L’inottemperanza all’ordine di demolizione non è sanzionabile se l’immobile abusivo è sotto sequestro penale

Ciò in quanto l’affermazione dell’eseguibilità dell’ingiunzione di demolizione di un bene sequestrato, per quanto tralatiziamente ricorrente nella giurisprudenza amministrativa, non può, infatti, essere convincentemente sostenuta sulla base dell’assunto della configurabilità di un dovere di collaborazione del responsabile dell’abuso, ai fini dell’ottenimento del dissequestro e della conseguente attuazione dell’ingiunzione.

Il Consiglio di Stato sentenza n. 2337/17 depositata il 17 maggio ribalta la decisione del Giudice di primo grado dando peraltro atto dell’esistenza di una giurisprudenza in senso opposto dello stesso Consiglio di Stato. Ciò in quanto è necessario valutare prioritariamente la validità o l’efficacia dell’ordine di demolizione, per la cui inottemperanza sono state irrogate le misure sanzionatorie previste dall’articolo 31 d.P.R. n. 380/2001. Il Collegio, nell'affrontare la questione, non ignora che l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, sia amministrativo cfr. Cons. St. n. 283/16 , sia penale Cass. n. 9186/09 , ritiene irrilevante la pendenza di un sequestro, ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione, della sua eseguibilità e, quindi, della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori, sulla base della non qualificabilità della misura cautelare reale quale impedimento assoluto all’attuazione dell’ingiunzione. E ciò, in ragione della possibilità, per il destinatario dell’ordine, di ottenere il dissequestro del bene ai sensi dell’articolo 85 disp. att. c.p.p. ma reputa di dissentire da tale orientamento, per le seguenti ragioni. Ordine nullo. La prima e, per certi versi, dirimente,argomentazione, secondo il Collegio, è che l’ordine di demolizione di un immobile colpito da un sequestro penale dovrebbe essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell’articolo 21- septies l. n. 241/1990 in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c. , e, quindi, radicalmente inefficace, per l’assenza di un elemento essenziale dell’atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell’oggetto del comando. In altri termini, l’ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando il quale, se eseguisse l’ordinanza, commetterebbe il reato di cui all’articolo 334 c.p. , difetta di una condizione costituiva dell’ordine, e cioè, l’imposizione di un dovere eseguibile C.G.A.R.S., Sezioni Riunite, parere n. 1175 del 9 luglio 2013 – 20 novembre 2014, sull’affare n. 62/2013 . In sostanza, l’ordine di una condotta giuridicamente impossibile si rivela privo di un elemento essenziale e, come tale, affetto da invalidità radicale, e, in ogni caso, per quanto qui rileva, inidoneo a produrre qualsivoglia effetto di diritto. L’affermazione dell’eseguibilità dell’ingiunzione di demolizione di un bene sequestrato, per quanto ricorrente nella giurisprudenza amministrativa, dev’essere radicalmente rifiutata sia perché riferisce a un’eventualità futura, astratta e indipendente dalla volontà dell’interessato la stessa possibilità giuridica e materiale di esecuzione dell’ingiunzione, mentre, come si è visto, l’impossibilità dell’oggetto attiene al momento genetico dell’ordine e lo vizia insanabilmente all’atto della sua adozione sia perché, assiomaticamente, finisce per imporre al privato una condotta priva di qualsivoglia fondamento giuridico positivo sia, infine, perché si risolve nella prescrizione di una iniziativa processuale l’istanza di dissequestro che potrebbe contraddire le strategie difensive liberamente opzionabili dall’indagato o dall’imputato nel processo penale, peraltro interferendo inammissibilmente nell’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto, quale quello di difesa basti porre mente, in proposito, al caso che il mantenimento del sequestro penale – sub specie probatorio, ex articolo 253 c.p.p. – risulti funzionale ad assicurare, per il seguito delle indagini o per il dibattimento, la prova che quanto realizzato non fosse abusivo, o non fosse conforme a quanto contestato o ritenuto dalla pubblica accusa, ovvero avesse altre caratteristiche scriminanti o anche solo attenuanti l’illiceità penale del fatto ascritto . La sanzione per la colpa. Peraltro, ha aggiunto ancora il Collegio, le misure contemplate dall’articolo 31, commi 3 e 4- bis , d.P.R. n. 380/2001, rivestono carattere chiaramente sanzionatorio e, come tali, esigono, per la loro valida applicazione, l’ascrivibilità dell’inottemperanza alla colpa del destinatario dell’ingiunzione rimasta ineseguita, in ossequio ai canoni generali ai quali deve obbedire ogni ipotesi di responsabilità. Sennonchè, nella situazione posta all'attenzione della sezione, non è dato ravvisare alcun profilo di rimproverabilità nella condotta necessariamente inerte del destinatario dell’ordine di demolizione, al quale resta, infatti, preclusa l’esecuzione del comando da un altro provvedimento giudiziario che gli ha sottratto la disponibilità giuridica e fattuale del bene. L’irrogazione di una sanzione chè di questo si tratta per una condotta che non può in alcun modo essere soggettivamente ascritta alla colpa del soggetto colpito dalla sanzione stessa, non può che essere giudicata illegittima per il difetto del necessario elemento psicologico della violazione. Infine, ritiene ancora il Collegio, non può esigersi – e, giuridicamente, non lo si può soprattutto in difetto di un’espressa previsione di legge in tal senso, stante anche il divieto di prestazioni imposte se non che per legge, ex articolo 23 Cost. – che il cittadino impieghi tempo e risorse economiche per ottenere la restituzione di un bene di sua proprietà, ai soli fini della sua distruzione. Si tratta, afferma la sentenza, di un’argomentazione la cui valenza logica e intuitiva esime da ogni ulteriore spiegazione, restando immediatamente percepibile l’iniquità dell’imposizione di un dispendioso onere di diligenza, finalizzato solo alla distruzione del bene ancora di proprietà del destinatario dell’ingiunzione.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2 marzo – 17 maggio 2017, numero 2337 Presidente De Francisco – Estensore Deodato Fatto e diritto 1. – Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche respingeva il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla Oasi s.r.l. avverso, rispettivamente, il provvedimento numero 44/III Settore del 19 marzo 2015 con cui il Comune di Gabicce Mare aveva irrogato alla società ricorrente la sanzione pecuniaria di 20.000,00 Euro, per non aver ottemperato all’ordinanza numero 99 del 9 luglio 2013 di riduzione in pristino dello stato dei luoghi a seguito della realizzazione di opere abusive, e il provvedimento numero 147/III Settore del 17 giugno 2015 con cui era stata disposta l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del fabbricato oggetto degli interventi abusivi. Avverso la predetta decisione proponeva appello la società Oasi, contestando la correttezza del gravato giudizio di legittimità dei provvedimenti sanzionatori impugnati in primo grado, insistendo nel sostenere l’invalidità di questi ultimi e concludendo per il loro annullamento, in riforma della sentenza appellata. Resisteva il Comune di Gabicce Mare, difendendo la decisione appellata e domandandone la conferma, previa reiezione dell’appello. Alla camera di consiglio del 2 marzo 2017 il ricorso, previa informativa alle parti, veniva trattenuto in decisione ai sensi degli artt. 60 e 98 c.p.a. 2. – L’appello, che può essere definito con sentenza in forma semplificata ricorrendone le condizioni stabilite dalle disposizioni processuali citate, è fondato e dev’essere accolto. 3. – Risulta, in particolare, fondata l’argomentazione, svolta soprattutto nel terzo motivo di appello, con cui la società appellante sostiene l’inapplicabilità delle sanzioni previste per l’inottemperanza a ordini di demolizione di manufatti abusivi, nelle ipotesi, quale quella in esame, in cui l’immobile sia sottoposto a sequestro penale. La questione, quindi, si risolve nella disamina della validità o dell’efficacia dei provvedimenti sanzionatori adottati sulla base del rilievo dell’omessa esecuzione di presupposti ordini di demolizione o di riduzione in pristino di opere abusive, che esulano, tuttavia, dalla disponibilità del destinatario dell’ordinanza rimasta inattuata, in quanto sequestrati dal giudice penale. Tale problema, tuttavia, implica anche la soluzione della logicamente presupposta questione della validità e dell’efficacia dell’ordine di demolizione, per la cui inottemperanza sono state irrogate le misure sanzionatorie previste dall’articolo 31 del d.P.R. numero 380 del 2001. 4. – Il Collegio non ignora che l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, sia amministrativo cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 28 gennaio 2016, numero 283 , sia penale Cass. Penumero , sez. III, 14 gennaio 2009, numero 9186 , ritiene irrilevante la pendenza di un sequestro, ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione, della sua eseguibilità e, quindi, della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori, sulla base della non qualificabilità della misura cautelare reale quale impedimento assoluto all’attuazione dell’ingiunzione, in ragione della possibilità, per il destinatario dell’ordine, di ottenere il dissequestro del bene ai sensi dell’articolo 85 disp. att. c.p.p. ma reputa di dissentire da tale orientamento, per le ragioni di seguito sinteticamente tenendo conto, per quanto possibile, della forma semplificata della presente sentenza esposte. 5. – Con una prima, e, per certi versi, dirimente, argomentazione, l’ordine di demolizione di un immobile colpito da un sequestro penale dovrebbe essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell’articolo 21-septies l. numero 241 del 1990 in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c. , e, quindi, radicalmente inefficace, per l’assenza di un elemento essenziale dell’atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell’oggetto del comando. In altri termini, l’ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando il quale, se eseguisse l’ordinanza, commetterebbe il reato di cui all’articolo 334 c.p. , difetta di una condizione costituiva dell’ordine, e cioè, l’imposizione di un dovere eseguibile C.G.A.R.S., Sezioni Riunite, parere numero 1175 del 9 luglio 2013 – 20 novembre 2014, sull’affare numero 62/2013 . In quest’ordine di idee, l’ordine di una condotta giuridicamente impossibile si rivela, quindi, privo di un elemento essenziale e, come tale, affetto da invalidità radicale, e, in ogni caso, per quanto qui rileva, inidoneo a produrre qualsivoglia effetto di diritto. A tale conclusione si ritiene potersi pervenire con riguardo ai casi in cui – come in quello di specie – l’ordine di demolizione o di riduzione in pristino stato sia stato adottato nella vigenza di un sequestro penale di qualsiasi genere ma sulla distinzione tra i diversi tipi di sequestro del processo penale si tornerà infra . 6. – L’affermazione dell’eseguibilità dell’ingiunzione di demolizione di un bene sequestrato, per quanto tralatiziamente ricorrente nella giurisprudenza amministrativa, non può, infatti, essere convincentemente sostenuta sulla base dell’assunto della configurabilità di un dovere di collaborazione del responsabile dell’abuso, ai fini dell’ottenimento del dissequestro e della conseguente attuazione dell’ingiunzione. Tale argomentazione dev’essere, infatti, radicalmente rifiutata sia perché riferisce a un’eventualità futura, astratta e indipendente dalla volontà dell’interessato la stessa possibilità giuridica e materiale di esecuzione dell’ingiunzione, mentre, come si è visto, l’impossibilità dell’oggetto attiene al momento genetico dell’ordine e lo vizia insanabilmente all’atto della sua adozione sia perché, assiomaticamente, finisce per imporre al privato una condotta priva di qualsivoglia fondamento giuridico positivo sia, infine, perché si risolve nella prescrizione di una iniziativa processuale l’istanza di dissequestro che potrebbe contraddire le strategie difensive liberamente opzionabili dall’indagato o dall’imputato nel processo penale, peraltro interferendo inammissibilmente nell’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto, quale quello di difesa basti porre mente, in proposito, al caso che il mantenimento del sequestro penale –sub specie probatorio, ex articolo 253 c.p.p. – risulti funzionale ad assicurare, per il seguito delle indagini o per il dibattimento, la prova che quanto realizzato non fosse abusivo, o non fosse conforme a quanto contestato o ritenuto dalla pubblica accusa, ovvero avesse altre caratteristiche scriminanti o anche solo attenuanti l’illiceità penale del fatto ascritto . 7. – Si aggiunga, ancora, che le misure contemplate dall’articolo 31, commi 3 e 4-bis, del d.P.R. numero 380 del 2001, rivestono carattere chiaramente sanzionatorio e, come tali, esigono, per la loro valida applicazione, l’ascrivibilità dell’inottemperanza alla colpa del destinatario dell’ingiunzione rimasta ineseguita, in ossequio ai canoni generali ai quali deve obbedire ogni ipotesi di responsabilità. Sennonchè, nella situazione considerata, non è dato ravvisare alcun profilo di rimproverabilità nella condotta necessariamente inerte del destinatario dell’ordine di demolizione, al quale resta, infatti, preclusa l’esecuzione del comando da un altro provvedimento giudiziario che gli ha sottratto la disponibilità giuridica e fattuale del bene. Come si vede, quindi, l’irrogazione di una sanzione chè di questo si tratta per una condotta che non può in alcun modo essere soggettivamente ascritta alla colpa del soggetto colpito dalla sanzione stessa, non può che essere giudicata illegittima per il difetto del necessario elemento psicologico della violazione. 8. – Fermo restando il carattere assorbente delle considerazioni appena svolte, resta da aggiungere un argomento, tutt’altro che secondario, di equità ma, come tosto si dirà, non solo equitativo non può esigersi – e, giuridicamente, non lo si può soprattutto in difetto di un’espressa previsione di legge in tal senso, stante anche il divieto di prestazioni imposte se non che per legge, ex articolo 23 Cost. – che il cittadino impieghi tempo e risorse economiche per ottenere la restituzione di un bene di sua proprietà, ai soli fini della sua distruzione. Si tratta di un’argomentazione la cui valenza logica e intuitiva esime da ogni ulteriore spiegazione, restando immediatamente percepibile l’iniquità dell’imposizione di un dispendioso onere di diligenza, finalizzato solo alla distruzione del bene ancora di proprietà del destinatario dell’ingiunzione. Per ulteriori considerazioni critiche in proposito – se il dissequestro, più o meno legittimamente, fosse negato, vi sarebbe anche un onere di gravame? E fino a che grado? O andrebbe riproposta l’istanza? E quando, e quante volte? – può rinviarsi al cit. parere del C.G.A.R.S. numero 62/2013 del quale però merita condividersi la conclusione, nel senso che la tesi [qui avversata] si appalesa, quindi, poco approfondita in punto di diritto e apoditticamente sostenuta”. Essa implica, infatti, l’imposizione di un onere di diligenza per il quale – al di là della sua assertiva invocazione ad opera di alcune prospettazioni giuridiche, che potrebbero forse sembrare più inopinatamente zelanti nella repressione degli abusi edilizi che adeguatamente attente al rispetto dei principi fondanti dell’ordinamento giuridico ivi incluso quello ex articolo 23 Cost., che si è già richiamato supra – risulterebbe davvero complicato rinvenire un convincente fondamento normativo positivo che, anzi, sembra da escludere, purché si tenga in adeguata considerazione l’esigenza che le sanzioni non solo quelle penali nemo tenetur se detergere ma anche quelle amministrative siano, almeno tendenzialmente, strutturate per essere applicate dai pubblici poteri, piuttosto che autoeseguite a proprio danno dallo stesso soggetto destinatario di esse. 9. – Nondimeno – sia per l’ipotesi che si ritenesse di poter prescindere dalla più persuasiva prospettazione, che si è sin qui illustrata, che qualifica in termini di nullità il vizio che affligge l’ordinanza di demolizione emanata nella pendenza del sequestro dell’immobile di cui trattasi sia, comunque, con riferimento ai casi in cui l’ordine demolitorio o ripristinatorio sia stato adottato e, in tal caso, validamente in un momento in cui il bene non fosse sequestrato, ma venga invece sequestrato successivamente e nella pendenza del termine assegnato per ottemperare all’ingiunzione de qua – va ulteriormente indagato, per completezza di sistema, il tema dell’incidenza del sequestro penale se non, in queste ipotesi, sulla validità sull’efficacia dell’ordine di demolire e, derivativamente, sulla decorrenza o meno del termine a tal fine assegnato fintanto che il sequestro permanga efficace. Limitandocisi in questa sede a un mero richiamo delle argomentazioni dogmatiche più approfonditamente svolte nel più volte cit. parere del C.G.A.R.S. numero 62/2013 – in tema di distinzione tra nullità, come difetto strutturale originario di uno degli elementi essenziali dell’atto giuridico sub specie, qui, di possibilità dell’oggetto , e inefficacia, allorché tali elementi essenziali e qui, dunque, la ridetta possibilità , originariamente sussistenti, vengano meno successivamente in modo temporaneo o definitivo, in quest’ultimo caso dandosi adito a una causa estintiva degli efficacia dell’atto per impossibilità sopravvenuta e invece nel primo solamente a una temporanea sospensione di tale efficacia – occorre evidenziare che, finché il sequestro perdura, la demolizione anche se validamente ingiunta vuoi perché disposta anteriormente al sequestro, ossia in un momento in cui il suo destinatario, essendo in bonis, aveva la possibilità giuridica di ottemperarvi vuoi, ipoteticamente, perché non si condivida la tesi, invero dogmaticamente più coerente, della nullità per impossibilità giuridica dell’oggetto del provvedimento che abbia ingiunto la demolizione in costanza di sequestro certamente non può eseguirsi. A questo semplice rilievo consegue necessariamente – e perfino a prescindere dall’incoerente assunto, che pure si è già confutato, secondo cui il destinatario dell’ordine demolitorio sarebbe tenuto ad attivarsi per chiedere il dissequestro ai soli fini della demolizione giacché certamente non lo si potrebbe pure onerare del fatto del terzo, ossia di ottenere tale risultato entro il termine di 90 giorni normalmente assegnatogli – che, per tutto il tempo in cui il sequestro perdura e, qui si aggiunge, indipendentemente dalla condotta attiva o passiva serbata dall’autore dell’abuso rispetto al sequestro stesso , la non ottemperanza all’ordine di demolizione non può qualificarsi non iure, appunto a causa della già rilevata oggettiva impossibilità giuridica di procedervi. Ciò non può non implicare, come conseguenza giuridicamente necessaria, l’interruzione o, quantomeno, la sospensione del decorso del termine assegnato per demolire, per tutto il tempo in cui il sequestro rimane efficace. Detto termine, dunque, inizierà nuovamente a decorrere – per intero ovvero per la sua parte residua, secondo che si opti per l’interruzione o per la sospensione di esso in costanza di sequestro – solo allorché il sequestro venga meno, per qualunque ragione. Merita evidenziarsi che l’assunto, qui propugnato, che il destinatario dell’ordine di demolizione non possa considerarsi giuridicamente onerato di richiedere il dissequestro per poter demolire non implica affatto né che ciò gli sia precluso potrebbe, infatti, avervi interesse, per esempio per azzerare la situazione di abusivismo e poter così richiedere ex novo un titolo edilizio urbanisticamente conforme per riprendere l’attività edificatoria secundum legem né che il dissequestro non possa essere richiesto all’Autorità giudiziaria penale da parte di chiunque altro vi abbia interesse ossia, in primis, dalla stessa Amministrazione che abbia ingiunto prima del sequestro, secondo la tesi qui condivisa o che intenda ingiungere non appena venuto meno il sequestro la demolizione, con l’effetto di far ripartire prima possibile il decorso del termine per demolire e di far produrre, in difetto, le ulteriori conseguenze acquisitive che la legge riconnette all’inutile decorso di detto termine ma anche, nei congrui casi, ai soggetti pubblici e privati controinteressati al mantenimento dell’opera edilizia abusiva, che abbiano comunanza di intenti e di interessi con l’Amministrazione procedente. Infatti, il venir meno del sequestro – da chiunque provocato o indotto, e anche se spontaneamente disposto dall’Autorità giudiziaria procedente – consente ex se all’Amministrazione di ingiungere, o di reiterare, la demolizione ovvero produce, parimenti in via automatica, l’effetto di far cessare la causa di sospensione o interruzione del decorso del termine entro cui deve essere eseguita la demolizione, con ogni ulteriore conseguenza di legge in difetto. Sicché, come ognun vede, si riduce a una mera petizione di principio – non suffragata, però, da adeguati indici normativi a suo supporto – l’assunto che il sistema non possa prescindere dall’onerare il proprietario di richiedere, contra se, il dissequestro al fine di demolire, e che perciò tale onere sia necessariamente insito nel sistema stesso. Tutto all’opposto, non solo di tale onere non è dato rinvenire alcun fondamento positivo – e neppure nell’articolo 85 disp. att. al c.p.p., che viene solitamente invocato a tal fine, giacché esso contempla un’ipotesi, e peraltro soltanto se l’interessato consente”, ma non radica alcun obbligo in proposito – ma anzi i principi fondamentali dell’ordinamento sembrano deporre nel senso della sua esclusione viepiù ove si consideri che la funzionalità dell’istituto in discorso ossia dell’ordine di demolizione è comunque assicurata, pur di fronte all’inerzia dell’Autorità giudiziaria procedente, dalla facoltà di attivarsi per richiedere a quest’ultima il dissequestro che deve riconoscersi all’Amministrazione, oltre che a ogni altro soggetto che possa vantare analogo interesse. Beninteso, l’Autorità giudiziaria adita da un’istanza di dissequestro, da chiunque proposta, potrebbe disporlo – benché ai soli fini della demolizione” – solo laddove il mantenimento del sequestro non sia più funzionale alle pertinenti esigenze processuali penali ossia, fisiologicamente, solo in casi tendenzialmente abbastanza limitati e particolari. Come è noto, infatti, il codice di procedura penale conosce essenzialmente tre tipologie di sequestro quello c.d. probatorio penale ex articolo 253 c.p.p., che disciplina il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti” quello c.d. preventivo ex articolo 321 c.p.p., che è volto a prevenire che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati” e quello c.d. conservativo ex articolo 316 c.p.p., che è volto a evitare che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato”. È del tutto evidente che solo il sequestro preventivo può considerarsi normalmente cedevole” rispetto alle esigenze della demolizione giacché essa tendenzialmente elide le conseguenza del reato e ne previene la commissione di ulteriori laddove, almeno in linea di massima, le esigenze probatorie del sequestro penale e quelle di garanzia del sequestro conservativo dovrebbero essere considerate prevalenti su ogni altra. In tal senso pare in effetti disporre, abbastanza univocamente, l’articolo 262 c.p.p., che disciplina la Durata del sequestro e restituzione delle cose sequestrate” 1. Quando non è necessario mantenere il sequestro a fini di prova, le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza. Se occorre, l'autorità giudiziaria prescrive di presentare a ogni richiesta le cose restituite e a tal fine può imporre cauzione. 2. Nel caso previsto dal comma 1, la restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell'articolo 316. 3. Non si fa luogo alla restituzione e il sequestro è mantenuto ai fini preventivi quando il giudice provvede a norma dell'articolo 321” Dall’esame congiunto dei suoi tre commi pare potersi cogliere, dunque, una comprensibile prevalenza delle esigenze sottese al c.d. sequestro probatorio penale, rispetto alle quali sono accessorie quelle tutelate dal sequestro conservativo mentre risultano sostanzialmente residuali quelle sottese al sequestro preventivo. Nella misura in cui queste considerazioni colgano nel segno, risulterebbe fortemente svalutata nel sistema la tematica connessa alle istanze di dissequestro il che costituirebbe un ulteriore argomento esegetico nel senso della fallacia delle tesi che non solo vorrebbero onerare quantomeno praeter legem il destinatario dell’ordine demolitorio a richiederlo, ma che tendono altresì a sanzionare l’inottemperanza a tale preteso onere con l’acquisizione. La quale, invece, sembra essere prevista dalla legge solo a fronte di una condotta, parimenti omissiva, ma ben diversa ossia per chi, ovviamente potendolo giuridicamente fare, non demolisca l’immobile e non anche per chi, assertivamente tenuto a chiedere al giudice il dissequestro, ometta di formulare istanze in tal senso . Sicché è anche il fondamentale principio di tipicità delle sanzioni a ulteriormente confortare la conclusione cui il Collegio qui perviene. 10. – Sulla base delle considerazioni che precedono, si deve, quindi, accogliere l’appello della Oasi s.r.l. e, in riforma della decisione appellata, annullare i provvedimenti sanzionatori impugnati con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti dinanzi al TAR, in quanto fondati sul rilievo dell’inottemperanza all’ordine di demolizione numero 99 del 2013, ancorchè invalidamente e, comunque, inefficacemente adottato, ai fini che qui rilevano, nonostante l’immobile fosse stato già colpito dal sequestro penale disposto dal GIP presso il Tribunale di Pesaro il 10 marzo 2010. 11.- Le spese del doppio grado seguono come per legge la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della decisione impugnata, accoglie il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado dalla Oasi s.r.l. e annulla gli atti del Comune di Gabicce Mare con essi impugnati. Condanna il Comune appellato a rifondere alla società appellante le spese del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre s.g. e accessori per legge dovuti, con rifusione del c.u. se versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.