 2019 rispetto al numero di R.G. 5711 del 2019 avverso la detta ordinanza cautelare di questa Sezione n. 4849 del 2019, chiedendo la sospensione dell’esecutività della stessa, deducendo quale vizio revocatorio, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., l’errore di fatto, consistito nell’omesso rilievo della nullità della notifica dell’atto di appello, pervenuto al destinatario oltre i termini. L’Amministrazione ha contestato fondatezza del ricorso per revocazione proposto dalla appellata ed ha concluso per il rigetto della relativa istanza cautelare. Questa Sezione, con ordinanza 15 novembre 2019, n. 5716, ha respinto l’istanza cautelare proposta con il descritto ricorso per revocazione ed ha disposto la cancellazione del fascicolo R.G. n. 8634 del 2019 e la confluenza dei relativi atti nel fascicolo R.G. n. 5711 del 2019, con la seguente motivazione Riuniti in via preliminare, per la evidente connessione soggettiva ed oggettiva, i ricorsi in epigrafe e, al fine di eliminare la indebita duplicazione dei fascicoli, ritenuto di disporre la cancellazione del fascicolo R.G. n. 8634 del 2019 con la conseguente confluenza degli atti del ricorso per revocazione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4849 del 2019 del 2019 R.G. n. 8634 del 2019 nel ricorso in appello in cui è stata pronunciata l’ordinanza cautelare revocanda R.G. 5711 del 2019 , trattandosi di vicenda inerente la medesima fase processuale Ritenuto che, dal complessivo bilanciamento degli interessi coinvolti nella vicenda, non appaiono sussistere i presupposti per accogliere l’istanza cautelare proposta con il ricorso per revocazione avverso l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 4849 del 2019, mentre, al fine di delibare compiutamente anche sulla dedotta questione di tardività, si ritiene di anticipare l’udienza pubblica per la trattazione del merito della controversia R.G. n. 5711 del 2019 alla data del 6 febbraio 2020”. L’appellata, con successiva memoria, ha evidenziato che la sua mancata costituzione nel giudizio di appello R.G. n. 5711 del 2019, nonostante la riunione tra tale procedimento e quello per revocazione, non implica che diventi parte anche del primo ed ha insistito nelle richieste formulate nel ricorso per revocazione. All’udienza pubblica del 6 febbraio 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione. 4. Il Collegio, in via preliminare, pone in rilievo che il ricorso per revocazione dell’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 4849 del 2019 è stato definito con l'ordinanza cautelare di reiezione di questa Sezione n. 5716 del 2019, che ha altresì disposto la cancellazione del fascicolo R.G. n. 8634 del 2019 e la conseguente confluenza degli atti del detto ricorso per revocazione nel ricorso in appello R.G. n. 5711 del 2019, sicché la parte appellata è evidentemente costituita nell’unico giudizio pendente, vale a dire il giudizio contrassegnato dal numero R.G. n. 5711 del 2019. Il provvedimento cautelare, infatti, è ontologicamente caratterizzato dalla strumentalità e dalla interinalità o provvisorietà . L’interinalità, in particolare, è la naturale provvisorietà della misura cautelare, destinata a perdere ogni effetto con la definizione del giudizio, del quale rappresenta un incidente, qualunque sia la tipologia di sentenza adottata e cioè sia che si tratti di una sentenza di merito, sia che si tratti di una sentenza di cessazione della materia del contendere o di improcedibilità. L’efficacia della pronuncia cautelare, quindi, è destinata inevitabilmente a venire meno al momento della pubblicazione della sentenza che definisce il merito della controversia. Ne consegue che, dovendo essere definito il merito della controversia, viene meno l’efficacia dell’ordinanza cautelare che ha costituito oggetto di revocazione, la cui esecutività non è stata sospesa per il rigetto dell’istanza cautelare proposta con il ricorso per revocazione, per cui anche quest’ultimo non può più produrre alcun effetto. In altri termini, il ricorso per revocazione di un’ordinanza cautelare, al pari dell’appello cautelare proposto avverso un’ordinanza pronunciata in primo grado, vive nella sola fase cautelare e si esaurisce con essa, per cui l’ordinanza che decide sulla relativa istanza ne definisce completamente la vicenda. Va da sé, peraltro, che la questione di tardività dell’appello, sollevata quale vizio revocatorio nella domanda di revocazione dell’ordinanza cautelare n. 4849 del 2019 ed avente la sostanza di una eccezione di irricevibilità dell’appello per tardività della notifica, deve essere esaminata nel presente giudizio di merito, senza che la costituzione della parte in questo giudizio comporti la sanatoria di un eventuale vizio di nullità della notifica, il che sarebbe del tutto incompatibile con la volontà della parte di costituirsi in giudizio al solo fine di dedurre la prospettata questione di tardività, ovvero determini preclusioni all’esercizio del diritto di difesa. 4. L’eccezione di irricevibilità dell’appello per tardività è infondata. La sentenza appellata è stata notificata all’Amministrazione il 2 maggio 2019. L’Avvocatura generale dello Stato ha proceduto alla notifica del ricorso in appello con raccomandata A. R. spedita in data 1° luglio 2019, a mezzo sevizio postale, indirizzata all’avvocato Luciano Guerriero in Roma, via delle Robinie n. 84. La notificazione non ha avuto buon esito per irreperibilità del destinatario”, come da carolina postale” del 3 luglio 2019, ed il mancato perfezionamento della notifica è stato successivamente comunicato all’Avvocatura generale dello Stato. L’Avvocatura generale dello Stato, quindi, ha proceduto alla rituale notifica dell’appello, in data 28 agosto 2019, a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo PEC dell’avvocato Luciano Guerriero. Nel ricorso proposto in primo grado al T.a.r. Lazio, la parte ricorrente risulta rappresentata e difesa all’avvocato Luciano Guerriero, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via delle Robinie n. 84, per cui, essendo stata la notifica, per raccomandata A.R. a mezzo di servizio postale, diretta proprio al detto avvocato presso lo studio legale indicato nel ricorso, il mancato perfezionamento non può certo essere ascritto a circostanze imputabili al notificante. Il Collegio ritiene che, sul punto, debbano trovare applicazione i principi enucleati dalla consolidata giurisprudenza civile. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 132 del 2018, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 3, del codice del processo amministrativo d.lgs. n. 104 del 2010 , ha ribadito che l’art. 44 della legge n. 69 del 2009 contiene una delega per il riordino del processo amministrativo che, in quanto tale, concede al legislatore delegato un limitato margine di discrezionalità per l’introduzione di soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente ai principi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante ex multis, sentenze n. 94, n. 73 e n. 5 del 2014, n. 162 e n. 80 del 2012, n. 293 e n. 230 del 2010 . In particolare, l’art. 44, comma 1, della legge delega n. 69 del 2009 prevede che il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori” e di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali”. L’art. 39 c.p.a., di conseguenza, dispone che, per quanto non disciplinato dal codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali, e che le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile. La giurisprudenza civile, da ultimo con ordinanza della Corte di Cassazione, VI, 3 dicembre 2018, n. 31136, ha ribadito che la Corte, a sezioni unite, già con la sentenza n. 17352 del 2009, ripercorrendo le posizioni emerse progressivamente nella giurisprudenza negli anni precedenti, aveva affermato esplicitamente il principio secondo il quale In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell'atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l'onere anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio di richiedere all'ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l'esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie . Sul concetto indeterminato di termine ragionevolmente contenuto entro il quale dovesse essere ripresa la procedura notificatoria, sono nuovamente intervenute, con un recente arresto, le Sezioni Unite n. 14594 del 2016 , secondo le quali In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa . L'attività del richiedente, quindi, da onere passa a dovere , così chiarendo definitivamente il contenuto dei compiti del notificante e, inoltre, viene quantificato il termine ragionevolmente contenuto , che viene determinato in una prospettiva ordinaria tenuto conto che, in fondo, si tratta di rinnovare una sola delle attività per le quali il termine complessivo è riconosciuto nella metà dei termini ex art. 325 c.p.c., mentre è conservata la facoltà per l'interessato di dimostrare che tale dilazione è insufficiente in ragione di circostanze eccezionali, della cui prova resta onerato Cass. n. 5974 del 2017 . Nel caso di specie, rileva il termine di cui all’art. 92, comma 1, c.p.a., in ragione del quale le impugnazioni si propongono con ricorso e devono essere notificate entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza, sicché il termine dimidiato per considerare lo stesso ragionevolmente contenuto” ai fini della ripresa della procedura notificatoria è di trenta giorni. Nella fattispecie in esame, tale termine deve ritenersi rispettato, in quanto l’Avvocatura generale dello Stato ha ricevuto comunicazione del mancato perfezionamento della notifica non prima del 3 luglio 2019 ed ha proceduto a rituale notifica via PEC in data 28 agosto 2019. Ne consegue, tenendo conto del periodo di sospensione feriale dei termini ai sensi dell’art. 1 della legge n. 742 del 1969, che la procedura notificatoria è stata riattivata in un termine ragionevolmente contenuto”, come delineato dai principi elaborati dalla Cassazione civile, vale a dire nel termine di trenta giorni. 5. Nel merito, l’appello è fondato e va di conseguenza accolto. Il punto 2, lettera b , della tabella 1, alla quale l’art. 3, comma 2, del decreto ministeriale 30 giugno 2003, n. 198, rinvia per l’individuazione delle imperfezioni come causa di non idoneità, indica tra le cause di non idoneità per l'ammissione ai concorsi pubblici per l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato” i tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall'uniforme o quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme”. Pertanto, sono individuate due distinte fattispecie, entrambe rilevanti ai fini della dichiarazione di non idoneità cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2019, n. 6640 . La prima, quella della presenza di tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall'uniforme”, in relazione alla quale nessuna rilevanza assume la particolare sede o natura” ovvero il contenuto” del tatuaggio. La seconda, quella della presenza di tatuaggi che, a prescindere dalla collocazione in parti del corpo non coperte dall’uniforme, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme”. Tale distinzione trova conferma nelle Procedure per lo svolgimento degli accertamenti psico-fisici del concorso pubblico per l’assunzione di 1148 allievi agenti della Polizia di Stato”, dove si dispone che Per la valutazione dei tatuaggi di cui al punto 2, lettera b della tabella 1 allegata al d.m. 30 giugno 2003, n. 198, la Commissione, ove ritenuto necessario, potrà fare indossare al candidato i capi di vestiario previsti dalle uniformi, inclusa la maglietta a maniche corte tipo polo”, di taglia adeguata. I tatuaggi non coperti dai capi di vestiario dell’uniforme – compresi quelli degli arti superiori, qualora non coperti dalla maglietta a manica corta – costituiranno causa di non idoneità. I tatuaggi che, seppure coperti dai capi di vestiario previsti dalle uniformi, siano deturpanti o ritenuti indice di personalità abnorme costituiranno anch’essi causa di non idoneità”. La distinzione acquisisce dirimente rilievo sul piano della natura dell’accertamento richiesto all’Amministrazione e del conseguente potere esercitato. Nel primo caso, è la mera presenza, al momento dell’esame da parte della Commissione per l’accertamento dei requisiti psico-fisici, di un tatuaggio, su una parte del corpo non coperta dall'uniforme, a giustificare il giudizio di non idoneità. Invero, la presenza del tatuaggio è sempre causa di esclusione, qualora esso, quale che ne sia l'entità o il soggetto rappresentato, sia collocato nelle parti del corpo non coperte dall'uniforme , dovendosi, a tal fine, fare riferimento a tutti i tipi di uniforme utilizzate o utilizzabili nell'ambito del servizio. In particolare, come già chiarito in giurisprudenza, l'amministrazione non è titolare di alcuna discrezionalità, non dovendo procedere ad alcuna valutazione, dovendo bensì solo prendere atto degli esiti di un mero accertamento tecnico copertura o meno del tatuaggio da parte delle divise cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 luglio 2018, n. 4305 . In questo caso, trattandosi di un mero accertamento tecnico e, quindi, di esercizio del potere amministrativo totalmente vincolato, è esclusa ogni valutazione del nocumento all'immagine dell'Amministrazione o al decoro della divisa Nel secondo caso, invece, l’Amministrazione è tenuta, ai fini dell’esclusione per la presenza di un tatuaggio, a valutare, e conseguentemente a motivare in tal senso, la rilevanza” dell’alterazione acquisita della cute e l’idoneità di essa a compromettere il decoro della persona e dell’uniforme. In particolare, il tatuaggio può diventare causa di esclusione ancorché non collocato in parti visibili” come innanzi precisate allorché esso venga considerato deturpante” per sede e natura, ovvero indice di personalità abnorme” in virtù del suo contenuto” id est, di quanto da esso rappresentato . In questa ipotesi, l'esclusione dunque non è vincolata quale conseguenza dell'esito di un mero accertamento tecnico, ma rappresenta l'eventuale misura adottata all'esito di una valutazione che costituisce esercizio di discrezionalità tecnica e che salvo i limiti rappresentati dalla sussistenza dei vizi di difetto di motivazione ovvero di eccesso di potere per manifesta illogicità non è sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità. A ciò va aggiunto che, in ragione dei basilari principi del tempus regit actum e della par condicio tra i candidati, che governano le procedure concorsuali, l'accertamento dei requisiti psico-fisici deve avvenire avuto riguardo al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda di una procedura selettiva e, più propriamente, al primo momento utile per l’accertamento di tali requisiti, vale a dire al momento della visita per l’idoneità psico-fisica, sicché, posto che i requisiti di idoneità devono essere posseduti entro la data di scadenza del termine per la partecipazione, essi devono essere necessariamente verificabili nei tempi della selezione concorsuale. Peraltro, la visibilità del tatuaggio, proprio in quanto rilevante ex se, deve presentare una certa evidenza, ovvero determinare l'impossibilità di essere coperto indossando la divisa, ed il giudizio di esclusione deve essere congruamente motivato, dovendo riguardare non solo l’ubicazione del tatuaggio, in termini pertanto di potenziale individuabilità, ma anche la sua effettiva consistenza Cons. Stato, II, 26 agosto 2019, n. 5875 Cons. Stato, III, 3 giugno 2019, n. 3729 . La giurisprudenza maggioritaria, dalla quale questo Collegio non intende discostarsi, ha solitamente negato rilevanza al processo di rimozione in atto del tatuaggio, facendo applicazione dei sopraindicati principi del tempus regit actum e della par condicio tra i candidati, secondo cui, come detto, l'accertamento dei requisiti fisici deve avvenire avuto riguardo al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda di una procedura selettiva da ultimo, Cons. Stato, 3 ottobre 2019, n. 6640, che richiama un’ampia giurisprudenza . In particolare, è stato ritenuto che spetti all’interessato dimostrare che, al momento dell’accertamento svolto dall’Amministrazione, fosse già ultimata la procedura di rimozione e, conseguentemente, fosse in toto eliminata la percepibilità visiva del tatuaggio, difettando altrimenti i requisiti psico-fisici per l’assunzione Sez. IV, ord. 2386/2019 . La Commissione medica, nel caso di specie, ha motivato il giudizio di non idoneità dell’interessata, evidenziando che si tratta di tatuaggio in via di rimozione in zona non coperta dall’uniforme -OMISSIS-” e, quindi, valutandone la visibilità ovvero l’impossibilità dello stesso ad essere coperto con l’uniforme. Sulla base delle esposte ragioni, pertanto, non può essere condivisa la statuizione del primo giudice, secondo cui l’Amministrazione non avrebbe potuto procedere all’automatica esclusione dal concorso per la sola presenza sull’avambraccio della ricorrente di un tatuaggio in via di rimozione, bensì dovesse specificamente motivare in che misura tenuto conto della accertata e dichiarata anche dalla stessa Commissione fase di rimozione del tatuaggio la visibilità fosse tale da determinare l’inidoneità al servizio di Polizia, valutando la situazione nello specifico caso anche alla luce della previsione di favorevole evoluzione in relazione alla sottoposizione del tatuaggio ad un trattamento di completa rimozione”, né può assumere rilievo l’ulteriore argomentazione, secondo cui per mera completezza, deve aggiungersi, la circostanza che oramai il tatuaggio risulta essere stato completamente rimosso, come comprovato dalle foto versate in atti”. Infatti, trattandosi, come detto, di mero accertamento tecnico, il provvedimento di non idoneità dell’Amministrazione, avendo la Commissione motivato che il tatuaggio, sebbene in via di rimozione, rimaneva ancora visibile, costituiva un atto del tutto vincolato, senza alcuna possibilità di compiere ulteriori e non dovute valutazioni. In altri termini, la chiarezza del dato normativo di cui al D.M. 198 del 2003 attualmente ancora vigente ed efficace non lascia adito a diverse interpretazioni, volte a dare risalto all’espressione di un ulteriore giudizio di valore. Parimenti, in applicazione dei richiamati principi del tempus regit actum e della par condicio tra i candidati, l’Amministrazione non avrebbe potuto legittimamente compiere alcuna valutazione successiva alla data deputata all’accertamento dei requisiti psico-fisici. 6. La peculiarità della vicenda, anche sotto il profilo processuale, induce a disporre la compensazione integrale delle spese del doppio di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello in epigrafe R.G. n. 5711 del 2019 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado. Dispone l’integrale compensazione delle spese tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato, giuridico e fattuale, idoneo ad identificare la parte appellata.