Da tettoia a capannone industriale: legittima l’ordinanza di totale demolizione

È legittima l'ordinanza di totale demolizione disposta dal Comune di una tettoia trasformata in capannone industriale di 16.800 mc, anche se la costruzione della tettoia era stata regolarmente autorizzata.

Il fatto. Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza n. 3559/16, depositata il 9 agosto, conferma in toto la decisione del giudice di primo grado, il quale aveva rilevato che risultava dagli atti che i proprietari avevano trasformato, mediante tamponature laterali, una tettoia aperta in un capannone chiuso, generando un volume prima inesistente. Ne consegue che, in tal caso, si è trattato di interventi eseguiti in totale difformità dalla concessione edilizia perché ciò che è stato realizzato è un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto della concessione, ovvero della tettoia per deposito granaglie. Nella sentenza integralmente confermata dalla Sezione VI, peraltro, il Tar aveva osservato che la repressione degli abusi edilizi è attività strettamente vincolata, non soggetta a termini di decadenza e prescrizione, potendo la sanzione intervenire in ogni momento, anche a notevole distanza di tempo da quando viene commesso l'illecito inoltre, l'illecito edilizio è permanente, si protrae e si conserva nel tempo, e con esso si protrae e si conserva nel tempo l'interesse pubblico al ripristino dell'ordine violato, che è sempre prevalente sull'interesse del privato al mantenimento dell'opera abusiva inoltre, non vi è necessità di motivare in modo particolare l'ordine di demolizione del manufatto illecitamente costruito, nemmeno quando è decorso un notevole lasso di tempo, perché l'affidamento del titolare di bene abusivo non è mai incolpevole. In sostanza, colui che realizza un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l'amministrazione lo abbia inizialmente avvantaggiato, non esercitando il potere sanzionatorio di cui è titolare o esercitandolo in misura meno afflittiva di quanto avrebbe dovuto. L’illegittimità dell’ordinanza di integrale demolizione. In particolare, ha precisato il Consiglio di Stato, come ha sostenuto anche il Comune nella sua memoria difensiva, non si può ritenere illegittima l’ordinanza di integrale demolizione delle opere in questione a causa della mancata applicazione della disposizione, contenuta nell’art. 38 del TU dell’edilizia, secondo la quale, nel caso di annullamento di un titolo edilizio, l’amministrazione deve comparare l’interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino che ha fatto affidamento sul titolo rilasciato e quindi può disporre l’irrogazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione. Tale norma può trovare, infatti, applicazione quando l’amministrazione procede all’annullamento, in autotutela, di un titolo già rilasciato nelle forme ordinarie, ma non può essere invocata quando, come nella fattispecie, le opere sono state realizzate in mancanza dei necessari titoli abilitativi e gli atti di assenso dell’amministrazione, intervenuti successivamente in sanatoria, sono stati poi annullati, perché ritenuti illegittimi, dal giudice amministrativo. Ben diversa è, infatti, la condizione di chi ha realizzato un’opera edilizia sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione anche se poi annullato e di chi invece ha realizzato un’opera edilizia in assenza dei necessari titoli abilitativi ed ha ottenuto un provvedimento di sanatoria poi rivelatosi illegittimo e quindi per questo annullato. Tutela. In altri termini, solo nel caso in cui è stata l’Amministrazione, con il suo comportamento, ad ingenerare un affidamento sulla legittimità delle opere realizzate nella vigenza del titolo abilitativo si deve ritenere possibile una forma di tutela per chi ha realizzato le opere e per le stesse opere, la cui eliminazione è condizionata ad una valutazione sull’interesse pubblico non limitata alla sola necessità di ripristinare la legalità violata. Viceversa, nel caso in cui le opere sono state realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, e quindi abusivamente, non vi è ragione per derogare alle disposizioni che prevedono il ripristino della legalità violata e quindi l’eliminazione delle opere abusive realizzate. E ciò anche se, come nella fattispecie, per tali opere erano stati rilasciati provvedimenti di sanatoria poi annullati perché ritenuti illegittimi. E ciò a prescindere dalla questione, sulla quale la giurisprudenza è oscillante, sulla possibile applicazione dell’art. 38 del TU dell’edilizia nei soli casi di vizi formali dei titoli edilizi o viceversa anche nei casi di vizi di carattere sostanziale.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 7 luglio – 9 agosto 2016, n. 3559 Presidente De Francisco – Estensore D’Alessio Fatto e diritto 1.- Il Comune di Cordenons aveva rilasciato ai signori Giovanni Feletto e Clara Salvador la concessione edilizia n. 64 del 4 aprile 1991 per la costruzione in zona agricola di un capannone aperto a uso deposito di granaglie, con annessi uffici e recinzione. Come ha ricordato anche il T.A.R., il titolo abilitativo all’edificazione conteneva, tra le altre, le seguenti prescrizioni deve essere tassativamente rispettata la destinazione d’uso a magazzino di granaglie non produttivo e non dovranno essere realizzate chiusure perimetrali di tipo fisso . 2.- I signori Feletto e Salvador realizzata la struttura assentita chiedevano la variante della concessione per poter procedere alla chiusura perimetrale del capannone. 2.1.- Il Comune di Cordenons negava il rilascio della variante e, considerato che gli interessati avevano proceduto egualmente ai tamponamenti laterali del capannone, disponeva la demolizione delle opere abusive, con ordinanza n. 4 del 12 febbraio 1993, ritenendo l’opera non sanabile in quanto con la chiusura viene superato l’indice di fabbricabilità fondiaria massima ammissibile . Con una successiva ordinanza n. 34 del 25 maggio 1994 il Comune disponeva anche la rimozione degli elementi mobili in cls applicati, al prolungamento verso terra del tamponamento dei lati est e ovest, al prolungamento del tetto, alla rete plastificata lungo i lati nord e sud, e alle bocchette per l'emissione dell'aria nel capannone medesimo con le rispettive canalizzazioni interne. 3.- Successivamente, a seguito delle richieste fatte dagli appellanti, il Comune rilasciava prima una concessione in sanatoria per parte delle opere realizzate n. 251 dell'8 ottobre 1996 , e poi una concessione edilizia per la costruzione dei tamponamenti laterali n. 295 del 2 dicembre 1996 . 3.1.- I provvedimenti rilasciati in sanatoria erano tuttavia impugnati davanti al T.A.R. dai vicini, signori Luigi Cozzarin e Anna Maria Gava. 3.2.- Il T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 124 del 19 febbraio 2000 poi confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza della Sezione V n. 4416 del 17 settembre 2008 , annullava tuttavia i titoli edilizi rilasciati in sanatoria, rilevando che la chiusura di un edificio originariamente aperto su tutti i lati aveva determinato la creazione di una volumetria prima inesistente e quindi un ampliamento della volumetria eccedente quella consentita . 3.3.- A seguito della decisione del T.A.R. il Comune, in data 10 settembre 2001, emanava una nuova ordinanza di demolizione e di remissione in pristino dello stato dei luoghi. 4.- Successivamente, a seguito di richiesta fatta dai proprietari, il Consiglio comunale, con deliberazione n. 92 del 17 novembre 2003, approvava un Piano particolareggiato ad iniziativa privata con c.d. sanatoria giurisprudenziale delle opere originariamente abusive, in ragione della intervenuta approvazione dell’art. 37 delle N.T.A. del Piano regolatore comunale. 4.1.- Anche tale deliberazione era tuttavia impugnata dai signori Luigi Cozzarin e Anna Maria Gava e veniva annullata dal T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia con sentenza n. 542 del 23 agosto 2004 confermata in appello dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con sentenza n. 2306 del 26 aprile 2006 . In particolare la Sezione IV di questo Consiglio di Stato, dopo aver ricordato che la concessione in sanatoria è un provvedimento tipico, che elimina l'antigiuridicità dell'abuso, estinguendo il potere repressivo dell'Amministrazione, ha ribadito che il suo ambito di applicazione non può che essere specificamente disciplinato dalla normativa, non risultando consentito l'esercizio, da parte dell'Amministrazione, di un potere di sanatoria che vada oltre i limiti imposti dal Legislatore. La Sezione ha poi aggiunto che il T.U. n. 380 del 2001, continuando a richiedere all’art. 36 l’accertamento di duplice conformità delle opere alla strumentazione urbanistica vigente al momento della realizzazione delle stesse e alla strumentazione urbanistica vigente al momento della sanatoria , non ha recepito la possibilità di sanatoria di cui si discute, nonostante che la possibilità di riconoscere a livello normativo l’ammissibilità, entro certi limiti, di tale istituto giurisprudenziale fosse stata espressamente prospettata tra l’altro dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato nel parere all’uopo reso in data 29 marzo 2001. 4.2.- A seguito della decisione del T.A.R. il Comune, in data 18 novembre 2004, emanava una ulteriore ordinanza di demolizione e, vista l'inottemperanza delle parti, comunicava, in data 25 maggio 2006, l'avvio del procedimento per la demolizione in danno. 5.- I signori Giovanni Feletto e Clara Salvador chiedevano allora l'applicazione della sanzione pecuniaria, in luogo della demolizione, ai sensi dell'articolo 107, comma 2, della legge della Regione Friuli Venezia Giulia n. 52 del 1991. 5.1.- A seguito della richiesta il Comune disponeva una perizia sull'immobile in questione che riteneva che le parti abusive non potevano essere demolite senza compromettere la staticità della parte realizzata in modo legittimo. Il Comune, quindi, con nota del 9 luglio 2007 comunicava che avrebbe avviato il procedimento per la quantificazione della sanzione pecuniaria sostitutiva. 6.- I signori Cozzarin e Gava, ritenendo che tale attività si poneva in violazione del giudicato formatosi sulla citata sentenza n. 124 del 2000, ne chiedevano l'ottemperanza davanti al T.A.R. 6.1.- Il T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 221 del 21 aprile 2011, rigettava tuttavia la domanda, rilevando che la sentenza in questione si era limitata a statuire l'illegittimità della rilasciata concessione in sanatoria e dei titoli edilizi consequenziali, lasciando immutata tuttavia la discrezionalità del Comune in ordine alle misure conformative da adottare. 7.- Successivamente, tuttavia, il Comune, avendo ritenuto che gli abusi edilizi commessi dai signori Feletto e Salvador fossero sostanziali e non meramente formali, disponeva, con ordinanza n. 24406 del 10 maggio 2013, di non applicare la sanzione pecuniaria sostitutiva e rinnovava quindi l'ordine di demolizione parziale del capannone in questione. 7.1.- I signori Giovanni Feletto e Clara Salvador hanno impugnato anche tale provvedimento davanti al T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia sostenendone l’illegittimità. 8.- Il Comune, con provvedimento n. 18649 del 16 ottobre 2014, ha peraltro ritenuto di dover ordinare la demolizione integrale – e non più parziale – del manufatto in questione, avendo considerato che l'abuso edilizio compiuto era da qualificarsi in termini di variazione essenziale, sia in ragione dell'aumentata volumetria, sia in ragione dell'attività industriale ivi svolta, secondo quanto era stato accertato dalle sentenze penali definitive di condanna che erano state pronunciate nelle more a carico dei signori Feletto e Salvador, sia in ragione delle originarie difformità, per essere stata preordinata la trasformazione della tettoia aperta in capannone chiuso. 8.1.- I signori Feletto e Salvador hanno impugnato davanti al T.A.R. anche tale ultimo provvedimento sostenendone l’illegittimità con motivi aggiunti. 9.- Il T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, Sezione I, con sentenza n. 188 del 22 aprile 2015, ha dichiarato improcedibile il ricorso principale proposto avverso l’ordinanza di demolizione parziale n. 24406 del 10 maggio 2013 ed ha rigettato il ricorso per motivi aggiunti proposto avverso l’ordinanza di demolizione integrale n. 18649 del 16 ottobre 2014 . 9.1.- In particolare, il T.A.R. ha rilevato che risultava dagli atti che i proprietari avevano trasformato, mediante tamponature laterali, una tettoia aperta in un capannone chiuso, generando un volume prima inesistente ed ha ricordato che sono interventi eseguiti in totale difformità dalla concessione edilizia quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto della concessione. 9.2.- Il T.A.R. ha poi aggiunto che, secondo consolidato orientamento - la repressione degli abusi edilizi è attività strettamente vincolata, non soggetta a termini di decadenza e prescrizione, potendo la sanzione intervenire in ogni momento, anche a notevole distanza di tempo da quando venne commesso l'illecito - l'illecito edilizio è permanente, si protrae e si conserva nel tempo, e con esso si protrae e si conserva nel tempo l'interesse pubblico al ripristino dell'ordine violato, che è sempre prevalente sull'interesse del privato al mantenimento dell'opera abusiva - non vi è necessità di motivare in modo particolare l'ordine di demolizione del manufatto illecitamente costruito, nemmeno quando è decorso un notevole lasso di tempo, perché l'affidamento del titolare di bene abusivo non è mai incolpevole - colui che realizza un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l'Amministrazione lo abbia inizialmente avvantaggiato, non esercitando il potere sanzionatorio di cui è titolare o esercitandolo in misura meno afflittiva di quanto avrebbe dovuto. 9.3.- Né, secondo il T.A.R., poteva essere censurata la disposta demolizione integrale delle opere a vent’anni di distanza dalla costruzione, dopo che il Comune aveva rilevato in precedenza una difformità solamente parziale dell'opera dal progetto assentito. 10.- I signori Feletto e Salvador hanno appellato l’indicata sentenza sostenendone l’erroneità. All’appello si oppone il Comune di Cordenons che ne ha chiesto il rigetto perché infondato. 11.- Con un unico articolato motivo gli appellanti, dopo aver ricordato che avevano ottenuto la sanatoria, per le opere realizzate in difformità rispetto ai titoli edilizi, e che l’abusività delle opere era stata determinata dal successivo annullamento, da parte del giudice amministrativo, degli atti con i quali era stata concessa la sanatoria, ha sostenuto che erroneamente il T.A.R. ha ritenuto legittima l’ordinanza di demolizione integrale delle opere, emessa dal Comune, nel presupposto che l’attività edilizia doveva considerarsi abusiva ed esercitata in assenza di un titolo abilitativo, senza considerare che essa era invece la conseguenza anche dell’annullamento dei provvedimenti di sanatoria emessi dal Comune e senza fare quindi applicazione della disposizione, contenuta nell’art. 38 del T.U. dell’edilizia, secondo la quale, nel caso di annullamento di un titolo edilizio, l’amministrazione deve comparare l’interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino che ha fatto affidamento sul titolo rilasciato. 11.1.- Nel caso in esame, hanno aggiunto gli appellanti, l’accertata abusività delle opere in questione non poteva, quindi, determinare la loro necessaria demolizione integrale, dovendo essere invece valutate una gamma articolata di possibili soluzioni alternative. Peraltro, secondo gli appellanti, il Comune non ha considerato che, nella fattispecie, era impossibile il ripristino, come era stato accertato anche dal tecnico comunale nel 2007, mentre era possibile applicare agli interessati una sanzione pecuniaria, anche tenendo conto della circostanza che nell’area non vi è un divieto assoluto di edificazione. 12.- Il motivo non è fondato e la molto ben motivata sentenza del T.A.R. deve essere integralmente confermata. Come emerge dalla ricostruzione della lunga vicenda che si è sommariamente ricordata nella quale sono già intervenute diverse decisioni del giudice amministrativo ed anche del giudice penale , i signori Feletto e Salvador hanno realizzato, in assenza dei necessari titoli e quindi abusivamente , un capannone chiuso, di rilevanti dimensioni 16.800 mc , nel quale, come è stato definitivamente accertato dal giudice penale, svolgono una attività che è stata considerata industriale. Correttamente, come ha ritenuto il T.A.R., il Comune ne ha quindi disposto la demolizione integrale, trattandosi di opere eseguite in totale difformità dalla concessione edilizia rilasciata per una tettoia aperta sui lati avendo comportato la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso, per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche e di utilizzazione, da quello oggetto della concessione. 13.- In particolare, come ha sostenuto anche il Comune nella sua memoria difensiva, non si può ritenere illegittima l’ordinanza di integrale demolizione delle opere in questione, da ultimo impugnata, a causa della mancata applicazione della disposizione, contenuta nell’art. 38 del t.u. dell’edilizia, secondo la quale, nel caso di annullamento di un titolo edilizio, l’amministrazione deve comparare l’interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino che ha fatto affidamento sul titolo rilasciato e quindi può disporre l’irrogazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione. 13.1.- Tale norma può trovare, infatti, applicazione quando l’amministrazione procede all’annullamento, in autotutela, di un titolo già rilasciato nelle forme ordinarie, ma non può essere invocata quando, come nella fattispecie, le opere sono state realizzate in mancanza dei necessari titoli abilitativi e gli atti di assenso dell’Amministrazione, intervenuti successivamente in sanatoria, sono stati poi annullati, perché ritenuti illegittimi, dal giudice amministrativo. 13.2.- Ben diversa è, infatti, la condizione di chi ha realizzato un’opera edilizia sulla base di un titolo rilasciato dall’Amministrazione anche se poi annullato e di chi invece ha realizzato un’opera edilizia in assenza dei necessari titoli abilitativi ed ha ottenuto un provvedimento di sanatoria poi rivelatosi illegittimo e quindi per questo annullato. 13.3.- Solo nel caso in cui è stata l’Amministrazione, con il suo comportamento, ad ingenerare un affidamento sulla legittimità delle opere realizzate nella vigenza del titolo abilitativo si deve, quindi, ritenere possibile una forma di tutela per chi ha realizzato le opere e per le stesse opere, la cui eliminazione è condizionata ad una valutazione sull’interesse pubblico non limitata alla sola necessità di ripristinare la legalità violata. Viceversa, nel caso in cui le opere sono state realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, e quindi abusivamente, non vi è ragione per derogare alle disposizioni che prevedono il ripristino della legalità violata e quindi l’eliminazione delle opere abusive realizzate. E ciò anche se, come nella fattispecie, per tali opere erano stati rilasciati provvedimenti di sanatoria poi annullati perché ritenuti illegittimi. 13.4.- E ciò a prescindere dalla questione, sulla quale la giurisprudenza è oscillante, sulla possibile applicazione dell’art. 38 del t.u. dell’edilizia nei soli casi di vizi formali dei titoli edilizi o viceversa anche nei casi di vizi di carattere sostanziale. 13.5.- Né possono incidere sulla legittimità dell’impugnata ordinanza di integrale demolizione delle opere in questione il decorso del tempo trascorso, tenuto conto delle numerose precedenti ordinanze di demolizione mai eseguite e delle diverse vicende processuali che sono state prima ricordate. 13.6.- Nemmeno può avere rilevanza sulla legittimità dell’impugnata ordinanza di demolizione l’azione non sempre coerente del Comune nelle diverse fasi della lunga vicenda esaminata. 13.7.- Considerata la totale difformità riscontrata, e la necessità quindi di rimuovere integralmente l’abuso, non ha infine alcuna rilevanza la relazione tecnica, acquisita dal Comune nel 2007, secondo la quale non era possibile demolire parzialmente le opere senza incidere sulla struttura realizzata sulla base della concessione edilizia rilasciata. 14.- In conclusione, per tutti gli esposti motivi, l’appello deve essere respinto e la sentenza appellata deve essere integralmente confermata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna gli appellanti al pagamento di € 5.000,00 cinquemila , in favore del Comune resistente, per le spese e competenze del grado di appello. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.