Vincolo espropriativo? Sì, se pregiudica in modo intenso la proprietà privata ed è correlato alla realizzazione di un'opera pubblica

Per vincoli conformativi si intendono i vincoli, che impongono una destinazione, anche di contenuto specifico, realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, correlata ad una zonizzazione di tutto o parte del territorio comunale, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti. Di contro, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione.

E' quanto statuito dal Tar Friuli Venezia Giulia, sez. I, nella sentenza n. 381 del 5 agosto 2015. L'obbligo di cessione o di convenzionamento aree. La società S. srl è proprietaria di un albergo e di un’area, utilizzata per il parcheggio delle autovetture dei clienti. Tale terreno, utilizzato come parcheggio fin dai primi anni 80, era gravato da vincoli espropriativi decaduti nel 1991, come dichiarato anche dal Comune di Lignano Sabbiadoro, il quale approvò, nel 2004, la variante n. 37 al Piano Regolatore Generale. Siffatta variante introduceva una norma, che prevedeva, in caso di parcheggio a raso, una quota da convenzionare o da cedere al Comune. Precisamente, la norma tecnica prevede che, per i parcheggi a raso, la superficie del 70% deve essere ceduta al Comune ovvero assoggettata a convenzione, con uso pubblico a rotazione. La società ha sempre sostenuto che tale norma riguarda le nuove realizzazioni, non i terreni preesistenti, la cui destinazione d’uso è sempre stata di parcheggio privato a servizio dell’albergo. Interpretando in maniera diversa, si configurerebbe, ad avviso della società, un vincolo espropriativo già decaduto, per decorso del previsto termine. Viceversa, il Comune aveva sempre interpretato la disposizione tecnica come applicabile anche ai terreni preesistenti. Ed, infatti, il Comune, pur non opponendosi alla Dia in sanatoria, relativa ad alcune opere riguardanti il parcheggio, ribadiva il divieto di utilizzare l’area a parcheggio privato in assenza di una convenzione. Insorge la società, avanzando diverse censure. In primo luogo, viene lamentata la violazione del principio di irretroattività delle leggi, di cui all’art. 11 delle disposizioni sulle leggi in generale, in quanto il terreno è sempre stato utilizzato come parcheggio privato, laddove la nuova disposizione delle norme tecniche di attuazione non può che trovare applicazione solo per il futuro e non relativamente ad un terreno privato, da anni già utilizzato come parcheggio privato. Infatti, in correlazione a tale censura, viene contestato il fatto che la preesistente condotta di tolleranza del Comune ha ingenerato legittimi affidamenti in favore della società. I due principali vincoli urbanistici. La questione centrale, sottesa all'illustrata vicenda, attiene alla natura del vincolo apposto con la variante del 2004. Si tratta di un vincolo conformativo od espropriativo? Se è espropriativo, come lamentato dalla società ricorrente, allora si tratta di verificarne la sua legittima emanazione ed imposizione, anche sotto il profilo temporale. Per esaminare la questione della corretta differenziazione fra i due tipi di vincoli, occorre ricordare che il comma 2 dell’art. 42 Cost. stabilisce che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti . Il successivo comma 3 prevede che la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale . Quindi, la Costituzione, da un lato, sancisce la funzione sociale della proprietà, dall’altro lato, acconsente che beni privati possano essere acquisiti dalla P.A. per motivi di interesse generale e salvo indennizzo. In tal senso, seppur antecedente, depone il vigente art. 834 c.c., il quale stabilisce che nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà se non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro il pagamento di una giusta indennità . Come osservato già da lungo tempo dalla Corte Costituzionale sentenza n. 55/1968 , La garanzia della proprietà privata è condizionata, nel sistema della Costituzione, dagli artt. 41 al 44, alla subordinazione a fini, dichiarati ora di utilità sociale, ora di funzione sociale, ora di equi rapporti sociali, ora di interesse ed utilità generale. Ciò con maggiore ampiezza e vigore di quanto è stabilito dagli artt. 832 e 845 del Codice civile, i quali, per il contenuto del diritto di proprietà fondiaria in particolare, richiamano, rispettivamente, i limiti e gli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico” e le regole particolari per scopi di pubblico interesse . Per procedere ad una legittima espropriazione per pubblica utilità, si pone come presupposto fondamentale per l’esercizio del potere ablatorio, da parte dell’Autorità espropriante, l’apposizione del vincolo espropriativo sulle aree occorrenti alla realizzazione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, come previsto dall'art. 8 d.P.R. n. 327/2001. Ovviamente, non ogni vincolo posto alla proprietà privata dallo strumento urbanistico generale ha carattere espropriativo ed è, dunque, soggetto alla disciplina relativa. Occorre, infatti, distinguere tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi, secondo la linea di discrimine indicata in Costituzione. Quindi, è possibile affermare che, in caso di interventi riservati esclusivamente alla P.A., che riguardano beni determinati in funzione della localizzazione e realizzazione di un'opera pubblica, la cui esecuzione non può coesistere con la proprietà privata, è indubitabile che il vincolo reiterato ha carattere espropriativo. Diversamente, laddove la disciplina urbanistica di zona consente significativi e consistenti interventi edificatori, sia pure limitati a particolari tipologie di opere ed, eventualmente, previa predisposizione di piani particolareggiati, allo scopo di assicurare la coerenza dell'edificazione privata con la generale zonizzazione intesa al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico, il vincolo apposto è di carattere conformativo e non espropriativo. Ciò, anche in ragione del fatto che non comporta né l'ablazione dei suoli, né il sostanziale svuotamento dei diritti dominicali di natura privata insistenti su di essi in tal senso CdS nn. 2116/2012 e 244/2012 . Ad avviso della Consulta sentenza n. 148/2003 , è possibile individuare i seguenti criteri identificativi dei vincoli espropriativi” - atteggiarsi della destinazione urbanistica a puntuale proiezione di un’opera pubblica, che deve essere realizzata - sussistenza di un effetto acquisitivo, oltre che privativo, con incidenza su singoli beni, e non su categorie omogenee, e con imposizione di sacrifici individuali a vantaggio della collettività attraverso la realizzazione dell'opera pubblica - svuotamento di rilevante entità della proprietà privata - superamento della durata legislativamente determinata, per il vincolo urbanistico considerato - superamento della normale tollerabilità, sotto il profilo qualitativo, per la loro incidenza sul contenuto del diritto - impossibilità del privato proprietario di dare utilizzazione edificatoria all’area, senza l’intermediazione necessaria dell’Ente pubblico, con ovvio sacrificio del principio costituzionale di libera iniziativa economica. Tuttavia, pur applicando gli illustrati e convincenti criteri identificativi, non può nascondersi il fatto che talora si è in presenza di figure ibride, quasi dei vincoli urbanistici promiscui, i quali presentano caratteri sia di vincoli espropriativi che conformativi. Possiedono il primo carattere, perché preordinati all’espropriazione, proprio in quanto rappresentano esattamente l’opera pubblica e prefigurano la possibilità di espropriare il bene per realizzarla. Contemporaneamente, presentano anche il secondo carattere, quello conformativo, in quanto, non sottraendo comunque al privato proprietario la possibilità di intervenire direttamente in regime di convenzione con l’Ente Pubblico, per la realizzazione dell’opera pubblica, non sono tali da compromettere irrevocabilmente il valore di mercato del bene, a causa della mera eventualità dell’esproprio. Ad ogni modo, occorre ricordare che i vincoli espropriativi sono caratterizzati dall'obbligo di puntuale motivazione e di indennizzo in caso di loro reiterazione. Infatti, come osservato dalla giurisprudenza Tar Veneto, sez. I, n. 798/2013 , la reiterazione dei vincoli espropriativi, decaduti per il decorso del termine, non è di per sé illegittima, ma può considerarsi correttamente disposta qualora sia supportata da una puntuale motivazione, che dia conto dell’attualità della previsione vincolistica, che sia preceduta da una rinnovata ed adeguata comparazione fra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti e che presenti una esaustiva giustificazione circa le scelte urbanistiche di piano . Ciò, in aderenza alle precipue direttive di azione, delineate dalla Corte Costituzionale n. 179/1999 . In particolare, la motivazione deve scaturire da una previa e rigorosa istruttoria procedimentale, da intendersi quale sede naturale di quell’attenta ponderazione di contrapposti interessi pubblici e privati, di cui deve darsi conto. Intensità del vincolo espropriativo. I giudici amministrativi friulani sono perfettamente consapevoli dell'illustrata analisi ed, infatti, dichiarano, principiando il loro esame, che la questione centrale del presente ricorso riguarda la natura del vincolo posto dall’articolo 16 delle norme tecniche di attuazione, introdotto con la variante numero 37 al piano regolatore approvata nel 2004, sulle aree private da adibire a parcheggio . Quindi, il problema è costituito dalla natura del vincolo in questione, il quale prevede, per i parcheggi a raso, una quantità massima di parcheggi privati nella misura del 30% della superficie, per cui la restante parte del 70% deve essere ceduta al Comune ovvero assoggettata a convenzione, con uso pubblico a rotazione. In merito, il Tar ritiene che il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli medesimi. Di conseguenza, si è in presenza di vincoli conformativi laddove i medesimi siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti . Viceversa, il vincolo incidente su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione . Il punto essenziale di differenziazione è costituito non una generale destinazione di zona, ma dalla localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata. In tal caso, il vincolo comprime in modo assolutamente intenso la proprietà privata e si pone come espropriativo, cioè preordinato alla futura espropriazione. Ovviamente, la natura del vincolo va rapportata alla fattispecie concreta ed al contesto ambientale. Esaminando la concreta situazione, il Tar non può che prendere atto che il terreno è sito in un Comune ad alta vocazione turistica, ove la disponibilità di aree da destinare a parcheggio per i clienti di strutture ricettive assume un particolare rilievo. Orbene, il Tar ritiene che il vincolo si presenti particolarmente gravoso per la proprietà, in quanto impone l’obbligo di cessione al Comune ovvero di convenzionamento del 70% dell’area di superficie. Tale obbligo dà luogo ad un'intensa compressione dei diritti dominicali, che non può non preludere ad un vincolo avente natura sostanzialmente espropriativa. Tra l'altro, i giudici amministrativi osservano anche che la società, che gestisce l'albergo, viene economicamente danneggiata ed in modo più che rilevante dall'obbligo di convenzionamento alternativo ed apparentemente meno intenso di quello di cessione , in quanto comporta la privazione, in pregiudizio della struttura alberghiera, di un servizio accessorio, ma imprescindibile per legge un posto auto per stanza e indispensabile per la stessa funzionalità della struttura. La necessità di ridimensionare l’albergo o di provvedere altrimenti implica una perdita economica per il proprietario non certo compensabile con i proventi del parcheggio convenzionato . Dunque, il vincolo in questione è espropriativo. Conseguentemente, il Tar accoglie il ricorso, in quanto il censurato vincolo, accertato appunto come espropriativo, deve considerarsi decaduto, essendo trascorso il quinquennio dalla sua apposizione.

TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, sentenza 4 – 5 agosto 2015, n. 381 Presidente/Estensore Zuballi La società ricorrente, proprietaria di un albergo, è altresì proprietaria nelle vicinanze di un’area utilizzata per il parcheggio delle autovetture dei clienti dell’albergo stesso, impugna sia l’ordinanza di demolizione delle opere eseguite in assenza di Scia sia la successiva ordinanza di annullamento in autotutela, nella parte in cui conferma la precedente ordinanza. Fa presente che il terreno adibito a parcheggio è sempre stato utilizzato come tale fin dai primi anni 80. I vincoli espropriativi sono decaduti nel 1991, come dichiara lo stesso comune. La società ricorrente destinava il terreno acquistato nel 1999 a parcheggio dei clienti dell’albergo. La variante adottata dal comune nell’anno 2000 confermava la destinazione del terreno a parcheggio privato. La successiva variante numero 37 del 2004 introduceva una norma che prevedeva in caso di parcheggio a raso una quota da convenzionare o cedere al Comune. La ricorrente osserva che tale norma riguarda le nuove realizzazioni, non i terreni la cui destinazione d’uso è sempre stata di parcheggio privato a servizio dell’albergo altrimenti si tratterebbe di un vincolo espropriativo già decaduto. Il Comune aveva sempre interpretato in tal senso la norma sia nell’autorizzazione al passo carraio sia nella revoca dell’ordine di demolizione cui era stato ottemperato. Inoltre nel 2006 la ricorrente presentava e otteneva una Dia per l’esecuzione di talune opere all’interno del parcheggio. Infatti, nel 2006 la Dia in sanatoria aveva sanato alcune opere riguardanti il parcheggio. Osserva poi come il secondo provvedimento in questa sede gravato, pur annullando la prima ordinanza per quanto riguarda l’ordine di demolizione della sbarra, ha ribadito il divieto di utilizzare l’area a parcheggio privato in assenza di una convenzione. La società ricorrente ritiene illegittimi gli atti gravati per i motivi di seguito riassunti. 1. Violazione del principio di irretroattività delle leggi di cui all’articolo 11 delle disposizioni sulle leggi in generale. Il terreno è sempre stato utilizzato come parcheggio privato laddove la nuova norma delle norme tecniche di attuazione non può che applicarsi per il futuro e non a un terreno privato da anni già utilizzato come parcheggio. 2. Contraddittorietà tra provvedimenti, in quanto il comune aveva dato affidamento alla società della possibilità di utilizzare il terreno come parcheggio privato. La concessione della Dia in sanatoria risulta invero contraddittoria con il provvedimento in questa sede impugnato. 3. Violazione degli articoli 3 e 11 della legge 241 del 90 le due ordinanze sono state emanate in assenza di alcuna attività di rilevanza urbanistica edilizia, mentre per una gestione convenzionata è necessario l’incontro tra la volontà comunale e quella del privato. Nel caso il comune non ha mai manifestato la volontà di giungere a tale convenzione. In ogni caso manca ogni motivazione sul punto. 4. Sviamento, difetto di motivazione e ulteriore violazione delle citate norme della legge 241, in quanto l’interesse pubblico alla convenzione non viene esplicitato. 5. Violazione dell’articolo 42 della Costituzione e dell’articolo 832 del codice civile e dell’articolo 3 della legge 241 del 90. Il divieto di utilizzo del terreno senza convenzione risulta lesivo del diritto di proprietà, in quanto il proprietario in assenza di convenzione può usare del terreno come meglio ritiene. 6. Violazione dell’articolo 3 della legge 241 del 90 e travisamento dei fatti. L’ordinanza del Comune risulta erronea perché lo stesso comune aveva stabilito che il vincolo a parcheggio pubblico era decaduto nel 1991. La seconda ordinanza poi non risulta motivata, in quanto non tiene conto dell’autorizzazione che il comune stesso aveva già rilasciato per alcune opere riguardanti il parcheggio. Resiste in giudizio l’amministrazione contestando l’intero ricorso. Il Collegio ritiene innanzitutto sussistenti i presupposti di legge per definire il giudizio nella presente sede cautelare con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 del c.p.a., come preannunciato alle parti nel corso della discussione. Il presente ricorso può essere accolto. La questione centrale del presente ricorso riguarda la natura del vincolo posto dall’articolo 16 delle norme tecniche di attuazione, introdotto con la variante numero 37 al piano regolatore approvata nel 2004, sulle aree private da adibire a parcheggio. Orbene, detto articolo 16 prevede per i parcheggi a raso una quantità massima di parcheggi privati nella misura del 30% della superficie, per cui la restante 70% deve essere ceduta al Comune ovvero assoggettata a convenzione, con uso pubblico a rotazione. Invero, il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica di contro il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione. Come è noto, infatti, per vincoli conformativi si intendono i vincoli che impongono una destinazione, anche di contenuto specifico, realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, tale da non richiedere necessariamente l’espropriazione dell’area e l’intervento ad esclusiva iniziativa pubblica tali vincoli, di conseguenza, restano al di fuori della schema ablatorio-espropriativo, non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio e non fanno sorgere un dovere di ritipizzazione. Al contrario il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione Cons. St., sez. IV, 22 novembre 2013 n. 5553 T.A.R. Pescara Abruzzo 09 dicembre 2014 n. 501 . Naturalmente la natura del vincolo va rapportata alla situazione concreta e al contesto ambientale. Nel caso si tratta di un comune ad alta vocazione turistica, con aree a parcheggio particolarmente limitate e talvolta poste necessariamente al servizio delle strutture ricettive, come nella fattispecie de qua. Nel caso in esame l’obbligo di cessione al comune ovvero di convenzionamento del 70% dell’area di superficie dei privati, oltre che la natura della convenzione che sostanzialmente adibisce ad uso pubblico l’area a parcheggio senza che il privato possa ricavarne un sostanziale vantaggio economico, induce a ritenere la natura sostanzialmente espropriativa del vincolo in questione. Va poi aggiunto che in concreto il privato gestore di un albergo viene economicamente danneggiato dall’obbligo di convenzionamento, perché nel caso priva la struttura alberghiera di un servizio accessorio ma imprescindibile per legge un posto auto per stanza e indispensabile per la stessa funzionalità della struttura alberghiera. La necessità di ridimensionare l’albergo o di provvedere altrimenti implica una perdita economica per il proprietario non certo compensabile con i proventi del parcheggio convenzionato. In sostanza, il vincolo è espropriativo nella parte riguardante il 70% della proprietà privata e inoltre nella parte che riguarda i parcheggi al servizio dell’attività imprenditoriale alberghiera, nella misura di un posto macchina per stanza. Ad avviso di questo collegio tale peculiare tipologia di vincolo non può essere considerata conformativa, in quanto sottrae in sostanza al privato la disponibilità del bene, che nel caso è utilizzato per inderogabili necessità della proprietà, cioè per il parcheggio dei clienti dell’albergo di proprietà, parcheggio previsto dalla normativa comunale nella misura di un posto auto per camera. Se tale è la natura del vincolo esso deve considerarsi decaduto, essendo trascorso il quinquennio dalla sua apposizione. Va poi osservato come emerge dalla documentazione in atti che, in data 23 marzo del 2006, epoca in cui l’intera proprietà non era divisa ed erano entrate già in vigore le disposizioni del piano regolatore, venne ordinato alle società la sospensione dei lavori di realizzazione di un parcheggio. In particolare si ordinò la rimozione del getto in cemento, che venne eliminato, per cui il Comune revocò l’ordine di demolizione. Ciò generò nell’odierna ricorrente la convinzione che la pavimentazione e i cordoli non necessitassero di concessione edilizia oltre che un evidente affidamento sulla legittimità del parcheggio privato a servizio dei clienti dell’albergo l’avviso del Comune sulla questione può sempre mutare, ma ciò richiede una puntuale motivazione, nel caso affatto mancante. Va poi aggiunto per completezza come le opere di cui l’ordinanza impugnata ordina la demolizione sono soggette a Scia, e in precedenza a Dia, per cui era consentito al comune ordinarne la demolizione ma non l’acquisizione alla sua proprietà. In ogni caso, l’ordine in questa sede impugnato ha come fondamento il presupposto dell’applicabilità del citato articolo 16 delle NTA presupposto che come visto non sussiste. Per tutte le citate ragioni il ricorso va accolto e i provvedimenti impugnati vanno annullati, anche se sussistono motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti, fermo restando l’obbligo per il Comune di rimborsare alla parte ricorrente il contributo unificato nella misura versata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come da motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.