Il familiare del collaboratore di giustizia non ha diritto all’assegno autonomo

In tema di misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia, in capo ai familiari di soggetti ammessi al programma di protezione non è configurabile alcun diritto ad un assegno autonomo, costituendo tanto l’assegnazione dello stesso quanto - e a maggior ragione - la sua integrazione solo una possibilità in presenza di circostanze strettamente connesse con le esigenze di tutela.

Sul tema la sezione terza del Consiglio di Stato con la sentenza n. 6719/18, depositata il 27 novembre. Il caso. Il figlio di un collaboratore di giustizia, inserito nel programma di protezione del padre, chiedeva la scissione del nucleo familiare e l’assegnazione di una diversa abitazione per problemi di convivenza con i familiari. Le motivazioni della richiesta facevano leva sul bisogno di avere spazi di una propria autonomia anche al fine di avere la possibilità, in un prossimo futuro, di rifarsi una vita e una propria famiglia . L’istanza veniva inizialmente rigettata, ma, dopo l’intervento del TAR Lazio, la Commissione Centrale ha provveduto al riesame e, prendendo atto del disagio psicologico dell’istante causato dalla coabitazione con i suoi familiari, ha autorizzato la scissione richiesta a costi originari invariati”, sia con riguardo all’assegno di mantenimento da ripartire pro quota per i diversi familiari del titolare del programma di protezione , che ai costi di locazione degli alloggi. La questione torna dunque al TAR Lazio che questa volta dichiara irragionevole l’applicazione del criterio dell’invarianza di spesa alle misure di assistenza economica, nonché la violazione dell’art. 13, commi 5 e 6, l. n. 82/1991 ritenendo che al soggetto autorizzato ad usufruire delle misure di assistenza economica debba essere garantita una somma che assicuri le primarie esigenze di vita, ritenendo dunque insufficiente la cifra di 250 euro mensili riconosciuta al ricorrente. L’impugnazione. Il Ministero dell’Interno ha proposto appello deducendo l’erroneità della sentenza perché censura un provvedimento discrezionale, correttamente motivato posto che non è previsto in capo ai soggetti ammessi al programma di protezione alcun diritto ad un assegno autonomo, costituendo tanto l’assegnazione dello stesso quanto ed a maggior ragione la sua integrazione solo una possibilità, in presenza di circostanze strettamente connesse con le esigenze di tutela, esigenze che peraltro la DNA ha ritenuto, nel caso in esame, del tutto assenti . Contesto normativo. Il Consiglio di Stato rileva che l’art. 9, d.l. n. 8/1991 afferma che le speciali misure di protezione possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con il collaboratore ammesso al programma nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo. Il Regolamento sulle speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia d.m. 23 aprile 2004, n. 161 disciplina invece i casi in cui è possibile modificare le speciali misure di protezione, ma non introduce alcun diritto dei familiari del soggetto ammesso al programma ad ottenere un autonomo assegno per specifiche e personali esigenze di vita. In tale contesto, spetta dunque alla Commissione centrale valutare se nel caso concreto sussistono valide ragioni per autorizzare la scissione dal nucleo originario e se tali ragioni giustificano anche il riconoscimento di un contributo autonomo. Correttamente dunque, nell’esercizio della sua discrezionalità, la Commissione ha acconsentito alla scissione dal nucleo familiare sulla base delle valutazioni clinico-psicologiche che hanno evidenziato il conflitto familiare ed il disagio dell’istante, negando però le misure di assistenza autonoma bensì solo una quota parte del mantenimento riconosciuto al nucleo facente capo al padre, titolare della protezione. In conclusione, il Consiglio di Stato accoglie il gravame e riforma la sentenza di primo grado respingendo il relativo ricorso.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 15 – 27 novembre 2018, n. 6719 Presidente Frattini – Estensore Ferrari Fatto 1. Con delibera del 23 gennaio 2013 il sig. omissis era stato inserito nel programma di protezione del padre, sig. omissis -, in quanto collaboratore di giustizia e figlio del titolare del programma. Con istanza del 23 settembre 2015 il sig. omissis -, all’epoca detenuto, aveva chiesto l’assegnazione di un autonomo domicilio nel caso in cui gli fosse stata concessa la misura degli arresti domiciliari era dunque richiesta la scissione del nucleo familiare e la concessione all’odierno resistente di un’abitazione sita nella medesima Regione ove sono stati collocati i suoi familiari, nonché l’attribuzione di un autonomo assegno di mantenimento. Con nota del omissis la Procura di Napoli ha emesso parere favorevole all’accoglimento della richiesta, mentre la Direzione Nazionale Antimafia, con nota dell’11 gennaio 2016, ha reso parere negativo per insussistenza dei presupposti, essendo la richiesta fondata esclusivamente su motivi personali e comportando per lo Stato un ingiustificato aggravio economico. Avverso il rigetto dell’istanza opposto dalla Commissione Centrale ex art. 10, l. omissis il 26 luglio 2017 il sig. omissis ha proposto ricorso al Tar Lazio che, con ordinanza emessa nella fase cautelare, ha ordinato alla Commissione il riesame. Con delibera del 26 luglio 2017 la Commissione Centrale, a seguito di riesame, preso atto della documentazione attestante il disagio psicologico dell’istante causato dalla coabitazione con i suoi familiari, ha autorizzato la scissione richiesta a costi originari invariati”, sia con riguardo all’assegno di mantenimento, da ripartire pro quota, che ai costi di locazione degli alloggi reperimento di due alloggi più piccoli dove sistemare i due nuovi nuclei familiari . Avverso detta nuova decisione il sig. omissis ha proposto atto di motivo aggiunti. Con sentenza n. omissis il Tar Lazio ha dichiarato improcedibile l’atto introduttivo del giudizio ed ha accolto l’atto di motivi aggiunti, sul rilievo che l’applicazione del criterio dell’invarianza di spesa alle misure di assistenza economica appare non solo irragionevole, ma anche violativo del disposto normativo di cui all’art. 13, commi 5 e 6, l. 15 marzo 1991, n. 82, in quanto non consente al soggetto autorizzato di usufruire delle misure di assistenza economica che garantiscano, ai sensi di dette norme, quanto meno le primarie esigenze di vita misure, nella specie, ridotte ad un assegno mensile pari a soli € 250 ”. 2. Avverso tale sentenza il Ministero dell’interno Commissione Centrale ex art. 10, l. n. 82 del 1991 ha proposto appello, notificato il 29 maggio 2018 e depositato il successivo 4 giugno 2018. Ha dedotto l’erroneità della sentenza perché interviene su un provvedimento discrezionale, correttamente motivato, ritenendo che le misure di assistenza economica siano un diritto per colui che venga autorizzato a vivere separatamente dall’originario nucleo familiare e che l’imposizione dell’invarianza di spesa sia irragionevole ed illegittima in quanto di ostacolo alla fruizione dell’assistenza necessaria a soddisfare le primarie esigenze di vita. In effetti non è previsto in capo ai soggetti ammessi al programma di protezione alcun diritto ad un assegno autonomo, costituendo tanto l’assegnazione dello stesso quanto ed a maggior ragione la sua integrazione solo una possibilità, in presenza di circostanze strettamente connesse con le esigenze di tutela, esigenze che peraltro la D.N.A. ha ritenuto, nel caso in esame, del tutto assenti. 3. Si è costituito in giudizio il sig. omissis -, che ha sostenuto l’infondatezza dell’appello. 4. Alla pubblica udienza del 15 settembre 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione. Diritto 1. L’appello è fondato. La richiesta istanza del 7 settembre 2015 del sig. omissis di essere scisso dal nucleo familiare del padre, destinatario del programma di protezione, è motivata dal bisogno di avere spazi di una propria autonomia anche al fine di avere la possibilità, in un prossimo futuro, di rifarsi una vita e una propria famiglia”. Spiega l’istante che l’abitazione della madre presso la quale alloggiava, ai tempi della formulazione dell’istanza, quando usciva per permessi premio dal carcere Rebibbia dove allora era recluso , sita in località protetta, è piuttosto piccola per poter ospitare, oltre ai due fratelli e alla sorella, anche lui, ed è quindi costretto ad adattarsi”. Il Collegio evidenza che con delibera del 23 gennaio 2013 il sig. omissis è stato sottoposto al programma di protezione del padre sig. omissis -, del cui nucleo familiare faceva parte. Pur essendo anch’egli collaboratore di giustizia come risulta dalla Riservata della Direzione Distrettuale Antimafia del 29 dicembre 2014 per avere, con le sue dichiarazioni, concorso all’emissione di ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti la criminalità organizzata non ha ottenuto l’inclusione in un proprio programma e tale decisione è rimasta intangibile, non avendo mai impugnato la delibera del 23 gennaio 2013. Tale circostanza è stata ben evidenziata dalla D.D.A. che, nel parere reso l’11 gennaio 2016, ha sottolineato che in assenza di un autonomo programma di protezione” non sussistono i presupposti per accogliere la richiesta di scissione del nucleo familiare. Questo in punto di fatto. In diritto, va rilevato che l’art. 9, d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, che disciplina la materia de qua, ha precisato che le speciali misure di protezione possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con il collaboratore ammesso al programma nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone. Il solo rapporto di parentela, affinità o coniugio non determina, in difetto di stabile coabitazione, l'applicazione delle misure. Evidente è, dunque, l’intento del Legislatore non solo di non configurare un diritto del convivente” del titolare della protezione all’estensione della stessa, ma anche di escludere che il solo rapporto di parentela, affinità o coniugio determini, ove manchi la stabile coabitazione, l'applicazione delle misure. Ha aggiunto il comma 6 del successivo art. 13 dello stesso d.l. n. 8 che L'assegno di mantenimento può essere integrato dalla commissione con provvedimento motivato solo quando ricorrono particolari circostanze influenti sulle esigenze di mantenimento in stretta connessione con quelle di tutela del soggetto sottoposto al programma di protezione, eventualmente sentiti l’autorità che ha formulato la proposta, il procuratore nazionale antimafia o i procuratori generali interessati a norma dell'articolo 11.”. Anche il Regolamento sulle speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia, approvato con d.m. 23 aprile 2004, n. 161, che all’art. 10 disciplina i casi in cui è possibile modificare le speciali misure di protezione, non introduce alcun diritto dei familiari del soggetto ammesso al programma ad ottenere un autonomo assegno per specifiche e personali esigenze di vita. Data la premessa consegue che spetta alla Commissione centrale valutare se sussistono valide ragioni per autorizzare la scissione dal nucleo originario e se tali ragioni sono tanto forti da consentire il riconoscimento di un contributo autonomo. Come condivisibilmente affermato dall’appellante non è previsto, in capo ai soggetti ammessi al programma di protezione, alcun diritto ad un assegno autonomo, costituendo tanto l’assegnazione dello stesso quanto e a maggior ragione la sua integrazione solo una possibilità in presenza di circostanze strettamente connesse con le esigenze di tutela, esigenze che, nel caso all’esame del Collegio, la Direzionale Nazionale Antimafia, nella nota dell’11 gennaio 2016 ha ritenuto del tutto assenti. Nella specie la Commissione, nella sua discrezionalità – sindacabile solo se manifestamente irragionevole – ha ritenuto che potesse acconsentirsi alla scissione del nucleo in considerazione delle valutazioni clinico-psicologiche, svolte dal Servizio Centrale di Protezione, che hanno evidenziato una situazione conflittuale con gli altri componenti il nucleo familiare e di particolare disagio dell’istante ha però giudicato tali ragioni non tali da riconoscergli anche misure di assistenza autonoma, bensì solo una quota parte del mantenimento riconosciuto al nucleo facente capo al titolare della protezione, sig. -OMISSIS-, né l’accollo delle spese per il canone di locazione, che restano riconosciute nella misura originariamente acconsentita. La Commissione ha dunque trovato un equo bilanciamento tra l’interesse del sig. -OMISSIS a vivere separatamente dalla madre e dai fratelli, godendo del programma di protezione accordato al padre, e quello pubblico a non incrementare la spesa per soddisfare l’interesse del singolo, non dettato da esigenze di tutela. Si tratta di conclusione non manifestamente irragionevole, e dunque insindacabile da questo giudice. Aggiungasi che le argomentazioni addotte dall’appellato non sono tali da far giungere a diversa conclusione perché, nella sostanza, nella quasi totalità volte a rilevare la posizione di collaboratore di giustizia pag. 6 della memoria del 26 ottobre 2018 che, in quanto tale avrebbe avuto diritto ad un autonomo programma di protezione pag. 3 dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado si ritiene sin d’ora opportuno evidenziare all’attento Giudicante come sia di palmare evidenza che all’accertata autonomia collaborativa avrebbe dovuto far seguito un indipendente programma di protezione – come espressamente previsto dalla normativa di settore, l. n. 82 del 1991 e d.m. n. 161 del 2004 – e non certo l’inserimento del omissis - omissis -in quello del padre” . Si tratta infatti di argomenti di non secondaria rilevanza ma che il sig. omissis avrebbero dovuto dedurre per contestare l’ammissione allo stesso programma di protezione del padre avendo iniziato a collaborare sin dal 2012, come risulta dalla riservata della Direzione Distrettuale Antimafia del 29 dicembre 2014, e dunque prima dell’ammissione al programma del padre, del 23 gennaio 2013 o per chiedere successivamente di essere ammesso ad un autonomo programma di protezione. Tutto ciò non è avvenuto, avendo l’appellato presentato istanza per essere scisso dal nucleo del titolare della protezione e per godere di un autonomo mantenimento Cons. St., sez. III, ord. 22 giugno 2017, n. 2586 id., ord., 20 luglio 2017, n. 3030 . 2. L’appello deve quindi essere accolto, con conseguente riforma della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I ter, n. omissis -. La peculiarità della vicenda contenziosa giustifica la compensazione tra le parti in causa delle spese e degli onorari del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. I ter, n. omissis -, respinge il ricorso di primo grado. Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellato.