Fumo: la tutela della salute, innanzitutto

La più recente disciplina in materia di libertà di iniziativa economica non attiene alla vendita dei generi di monopolio. Con la conseguenza che i principi della libera concorrenza e le recenti novità legislative con finalità liberalizzatrice delle attività economiche art. 3, comma 7, d.l. n. 138/2011 art. 34, comma 3, d.l. n. 201/2011 , non sono estensibili alla vendita dei tabacchi.

E’ quanto ha affermato il Consiglio di Stato, sez. IV, con la decisione n. 4811, depositata il 25 settembre 2014, in relazione al fatto che le rivendite di tabacchi non possono qualificarsi imprese equiparabili a tutti gli effetti alle altre attività economiche suscettibili della più ampia liberalizzazione, considerando che si tratta pur sempre di esercizi che cooperano all’espletamento di un servizio pubblico, che coinvolge interessi sensibili della collettività, come il diritto alla salute. Interessi contrapposti. Se ne trae conferma, secondo il Collegio, dalle premesse del d.m. n. 38/2013, nelle quali, pur tenuto presente il principio della libera concorrenza, si ravvisa l’esigenza di realizzare una diffusione delle rivendite sul territorio che, lungi dal perseguire il massimo incremento dei ricavi del venditore, e dello stesso gettito fiscale, preservi un controllato equilibrio tra l’offerta e la domanda effettiva del consumatore. Vi si legge infatti Considerata altresì la necessità di contemperare l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita adeguatamente dislocata sul territorio con l'interesse pubblico della tutela della salute, consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico che non sia giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi e che sia, invece, tendente ad incentivarla oltre la sua naturale quantificazione ed ancora che va valutato che la razionalizzazione della rete di vendita, consistente tra l'altro nell'indicazione ed applicazione di criteri volti a disciplinare l'ubicazione dei punti vendita, previene ed esclude il possibile sovradimensionamento ingiustificato della rete di vendita e, conseguentemente, costituisce strumento necessario al fine di non alterare l'offerta di tabacchi in misura non corrispondente all'entità della stessa . Il parere del Garante antitrust. Relativamente a tale questione, peraltro, circa un anno fa, il 21 giugno 2013, l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato aveva segnalato ai Presidenti del Senato, della Camera dei Deputati, del Consiglio dei Ministri e allo stesso Ministro dell’Economia e delle Finanze, la necessità di rivedere, complessivamente, la normativa che regola la vendita di tabacchi. L'intervento dell'Antitrust aveva fatto seguito alla modifica alla disciplina introdotta dall'art. 24, comma 42, d.l. n. 98/2011 e in particolare dal d.m. n. 38/2013 sulla distribuzione e vendita dei prodotti da fumo, il cui testo non era stato trasmesso prima dell'adozione all'Autorità per rendere parere obbligatorio in merito al rispetto del principio di proporzionalità. La previsione di distanze minime tra i rivenditori e l'individuazione di criteri di produttività minima delle rivendite esistenti per l'apertura di nuove, secondo il Garante, si pongono in palese contrasto con l'art. 34 del medesimo decreto Salva Italia . Tutela della salute. In particolare, con riferimento alle questioni connesse alla tutela della salute che, in base alla normativa, dovrebbe giustificare le limitazioni poste, per l'Autorità sono sufficienti le campagne di informazione sui rischi per la salute derivanti dal tabagismo e i divieti di fumare in un'ampia tipologia di luoghi. In ogni caso, sottolinea la nota pubblicata sul bollettino n. 25 del 1° luglio 2013, del tutto ingiustificata con riferimento alla tutela della salute è la previsione contenuta nell'art. 23 della legge n. 1293/1957, ancora oggi in vigore, in forza della quale i titolari dei patentini sono tenuti ad acquistare i tabacchi per la rivendita esclusivamente dai rivenditori ordinari. Ciò in quanto si tratta di norma idonea ad incidere negativamente sugli utili generati dai titolari dei patentini, , senza essere al contempo legata ad esigenze di protezione della salute pubblica . In sostanza, secondo l'Antitrust, devono essere abolite le distanze minime, le valutazioni di produttività degli esercizi, le discriminazioni fra operatori in ragione del titolo di esercizio dell'attività e, più in generale, tutte le forme di programmazione della struttura dell'offerta .

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 24 giugno – 25 settembre 2014, numero 4811 Presidente Zaccardi – Estensore Branca Fatto Con la sentenza in epigrafe è stato accolto il ricorso del sig. Gabriele Ria, titolare della rivendita ordinaria di tabacchi e ricevitoria lotto numero 1 nel Comune di Parabita Le , per l’annullamento del rigetto, emesso dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli – Direzione Regionale della Puglia, dell’istanza di autorizzazione al trasferimento della predetta rivendita. Il TAR ha ritenuto che l’Amministrazione abbia fatto uso errato del proprio potere, non tenendo in adeguato conto che a nella specie non poteva trattarsi di un trasferimento fuori zona b una distanza da altra rivendita, inferiore a quella consentita dalla normativa, non costituisce un ostacolo insuperabile c non si è motivato sul dissenso dal parere espresso dalla Guardia di Finanza, favorevole alla legittimità del trasferimento. L’Amministrazione ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza per i motivi che saranno specificati appresso. Si è costituito in giudizio, ed ha depositato memoria, il sig. Gabriele Ria chiedendo il rigetto del gravame. Si è costituita in giudizio la signora Anna Rita Giuffreda, titolare della rivendita numero 3 nel medesimo Comune di Parabita, sostenendo con memoria la fondatezza dell’appello e chiedendo la riforma della sentenza. Alla pubblica udienza del 24 giugno 2014 la causa veniva trattenuta in decisione. Diritto 1.1.L’Amministrazione appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui, nell’annullare il diniego alla domanda di trasferimento di una rivendita ordinaria, ne afferma l’illegittimità per la circostanza che non vengono esternate le ragioni per cui un trasferimento di soli 371 metri viene qualificato come trasferimento fuori zona” ai sensi della circolare 04/63406 del 25 settembre 2001, non essendo evidenti i motivi di ritenere che il suddetto trasferimento comporti un netto spostamento dell'area territoriale di influenza commerciale della rivendita stessa, con forte incidenza o scavalcamento di quella di pertinenza di altri esercizi”, trattandosi di spostamento di entità limitata nell’ambito stesso Comune di Parabita.”. Secondo l’appellante uno spostamento di 371 metri tra la sede originaria e quella richiesta non potrebbe considerarsi di entità limitata in un piccolo Comune come è Parabita, e, inoltre, il trasferimento richiesto avrebbe determinato un marcato avvicinamento della trasferenda rivendita numero 1 alla rivendita numero 3, con evidente incidenza sul flusso clientelare della seconda, distanziandosi di soli 150 metri da quest’ultima, mentre la distanza minima consentita dalla circolare citata è di metri 200. Si aggiunge che le Circolari dell’AAMS, pur non dettando norme rango primario o secondario, sono le fonti autorizzate dall’art. 8, u.c., del Regolamento emanato con il d.P.R. 1074 del 1958 a disciplinare la materia dei trasferimenti delle rivendite e quindi costituiscono regole idonee a fondare la legittimità dei provvedimenti emessi in osservanza delle medesime, salva la violazione di principi stabiliti dalla normativa sovraordinata. 1.2. Alle tesi dell’appellante si contrappone, da parte dell’esercente appellato, che il criterio dalla distanza non è contenuto né nelle disposizioni di cui alla legge numero 1293 del 1957, né in quelle del regolamento di esecuzione di cui al d.P.R. numero 1074 del 1958, per cui le direttive impartite dall’AAMS non potrebbero fondare la distinzione tra trasferimenti in zona e trasferimenti fuori zona sulla base di distanze determinate. Alla Circolari, inoltre, andrebbe riconosciuta la semplice natura di atto interno all’amministrazione, capace di vincolare l’operato degli organi, ma non quello di comprimere le posizione soggettive fondate sulle fonti di rango primario e secondario. Si allegano numerose pronunce giurisdizionali con le quali il mancato rispetto delle distanze tra le rivendite è stato ritenuto legittimo. 2. Ritiene il Collegio che la censura mossa dall’Amministrazione al riferito passaggio motivazionale della sentenza sia fondata. Va subito precisato che la giurisprudenza della Sezione citata dall’appellato non appare conferente nella presente fattispecie, riferendosi a vertenze relative alla mancata autorizzazione di rivendite speciali per mancato rispetto di distanze, in contrasto con puntuali principi derogatori imposti dalla legge. Con riguardo alla fattispecie in esame, invece, le disposizioni della Circolare numero 04/63406 del 25 settembre 2001, applicabile nella fattispecie, risultano sufficientemente comprensibili e non sembrano confliggere con alcun dettame legislativo. Occorre considerare correttamente, nella normativa dettata dalla Circolare, il ruolo che assume la prescrizione sulla distanza rispetto alla distinzione tra trasferimenti in zona e fuori zona. Il Titolo III, dedicato al Trasferimento delle Rivendite Ordinarie, dispone Il trasferimento delle rivendite può essere fuori zona o in zona a seconda del mutamento o meno dell'area di influenza commerciale della rivendita. Il trasferimento è, pertanto, da intendersi fuori zona quando, anche se di entità limitata, comporti un netto spostamento dell'area territoriale di influenza commerciale della rivendita stessa, con forte incidenza o scavalcamento di quella di pertinenza di altri esercizi.”. La disposizione pone chiaramente l’accento sul mutamento dell’area di influenza commerciale, e collega a tale elemento la distinzione tra trasferimenti in zona”, che non creano mutamento dell’area di influenza commerciale, e trasferimenti fuori zona”, che, invece, provocano una modificazione dell’area in questione. La norma inoltre avverte che tale mutamento può avverarsi anche in caso di trasferimento di entità limitata, cosicché, contrariamente a quanto affermato dai primi giudici, il trasferimento dovrebbe qualificarsi fuori zona” anche se lo spostamento potesse ritenersi di entità modesta, ma recante incidenza sull’area commerciale di altra rivendita. Potrebbe ritenersi, a prima vista, che la circolare non indichi il criterio per stabilire che uno spostamento provoca incidenza sull’area commerciale di altra rivendita, e che sia lasciata all’Amministrazione di accertare, volta per volta, in assoluta discrezionalità, quando sussista la circostanza in questione ma non è così, perché è la stessa Circolare a dettare il parametro che funge da elemento distintivo. La disposizione di cui alla lettera D del Titolo III, dedicato al trasferimento in zona”, ossia al trasferimento che non provoca modificazione dell’area di incidenza commerciale, recita come segue Se si tratta del trasferimento di una rivendita posta a distanza regolamentare dalle congeneri più vicine, lo spostamento non potrà essere comunque autorizzato qualora si infranga, anche nei confronti di un solo esercizio, la distanza minima regolamentare ”. Se ne deve dedurre, quindi, che il trasferimento che infrangesse la distanza minima regolamentare” non potrebbe considerarsi un trasferimento in zona” bensì fuori zona” perché provoca modifica dell’area di influenza commerciale di altra rivendita. Ne consegue che, nella disciplina dettata dalle fonti che da oltre quarant’anni regolano la distribuzione sul territorio delle rivendite dei generi di monopolio, il rispetto della distanza stabilita assolve alla tutela dell’interesse pubblico di salvaguardare l’area di influenza commerciale di ciascuna rivendita, secondo un sistema nel quale l’interesse meramente commerciale dell’esercente deve soggiacere a quello pubblico di carattere fiscale connesso alla vendita dei generi in questione. L’Amministrazione, pertanto, esercita la propria discrezionalità adottando, con le circolari, i criteri generali che consentono l’apertura delle rivendite, e tra questi, quello della distanza minima da altre rivendite, mentre nell’esame di una domanda di trasferimento AAMS è tenuta soltanto a verificare il rispetto delle scelte effettuate a monte fissando in criterio suddetto. Può dunque concludersi che il provvedimento negativo sulla domanda di trasferimento non può ritenersi viziato non essendo evidenti i motivi di ritenere che il suddetto trasferimento comporti un netto spostamento dell'area territoriale di influenza commerciale della rivendita stessa, con forte incidenza o scavalcamento di quella di pertinenza di altri esercizi”, trattandosi di spostamento di entità limitata nell’ambito stesso Comune di Parabita.”, come ritenuto dai primi giudici, essendo sufficiente, sotto il profilo della motivazione, che sia addotto il mancato rispetto delle distanze prescritte, che integra di per sé lo scavalcamento o l’incidenza non consentita sull’area di influenza commerciale di altra rivendita. E non ha pregio l’argomento dedotto dal controinteressato, secondo cui, a norma del D.M. 21 febbraio 2013 numero 38, art. 10, comma 1, il trasferimento deve considerarsi in zona quando lo spostamento avviene entro 600 metri dalla sede originaria”, posto che la disposizione prosegue prescrivendo e non comporta mutamenti della terna delle rivendite più vicine.”. Lo stesso articolo 10, al comma 2, conferma il principio di cui sopra Il trasferimento in zona è subordinato al rispetto, nei confronti di ciascuna delle tre rivendite più vicine, delle distanze di cui all'articolo 2.” nella specie, metri 200 . 3. Merita anche di essere accolto il secondo motivo di appello, con il quale AAMS critica la sentenza appellata nella parte cui afferma la irrilevanza del mancato rispetto della distanza tra le rivendite numero 1 trasferenda e 3, in base al rilievo che la sede della rivendita numero 1 già si trovava ad una distanza inferiore a quella prescritta rispetto alla rivendita numero 2. La tesi dei primi giudici è sostenuta, impropriamente, dal richiamo al passaggio della Circolare più volte citata Titolo III lett. D, punto 2 , secondo cui In caso di rivendite già ubicate a distanza inferiore alla minima consentita, saranno senz'altro autorizzati gli spostamenti che determinino l'aumento delle distanze preesistenti ”. La disposizione, infatti, prendendo in considerazione situazioni venutesi a creare negli anni in cui mancava la prescrizione di distanze, ha lo scopo di rafforzare il principio del rispetto delle distanze stabilite e non può, pertanto, essere utilizzato per attenuarne l’efficacia. Inoltre, poiché concerne i trasferimenti in zona”, ossia quelli che non provocano modificazioni dell’area di incidenza commerciale di altra rivendita, la disposizione può essere applicata sempreché lo spostamento non si realizzi un avvicinamento non consentito ad altra rivendita. Il concetto è ora esplicitato dall’art. 10, comma 3, del decreto del Ministro dell’Economia e della Finanze 21 febbraio 2013 numero 38, il provvedimento che ha rivisitato l’intera materia qui in esame, secondo cui 3. Per le rivendite ubicate, rispetto ad altre rivendite in zona, a distanza inferiore rispetto a quelle di cui all'articolo 2, il trasferimento in zona è consentito qualora determini l'aumento della distanza preesistente rimane ferma l'applicazione del comma 2 relativamente alle altre rivendite in zona poste, prima della richiesta di trasferimento, a distanza regolamentare.”. 4. Risulta fondato anche il motivo concernente la causa di illegittimità dell’impugnato diniego, individuata dai primi giudici nella mancata indicazione delle ragioni per le quali AAMS ha disatteso il parere emesso dalla Guardia di Finanza in senso favorevole al trasferimento. L’appellante ha sostenuto che la richiesta motivazione poteva omettersi posto che il parere risultava palesemente errato. La Guardia di Finanza si è espressa in senso affermativo sulla base della disposizione di cui al Titolo III, lett. D, punto 3, che recita come segue Per le rivendite ubicate nelle zone urbane centrali a distanza inferiore a quella prevista, è consentito il trasferimento nella stessa zona, ancorché comporti l'ulteriore avvicinamento ad altra rivendita, purché tale avvicinamento non sia superiore al 15% della preesistente distanza.”. La norma nella specie non era applicabile perché a il trasferimento in questione non avveniva nelle zone urbane centrali, posto che la rivendita numero 1 si sarebbe spostata in area non centrale vista la distanza di 371 metri tra via Padre Serafino 12 rivendita numero 1 e la nuova sede proposta b per identica ragione il trasferimento non poteva ritenersi nella stessa zona” c anche ammettendo che il trasferimento sia configurabile come nella stessa zona, l’avvicinamento alla rivendita numero 3 150 metri , sarebbe stato di entità largamente superiore al 15% della precedente distanza metri 410 . Ne consegue che, risultando del tutto inidoneo a demolire le ragioni poste a fondamento del diniego, il parere in questione può considerarsi irrilevante, sicché l’omessa motivazione in merito costituisce irregolarità non suscettibile di determinare l’illegittimità del provvedimento. 5. Non possono condurre al rigetto dell’appello le argomentazioni con le quali il controinteressato invoca i principi della libera concorrenza ed le recenti novità legislative con finalità liberalizzatrice delle attività economiche d.l. numero 138 del 2011, art. 3, comma 7 d.l. numero 201 del 2011, art. 34, comma 3 , che – secondo l’assunto – imporrebbero all’AAMS di esercitare scelte discrezionali improntate alla tutela dell’interesse dei consumatori, e degli esercenti le rivendite, di generi di monopolio. Va tenuto presente che le rivendite di tabacchi non possono qualificarsi imprese equiparabili a tutti gli effetti alle altre attività economiche suscettibili della più ampia liberalizzazione, considerando che si tratta pur sempre di esercizi che cooperano all’espletamento di un servizio pubblico, che coinvolge interessi sensibili della collettività, come il diritto alla salute. Se ne trae conferma dalle premesse del decreto ministeriale numero 38 del 2013, già citato, nelle quali, pur tenuto presente il principio della libera concorrenza, si ravvisa l’esigenza di realizzare una diffusione delle rivendite sul territorio che, lungi dal perseguire il massimo incremento dei ricavi del venditore, e dello stesso gettito fiscale, preservi un controllato equilibrio tra l’offerta e la domanda effettiva del consumatore. Vi si legge infatti Considerata altresì la necessità di contemperare l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita adeguatamente dislocata sul territorio con l'interesse pubblico della tutela della salute, consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico che non sia giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi e che sia, invece, tendente ad incentivarla oltre la sua naturale quantificazione Valutato che la razionalizzazione della rete di vendita, consistente tra l'altro nell'indicazione ed applicazione di criteri volti a disciplinare l'ubicazione dei punti vendita, previene ed esclude il possibile sovradimensionamento ingiustificato della rete di vendita e, conseguentemente, costituisce strumento necessario al fine di non alterare l'offerta di tabacchi in misura non corrispondente all'entità della stessa ”. In conclusione l’appello, assorbita ogni altra questione, deve essere accolto, ma sussistono valide ragioni per compensare integralmente le spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso di primo grado spese compensate ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.