Risarcimento morale e provvidenze a favore degli ex perseguitati politici e razziali

Nasce sotto falso nome in ospedale per evitare di autodenunciarsi quale ebrea dopo 70 anni la cittadina italiana di origine ebraica deve legittimamente essere risarcita dallo Stato per le sofferenze subite se dimostra di aver titolo al riconoscimento della qualifica di perseguitata razziale ai fini del conseguimento dei benefici di cui alle l. n. 541/1971, n. 336/1970 e n. 17/1978.

Il Consiglio di Stato, Sezione IV, con la sentenza n. 490 del 6 febbraio 2017 ha respinto il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero delle finanze avverso la sentenza del TAR che aveva ritenuto illegittimo il diniego al riconoscimento della qualifica di perseguitato razziale per ottenere i conseguenti benefici di legge. Ai fini di una disamina compiuta della vicenda, il Collegio ha ricordato che la legge 16 gennaio 1978 n. 17 che dispone che ai fini dell'applicazione della legge 8 luglio 1971 n. 541, la qualifica di ex perseguitato razziale compete anche ai cittadini italiani di origine ebraica che, per effetto di legge oppure in base a norme o provvedimenti amministrativi anche della Repubblica sociale italiana intesi ad attuare discriminazioni razziali, abbiano riportato pregiudizio fisico od economico o morale. Il pregiudizio morale è comprovato anche dall'avvenuta annotazione di razza ebraica sui certificati anagrafici . La legge 8 luglio 1971 n. 541 ha, poi, esteso l'applicazione della l. n. 336/70 e quindi il riconoscimento dei relativi benefici anche agli ex deportati ed agli ex perseguitati, sia politici che razziali, assimilati agli ex combattenti . La vicenda. L'interessata, a sostegno della domanda aveva dimostrato, nella sua memoria e nella documentazione illustrativa, lo stato in cui versava lei e la sua famiglia nel primo semestre dell’anno 1944 e, diversamente da quanto asserito dalle Amministrazioni appellanti, aveva prodotto copia del proprio certificato di nascita dell’epoca, nel quale era riportata la dicitura razza ebraica” cfr. dicitura stampigliata a margine del documento non contestato specificamente dalle Amministrazioni neppure nel corso dell’udienza pubblica di discussione . Tale evidenza, di per sé, comprova, grazie ad una presunzione legale, la discriminazione ed il pregiudizio morale richiesti dal micro ordinamento di settore per l’accesso ai benefici di legge nel concorso degli ulteriori presupposti . In buona sostanza, la funzione solidaristica della normativa che regola la materia non si limita a prendere in considerazione i soli fatti lesivi dell'integrità fisica ma contempla tutti i fatti lesivi dei valori fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti, individuando, attraverso l’esercizio ragionevole della discrezionalità della legge, talune condotte tipizzate di discriminazione razziale d’indole morale cfr. C. Conti n. 57/02 e n. 17/04 Cons. di Stato n. 2712/12 . La normativa antiebraica e i danni subiti. Né tali conclusioni appaiono contraddette da alcune decisioni cfr. C. Conti n. 54/A/08 TAR Lazio, Roma, n. 5319/13 , in cui si afferma che i benefici di legge per i perseguitati politici o razziali, non possono essere riconosciuti in mancanza della prova della sottoposizione a misure concrete di attuazione della normativa antiebraica. Nel caso di specie ricorrono, infatti, oltre alla determinante annotazione di razza ebrea” a margine del certificato di nascita, anche il concretizzarsi dei descritti fatti lesivi di natura non solo morale, ma anche psicologico, perché altamente tensivi. L'interessata, invero, è nata il 22/01/1944 durante l'occupazione nazista di Roma, durata fino al 4 giugno 1944, ed è notorio che in quel periodo vigevano le leggi razziali e un regime persecutorio, che hanno arrecato anche a lei sicuro pregiudizio e ciò è provato dalla sua nascita avvenuta sotto il falso nome, in condizioni certamente di emergenza, in un convento romano, che all'epoca forniva rifugio ed assistenza, anche di natura sanitaria, agli ebrei di Roma e in cui all'epoca sono nati diversi bimbi di famiglia ebraica. Chiaramente, la neonata fu dichiarata sotto falso nome per evitare una pericolosa autodenuncia, con conseguente rischio di deportazione dell’intera famiglia che viveva in clandestinità e privata di ogni diritto, dopo che il padre della piccola, già magistrato e procuratore del re, era stato licenziato, per l’avvento delle leggi razziali. Solo grazie all’intervento di un altro magistrato amico del padre, per evitare futuri disagi anagrafici e amministrativi fu, suo tramite, attribuito alla bimba, nel frattempo trasferita in un ricovero clandestino, il vero nome, con contestuale annotazione sul certificato di nascita della razza di appartenenza. Gli atti e i documenti prodotti a sostegno di quanto esposto dalla interessata provano che nei suoi confronti si sono concretizzate delle lesioni della persona, sotto il profilo morale, che non possono essere disconosciute solo perché aveva pochi mesi all'epoca dei fatti, o perché pochi giorni dopo la nascita venne registrata allo stato civile con la propria vera identità. Tali lesioni, infatti, sono da considerare ancora più gravi ed odiose proprio perché subite da una bimba che all'epoca dei fatti non poteva avere la diretta percezione e consapevolezza delle sventure in cui lei e la sua famiglia erano incorse - e dei rischi concreti patiti per la possibile deportazione perduranti fino alla liberazione di Roma e dunque per un lasso di tempo rilevante - che di fatto ha condiviso con i suoi familiari, tutti colpiti nei propri fondamentali diritti civili. I gravissimi disagi sopportati, sia pure nei limiti di coscienza dell’età, dovendo vivere nascosta con i genitori e con il rischio di essere con essi deportata, privarono di fatto l'appellata di una dignitosa e serena qualità della vita, in una fase delicata dell'esistenza.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 26 gennaio – 6 febbraio 2017, n. 490 Presidente Poli – Estensore Schilardi Fatto 1. La sig.ra G. P. B., nata a Roma il 22 gennaio 1944, in data 27 luglio 2009, presentava alla Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici antifascisti o razziali, costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la domanda per il riconoscimento, inter alios, della qualifica di perseguitata razziale, al fine di ottenere i benefici di cui alle leggi n. 541/1971, n. 336/1970 e n. 17/1978. 1.1. La Commissione, con delibera n. 92283 del 14 luglio 2011, rigettava la domanda motivando che la città di Roma è stata liberata dall'occupazione nazi-fascista il 4 giugno 1944 e che dall'esame degli atti non risultava che l'istante avesse riportato alcun pregiudizio fisico o economico o morale, così come prescritto dall'art. 1 della succitata legge n. 17/1978 per il riconoscimento della qualifica richiesta . 1.2. Avverso il provvedimento di diniego, la sig.ra G. P. B. proponeva ricorso al T.A.R. per il Lazio. Con motivi aggiunti del 21 marzo 2012, la sig.ra G. P. B. impugnava anche il provvedimento del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 87118 del 24 gennaio 2012, con cui era stato rigettato il ricorso gerarchico presentato il 4 agosto 2011, eccependo la tardività dello stesso in quanto emesso in un momento successivo alla proposizione del ricorso giurisdizionale e riproponeva le doglianze formulate con il ricorso introduttivo. 1.3. Il T.A.R. per il Lazio con sentenza n. 7518 del 23 luglio 2013, ha accolto il ricorso ed ha annullato la delibera della Commissione n. 92283 del 14 luglio 2011. 1.4. Avverso la sentenza la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissione per le Provvidenze agli ex perseguitati politici antifascisti o razziali e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno proposto appello. 1.5. Si è costituita in giudizio la signora G. P. B. che ha chiesto di rigettare l'appello e la conferma integrale della sentenza del T.A.R. impugnata, con il conseguente riconoscimento della qualifica di perseguitata razziale ai fini dell'applicazione delle leggi 8 luglio 1971 n. 541 e 15 aprile 1985 n. 140. 2. All'udienza pubblica del 26 gennaio 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione. Diritto 3. Con unico complesso motivo di gravame le Amministrazioni appellanti assumono che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere sussistenti i presupposti di legge per il riconoscimento della qualifica di perseguitato razziale in favore della signora G. P. B., perché il certificato di nascita da lei prodotto non conterrebbe la dizione razza ebraica , né risulta accertato che sia nata in condizioni di emergenza in un convento romano quanto piuttosto in una clinica romana, la clinica S. Anna clinica qualificata che esiste tuttora . Lamentano, inoltre, la tempestività della decisione gerarchica. 4. I mezzi di gravame articolati dalle Amministrazioni appellanti non sono suscettibili di favorevole esame. Il Collegio osserva che non essendo contestato che la signora G. P. B. sia cittadina italiana e che sia di origine ebraica, il thema decidendum del presente giudizio, è limitato ad accertare se Ella abbia titolo al riconoscimento della qualifica di perseguitata razziale ai fini del conseguimento dei benefici di cui alle leggi n. 541/1971, n. 336/1970 e n. 17/1978. 4.1. Ai fini di una disamina compiuta della vicenda soccorre il dettato della legge 16 gennaio 1978 n. 17 che dispone che ai fini dell'applicazione della legge 8 luglio 1971 n. 541, la qualifica di experseguitato razziale compete anche ai cittadini italiani di origine ebraica che, per effetto di legge oppure in base a norme o provvedimenti amministrativi anche della Repubblica sociale italiana intesi ad attuare discriminazioni razziali, abbiano riportato pregiudizio fisico od economico o morale. Il pregiudizio morale è comprovato anche dall'avvenuta annotazione di razza ebraica sui certificati anagrafici . 4.2. La legge 8 luglio 1971 n. 541 ha, poi, esteso l'applicazione della legge n. 336/70 e quindi il riconoscimento dei relativi benefici anche agli ex deportati ed agli ex perseguitati, sia politici che razziali, assimilati agli ex combattenti . 4.3. Orbene, la signora G. P. B., a sostegno di quanto asserito, ha dimostrato, nella sua memoria e nella documentazione illustrativa, lo stato in cui versava lei e la sua famiglia nel primo semestre dell’anno 1944 e, diversamente da quanto asserito dalle Amministrazioni appellanti, ha prodotto copia del proprio certificato di nascita dell’epoca, nel quale era riportata la dicitura razza ebraica cfr. dicitura stampigliata a margine del documento non contestato specificamente dalle Amministrazioni neppure nel corso dell’udienza pubblica di discussione . Tale evidenza, di per sé, comprova, grazie ad una presunzione legale, la discriminazione ed il pregiudizio morale richiesti dal micro ordinamento di settore per l’accesso ai benefici di legge nel concorso degli ulteriori presupposti . In tali sensi si è anche espresso il T.A.R. del Lazio nella sentenza appellata, confermando un precedente specifico di quel Tribunale che, preso atto del dettato dell’art. 1 della legge 16 gennaio 1978 n. 17, ha ritenuto cogente la presenza a margine del certificato di nascita della dicitura razza ebrea” cfr. T.A.R. Lazio - Roma - 5.7.2011 n. 5880, non appellata . In buona sostanza, la funzione solidaristica della normativa che regola la materia non si limita a prendere in considerazione i soli fatti lesivi dell'integrità fisica ma contempla tutti i fatti lesivi dei valori fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti, individuando, attraverso l’esercizio ragionevole della discrezionalità della legge, talune condotte tipizzate di discriminazione razziale d’indole morale cfr. C. Conti, sez. III, 26.2.2002 n. 57 e sez. I, 21.2.2004 n. 17 C. Stato, sez. IV, 10.5.2012 n. 2712 . Né tali conclusioni appaiono contraddette da alcune decisioni cfr. C. Conti, sez. II giurisd., 11.2.2008 n. 54/A T.A.R. Lazio - Roma - , sez. III, 27.5.2013 n. 5319 , in cui si afferma che i benefici di legge per i perseguitati politici o razziali, non possono essere riconosciuti in mancanza della prova della sottoposizione a misure concrete di attuazione della normativa antiebraica. Nel caso di specie ricorrono, infatti, oltre alla determinante annotazione di razza ebrea” a margine del certificato di nascita, anche il concretizzarsi dei descritti fatti lesivi di natura non solo morale, ma anche psicologico, perché altamente tensivi. 4.4. L'interessata, invero, è nata il 22.1.1944 durante l'occupazione nazista di Roma, durata fino al 4 giugno 1944, ed è notorio che in quel periodo vigevano le leggi razziali e un regime persecutorio, che hanno arrecato anche a lei sicuro pregiudizio e ciò è provato dalla sua nascita avvenuta sotto il falso nome di Giulia Marini, in condizioni certamente di emergenza, in un convento romano, che all'epoca forniva rifugio ed assistenza, anche di natura sanitaria, agli ebrei di Roma e in cui all'epoca sono nati diversi bimbi di famiglia ebraica. Chiaramente, la neonata fu dichiarata sotto falso nome per evitare una pericolosa autodenuncia, con conseguente rischio di deportazione dell’intera famiglia che viveva in clandestinità e privata di ogni diritto, dopo che il padre della piccola G., già magistrato e procuratore del re, era stato licenziato, per l’avvento delle leggi raziali. Solo grazie all’intervento di un altro magistrato amico del padre - il giudice Marco Pasanisi -, per evitare futuri disagi anagrafici e amministrativi fu, suo tramite, attribuito alla bimba, nel frattempo trasferita in un ricovero clandestino, il vero nome di G. P. B., con contestuale annotazione sul certificato di nascita della razza di appartenenza. 4.5. Gli atti e i documenti prodotti a sostegno di quanto esposto dalla signora P. B. provano che nei suoi confronti si sono concretizzate delle lesioni della persona, sotto il profilo morale, che non possono essere disconosciute solo perché aveva pochi mesi all'epoca dei fatti, o perché pochi giorni dopo la nascita venne registrata allo stato civile con la propria vera identità. Tali lesioni, infatti, sono da considerare ancora più gravi ed odiose proprio perché subite da una bimba che all'epoca dei fatti non poteva avere la diretta percezione e consapevolezza delle sventure in cui lei e la sua famiglia erano incorse - e dei rischi concreti patiti per la possibile deportazione perduranti fino alla liberazione di Roma e dunque per un lasso di tempo rilevante - che di fatto ha condiviso con i suoi familiari, tutti colpiti nei propri fondamentali diritti civili. 4.6. I gravissimi disagi sopportati, sia pure nei limiti di coscienza dell’età, dovendo vivere nascosta con i genitori e con il rischio di essere con essi deportata, privarono di fatto l'appellata di una dignitosa e serena qualità della vita, in una fase delicata dell'esistenza. 5. L’ultima censura è inammissibile per carenza di interesse perché il T.a.r. non si è pronunciato espressamente sulla tardività della decisione di rigetto del ricorso gerarchico limitandosi ad un generico accoglimento dei motivi aggiunti. In ogni caso, l’assodata illegittimità dell’originario diniego esclude la necessità che il Collegio debba esprimersi, questa volta per carenza di interesse della ricorrente P., sulla la tardività dei provvedimenti emessi dal Ministero dell'Economia e delle Finanze avverso il ricorso gerarchico da lei presentato. Va rilevato, tuttavia, che le Amministrazioni hanno evidenziato la tempestività di detti provvedimenti, alla luce del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 109 del 5.5.2011, con il quale è stato emanato il regolamento attuativo dell'art. 2, comma 4, della legge n. 241/1990 modificato dall'art. 7 delle legge n. 69/2009 , che ha fissato in 180 giorni il termine per la definizione dei ricorsi gerarchici in materia di provvidenze a favore degli ex perseguitati politici e razziali. 6. Alla stregua delle rassegnate conclusioni è gioco forza respingere l’appello. Sono fatti salvi gli ulteriori motivati provvedimenti che l’Amministrazione dovrà adottare a conclusione di una adeguata istruttoria. 7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in misura di euro 3.000,00 in favore della appellata signora G. P. B P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna le Amministrazioni appellanti al pagamento, in solido, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in E. 3000,00 oltre accessori come per legge rimborso spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A. , in favore dell’appellata signora G. P. B Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.