Se il privato non rispetta i patti, è legittima la decadenza del titolo concessorio disposta dal Comune

Se il privato non rispetta i patti, legittimamente il Comune dispone la decadenza del titolo concessorio che consentiva di chiudere con un cancello l'area di accesso ad uno stabile, alla sera, tenuto conto che la zona era stata oggetto di atti vandalici. Ma, come si suol dire, chi troppo vuole nulla stringe e, quindi, se l'orario di apertura e chiusura non è rispettato, bene ha fatto il Municipio di Roma a far decadere l'accordo, a prescindere dall'attività svolta in materia di sicurezza partecipata.

Il fatto. Gli appellanti avevano in precedenza lamentato il degrado e la presenza di atti di vandalismo nella zona antistante la loro residenza durante le ore notturne, zona adiacente alla piazza di Campo de’ Fiori, e avevano chiesto, nel corso degli anni, all’Amministrazione comunale adeguati interventi allo scopo di evitare pericoli per l'incolumità e la sicurezza di persone e cose. Nell'anno 2010, si giungeva così alla firma di una convenzione predisposta dal Comune di Roma che autorizzava gli appellanti alla chiusura dell'area pubblica in questione mediante un cancello, con loro obbligo di installazione e manutenzione, nonché all'apertura e alla chiusura giornaliera secondo l'orario delle ville comunali. La convenzione prevedeva che l'inosservanza degli obblighi - imposti come condizioni di efficacia - avrebbe fatto venire meno la convenzione e l'autorizzazione. A seguito di lamentele e alla luce di sopralluoghi effettuati sul posto, il Comune accertava, però, che il cancello veniva mantenuto chiuso oltre la fascia oraria stabilita e che l'area era trascurata, in violazione degli obblighi assunti. Gli interessati, con ricorso al Tribunale amministrativo avverso la determinazione dirigenziale di revoca della determinazione dirigenziale eccepivano la violazione dell'art. 7 legge n. 241/1990, per omessa notifica dell’avvio del procedimento presso il domicilio, nonché dell'art. 3 della stessa legge per carenza e illogicità della motivazione, nonché per eccesso di potere, travisamento dei fatti e illogicità manifesta. Il provvedimento comunale aveva natura di atto decadenziale sanzionatorio. Il giudice adito respingeva il gravame precisando che il provvedimento comunale aveva natura di atto decadenziale sanzionatorio e non di stretta revoca, proprio a causa del comportamento tenuto dagli appellanti in violazione degli obblighi contratti con l’Amministrazione comunale e comunque sussistenti i presupposti di cui all'art. 21- octies , comma 2, secondo periodo, legge n. 241/1990. Secondo il Collegio, le documentate violazioni delle prescrizioni hanno legittimamente determinato l'adozione del provvedimento di decadenza che, in quanto atto dovuto, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto emanato. Ed in tal senso restava dunque irrilevante l'eventuale contributo partecipativo degli interessati La tutela della sicurezza da parte dei privati. A proposito dell'attività svolta dal Condominio, il Collegio ha rilevato che la tutela della sicurezza e dell'incolumità delle persone sta e permane in capo alle autorità di polizia e agli organi di vigilanza a ciò titolati. Una convenzione come quella in questione, pur legittimamente viste quelle circostanze stipulata dall’amministrazione comunale con i privati residenti è, infatti, solo un particolare strumento di sicurezza partecipata o di cosiddetta prevenzione comunitaria . Come tale, ha natura comunque sussidiaria, cioè di mero supplemento e integrazione delle attività ordinarie di sicurezza. La stessa attività di prevenzione degli illeciti svolta da privati specificamente legittimati guardie particolari giurate si riferisce alla sicurezza complementare la quale, insieme con la detta sicurezza sussidiaria , è solo eventuale e da ricomprendere nella accezione più ampia di sicurezza secondaria”, che va distinta da quella primaria” e necessaria, che spetta indeclinabilmente alle autorità e agli ufficiali e agenti appartenenti alle forze di polizia dello Stato o agli altri enti pubblici con competenze di legge in materia. L'oggetto della eventuale futura convenzione. Al fine di evitare, per il futuro, problematiche analoghe, la Sezione ha precisato che la convenzione, qualora venga rinnovata l’istanza degli interessati, dovrà essere accompagnata da ulteriori garanzie, serie ed efficaci, al fine di evitare un uso meramente appropriativo - di suo ultra vires e distorsivo rispetto alle ragioni dell’atto - della concessione, assicurando che siano rigorosamente intesi e osservati gli obblighi convenuti obblighi che non potranno comunque mai riguardare la vigilanza e la sorveglianza di pubblica sicurezza .

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 25 febbraio – 1° aprile 2014, n. 1568 Presidente Severini – Estensore Mosca Fatto 1. Il Venerabile Collegio Inglese e il Condominio di Via dei Cappellari nn. 34-38, Roma, hanno proposto ricorso presso il Tribunale amministrativo del Lazio avverso il provvedimento di Roma Capitale, Municipio I Roma Centro storico”, n. 1920 del 30 agosto 2011, di revoca della determinazione comunale, n. 32 del 14 dicembre 2009 e della relativa convenzione stipulata in data 12 gennaio 2010 tra il Municipio, il Condominio di Via dei Cappellari nn. 34 – 38 e il Venerabile Collegio Inglese, finalizzata alla chiusura del cancello dell'area di suolo pubblico che parte da Via dei Cappellari e conduce agli accessi ai fabbricati ivi posti. Gli appellanti avevano in precedenza lamentato il degrado e la presenza di atti di vandalismo nella zona antistante la loro residenza durante le ore notturne, zona adiacente alla piazza di Campo de’ Fiori, e avevano chiesto, nel corso degli anni, all’Amministrazione comunale adeguati interventi allo scopo di evitare pericoli per l'incolumità e la sicurezza di persone e cose. Nell'anno 2010, si giungeva così alla firma di una convenzione predisposta dal Comune di Roma che autorizzava gli appellanti alla chiusura dell'area pubblica in questione mediante un cancello, con loro obbligo di installazione e manutenzione, nonché all'apertura e alla chiusura giornaliera secondo l'orario delle ville comunali. La convenzione prevedeva che l'inosservanza degli obblighi - imposti come condizioni di efficacia - avrebbe fatto venire meno la convenzione e l'autorizzazione. A seguito di lamentele e alla luce di sopralluoghi effettuati sul posto, il Comune accertava, però, che il cancello veniva mantenuto chiuso oltre la fascia oraria stabilita e che l'area era trascurata, in violazione degli obblighi assunti. Gli interessati, con ricorso al Tribunale amministrativo avverso la detta determinazione dirigenziale n. 1920 del 30 agosto 2011 di revoca della determinazione dirigenziale n. 32 del 14 dicembre 2009, eccepivano la violazione dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990, per omessa notifica dell’avvio del procedimento presso il domicilio, nonché dell'art. 3 della stessa legge per carenza e illogicità della motivazione, nonché per eccesso di potere, travisamento dei fatti e illogicità manifesta. 2. Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe, respingeva il gravame precisando che il provvedimento comunale aveva natura di atto decadenziale sanzionatorio e non di stretta revoca, proprio a causa del comportamento tenuto dagli odierni appellanti in violazione degli obblighi contratti con l’Amministrazione comunale. Il giudice riteneva infondate le censure, corretta la comunicazione di avvio del procedimento presso la sede condominiale e comunque sussistenti i presupposti di cui all'articolo 21-octies, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990. 3. Gli interessati, con l’appello, contestano questa qualificazione del provvedimento comunale, che per loro va inteso come di vera e propria revoca, cui applicare l'articolo 21-quinquies della legge n. 241 del 1990. Essi, altresì, ribadiscono di non aver violato la convenzione, che nessun atto dimostra le asserite inadempienze e che le lamentele da cui ha tratto origine l’accertamento non possono avere valore probatorio, data la genericità e l'irrilevanza delle relazioni di servizio. La sentenza ha rilevato che le motivazioni dell’atto sono contraddistinte da contraddittorietà e illogicità. 4. Si è costituita l’amministrazione intimata, controdeducendo. 5. Nella camera di consiglio del 25 febbraio 2014, fissata per l'esame della domanda cautelare, il Collegio ha ritenuto di, ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, sentite sul punto le parti che nulla osservavano. Diritto 1. L'appello è infondato. La sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio appare correttamente motivata e da condividere. Il giudice di primo grado bene ha qualificato come atto decadenziale, dal carattere sostanzialmente sanzionatorio, anziché come revoca, il provvedimento impugnato, in ragione del contenuto dei fatti di riferimento e dei presupposti istruttori che lo hanno determinato. Questa qualificazione va condivisa. Non rileva, ai fini della interpretazione e qualificazione dell’atto, il nomen iuris di revoca” questo atto di ritiro va identificato per la sua sostanza, per le sue ragioni e per le sue finalità, come atto di reazione a un comportamento indebito dei beneficiari della concessione, considerando che affonda nelle indicate violazioni delle prescrizioni contenute nella convenzione sottoscritta nel 2010. Conseguentemente, non trovava qui applicazione l’invocato art. 21-quinquies Revoca del provvedimento della legge n. 241 del 1990, che si riferisce alla revoca in senso proprio non vi era una valutazione discrezionale da compiere circa la persistenza dell’interesse pubblico rispetto alle sopravvenienze, e nessun sopravvenuto interesse pubblico doveva essere identificato ed esternato. Contrariamente a quanto asserito dagli appellanti, i citati inadempimenti appaiono poi accertati al termine di un'adeguata istruttoria e all'esito di più sopralluoghi da parte degli organi deputati ad effettuarli. Le documentate violazioni delle prescrizioni hanno così legittimamente determinato l'adozione del provvedimento di decadenza che, in quanto atto dovuto, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto emanato. Restava dunque irrilevante l'eventuale contributo partecipativo degli interessati. Una volta stabilita detta natura , discende che non sussiste violazione degli articoli 3, 7 e 21-quinquies della legge n. 241 del 1990. Da qui l'infondatezza di tutti i profili evidenziati nei motivi di appello. Questo Collegio deve, infine, rilevare che la tutela della sicurezza e dell'incolumità delle persone sta e permane in capo alle autorità di polizia e agli organi di vigilanza a ciò titolati. Una convenzione come quella in questione, pur legittimamente viste quelle circostanze stipulata dall’amministrazione comunale con i privati residenti è, infatti, solo un particolare strumento di sicurezza partecipata” o di cosiddetta prevenzione comunitaria”. Come tale, ha natura comunque sussidiaria, cioè di mero supplemento e integrazione delle attività ordinarie di sicurezza. La stessa attività di prevenzione degli illeciti svolta da privati specificamente legittimati guardie particolari giurate si riferisce alla sicurezza complementare” la quale, insieme con la detta sicurezza sussidiaria”, è solo eventuale e da ricomprendere nella accezione più ampia di sicurezza secondaria”, che va distinta da quella primaria” e necessaria, che spetta indeclinabilmente – e dunque anche nella situazione qui in esame - alle autorità e agli ufficiali e agenti appartenenti alle forze di polizia dello Stato o agli altri enti pubblici con competenze di legge in materia. Da tanto consegue che la convenzione , qualora venga rinnovata l’istanza degli interessati, dovrà essere accompagnata da ulteriori garanzie, serie ed efficaci, al fine di evitare un uso meramente appropriativo - di suo ultra vires e distorsivo rispetto alle ragioni dell’atto - della concessione, assicurando che siano rigorosamente intesi e osservati gli obblighi convenuti obblighi che non potranno comunque mai riguardare la vigilanza e la sorveglianza di pubblica sicurezza . 2. In conclusione, l’appello va respinto. Stante la peculiarita’ della vicenda, le spese di lite vanno compensate tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.