Curarsi in Italia: possibilità negata per chi è entrato nel Paese clandestinamente

Il sistema sanitario nazionale non sarà, forse, il massimo dal punto di vista qualitativo, ma per chi proviene dall'America latina le cure in Italia sono ambite.

Ai sensi dell’art. 36, comma 1, t.u. n. 286/1998, lo straniero che intende ricevere cure mediche in Italia può ottenere uno specifico visto di ingresso ed il relativo permesso di soggiorno, presentando una dichiarazione della struttura sanitaria italiana prescelta che indichi il tipo di cura, la data di inizio della stessa e la durata presunta del trattamento terapeutico. Inoltre, deve essere presentata una attestazione dell'avvenuto deposito di una somma a titolo cauzionale, tenendo conto del costo presumibile delle prestazioni sanitarie richieste, secondo modalità stabilite dal regolamento di attuazione della legge nonché la documentazione che dimostri la disponibilità in Italia di vitto e alloggio per l'eventuale accompagnatore e per il periodo di convalescenza dell'interessato. La fattispecie. Nel caso posto all'attenzione della Sezione, la cittadino extracomunitaria, di origine colombiana ed affetta da sindrome di immunodeficienza acquisita non ha prodotto tale documentazione, come indirettamente ha confermato nelle controdeduzioni inviate, il 4 gennaio 2008, a seguito del preavviso di rigetto, nelle quali il suo legale ha affermato che la Questura di Brescia ha sempre rilasciato il permesso di soggiorno per cure mediche senza richiedere visti di ingresso o attestazioni di avvenuto deposito di somme a titolo cauzionale. E tale circostanza ha assunto carattere assorbente, atteso che, come correttamente rilevato dal Questore nell’impugnato decreto, l’appellante non era entrata in Italia con un regolare visto, essendo stata anzi destinataria di due ordini di rimpatrio, rimasti inoppugnati. Cure in Colombia? Dalla documentazione acquisita anche in grado di appello, peraltro, non era stato possibile evincere che le cure per la patologia non potrebbero essere prestate anche in Colombia, avendo la stessa appellante, con un’inammissibile inversione dell’ordine della prova, chiesto che sia l’Amministrazione a dimostrare che in Colombia ella si sarebbe potuta egualmente curare. La Sezione ha peraltro, considerato irrilevante la contestazione dell’attestazione, depositata in primo grado, del sanitario di fiducia dell’Ambasciata d’Italia di Bogotà, che - pur indubbiamente rilevante al fine di dimostrare la infondatezza delle ragioni fatte valere - non assume carattere determinante per la reiezione dell’appello, essendo sufficiente la mancanza dei presupposti ai quali l’art. 36, comma 1, t.u. n. 286 riconnette il rilascio del permesso di soggiorno per motivi sanitari.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 13 – 20 ottobre 2016, n. 4397 Presidente/Estensore Maruotti Fatto e diritto 1. Con decreto del 22 gennaio 2008, il Questore della Provincia di Brescia ha respinto l’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche, presentata il 29 giugno 2007 dalla appellante, cittadina colombiana, affetta da sindrome di immunodeficienza acquisita. Il diniego è stato emanato sul rilievo che, come è risultato da accertamenti effettuati tramite l’Ambasciata italiana di Bogotà, esistono in Colombia mezzi idonei a garantire le cure ed i controlli del caso, secondo le procedure ed i medicinali di cui necessita l’interessata, che peraltro non è entrata in Italia con regolare visto. 2. Con il ricorso n. 609 del 2008 proposto al Tar per la Lombardia, Sezione di Brescia Brescia , l’interessata ha impugnato tale diniego, chiedendone l’annullamento. Il Tar ha dapprima accolto l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato ordinanza n. 134 del 26 febbraio 2009 , in considerazione delle condizioni fisiche della ricorrente, e successivamente, con la sentenza n. 1813 del 28 dicembre 2011, ha respinto il ricorso, sul duplice rilievo che da un lato era inequivocabilmente accertato, in punto di fatto, che nel Paese di origine si sarebbero potute prestare le cure necessarie alla patologia, e, dall’altro, che erano stati emanati nei suoi confronti due decreti di espulsione, la cui efficacia non era contestata. 3. Con l’appello in esame, notificato il 13 giugno 2012 e depositato il successivo 28 giugno, l’interessata ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto, deducendo l’erroneità della sentenza sul rilievo che essa ha richiamato una attestazione medica rilasciata da un sanitario di fiducia dell’Ambasciata d’Italia di Bogotà, depositata dall’Amministrazione resistente, che, con riferimento ad altro cittadino straniero, aveva certificato che esistono in Colombia mezzi idonei per garantire la cura ed i controlli del caso, secondo le procedure ed i medicinali descritti nella relazione medica allegata , relazione peraltro non allegata agli atti. Anche la seconda relazione, con la sostituzione del nome della ricorrente a quello del cittadino straniero del tutto estraneo alla vicenda contenziosa, non avrebbe modificato la situazione fattuale, non apportando alcuna prova concreta della possibilità per l’appellante di curarsi in Colombia. Infine, nessuna rilevanza assumerebbe, rispetto all’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche, la circostanza che all’appellante erano già stati notificati due decreti di espulsione rimasti inoppugnati. Del resto lo stesso Tar, in costanza della medesima situazione fattuale, aveva accolto l’istanza di sospensione cautelare dell’impugnato diniego proprio facendo riferimento alla necessità della interessata di essere sottoposta in Italia a cure mediche. 4. Si sono costituiti il giudizio la Questura della Provincia di Brescia ed il Ministero dell’interno. 5. Con ordinanza n. 2969 del 27 luglio 2012, la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata, in considerazione della mancanza dei presupposti richiesti dall’art. 36, t.u. n. 286 del 1998 per ottenere il permesso di soggiorno per cure mediche. 6. Alla pubblica udienza del 13 ottobre 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione. 7. Ritiene la Sezione che l’appello è infondato e va respinto. Ai sensi dell’art. 36, comma 1, t.u. 25 luglio 1998, n. 286, lo straniero che intende ricevere cure mediche in Italia può ottenere uno specifico visto di ingresso ed il relativo permesso di soggiorno, presentando una dichiarazione della struttura sanitaria italiana prescelta che indichi il tipo di cura, la data di inizio della stessa e la durata presunta del trattamento terapeutico una attestazione dell'avvenuto deposito di una somma a titolo cauzionale, tenendo conto del costo presumibile delle prestazioni sanitarie richieste, secondo modalità stabilite dal regolamento di attuazione la documentazione che dimostri la disponibilità in Italia di vitto e alloggio per l'eventuale accompagnatore e per il periodo di convalescenza dell'interessato. Nella specie, l’appellante non ha prodotto tale documentazione, come indirettamente ella ha confermato nelle controdeduzioni inviate, il 4 gennaio 2008, a seguito del preavviso di rigetto, nelle quali il suo legale ha affermato che la Questura di Brescia ha sempre rilasciato il permesso di soggiorno per cure mediche senza richiedere visti di ingresso o attestazioni di avvenuto deposito di somme a titolo cauzionale. Tale circostanza assume carattere assorbente, atteso che, come correttamente rilevato dal Questore nell’impugnato decreto, l’appellante non è entrata in Italia con un regolare visto, essendo stata anzi destinataria di due ordini di rimpatrio, rimasti inoppugnati. Peraltro, dalla documentazione acquisita anche in grado di appello non si evince che le cure per la patologia non potrebbero essere prestate anche in Columbia, avendo la stessa appellante, con un’inammissibile inversione dell’ordine della prova, chiesto che sia l’Amministrazione a dimostrare che in Colombia ella si sarebbe potuta egualmente curare. E’ pertanto irrilevante la contestazione dell’attestazione, depositata in primo grado, del sanitario di fiducia dell’Ambasciata d’Italia di Bogotà, che - pur indubbiamente rilevante al fine di dimostrare la infondatezza delle ragioni fatte valere - non assume carattere determinante per la reiezione dell’appello, essendo sufficiente la mancanza dei presupposti ai quali l’art. 36, comma 1, t.u. n. 286 riconnette il rilascio del permesso di soggiorno per motivi sanitari. 8. Per le ragioni sopra esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Le spese del secondo grado di giudizio, secondo la regola della soccombenza, vanno poste a carico della parte appellante e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza respinge l’appello n. 4918 del 2012. Condanna l’appellante alle spese del secondo grado di giudizio, che liquida in euro 1.000 euro mille . Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.