Non sempre la costruzione di un soppalco integra la fattispecie dell'abuso edilizio

Ed è illegittima, pertanto, l'ordinanza di demolizione quando, per le caratteristiche intrinseche dello stesso, è inimmaginabile l'aumento del carico urbanistico non potendo avere alcun altro uso che quello di ripostiglio, essendo privo di finestre, oltre che di ridotte dimensioni.

In sostanza, in base ad un rilievo logico, prima che giuridico, ha affermato la VI Sezione con la sentenza 985 del 2 marzo 2017, la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all’interno di un locale, di solito come nella specie, un’abitazione, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto. Soppalco di dimensioni non modeste In linea di principio, sarà necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, con incremento delle superfici dell'immobile e in prospettiva ulteriore carico urbanistico. Così come aveva già osservato il Consiglio di Stato con la precedente sentenza 4468/2014. Si rientrerà, invece, nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile, e ciò sicuramente avviene quando esso non sia suscettibile di utilizzo come stanza di soggiorno.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 9 febbraio – 2 marzo 2017, numero 985 Presidente Santoro – Estensore Gambato Spisani Fatto I ricorrenti appellanti hanno impugnato in primo grado il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale hanno ricevuto ingiunzione a demolire, in quanto realizzate senza permesso di costruire, una serie di opere realizzate all’interno di un immobile di proprietà - sito a Roma, via Ascoli Piceno 17, e distinto al catasto al f. 622 part. 300 sub. 501- costituite da una struttura di putrelle in ferro orizzontali e verticali, disposte in modo da formare un soppalco a forma di L” della superficie di circa 24,80 mq all’interno di un locale più ampio. L’area soppalcata al piano superiore consiste di un solaio in muratura con due finestre, posto ad altezza variabile da un soffitto irregolare, da metri 2,30 a metri 1.55 circa la struttura del soppalco poggia invece per circa 20 mq su una pedana in muratura di circa 0,40 metri di altezza, ha un distacco di metri 1,88 e un’altezza interna praticabile di circa 1,45 metri per la parte restante di circa 4,80 mq poggia sul piano di calpestio ed ha un distacco di 2,10 metri. L’area sottostante il soppalco è poi priva di finestre, con nuove tramezzature ed attacchi per impianti idrici ed elettrici v. docomma 1 in primo grado ricorrenti appellanti, ordinanza impugnata . Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo in sintesi estrema che l’intervento fosse effettivamente soggetto a permesso di costruire, mai ottenuto né richiesto. Contro tale sentenza, i ricorrenti in primo grado propongono appello, affidato a due motivi - con il primo di essi, deducono propriamente eccesso di potere per carenza di presupposti e mancanza di motivazione. Premettono in fatto che, a loro dire, da un lato per l’opera in questione sarebbe stato pendente un procedimento di condono edilizio, su istanza dei precedenti proprietari, certi Salvi dall’altro, che per una porzione dello stesso immobile sarebbe stata emessa un’analoga ordinanza, annullata dal TAR del Lazio con sentenza 30 gennaio 2007 numero 636. Ciò premesso, sostengono che l’intervento, in quanto soppalco non praticabile, non sarebbe soggetto a permesso di costruire, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado. Ciò sarebbe stato in qualche modo riconosciuto dall’Autorità giudiziaria penale, che ne avrebbe disposto il dissequestro - con il secondo motivo, deducono violazione degli artt. 33 e 37 T.U. 6 giugno 2001 numero 380, perché il Giudice di primo grado non avrebbe valutato la presentazione da parte loro di una denuncia di inizio attività – DIA a sanatoria, che in ogni caso avrebbe dovuto far venir meno l’abuso. L’amministrazione ha resistito, con atto 4 giugno e memoria 7 giugno 2016, e chiesto che l’appello sia respinto. Con memoria 29 dicembre 2016, i ricorrenti appellanti hanno invece insistito sulle loro asserite ragioni All’udienza del giorno 9 febbraio 2017, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione. Diritto 1. Il primo motivo di appello è fondato ed assorbente, nei termini che seguono. 2. In base ad un rilievo logico, prima che giuridico, la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all’interno di un locale, di solito come nella specie, un’abitazione, interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco, ma va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto. 3. In linea di principio, sarà necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3 comma 1 D.P.R. 6 giugno 2001, numero 380, con incremento delle superfici dell'immobile e in prospettiva ulteriore carico urbanistico così per tutte C.d.S. 3 settembre 2014 numero 4468. Si rientrerà invece nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile, e ciò sicuramente avviene quando esso non sia suscettibile di utilizzo come stanza di soggiorno. 4. Quest’ultima è l’ipotesi che si verifica nel caso di specie, in cui, come detto in narrativa, lo spazio realizzato con il soppalco è un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone si tratta, in buona sostanza, di un ripostiglio. 5. Quanto sopra è sufficiente per affermare l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata, che va annullata, in riforma della sentenza di primo grado, perché fondata, in sintesi, su un presupposto non corretto. 6. Va invece assorbito il secondo motivo, che si fonda sul rapporto fra l’ordinanza impugnata ed un fatto ulteriore, la presentazione in un momento successivo della DIA. E’ evidente infatti che, annullata l’ordinanza stessa, la possibilità che rispetto alla demolizione da essa ordinata si sia prodotta una sanatoria è priva di rilievo. Spetterà invece all’amministrazione, nel prosieguo della propria attività, valutare se l’opera compiuta integri un diverso e minore tipo di abuso, e in caso affermativo se esso sia stato sanato dalla DIA in questione. Ciò però rientra nel futuro esercizio di poteri amministrativi, sui quali il Giudice non può pronunciare. 7. La particolarità della fattispecie è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto ricorso numero 4705/2012 , lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla la determinazione dirigenziale di demolizione 29 settembre 2006 numero 1803 di Roma Capitale. Compensa per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.