Difesa personale e porto d’armi

Il Consiglio di Stato il 14 dicembre 2016 ha depositato diverse sentenze relative alle condizioni e agli elementi soggettivi necessari ai fini del rilascio o del rinnovo della licenza di porto d’armi, valutando le diverse situazioni legittimanti.

Rinnovo del porto d’armi, aspettativa e categorie professionali. Con la sentenza n. 5276/16 il Collegio ha riaffermato il principio secondo cui l’eventuale precedente rinnovo non fa nascere alcuna aspettativa. Ciò in quanto, ogni volta che esamina una istanza di rinnovo, il Ministero dell’Interno formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell’ordine pubblico. In sostanza, le relative valutazioni – anche quando si tratti di istanze di licenze volte alla difesa personale - possono e devono tener conto delle peculiarità del territorio, delle specifiche implicazioni di ordine pubblico e delle situazioni specifiche in cui si trovano i richiedenti, ma si possono basare anche su criteri di carattere generale, per i quali l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo. Nel caso specifico, l’interessato che si è visto negare il rinnovo al porto di pistola per uso di difesa personale, aveva dedotto di movimentare rilevanti somme di denaro. Ma, a tale proposito, il diniego è stato motivato dal fatto che esiste la possibilità di avvalersi dei più moderni sistemi di pagamento, fermo restando che non erano emersi elementi tali da evidenziare come l’incolumità dello stesso fosse messa a specifico repentaglio. In sostanza, spetta al legislatore introdurre una specifica regola se l’appartenenza ad una ‘categoria’ giustifica il rilascio della licenza di polizia e la possibilità di girare armati tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore . Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, ecc., ovvero anche di appartenenti alle Forze dell’Ordine che intendano disporre di altre armi oltre quella di dotazione, in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae , si deve ritenere che l’appartenenza alla ‘categoria’ in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio della licenza di porto d’armi. Con la conseguenza che per il Prefetto le relative scelte di respingere le istanze di rilascio o di rinnovo delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo. Buona condotta. Con la sentenza n. 5272/16, invece, la medesima III sezione, ha ritenuto legittimo il divieto disposto dal Prefetto, di detenere, armi, munizioni e materiale esplodente, ai sensi dell’art. 39 TULPS al medico che, nel proprio ambulatorio nel quale stava prestando la propria attività medica, durante una animata discussione ha intimato di andarsene ad una paziente ed a suo marito, minacciandoli con una pistola regolarmente detenuta. Fatto questo che, alla luce anche delle risultanze del locale Comando dei Carabinieri connesse alla denuncia per minacce esposte dalla coppia, ha indotto il Prefetto a ritenere inesistente, nel caso concreto, la buona condotta” prevista dall’art. 11 TULPS. La scelta dell’Amministrazione, in pratica, è stata quella di prevenire che la situazione possa degenerare.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 1 – 14 dicembre 2016, n. 5272 Presidente/Estensore Maruotti Fatto e diritto 1. Con atto del 18 giugno 2010, il Prefetto di Campobasso ha emesso nei confronti dell’appellante il divieto di detenere, armi, munizioni e materiale esplodente, ai sensi dell’art. 39 del testo unico di pubblica sicurezza. A fondamento dell’atto, il Prefetto ha rilevato che l’interessato è stato deferito alla autorità giudiziaria perché, in data 15 giugno 2010, nel proprio ambulatorio nel quale stava prestando la propria attività medica, durante una animata discussione ha intimato di andarsene ad una paziente ed a suo marito, minacciandoli con una pistola regolarmente detenuta. Il Questore di Campobasso, in data 24 giugno 2010, ha poi disposto la revoca della licenza di porto d’armi per uso caccia, in precedenza rilasciato all’interessato. 2. Col ricorso di primo grado n. 355 del 2010 proposto al TAR per il Molise , l’interessato ha impugnato gli atti sopra indicati del Prefetto e del Questore, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere. 3. Il TAR, con la sentenza n. 96 del 2013, ha respinto il ricorso ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. 4. Con i due articolati motivi dell’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia accolto, poiché l’atto impugnato sarebbe affetto dai profili di violazione di legge e di eccesso di potere dedotti in primo grado. In particolare, egli ha dedotto che il TAR avrebbe dovuto sospendere il giudizio, in attesa dell’accertamento dei fatti da parte del giudice penale. Inoltre, l’appellante ha dedotto che - il Prefetto ha provveduto a distanza di due giorni dal sequestro cautelare delle armi, disposto dai Carabinieri di Campobasso, mentre si sarebbe potuta disporre la sospensione del titolo abilitativo, in base ad un principio di proporzionalità - non ci sarebbe stata l’adeguata valutazione delle circostanze, dovendosi valutare le dichiarazioni rese dai signori Di Giam. e Ferr. - l’invito a lasciare lo studio è stato susseguente a minacce formulate dal marito della paziente - sarebbe inadeguata l’istruttoria posta in essere in sede amministrativa - in ogni caso, la valutazione dell’Amministrazione sulla possibilità di abuso delle armi non potrebbe ‘automaticamente conseguire alla presenza di una querela per reati di minacce’ - si sarebbe dovuto comunicare previamente l’avviso di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Le Amministrazioni appellate hanno chiesto che il gravame sia respinto. 5. Ritiene la Sezione che le censure dell’appellante, sopra sintetizzate, siano infondate e vadano respinte. 5.1. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931. L’art. 11 dispone che Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate 1 a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione 2 a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta. Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione . L’art. 39 dispone che Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne . L’art. 43 dispone che oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi a a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione b a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico c a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi. La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi . Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma . In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità di abusarne non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato Cons. Stato, Sez. III, 10 novembre 2016, n. 4664 Sez. III, 14 ottobre 2016, n. 4262 Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1727 Sez. III, 7 marzo 2016, n. 922 Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121 Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987 . 5.2. Nella specie, il Prefetto di Campobasso ha emanato il divieto di data 18 giugno 2010, ritenendo in sostanza che l’appellante sia privo del requisito della buona condotta , per inaffidabilità Ritiene la Sezione che, in considerazione delle circostanze emerse nel corso del procedimento amministrativo, i contestati provvedimenti non siano affetti dai vizi di eccesso di potere, dedotti dall’appellante. Dalle risultanze acquisite emerge che in data 15 giugno 2010, vi è stato un litigio, che ha coinvolto l’appellante, una sua paziente e il di lei marito, litigio che è stato descritto – per quanto è stato possibile ricostruirlo – dalla nota n. 43-78 del 16 giugno 2010 della Stazione dei Carabinieri di Campobasso. Come ha correttamente ritenuto la sentenza impugnata, le Amministrazioni appellate hanno ben potuto trarre elementi di valutazione dalla risultanze emerse nel corso del procedimento, pur se non risulta che la vicenda abbia avuto sviluppi in sede giudiziaria. L’appellante ha contestato l’effettiva sussistenza dei fatti posti a base dell’impugnato provvedimento del Prefetto, ma tale affermazione non può essere considerata attendibile, perché il Prefetto ha ragionevolmente tenuto conto delle complessive risultanze e degli atti istruttori acquisiti. Contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, l’Amministrazione del tutto ragionevolmente ha ritenuto ingiustificato il riferimento che egli ha fatto alla possibilità di adoperare l’arma, non importando sotto tale aspetto se l’abbia o meno anche esibita circostanza peraltro rappresentata nella comunicazione della notizia di reato, redatta dalla Legione dei Carabinieri in data 16 agosto 2010 sulla base dei dati risultanti dalla documentazione ad essa allegata e, in particolare, dalla descrizione della pistola. data dalla querelante . Al riguardo, ritiene la Sezione – similmente a quanto ritenuto in casi simili - che è di per sé ragionevole – e comunque insindacabile nella sede della giurisdizione di legittimità - la scelta dell’Amministrazione di prevenire che la situazione possa degenerare Sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4505 10 agosto 2016, n. 3603 Sez. III, 31 maggio 2016, n. 2308 , vietando la detenzione di armi e munizioni nei confronti di chi abbia formulato minacce Sez. III, 10 agosto 2016, n. 3515 Sez. III, 5 luglio 2016, n. 2990 Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1727 e n. 1703 . 5.3. Risultano inoltre infondate le altre censure formulate dall’interessato - per la verifica della legittimità degli atti impugnati in primo grado non occorre accertare se la condotta dell’appellante abbia avuto un rilievo penale, sicché anche sotto tale profilo il TAR ha legittimamente ritenuto insussistenti i presupposti per disporre la sospensione del giudizio amministrativo - il Prefetto – una volta venuto a conoscenza dei fatti dettagliatamente descritti dai Carabinieri – ha ben potuto considerare adeguata l’istruttoria già posta in essere ed ha potuto emanare l’atto previsto dall’art. 39, rientrando nella sua discrezionalità il valutare la sussistenza della capacità di abusare delle armi e la insufficienza della misura della sospensione del titolo. Neppure sussiste la dedotta violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Una volta constatati i presupposti previsti dall’art. 39 del testo unico, il Prefetto, nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, può valutare il se ed il quando emanare il divieto di detenere armi e munizioni egli può decidere se emanare senza indugio il provvedimento, oppure se le circostanze consentano di avvisare il possibile destinatario dell’atto, con l’avviso di avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Nella specie, peraltro, sia il provvedimento del Prefetto che quello del Questore hanno dato espressamente atto che sussistevano particolari esigenze di celerità del procedimento e che il divieto e la conseguente revoca andavano senz’altro emessi, con una specifica ulteriore valutazione che non risulta manifestamente irragionevole, in ragione delle circostanze emerse nel corso del procedimento. 6. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto. La condanna al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza respinge l’appello n. 4894 del 2013. Condanna l’appellante al pagamento di euro 5.000 cinquemila , oltre accessori di legge, in favore delle Amministrazioni appellate, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento di qualsiasi dato idoneo ad identificare l’appellante.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 1 – 14 dicembre 2016, n. 5276 Presidente/Estensore Maruotti Fatto e diritto 1. L’appellato – socio e consigliere di amministrazione di una società, avente un consistente volume di affari, con maneggio di titoli e denaro - ha chiesto al Prefetto di Teramo il rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale, ottenuto quindici anni prima. Col provvedimento n. 17266 del 21 luglio 2006, il Prefetto ha respinto l’istanza, rilevando che non sussiste il dimostrato bisogno richiesto dall’art. 42 del testo unico di pubblica sicurezza. 2. Col ricorso di primo grado n. 677 del 2009 proposto al TAR per l’Abruzzo, Sede di l’Aquila , l’interessato ha impugnato l’atto del 21 luglio 2006, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere. 3. Il TAR, con la sentenza n. 284 del 2010, ha accolto il ricorso ed ha annullato l’atto impugnato, ritenendo il provvedimento non adeguatamente motivato, nonché contraddittorio rispetto a quelli precedenti di rilascio e di rinnovo del porto d’armi. Il TAR ha altresì condannato l’Amministrazione al pagamento delle spese del giudizio. 4. Con l’appello in esame, il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Teramo hanno chiesto che – in riforma della sentenza del TAR – il ricorso di primo grado sia respinto. L’appellato si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto dell’appello. 5. All’udienza del 1° dicembre 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione. 6. Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e vada accolto. 6.1. Il testo unico n. 773 del 1931, nel disciplinare il rilascio della licenza di porto d’armi , mira a salvaguardare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Come ha rilevato la Corte Costituzionale con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7, che ha condiviso quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981 , il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975 il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi . Ciò comporta che – oltre alle disposizioni specifiche previste dagli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 – rilevano i principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali. Inoltre, oltre alle disposizioni del testo unico che riguardano i requisiti di ordine soggettivo dei richiedenti in particolare, gli articoli 11, 39 e 43 , rilevano le disposizioni in particolare, gli articoli 40 e 42 che attribuiscono in materia i più vasti poteri discrezionali per la gestione dell’ordine pubblico - per l’art. 40, il Prefetto può, per ragioni di ordine pubblico, disporre, in qualunque tempo, che le armi, le munizioni e le materie esplodenti, di cui negli articoli precedenti, siano consegnate, per essere custodite in determinati depositi a cura dell'autorità di pubblica sicurezza o dell'autorità militare il che significa che il Prefetto può senz’altro disporre il ritiro delle armi, purché, ovviamente, sussistano le idonee ragioni da palesare nel relativo provvedimento - per l’art. 42, il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d'armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65 il che significa che il Prefetto può anche fissare preventivi criteri generali per verificare se nei casi concreti vi sia il dimostrato bisogno di un porto d’armi per difesa personale, in rapporto ai profili coinvolti dell’ordine pubblico . 6.2. Il Ministero dell’Interno, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, dunque ben può effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d’armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che – in rapporto all’ordine ed alla sicurezza pubblica - si possono formulare a proposito di determinate attività e di specifiche situazioni. Gli organi del Ministero dell’Interno, ad es., possono anche decidere di restringere la diffusione e l’uso delle armi. In tal caso, l’Amministrazione può predisporre criteri rigorosi in base ai quali le istanze degli interessati vadano esaminate tenendo conto della esigenza di evitare la diffusione delle armi anche nei contesti ove è più difficile la gestione dell’ordine pubblico, è del tutto ragionevole che ci si orienti verso valutazioni rigorose, anche sulla sussistenza dei presupposti tali da far ravvisare la completa affidabilità del richiedente, ovvero sulla opportunità di rilasciare le licenze. 6.3. A parte l’esigenza di affrontare le emergenze della criminalità organizzata, gli organi del Ministero dell’Interno possono tener conto anche di considerazioni di carattere generale, coinvolgenti l’ordine e la sicurezza pubblica. Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche e accertate ragioni oggettive, l’appartenenza ad una ‘categoria’ non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d’armi. Spetta infatti al legislatore introdurre una specifica regola se l’appartenenza ad una ‘categoria’ giustifica il rilascio di tali licenze e la possibilità di girare armati tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore . Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, ecc., ovvero anche di appartenenti alle Forze dell’Ordine che intendano disporre di altre armi oltre quella di dotazione, in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae, si deve ritenere che l’appartenenza alla ‘categoria’ in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio della licenza di porto d’armi in termini, Cons. Stato, Sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4495 Sez. III, 3 agosto 2016, n. 3512, Sez. III, 6 luglio 2016, n. 3004 . 6.4. Le relative valutazioni degli organi del Ministero dell’Interno – anche quando si tratti di istanze di licenze volte alla difesa personale - possono e devono tener conto delle peculiarità del territorio, delle specifiche implicazioni di ordine pubblico e delle situazioni specifiche in cui si trovano i richiedenti, ma si possono basare anche su criteri di carattere generale, per i quali l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo. 6.5. Qualora l’organo periferico del Ministero dell’Interno si orienti in tal senso, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio o di rinnovo delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo. La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze può basarsi dunque sulla assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l’accoglimento e l’interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze. Inoltre, sono configurabili profili di eccesso di potere, qualora l’Amministrazione – nel respingere l’istanza in quanto formulata da un appartenente ad una categoria per la quale non si sono ravvisati particolari esigenze da tutelare col rilascio della licenza di porto d’armi – invece abbia accolto l’istanza di chi versi in una situazione sostanzialmente equivalente secondo i principi generali, chi impugna un diniego di licenza ben può dedurre che, in un caso equivalente anche per circostanze di tempo e di luogo , l’istanza di altri sia stata invece accolta. 6.6. Nella specie, il Prefetto di Teramo – anche in base alla relazione di data 13 luglio 2006 del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Teramo che si è motivatamente discostata dalle precedenti valutazioni del Comando provinciale dei Carabinieri - ha rilevato l’assenza di specifiche ragioni, tali da giustificare il rilascio all’appellato del porto di pistola per difesa personale. Pur se l’appellato ha dedotto di movimentare rilevanti somme di denaro, come ha correttamente osservato l’Amministrazione rileva la possibilità di avvalersi dei più moderni sistemi di pagamento e comunque non sono comunque emersi elementi tali da evidenziare come l’incolumità dell’appellato si possa considerare a specifico repentaglio per analoghe considerazioni, cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 luglio 2016, n. 3004 . La relativa valutazione dell’Amministrazione non risulta dunque manifestamente irragionevole. 6.7. Contrariamente a quanto ha rilevato il TAR, neppure può essere ravvisato un profilo di contraddittorietà nella determinazione dell’Amministrazione di non disporre il rinnovo della licenza, più volte in precedenza rilasciato. Infatti, ogni volta che esamina una istanza di rinnovo, il Ministero dell’Interno formula una attuale valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e tiene conto delle esigenze attuali della salvaguardia dell’ordine pubblico. In altri termini, le esigenze proprie del momento in cui è stato disposto un rinnovo possono essere diverse da quelle successivamente palesatesi. E se gli organi del Ministero dell’Interno ritengono di valutare con maggior rigore le istanze senza attribuire rilievo alla appartenenza ad una ‘categoria’ , si tratta di una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, fermo restando che l’interessato può dolersi delle eventuali disparità di trattamento che si commettano in concreto. 7. Per le ragioni che precedono, la Sezione ritiene che non sussistano i profili di violazione di legge e di eccesso di potere, dedotti in primo grado e ritenuti sussistenti dal TAR. L’appello va pertanto accolto, sicché – in riforma della sentenza impugnata – va respinto il ricorso di primo grado n. 677 del 2006. La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza accoglie l’appello n. 6617 del 2010 e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 677 del 2006. Condanna l’appellato al pagamento di euro 5.000 cinquemila in favore delle Amministrazioni appellanti, per le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio, di cui euro 2.000 per il primo grado ed euro 3.000 per il secondo grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell’appellato.