“Niente controllo della borsa? Niente accesso all’aula penale!”: legittimo l’altolà al sostituto difensore che non ha rispettato le disposizioni anti attentato del PG

Analizza i poteri del PG quale responsabile della sicurezza interna degli edifici adibiti ai servizi di giustizia, ma sottende anche palesi aspetti deontologici. Infatti nell’ambito del processo penale contro la Mala del Brenta aveva subordinato l’accesso all’aula al controllo esclusivamente delle borse e dei bagagli dei difensori e non anche quelli del personale, delle forze dell’ordine, dei magistrati etc. coinvolti in questo giudizio, perché aveva ricevuto serie minacce di attentati. Il sostituto difensore, secondo le chiare direttive del dominus, ha rifiutato di sottoporvisi, non potendo così patrocinare in udienza non hanno scusanti, perché non è stata lesa la loro dignità, anche professionale, piuttosto sono venuti meno ai loro doveri di difesa non potendo invocare un valido impedimento.

È quanto affermato in questa singolare sentenza del Tar Veneto sez. I numero 1464 depositata il 2 dicembre 2014. Il caso. Un notissimo penalista, difensore di uno degli imputati in questo processo celebrato in un’aula bunker del Tribunale di Venezia, non potendo presiedere all’udienza del 22 novembre 2005 nominava ai sensi dell’articolo 102 c.p.p. un sostituto che, però, non aveva ugualmente potuto presiedervi essendogli stato negato l’accesso. Infatti non ha potuto svolgere il suo ministero, perché, anche secondo le istruzioni avute dal dominus , si era rifiutato di sottoporsi al controllo delle borse e dei bagagli recati per l’udienza dai difensori, mediante collocamento nel nastro di controllo” e apertura degli stessi in caso di allarme della macchina” , ordinato dal PG con i provvedimenti del 9 e 15 novembre 2005 e del 1° dicembre 2005 per gravi motivi di sicurezza. Il ricorso contro gli stessi, promosso dal dominus per una presunta violazione dell’artt. 17 r.d.l. numero 1578/1933 e 2 del decreto del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Interno del 28 ottobre 1993 è stato respinto non è stata lesa la dignità del legale e la condotta del PG rientrava nei suoi poteri di responsabile della sicurezza interna degli edifici adibiti a servizi di giustizia . Il ricorrente, perciò, dovrà pagare le spese di lite. La sicurezza prevale su ogni altro interesse. Tutte le doglianze sono state rigettate perché queste misure erano state adottate per specifiche e concrete notizie di possibili attentati, fatte pervenire dalla Questura di Venezia ed erano rivolte nei confronti dei difensori perché dovevano accedere all’aula per l’espletamento delle loro funzioni. Da un lato tali provvedimenti, per questo motivo, non erano estensibili alle altre categorie che partecipavano al processo forze dell’ordine, cancellieri, giudici etc. e dall’altro si voleva evitare, tramite detti controlli all’ingresso dell’aula, che potessero essere introdotti anche inavvertitamente strumenti atti ad offendere . Non è lesa la dignità del legale! In primis i controlli erano effettuati sulle borse e, quindi, non sulla persona del legale. Erano, poi, ampiamente giustificati da queste esigenze di sicurezza. L’urgenza e la peculiarità del processo penale scriminano l’articolo 2 d.m. del 28 ottobre 1993. L’eccezionalità di questo giudizio per il numero d’imputati e la gravità dei reati contesati e le menzionate minacce concretano l’elemento di assoluta urgenza che, a tenore della medesima disposizione regolamentare, abilitavano il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ad adottare tutti provvedimenti necessari ad assicurare la sicurezza interna delle strutture in cui si svolgeva l’attività giudiziaria, senza la necessaria previa acquisizione dei pareri del Prefetto e dei capi degli uffici giudiziari interessati . Non è messa in dubbio, quindi, né la specchiatissima condotta del legale, né la sua moralità, ma sono semplicemente imposte nuove regole per proteggere l’incolumità sua e di tutti coloro che frequentavano il tribunale. Il difensore non può, dunque, invocare un legittimo impedimento. Possibili aspetti deontologici. Pur non essendo specificatamente analizzati, a mio modesto parere, è bene rimarcare come la lite presenti indubbi risvolti deontologici non solo attiene ai rapporti tra magistrati ed avvocati, ma il dominus ed il sostituto sono venuti meno ai loro doveri di difesa, mettendosi nelle condizioni di non poter svolgere il loro ministero, perché hanno rifiutato i controlli per una questione di principio evitabile con una migliore collaborazione.

TAR Veneto, sez. I, sentenza 1 ottobre – 2 dicembre 2014, n. 1464 Presidente Amoroso – Estensore Coppari Fatto e diritto 1. Con ricorso ritualmente notificato, l’avv. P. Longo ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti datati 9 e 15 novembre 2005 e 1 dicembre 2005 del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia – nella sua qualità di responsabile della sicurezza interna degli edifici adibiti a servizi di giustizia” –, con cui è stato disposto il previo necessario controllo delle borse e dei bagagli recati per l’udienza dai difensori, mediante collocamento nel nastro di controllo” e apertura degli stessi in caso di allarme della macchina”. 2. Premesso di essere difensore di un imputato il cui processo penale era pendente dinanzi al Tribunale di Venezia e di aver incaricato un sostituto per un’udienza in cui doveva tenersi il processo in questione, il ricorrente lamenta che, il giorno 22 novembre 2005, il sostituto così nominato non ha potuto svolgere la funzione di difensore, perché gli è stato impedito di accedere all’aula d’udienza, non avendo lo stesso accettato, anche secondo le istruzioni avute dal ricorrente, di sottoporsi al controllo della borsa che recava con sé ai fini dello svolgimento del proprio ministero” cfr. atto di ricorso, p. 2 . 3. Secondo il ricorrente i provvedimenti citati risulterebbero viziati da eccesso di potere sotto il profilo dell’incongruenza e dell’illogicità e violazione dell’articolo 17 del RDL n. 1578/1933, nonché da violazione dell’articolo 2 del decreto del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Interno 28 ottobre 1993. 3.1. Da un lato, infatti, lederebbero la dignità di avvocato”, in quanto disposti nei confronti solo di questi ultimi, relativamente ai quali dovrebbe invece presumersi il rispetto della moralità e delle regole di prudenza, considerato che la legge impone che siano di condotta specchiatissima”. 3.2. Dall’altro, sarebbero stati adottati senza la previa acquisizione dei pareri obbligatori del Prefetto e dei capi degli uffici giudiziari interessati così come prescritto dall’articolo 2 del decreto del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Interno 28 ottobre 1993. 4. Il ricorso è infondato. 4.1. Tutti i provvedimenti impugnati sono stati adottati dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia in occasione della celebrazione, presso l’Aula Bunker di Mestre, del procedimento penale a carico di 142 esponenti dell’organizzazione criminale denominata Mala del Brenta”. Il Procuratore Generale ha evidenziato che le misure adottate sarebbero state motivate non da una generica esigenza di sicurezza”, ma da specifiche e concrete notizie di possibili attentati, fatte pervenire dalla Questura di Venezia” cfr. provvedimento di conferma delle misure adottate, datato 1 dicembre 2005 . 4.2. Scopo delle disposizioni impugnate era, dunque, quello di evitare, dato l’alto numero degli avvocati che dovevano poter accedere all’aula bunker, che potessero essere introdotti anche inavvertitamente strumenti atti ad offendere, mediante un controllo delle relative borse all’ingresso dell’aula. 4.3. Il fatto che tali misure fossero dirette esclusivamente nei confronti degli avvocati non risulta né discriminatorio né sproporzionato rispetto al bene tutelato. 4.3.1 Ed invero, i controlli riguardavano solo le borse dei bagagli dei difensori, essendo così esclusa qualsiasi forma di controllo personale. 4.3.2. Inoltre, si trattava di misure oggettivamente non estensibili agli altri soggetti che dovevano accedere all’aula di giustizia per l’espletamento delle loro funzioni, quali ad esempio, i magistrati, le forze dell’ordine, i collaboratori di cancelleria, e gli addetti al servizio di vigilanza, trattandosi di soggetti già identificati e tenuti ordinariamente a non introdurre strumenti atti ad offendere nel luogo di lavoro, salvo che ciò non fosse indispensabile per l’espletamento del proprio compito o per ragioni di sicurezza personale previamente autorizzate. 4.4. Gli atti impugnati risultano, pertanto, emanati nell’interesse della sicurezza generale e dell’ordinato svolgimento delle udienze a vantaggio anche degli stessi avvocati, rispetto ai quali deve escludersi qualsiasi profilo discriminatorio. 4.5. In secondo luogo, quanto alla pretesa violazione dell’articolo 2 del decreto interministeriale citato, deve ritenersi che, tenuto conto dell’eccezionalità del processo penale in questione per numero di imputati e gravità dei reati contestati , nonché dei tempi ristretti di azione rispetto alle obiettive ragioni di pericolo denunciate dalla Questura, ricorressero senz’altro quelle ragioni di assoluta urgenza che, a tenore della medesima disposizione regolamentare, abilitavano il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ad adottare tutti provvedimenti necessari ad assicurare la sicurezza interna delle strutture in cui si svolgeva l’attività giudiziaria, senza la necessaria previa acquisizione dei pareri del Prefetto e dei capi degli uffici giudiziari interessati. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere quindi rigettato sotto tutti i profili sollevati. 6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessive € 500,00 euro cinquecento/00 oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.