Diritti umanitari e richieste di asilo: Ungheria e Bulgaria non sono paesi “ospitali”

Rimane in Italia il cittadino extracomunitario se il Paese che lo dovrebbe ospitare, in base alla Carta di Dublino, lascia immaginare che il cittadino abbia la possibilità di subire trattamenti in contrasto con i principi umanitari e con l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E

Lo ha affermato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4004/16, del 27 settembre. Il caso. Per il Ministero dell'Interno - Direzione Centrale Servizi per l'immigrazione e asilo - Unità Dublino, non c'erano dubbi il cittadino extracomunitario doveva essere trasferito in Ungheria. Ciò in quanto, quest'ultimo aveva avanzato istanza di asilo per la prima volta in quel Paese e, conseguentemente, l’Italia, destinataria di altra domanda di asilo in data successiva, aveva chiesto all’Ungheria la ripresa in carico dell’interessato, con istanza del 24 febbraio 2015, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. b del Regolamento UE 604/2013, accolta dallo Stato destinatario che aveva riconosciuto la propria competenza. Il ricorrente, tuttavia, al quale il Consiglio di Stato ha dato ragione, lamentava carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza in Ungheria dei richiedenti di cui all’art. 3 del regolamento UE n. 604/2013 ed, inoltre, l’inosservanza degli oneri informativi, di cui alla citata disposizione regolamentare. Carenze strutturali nella procedura d’asilo. Il Giudice di primo grado aveva respinto il ricorso rilevando l’evoluzione del sistema di accoglienza per i profughi in Ungheria, risultante dal rapporto ECRI pubblicato il 9 giugno 2015 sul sito web del Consiglio d’Europa, e rilevava che gli oneri informativi si correlano alla domanda di protezione internazionale e non attengono alla diversa fattispecie della ripresa in carico. Ma diverse sono state le argomentazioni contenute nell'appello che hanno indotto la Sezione ad accogliere il ricorso, anche se ruolo decisivo ha rivestito, ai fini della controversia, la prima delle questioni sollevate, concernente l’impossibilità del trasferimento del ricorrente a causa delle carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei profughi in Ungheria. L’art. 3, comma 2, del Regolamento del Parlamento e del Consiglio Europeo 604/2013 del 26 giugno 2006 prevede infatti - ha evidenziato il Collegio - che qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente . E, ad avviso del Collegio, il rischio attuale che lo straniero richiedente asilo venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in Ungheria è fondato, cosicché deve ritenersi impossibile il trasferimento del ricorrente. Accuse di razzismo. Peraltro, precisa la sentenza, fonti ulteriori e più recenti rispetto al rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza ECRI , su cui si è basata la sentenza impugnata, che risale al marzo 2015, anche se pubblicato a giugno, confermano la concretezza delle numerose perplessità che sono già espresse in seno a quello stesso rapporto sul sistema di asilo vigente in Ungheria. Si apprende, infatti, dai media il giornale italiano delle Nazioni Unite online del luglio 2015 Repubblica.it del 3 dicembre 2015 che il Parlamento ungherese ha approvato nel luglio 2015 alcune modifiche alla legge sull’immigrazione nei cui confronti si sono levate voci critiche e accuse di razzismo. Era stata prevista la realizzazione di un muro anti-immigrati” una barriera munita di filo spinato che terrà profughi e migranti alla larga dal Paese e che ben rappresenta il clima culturale e politico di avversione al fenomeno dell’immigrazione e della richiesta di protezione dei rifugiati. Si legge, inoltre, che è prevista l’espulsione degli immigrati dal Paese con una procedura accelerata e che le nuove norme, duramente criticate dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, limitano la concessione del diritto d’asilo, permettendo alle autorità di cancellare le richieste d’asilo se i richiedenti lasceranno la loro residenza designata in Ungheria per più di 48 ore senza autorizzazione. Inoltre, si prevede il prolungamento della detenzione dei richiedenti asilo, che già rappresenta una prassi regolare in quel Paese, nonché la possibilità di obbligarli a lavori di pubblica utilità per coprire le spese di mantenimento. La detenzione riguarda i richiedenti asilo senza distinzione per sesso, età e condizioni fisiche, anche donne in gravidanza e minori non accompagnati, come conferma la visita dei delegati di Human Rights Watch in cinque strutture dedicate alla detenzione, riportata nelle notizie dei media. Secondo l’UNHCR, che aveva lanciato l’allarme già prima del voto parlamentare, le modifiche al sistema di asilo in Ungheria, dopo gli emendamenti del luglio e settembre 2015, potrebbero avere conseguenze fatali per i profughi in fuga dalle zone di guerra. In una lettera aperta ai legislatori ungheresi, il rappresentante dell’Agenzia aveva espresso la preoccupazione che le nuove norme sono in contrasto con i principi morali e i minimi standard umanitari e non sono in linea con gli obblighi dell’Ungheria sulla base dei trattati internazionali. Analoghe preoccupazioni ha esposto Amnesty International nel suo rapporto del 2015, raccomandando agli Stati che aderiscono al Regolamento Dublino di astenersi dal trasferire in Ungheria richiedenti asilo per carenze nel sistema di accoglienza e nelle procedure di asilo e per il rischio concreto di respingimento in paesi non sicuri. Inoltre, Eunews notiziario online riporta il 10 dicembre 2015 la notizia delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea dopo le modifiche alla legge sul diritto di asilo introdotte a luglio dall’Ungheria. Secondo la Commissione, su diversi punti le nuove regole non rispettano i diritti dei migranti per quanto riguarda la procedura di asilo, non è possibile presentare nuovi fatti e circostanze in caso di ricorsi e l’Ungheria non applica, in questi casi, nessuna sospensiva automatica costringendo così i richiedenti asilo ad abbandonare il proprio territorio anche mentre la procedura è ancora in corso. Il cittadino extracomunitario pertanto rimane in Italia. E lo stesso dicasi per la Bulgaria. Il Consiglio di Stato, con decisioni analoghe tra le altre 4000/2016 del 27 settembre ha ritenuto attendibili le fonti citate dall’appellante che suscitano non poche perplessità sul sistema di asilo vigente in Bulgaria e sulle condizioni critiche dei centri di accoglienza alcuni veri e propri Centri di detenzione e, più in generale, sul clima culturale di intolleranza e discriminazione che si respira nella società civile e anche tra i leader al governo nei confronti dei rifugiati entrati nel paese massicciamente specie in conseguenza del conflitto in Siria cfr. 5° rapporto sulla Bulgaria dell’European Commission against Racism and Intollerance - ECRI - del 16 settembre 2014, pubblicato sul sito internet del Consiglio d’Europa . E’ fatto notorio, ha aggiunto il Collegio, che l’Alto Commissariato per i Rifugiati esprime preoccupazione per le misure di controllo praticate al confine con la Turchia, dove i profughi vengono respinti” dalle guardie di frontiera bulgare. L’UNHCR denuncia che i respingimenti” non sono conformi agli obblighi della Bulgaria, che è tenuta a far entrare i richiedenti asilo nel proprio territorio, e segnala anche casi in cui la polizia di frontiera ha fatto ricorso alla violenza e, spesso, le persone in fuga affermano che la polizia ha confiscato i loro soldi e i loro averi notizia pubblicata sul sito internet dell’UNHCR del 15 settembre 2015 .

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 7 luglio – 27 settembre 2016, n. 4004 Presidente Lipari - Estensore Puliatti Fatto e diritto 1.- Con ricorso al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, n.r.g. 9008 del 2015, il Sig. - omissis - ha impugnato il provvedimento prot. N. - omissis -, notificatogli in data 29 maggio 2015, con cui la Direzione Centrale dei servizi civili per l’Immigrazione e l’Asilo - Unità Dublino ha deciso il suo trasferimento in Ungheria. Il ricorrente, infatti, aveva avanzato istanza di asilo per la prima volta in quel Paese e, conseguentemente, l’Italia, destinataria di altra domanda di asilo in data successiva, aveva chiesto all’Ungheria la ripresa in carico dell’interessato, con istanza del 24 febbraio 2015, ai sensi dell’art. 18, comma 1 lett. B del regolamento UE 604/2013, accolta dallo Stato destinatario che aveva riconosciuto la propria competenza. 2. - Il ricorrente lamentava carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza in Ungheria dei richiedenti di cui all’art. 3 del regolamento UE n. 604 del 2013 ed, inoltre, l’inosservanza degli oneri informativi, di cui alla citata disposizione regolamentare. 3. - La sentenza in epigrafe respingeva il ricorso rilevando l’evoluzione del sistema di accoglienza per i profughi in Ungheria, risultante dal rapporto ECRI pubblicato il 9 giugno 2015 sul sito web del Consiglio d’Europa, e rilevava che gli oneri informativi si correlano alla domanda di protezione internazionale e non attengono alla diversa fattispecie della ripresa in carico. 4. - Con l’appello in esame, il ricorrente lamenta l’ingiustizia della sentenza. 4.1. - Quanto al primo profilo, l’appellante deduce che il T.a.r. ha basato la propria decisione su un’unica fonte riportata in modo vago, nonostante che in corso di causa siano state prodotte numerose altre fonti sulle condizioni dei richiedenti e titolari di protezione in Ungheria, e sebbene la CEDU abbia più volte posto l’accento sulla necessità di utilizzare una pluralità di fonti nell’esame delle informazioni di cui trattasi. 4.2. - Deduce ancora l’appellante che nei cinque mesi che seguono alla pubblicazione del rapporto ECRI sul sito web del Consiglio d’Europa la situazione in Ungheria è precipitata, come denunciano varie associazioni internazionali, come Amnesty International e Human Rights Watch, e come risulterebbe da comunicati dell’Alto Commissariato alle Nazioni Unite per i rifugiati, oltre che da notizie apparse sul giornale Italiano delle Nazioni Unite. 4.3. - L’appellante denuncia, inoltre, che la procedura di esame delle domande di asilo in Ungheria è poco garantista e spesso culmina in provvedimenti di reclusione degli stranieri, anche minori, in centri di detenzione per asilo” e in abusi commessi dalle forze dell’ordine. Numerose Corti di Stati membri Ue ad es., Austria e Olanda hanno annullato i trasferimenti di altri richiedenti protezione in Ungheria evidenziando la particolare gravità della situazione dei rifugiati in quel Paese. 4.4. - Quanto alla violazione dell’art. 4 del Regolamento UE, l’appellante deduce che il diritto a ricevere informazioni si riferisce sia alla fase di presa in carico che a quella della ripresa in carico art. 20, paragrafo 2 . 5. - Ritiene il Collegio che l’appello sia fondato. 5.1 - Ruolo decisivo riveste, ai fini della presente controversia, la prima delle questioni sollevate, concernente l’impossibilità del trasferimento del ricorrente a causa delle carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei profughi in Ungheria. 5.2. - L’art. 3, comma 2, del Regolamento del Parlamento e del Consiglio Europeo 604/2013 del 26 giugno 2006 prevede che qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.” 5.3. – Ad avviso del Collegio, il rischio attuale che lo straniero richiedente asilo venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in Ungheria è fondato, cosicché deve ritenersi impossibile il trasferimento del ricorrente. 5.4. - Fonti ulteriori e più recenti rispetto al rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza ECRI , su cui si è basata la sentenza impugnata, che risale al marzo 2015, anche se pubblicato a giugno, confermano la concretezza delle numerose perplessità che sono già espresse in seno a quello stesso rapporto sul sistema di asilo vigente in Ungheria. 5.5. - Si apprende dai media il giornale italiano delle Nazioni Unite on line del luglio 2015 Repubblica.it del 3 dicembre 2015 che il Parlamento ungherese ha approvato nel luglio 2015 alcune modifiche alla legge sull’immigrazione nei cui confronti si sono levate voci critiche e accuse di razzismo. Si prevede la realizzazione di un muro anti-immigrati” una barriera munita di filo spinato che terrà profughi e migranti alla larga dal Paese e che ben rappresenta il clima culturale e politico di avversione al fenomeno dell’immigrazione e della richiesta di protezione dei rifugiati. Si legge che è prevista l’espulsione degli immigrati dal Paese con una procedura accelerata e che le nuove norme, duramente criticate dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, limitano la concessione del diritto d’asilo, permettendo alle autorità di cancellare le richieste d’asilo se i richiedenti lasceranno la loro residenza designata in Ungheria per più di 48 ore senza autorizzazione. Inoltre, si prevede il prolungamento della detenzione dei richiedenti asilo, che già rappresenta una prassi regolare in quel Paese, nonché la possibilità di obbligarli a lavori di pubblica utilità per coprire le spese di mantenimento. La detenzione riguarda i richiedenti asilo senza distinzione per sesso, età e condizioni fisiche, anche donne in gravidanza e minori non accompagnati, come conferma la visita dei delegati di Human Rights Watch in cinque strutture dedicate alla detenzione, riportata nelle notizie dei media. 5.6. - Secondo l’UNHCR, che aveva lanciato l’allarme già prima del voto parlamentare, le modifiche al sistema di asilo in Ungheria, dopo gli emendamenti del luglio e settembre 2015, potrebbero avere ‘conseguenze fatali’ per i profughi in fuga dalle zone di guerra. In una lettera aperta ai legislatori ungheresi, il rappresentante dell’Agenzia aveva espresso la preoccupazione che le nuove norme sono in contrasto con i principi morali e i minimi standard umanitari” e non sono in linea con gli obblighi dell’Ungheria sulla base dei trattati internazionali. 5.7. - Analoghe preoccupazioni espone Amnesty International nel suo rapporto del 2015, raccomandando agli Stati che aderiscono al Regolamento Dublino di astenersi dal trasferire in Ungheria richiedenti asilo per carenze nel sistema di accoglienza e nelle procedure di asilo e per il rischio concreto di respingimento in paesi non sicuri. 5.8. - Eunews notiziario on line riporta il 10 dicembre 2015 la notizia delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea dopo le modifiche alla legge sul diritto di asilo introdotte a luglio dall’Ungheria. Secondo la Commissione, su diversi punti le nuove regole non rispettano i diritti dei migranti per quanto riguarda la procedura di asilo, non è possibile presentare nuovi fatti e circostanze in caso di ricorsi e l’Ungheria non applica, in questi casi, nessuna sospensiva automatica costringendo così i richiedenti asilo ad abbandonare il proprio territorio anche mentre la procedura è ancora in corso. Secondo la Commissione, l’Ungheria non sta rispettando le regole fissate dall’Europa relativamente alla modalità di richiesta di asilo. 6. - Tali circostanze notorie sono sufficienti a far ritenere fondato il rischio che il provvedimento impugnato esponga il ricorrente alla possibilità di subire trattamenti in contrasto con i principi umanitari e con l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E 7. - In conclusione, l’appello va accolto. 8. - Le spese di entrambi i gradi di giudizio si compensano tra le parti, considerata la peculiarità della controversia e l’esistenza di fonti contrastanti circa la sicurezza” delle condizioni dei rifiugiati nello Stato Ungherese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso n.r.g. 9008 del 2015 e annulla il provvedimento impugnato. Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.