Amministratori comunali mandati a casa e rimasti senza indennità

Fare il Sindaco in Calabria non è facile ma non c'è alcun diritto al risarcimento danno anche se il decreto di scioglimento del Consiglio comunale era illegittimo se non viene dimostrata la colpa, ovvero l'intento persecutorio da parte del Ministero dell'Interno e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Insomma, restare a casa per 18 mesi costa soprattutto quando oltre al danno per la perdita dell’indennità di Sindaco e delle indennità per le cariche che avrebbe potuto assumere, ci sono danni arrecati all’attività professionale, all’onore, alla reputazione, all’immagine, alla possibilità di carriera politica, alla vita familiare e alle relazioni sociali, nonché per sofferenze fisiche e psichiche. Ma non ci può essere alcun risarcimento se non viene provato il danno subito. Questo è quanto emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 748, depositata il 12 febbraio 2015. Il fatto di dieci anni fa tutto a causa di un impianto di biomassa. Lo scioglimento del Consiglio comunale ai sensi dell'art. 143 d.lgs. n. 267/2000 rappresenta la risultante di una valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dalla accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall'altro, dalle precarie condizioni di funzionalità dell'ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero di una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica. Entro questi estremi si muove l’ampia potestà di apprezzamento dell’amministrazione Ministero dell'Interno e l’atto nel quale essa trova concreta espressione può essere assoggettato al vaglio giurisdizionale, come è regola generale nel giudizio di legittimità, in presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale nonché in ipotesi di carenza di completezza della motivazione e dell’istruttoria, nonché di difetto di logicità della ponderazione e valutazione amministrativa. Nel caso specifico, tuttavia, il Consiglio di Stato aveva dichiarato l'illegittimità del decreto di scioglimento del Consiglio comunale, rilevando che le conclusioni alle quali era pervenuta l'amministrazione si presentavano per certi versi assiomatiche o assertive, nel senso che la somma dell’accertamento della presenza sul territorio di una criminalità organizzata, naturalmente e notoriamente incline ad esercitare un condizionamento sull’amministrazione locale, in uno ad altri elementi, di non univoca significanza, sembra aver indotto l’automatica conclusione della necessità della misura dello scioglimento degli organi elettivi. Ma non sempre uno più uno fa due. Diritto d'onore. Ma il sindaco che è rimasto, forzatamente, a casa non è rimasto soddisfatto nell'aver visto accolte le proprie rimostranze e si è rivolto al giudice per ottenere ristoro, ovvero prospettando il petitum del risarcimento dei danni di varia natura a suo dire patiti, e provati, a causa dello scioglimento per 18 mesi, ai sensi dell’art. 143 del d. lgs. n. 267/2000, del Consiglio comunale. L’interessato ha sostenuto che sussisterebbero tutti i presupposti in proposito, e cioè il nesso di causalità tra il provvedimento repressivo poi annullato e i danni lamentati, e soprattutto la accertata, e a suo dire non contestata, colpa della Amministrazione, come si evincerebbe dalla stessa sentenza e dal comportamento dell’Amministrazione che avrebbe omesso di valutare per di più elementi e fatti emergenti dalle indicazioni in sede penale e la memoria a suo tempo prodotta alla fine dei lavori della Commissione nominata per l’accesso. A giudizio della Sezione, è indubbio che l’interessato, a giustificazione della pretesa risarcitoria, ha posto in essere un tentativo volto a forzare” il contenuto della sentenza n. 5878 per far affermare al Consiglio, già in quella sede, la sussistenza della colpa dell’Amministrazione ad ulteriore sostegno dell’illegittimità del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale, di per sé insufficiente a tal fine. Ma la Sezione condivide le argomentazioni già svolte dal giudice di prime cure che ha già delineato le caratteristiche di quel provvedimento, conclusivo di un procedimento così complesso e articolato e basato su valutazioni altamente discrezionali di elementi e fatti anche avulsi da singoli addebiti personali o da risultanze e indagini penali, talvolta non univoci ma che nel loro insieme avevano evidenziato, per il loro valore indiziario, un plausibile quadro sintomatico, nella realtà contingente del momento, della infiltrazione mafiosa e dell’assoggettamento/condizionamento dell’amministrazione comunale, come emerge da un controllo di natura preventiva e che giustifica un intervento rapido e deciso. Ebbene, precisa la sentenza del Giudice di appello, è indubbia l’insussistenza della colpa dell’Amministrazione, il cui comportamento doveva essere valutato nella contingenza e nella doverosità di sovvenire a esigenze di celerità, quindi al momento dell’emanazione del provvedimento, e non erano emersi elementi che potessero denotare mala fede o gravi irregolarità o riprovevoli o poco commendevoli mancanze né un manifesto intendimento volto a nuocere” l’interessato, posto che il provvedimento non intendeva reprimere la posizione dei singoli ma a salvaguardare la P.A., e che lo stesso, è bene ricordarlo, è stato sottoposto a un contenzioso lungo che ha riportato la sanzione della sua legittimità in primo grado. L’assenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, affermata dal T.A.R. e confermata dal Consiglio di Stato, per la valenza pregiudiziale ha consentito al T.A.R. di non soffermarsi sulla sussistenza e quantificazione dei danni lamentati, purtuttavia la Sezione, per completezza di trattazione, ha ritenuto di precisare, sulla base della loro prospettazione e degli atti, che gli stessi siano stati meramente indicati in modo assertivo e tautologico riferendosi a situazioni non provate con dati certi, concreti e analitici ovvero presunte in generale e potenziali sul piano della probabilità/possibilità, non riscontrabili ma solo temute”, a prescindere in qualche modo dalla voce indennità di carica” che comunque era connessa alla effettiva permanenza nelle funzioni di Sindaco.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 29 gennaio – 12 febbraio 2015, n. 748 Presidente Lignani – Estensore Stelo Fatto e diritto Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Roma – Sezione I, con sentenza n. 6012 del 5 giugno 2013 depositata il 17 giugno 2013, ha respinto, con compensazione delle spese, il ricorso proposto dal signor Amedeo Codispoti volto alla condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni subiti a causa dello scioglimento per 18 mesi del Consiglio comunale di Strongoli Crotone , ai sensi dell’art. 143 del D. Lgs. n. 267/2000, con D.P.R. 3 settembre 2003, ritenuto illegittimo dalla V Sezione di questo Consiglio con sentenza n. 5878/2005 che ha riformato la sentenza del T.A.R. Calabria n. 980/2004. Il Tribunale, dopo aver respinto le eccezioni di tardività della memoria dell’Avvocatura dello Stato, in quanto depositata nei termini ai sensi degli artt. 30 e 73, comma 1, c.p.a., ha ritenuto che nella fattispecie non sussistesse l’elemento soggettivo della colpa dell’Amministrazione ex art. 2043 c.c., soffermandosi sulla natura, sui contenuti, sugli elementi e sui fatti a supporto del provvedimento impugnato, sull’ampiezza e complessità del materiale raccolto in istruttoria e sulla valutazione complessiva dell’Amministrazione, cui l’ordinamento ha attribuito ampia discrezionalità in materia. Soggiunge che il T.A.R. Calabria peraltro aveva già confermato la legittimità dell’istruttoria in primo grado, mentre la IV Sezione, con la citata sentenza n. 5878/2005, aveva avuto modo di disattendere la censura, qui riprodotta, circa il mancato apprezzamento da parte dell’Amministrazione degli elementi di cui alla memoria endoprocedimentale predisposta dal ricorrente a conclusione delle indagini della Commissione straordinaria di accesso, atteso che la misura dello scioglimento esige interventi rapidi e decisi. 2. L’interessato, con atto notificato il 26 agosto 2013 e depositato il giorno successivo, ha interposto appello riproducendo sostanzialmente i motivi di primo grado. In via pregiudiziale riproduce l’eccezione di tardività della memoria dell’Amministrazione in data 2 maggio 2013 e censura l’omessa pronuncia del T.A.R. sulla dedotta applicabilità nella fattispecie dell’art. 115 c.p.comma e ora dell’art. 64, comma 2, c.p.a., secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite”. L’Amministrazione avrebbe sollevato, con la predetta memoria, eccezioni non formulate nell’atto di costituzione in giudizio e in ogni caso non avrebbe replicato, anche successivamente, in ordine ai fatti addotti dal ricorrente e accertati dal Consiglio di Stato né ha prospettato l’ipotesi di un errore scusabile ma si è affidata solo ad un breve cenno alla complessità del materiale istruttorio e alla mancata dimostrazione della colpa. Il T.A.R., quindi, avrebbe dovuto dare per accertati in via definitiva i profili di colpa grave dell’Amministrazione dedotti dal ricorrente e per l’appunto non contestati. Quanto al merito eccepisce il travisamento dei fatti, l’erronea, contraddittoria, illogica e insufficiente motivazione e la violazione del giudicato che avrebbe chiarito le varie manchevolezze e carenze commesse dall’Amministrazione e quindi la colpa ex art. 2043 c.c Insiste nella quantificazione del danno per la perdita dell’indennità di Sindaco e delle indennità per le cariche che avrebbe potuto assumere, nonché dei danni arrecati all’attività professionale, all’onore, alla reputazione, all’immagine, alla possibilità di carriera politica, alla vita familiare e alle relazioni sociali, nonché per sofferenze fisiche e psichiche. Con memorie depositate il 20 dicembre 2014 e l’8 gennaio 2015 ribadisce i motivi dell’appello insistendo per la tardività delle difese dell’Amministrazione in primo grado e sulla prova concreta dei danni sofferti e verificatisi con lo scioglimento, tutti previsti dall’ordinamento e che non avrebbero a suo tempo richiesto, ai fini del 2° comma dell’art. 1227 dedotto dall’Amministrazione, la tutela cautelare nei confronti del provvedimento dissolutorio e della sentenza appellata peraltro sono state sollevate eccezioni inammissibili perché non riprodotte nella memoria meramente formale di costituzione in giudizio e quindi da intendersi rinunciate. 3. La Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno si sono costituiti con mero atto formale dell’Avvocatura generale dello Stato depositato il 6 settembre 2013 e con memoria depositata il 7 dicembre 2014, nel rinnovare la costituzione, hanno replicato ai motivi dell’appello a sostegno della sentenza impugnata e delle argomentazioni svolte con la stessa. Ribadiscono la portata dell’art. 1227 c.comma e dell’Adunanza Plenaria n. 3/2011 cfr. anche VI, n. 4310/2013 riguardo alla condotta non diligente dell’interessato, l’assenza assoluta di colpa in capo alla Amministrazione e la mancata prova ex art. 2697 c.comma del tipo e dell’entità dei danni lamentati, in modo generico e assertivo, ma asseritamente non subiti, contestando l’ammissibilità dei danni patrimoniali, quindi, del danno morale, che presuppone un illecito/reato, e del danno esistenziale, pressoché assente nell’ordinamento, e sottolineando che i fatti oggetto dello scioglimento non facevano riferimento alla persona del ricorrente. Richiamano il termine ordinario di 60 gg., di cui all’art. 46, comma 1, c.p.a., che consente, entro 60 gg. dalla notificazione del ricorso, di costituirsi e presentare memorie per affermare la tempestività dell’intervento dell’Amministrazione, che ha replicato comunque alle censure di primo grado riferite essenzialmente a illustrare i danni asseritamente subiti e a riportare parte della motivazione di cui alla sentenza di questo Consiglio n. 5878 relativamente alla mancata valutazione delle successive favorevoli risultanze delle investigazioni penali e alla rilevanza invece data ad altri fatti. 4. La causa, all’udienza pubblica del 29 gennaio 2015, è stata trattenuta in decisione. 5. L’appello è infondato e la sentenza impugnata merita conferma. 6.1. Occorre, ai fini del decidere, individuare e circoscrivere il thema decidendum oggetto del contenzioso all’esame del Collegio e che, secondo la prospettazione dell’interessato, ha quale petitum il risarcimento dei danni di varia natura a suo dire patiti, e provati, a causa dello scioglimento per 18 mesi, ai sensi dell’art. 143 del D. Lgs. n. 267/2000, del Consiglio comunale di Strongoli Crotone e quale Sindaco pro-tempore, e che l’annullamento del provvedimento con il D.P.R. 3 settembre 2003, disposto dalla IV Sezione di questo Consiglio con la ridetta sentenza n. 5878/2005, non avrebbe ristorato del tutto. L’interessato sostiene che sussisterebbero tutti i presupposti in proposito, e cioè il nesso di causalità tra il provvedimento repressivo poi annullato e i danni lamentati, e soprattutto la accertata, e a suo dire non contestata, colpa della Amministrazione, come si evincerebbe dalla stessa sentenza e dal comportamento dell’Amministrazione che avrebbe omesso di valutare per di più elementi e fatti emergenti dalle indicazioni in sede penale e la memoria a suo tempo prodotta alla fine dei lavori della Commissione nominata per l’accesso. 6.2. In via preliminare va disattesa l’eccezione di tardività delle difese svolte in primo grado dall’Amministrazione essendo stato correttamente applicato, come sottolineato dal T.A.R. al capo 2 della sentenza impugnata, il termine di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., e, si soggiunge, anche quello, ordinatorio ex art. 46, comma 1. Ciò vale anche per la dedotta inammissibilità delle eccezioni sollevate con memoria dell’Avvocatura cfr. anche Ad. Plen. n. 5/2013 con riguardo all’art. 1227 c.comma e a supposte carenze istruttorie, depositata nel presente giudizio il 27 dicembre 2015 in vista dell’udienza pubblica odierna del 29 gennaio 2015 né ha pregio il richiamo agli artt. 115 c.comma e 64 c.p.a. sia per la riconosciuta tempestività delle memorie sia perché il giudice ha deciso e decide sulla vertenza in senso oggettivo sulla base della documentazione comunque già in atti e in relazione ai motivi dedotti con il ricorso. D’altra parte l’Amministrazione ha inteso essenzialmente replicare alle censure volte sostanzialmente al conseguimento del risarcimento dei danni lamentati ed anche la mera costituzione formale non avrebbe esentato il giudice dal valutare la fattispecie in ogni suo aspetto come per l’appunto rappresentata dall’appellante. Per di più può prescindersi anche dalla dedotta condotta processuale dell’appellante e dalle asserite carenze probatorie, posta l’oggettiva infondatezza del gravame. 6.3. Orbene, è indubbio che l’interessato, a giustificazione della pretesa risarcitoria, pone in essere un tentativo volto a forzare” il contenuto della ridetta sentenza n. 5878 per far affermare a questo Consiglio, già in quella sede, la sussistenza della colpa dell’Amministrazione ad ulteriore sostegno dell’illegittimità del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale, di per sé insufficiente a tal fine. La Sezione condivide le argomentazioni già svolte dal giudice di prime cure che ha già delineato le caratteristiche di quel provvedimento, conclusivo di un procedimento così complesso e articolato e basato su valutazioni altamente discrezionali di elementi e fatti anche avulsi da singoli addebiti personali o da risultanze e indagini penali, talvolta non univoci ma che nel loro insieme evidenziano, per il loro valore indiziario, un plausibile quadro sintomatico, nella realtà contingente del momento, della infiltrazione mafiosa e dell’assoggettamento/condizionamento dell’amministrazione comunale, come emerge da un controllo di natura preventiva e che giustifica un intervento rapido e deciso. Né ha pregio, come sottolineato dal T.A.R., la censura circa l’omessa considerazione della memoria prodotta dall’interessato il 2 maggio 2013 al termine degli accertamenti da parte della Commissione prefettizia d’accesso, che ben avrebbe potuto riscontrarla ma che evidentemente non è stata ritenuta, con scelta discrezionale, rilevante nel contesto già delineato, data anche la necessità e l’urgenza di chiudere il procedimento. Ebbene, è indubbia l’insussistenza della colpa dell’Amministrazione, il cui comportamento deve essere valutato nella contingenza e nella doverosità di sovvenire a esigenze di celerità, quindi al momento dell’emanazione del provvedimento, e non emergono elementi che denotino mala fede o gravi irregolarità o riprovevoli o poco commendevoli mancanze né un manifesto intendimento volto a nuocere” l’interessato, posto che il provvedimento non intende reprimere la posizione dei singoli ma a salvaguardare la P.A., e che lo stesso, è bene ricordarlo, è stato sottoposto a un contenzioso lungo che ha riportato la sanzione della sua legittimità in primo grado. Né al giudice è dato trarre né si rinvengono peraltro elementi di colpa nel contenuto della predetta sentenza di questo Consesso, che ha svolto solo argomentazioni a sostegno dell’illegittimità dell’intervento repressivo e della non corretta lettura dei fatti, mentre l’appellante induce anche a rimettere in discussione e a rivalutare a favore della sua pretesa parti di quel contenuto con operazione non ammissibile in questa sede. L’assenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, affermata dal T.A.R. e confermata in questa sede, per la valenza pregiudiziale ha consentito al T.A.R. di non soffermarsi sulla sussistenza e quantificazione dei danni lamentati, purtuttavia la Sezione, per completezza di trattazione, ritiene di soggiungere, sulla base della loro prospettazione e degli atti, che gli stessi siano stati meramente indicati in modo assertivo e tautologico riferendosi a situazioni non provate con dati certi, concreti e analitici ovvero presunte in generale e potenziali sul piano della probabilità/possibilità, non riscontrabili ma solo temute”, a prescindere in qualche modo dalla voce indennità di carica” che comunque era connessa alla effettiva permanenza nelle funzioni di Sindaco. 7. Per le considerazioni che precedono l’appello va respinto e la sentenza va confermata. Tenuto conto del tempo trascorso e della complessità del caso si ritiene di disporre la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata. Spese del grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.