Coldiretti ed altri imprenditori agricoli legittimati ad impugnare l'autorizzazione per la realizzazione di un impianto fotovoltaico

Sono perfettamente legittimati Coldiretti ed alcuni imprenditori agricoli ad impugnare l'autorizzazione per la realizzazione, in zona agricola, di un impianto fotovoltaico. Ma si tratta, comunque, di parole gettate al vento.

La norma derogatoria. Ciò in quanto la collocazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile in zona urbanistica agricola è ammessa in linea generale dall’art. 12, comma 7, d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387. In sostanza, è certamente vero che la collocazione di un impianto sostanzialmente industriale, e comunque certamente estraneo all’attività agricola, in zona destinata all’agricoltura incide sull’andamento dell’attività, appunto, agricola, influendo sui prezzi dei terreni ed impedendo le normali sinergie che devono crearsi fra gli imprenditori attivi nella stessa zona omogenea. Ma la norma derogatoria dettata dal citato art. 12 è stata introdotta proprio per consentire in via eccezionale, dietro l’impulso della normativa europea direttiva 2001/77/CE , la costruzione in zona agricola di impianti che per loro natura sarebbero incompatibili con quest’ultima. L’interesse degli imprenditori agricoli della zona. E’ quindi evidente l’interesse degli imprenditori agricoli della zona ad agire contro le determinazioni attuative del richiamato art. 12, comma 7, fermo restando che ciò non comporta necessariamente l’accoglimento delle loro domande giurisdizionali ma solo l’obbligo, per il giudice, di esaminarle nel merito. E alla luce di tali considerazioni, afferma il Collegio, il difetto di motivazione sussiste qualora l’Amministrazione competente trascuri concrete circostanze quale, ad esempio, la collocazione dell’impianto nell’area di coltivazione di prodotti tutelati. Non occorre, invece, che tale motivazione venga fornita qualora la scelta consista nel semplice raffronto fra l’intervento di produzione energetica e l’attività agricola. Nel caso specifico, tuttavia, le parti Coldiretti ed imprenditori non avevano dedotto alcuna concreta circostanza ostativa alla realizzazione dell’impianto. Nel senso che si erano limitati ad esporre le proprie, pur valide, argomentazioni volte ad affermare la prevalenza dell’utilizzo agricolo dell’area, ma in tal modo le loro osservazioni hanno invaso la sfera di discrezionalità riservata all’Amministrazione. Gli assenti hanno sempre torto. La Sezione, con la citata sentenza, ha preso in esame anche la questione della mancata partecipazione alla Conferenza dei servizi di un Consorzio di bonifica che era stato espressamente invitato a parteciparvi. A tale proposito, il Collegio ha richiamato l’art. 14, comma 7, l. 7 agosto 1990, n. 241, ai sensi del quale si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paessaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata . A nulla rileva, ha osservato il Collegio, il fatto che il Consorzio abbia di fatto reso il proprio favorevole, pur indirizzandolo alla realizzatrice dell’impianto anziché alla conferenza di servizi, ma condizionandolo a prescrizioni delle quali non si è tenuto conto nel deliberato conclusivo della conferenza. Ad avviso del Collegio, legittimamente la conferenza ha ritenuto che il Consorzio abbia espresso il proprio parere, sebbene implicitamente, con la propria assenza ma la sua mancata partecipazione, legittimamente, è stata considerata quale abbandono delle prescrizioni dettate all’impresa, delle quali quindi la conferenza non ha tenuto conto.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2 luglio - 26 settembre 2013, n. 4755 Presidente Caringella – Estensore Atzeni Fatto e diritto 1. Con ricorso al Tribunale amministrativo del Veneto, rubricato al n. 665/2010, la Federazione Coldiretti del Veneto ed i signori Giuseppe e Stefano Guarise impugnava la deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 740 in data 15 marzo 2010 avente ad oggetto autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica con potenza di picco 48 MWp - Comune di Canaro RO , località Saline, ai sensi dell'art. 12, commi 3 e 4 del Dlgs 29.12.2003 n. 387 , nonché i pareri resi dall'Autorità di bacino del fiume Fissero - Tartaro - Canalbianco il 5 novembre 2009, dal comune di Canaro il 6 novembre 2009, i verbali della Conferenza dei servizi indetta dalla Regione Veneto del 6 novembre 2009 e del 10 marzo 2010, la delibera della Giunta regionale del Veneto n. 2204 dell'8 agosto 2008 avente ad oggetto disposizioni organizzative per l'autorizzazione, l'installazione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili , e la delibera della Giunta regionale del Veneto n. 4070 del 30 dicembre 2008 avente ad oggetto impianti di energia da fonti rinnovabili - impianti idroelettrici - DGR 2204/08 - disposizioni procedurali . I ricorrenti riferivano che con provvedimento della Giunta della Regione Veneto n. 740 del 15 marzo 2010, emessa in esito ad apposita conferenza di servizi, la Enersol s.r.l. è stata autorizzata, ex art. 12 d. lgs 387/03, alla realizzazione ed all’esercizio, su area di circa 120 ha, insistente su z.t.o. agricola E2, di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica in Comune di Canaro, loc. Saline. I signori Giuseppe e Stefano Guarise dichiaravano di essere rispettivamente proprietario ed affittuario di un’area agricola, coltivata a cereali, limitrofa a quella interessata dall’impianto. I ricorrenti deducevano l’illegittimità dell’autorizzazione unica per violazione dell’art. 44 della L.R. 11/04 e dell’art. 30 delle N.T.A. del P.R.G., norme che non contemplano tra gli interventi ammessi in zona agricola la realizzazione di un impianto fotovoltaico, bensì, solo interventi funzionali all’attività agricola. Inoltre, eccepivano la violazione dell’art. 17 della L. 241/90 e il difetto di istruttoria, non essendo stato acquisito il parere del Consorzio di Bonifica Padana Polesana, invocato dall’autorità di Bacino del fiume Fissero – Tartaro – Canalbianco in sede di rilascio del proprio parere. Con il terzo, quarto e quinto motivo, i ricorrenti evidenziavano alcuni profili di illegittimità della DGRV 2204/08, anch’essa impugnata, che costituisce l’atto presupposto della delibera di autorizzazione. In particolare, i ricorrenti sostenevano che con tale delibera la Giunta Regionale avrebbe consentito l’edificazione su terreni agricoli, anche da parte di coloro che non sono imprenditori agricoli, introducendo surrettiziamente una modifica dell’art. 44 della L.R. 11/04 ed invadendo la competenza del Consiglio Regionale. Infine, con ricorso per motivi aggiunti, i ricorrenti deducevano falsa applicazione dell’art. 12 del d. lgs. 387/03, avendo la Regione autorizzato la realizzazione dell’impianto senza la previa emanazione delle linee guida ministeriali, cui era demandato il compito di dettare le disposizioni per lo svolgimento del procedimento autorizzativo e per l’individuazione dei siti non idonei. I ricorrenti chiedevano quindi l’annullamento dei provvedimenti impugnati. Con la sentenza in epigrafe, n. 1439 in data 23 novembre 2012, il Tribunale amministrativo del Veneto, Sezione II, dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti. 2. Avverso la predetta sentenza Federazione Coldiretti del Veneto ed i signori Giuseppe Guarise e Stefano Guarise propongono il ricorso in appello in epigrafe, rubricato al n. 744/13, contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado. Si sono costituiti in giudizio la Regione Veneto, il Comune di Canaro ed Enersol s.r.l. chiedendo il rigetto dell’appello. Le parti hanno quindi scambiato memorie. La causa è stata discussa ed assunta in decisione alla pubblica udienza del 2 luglio 2013. 3. La declaratoria dell’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, pronunciata dal primo giudice, non può essere condivisa. 3a. I due ricorrenti persone fisiche hanno fondato la propria legittimazione ad agire sulla base della qualità di rispettivamente proprietario ed affittuario di un fondo situato nelle vicinanze dell’area interessata dall’impianto fotovoltaico di produzione di energia elettrica la cui realizzazione è stata autorizzata con i provvedimenti impugnati. Il Tribunale amministrativo ha ritenuto tale presupposto insufficiente a fondare la legittimazione ad agire in quanto il danno lamentato non è costituito da specifiche questioni attinenti alla vicinitas ”, quali disturbi alle colture provocate dall’impianto, ma tematiche generali quali l’impatto sul microclima o il ridimensionamento delle aree agricole destinate all’agricoltura. Il ragionamento del Tribunale amministrativo non può essere condiviso, nei sensi di cui appresso. Rileva il Collegio come la problematica che ora occupa riguardi l’utilizzo a scopi edificatori di un terreno. La particolarità del caso consiste esclusivamente nel fatto che nella specie la normativa vigente consente un suo utilizzo diverso da quello agricolo ordinariamente ammesso dalla disciplina urbanistica dettata dalla legislazione statale e regionale e dagli atti della programmazione urbanistica comunale. Sulla base di tale premessa, afferma il Collegio che la problematica della legittimazione ad agire avverso gli atti che autorizzano la collocazione in zona agricola di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, da realizzare, di norma, in zona industriale, non può essere affrontata in termini diversi da quelli nei quali è ordinariamente impostata la problematica della legittimazione ad agire avverso atti autorizzativi di interventi edilizi. Diversamente opinando, ad avviso del Collegio, si giungerebbe ad affermare implicitamente che i controinteressati alla realizzazione di tali impianti subirebbero una diminuzione di tutela rispetto a quella accordata in generale a quanti si ritengano lesi da qualsiasi iniziativa edilizia. Ad avviso del Collegio, tale impostazione presenterebbe profili di contrarietà alla costituzione, in particolare artt. 3 e 24, per cui non può essere seguita. Deve invece, come già accennato, essere affermato che la legittimazione a proporre ricorso giurisdizionale avverso gli atti che autorizzano la realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili debba essere riconosciuta in termini analoghi a quelli nei quali la stessa è riconosciuta avverso qualsiasi atto di autorizzazione alla trasformazione edilizia del territorio. Anche nelle controversie del contenuto di quella ora all’esame del Collegio la legittimazione ad agire dei ricorrenti deve pertanto essere riconosciuta sulla base del criterio della vicinitas ”. Tale criterio comporta la legittimazione ad agire in capo a chiunque si trovi in rapporto non di stretta contiguità, bensì di stabile e significativo collegamento, da indagare caso per caso, del ricorrente con la zona il cui ambiente si intende proteggere in termini, C. di S., V, 31 luglio 2012, n. 4331, e 31 marzo 2011, n. 1979 . La relativa disamina deve essere condotta ex ante ”, e quindi accertando se il ricorrente sia titolare di una posizione giuridica differenziata sulla quale l’attività dell’Amministrazione possa potenzialmente incidere, legittimamente o meno. E’ poi preliminare all’esame nel merito, come è noto, l’accertamento dell’esistenza di un concreto interesse, che il processo può – potenzialmente – soddisfare. Il riscontro dell’esistenza del pregiudizio lamentato dal ricorrente è poi strettamente connesso con il merito della controversia, dovendo essere respinto, appunto, nel merito, e non dichiarato inammissibile il ricorso proposto da chi pur vantando un interesse qualificato che lo legittima all’impugnazione non dimostri l’esistenza l’illegittimità del provvedimento amministrativo, che ha provocato il pregiudizio sofferto. Nel caso che ora occupa i signori Giuseppe e Stefano Guarise agiscono sulla base di una situazione concreta riconducibile alla nozione di vicinitas ” in quanto rispettivamente proprietario ed affittuario di un terreno situato nelle vicinanze di quello interessato dal progetto di cui si discute, per cui sono titolari di una posizione differenziata, potenzialmente lesa dall’utilizzo a scopo edificatorio del terreno della resistente. Gli stessi devono, di conseguenza, essere dichiarati legittimati a proporre l’impugnazione in esame. Non è nemmeno contestabile l’interesse degli appellanti ad impugnare i provvedimenti, oggetto del presente giudizio. Ad avviso del Collegio appare evidente che la collocazione di un impianto sostanzialmente industriale, e comunque certamente estraneo all’attività agricola, in zona destinata all’agricoltura incida sull’andamento dell’attività, appunto, agricola, influendo sui prezzi dei terreni ed impedendo le normali sinergie che devono crearsi fra gli imprenditori attivi nella stessa zona omogenea. La norma derogatoria dettata dall’art. 12, settimo comma, del d. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, come si vedrà ulteriormente più avanti, è stata introdotta proprio per consentire in via eccezionale, dietro l’impulso della normativa europea direttiva 2001/77/CE , la costruzione in zona agricola di impianti che per loro natura sarebbero incompatibili con quest’ultima. E’ quindi evidente l’interesse degli imprenditori agricoli della zona ad agire contro le determinazioni attuative del richiamato art. 12, settimo comma, fermo restando che ciò non comporta necessariamente l’accoglimento delle loro domande giurisdizionali ma solo l’obbligo, per il giudice, di esaminarle nel merito. 3b. Nello stesso ordine concettuale, anche l’impugnazione proposta da Federazione Coldiretti del Veneto deve essere dichiarata ammissibile. Invero, non vi ha dubbio sul fatto che l’appellante abbia come finalità statutaria la tutela, lo sviluppo e la valorizzazione dell’attività agricola, e che la sottrazione di ampi spazi di terreno a tale attività economica confligga con il suo sviluppo. E’ vero che fra le finalità statutarie dell’appellante rientra anche lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili ma è evidente che tale interesse è strumentale a quello principale, relativo allo sviluppo dell’agricoltura, per cui palesemente recede quando, come nel caso di specie, il suo perseguimento si pone in conflitto espresso con quest’ultimo, nel momento in cui sottrae suoli all’agricoltura. L’appellante è quindi titolare di una situazione giuridica differenziata che la legittima all’impugnazione di atti aventi tale contenuto, ferma restando la necessità di dimostrare nel merito l’esistenza e la contrarietà al diritto del pregiudizio subito. Il ricorso di primo grado deve, in conclusione, essere affrontato nel merito. 4a. Gli appellanti osservano come la collocazione dell’impianto in zona agricola contrasti con l’art. 44 della legge regionale del Veneto 23 aprile 2004, n. 44, nonché con l’art. 30 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Canaro nella parte in cui individuano gli interventi ammissibili in zona agricola. L’argomentazione non può condurre all’annullamento dei provvedimenti impugnati. E’ certamente vero, in punto di fatto, che l’intervento di cui si discute non rientra fra quelli ammessi dalla normativa urbanistica regionale e comunale. Peraltro, come già sottolineato, l’art. 12, settimo comma, del d. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, esplicitamente ammette la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili anche nelle zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. La norma costituisce, più che espressione di un principio, attuazione dell’obbligo assunto dalla Repubblica nei confronti dell’Unione Europea di rispetto della normativa dettata da quest’ultima con la richiamata direttiva 2001/77/CE. Di conseguenza, la stessa vincola l’interpretazione della pur sopravvenuta legge regionale del Veneto 23 aprile 2004, n. 44, che non può essere intesa nel senso dell’implicita abrogazione della norma statale. La tesi deve pertanto essere respinta. 4b. Il lamentato difetto di motivazione non sussiste. Deve essere ribadito che la collocazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile in zona urbanistica agricola è ammessa in linea generale dall’art. 12, settimo comma, del d. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387. Deve inoltre essere osservato che la realizzazione di tali impianti risponde ad un interesse la cui rilevanza è stata consacrata dallo stesso legislatore nazionale, sulla base degli impegni internazionali assunti, con la norma appena richiamata. Alla luce di tali considerazioni, afferma il Collegio che il difetto di motivazione sussiste qualora l’Amministrazione trascuri concrete circostanze quale, ad esempio, la collocazione dell’impianto nell’areale di coltivazione di prodotti tutelati. Non occorre, invece, che tale motivazione venga fornita qualora la scelta consista nel semplice raffronto fra l’intervento di produzione energetica e l’attività agricola. Nel caso di specie le parti appellanti non deducono lacuna concreta circostanza ostativa alla realizzazione dell’impianto. In realtà gli appellanti si limitano ad esporre le proprie, pur valide, argomentazioni volta ad affermare la prevalenza dell’utilizzo agricolo dell’area, ma in tal modo le loro osservazioni giungono ad invadere la sfera di discrezionalità riservata all’Amministrazione. E’ vero che determinazioni quale quella di cui ora si discute per il contenuto sostanzialmente derogatorio della strumentazione urbanistica comunale necessitano di un particolare sforzo anche partecipativo ma nel caso di specie gli odierni appellanti hanno potuto partecipare alla conferenza di servizi. Inoltre, ai sensi dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, il difetto di motivazione rileva in quanto evidenzi un effettivo vizio nella formazione della volontà dell’Amministrazione, circostanza che le parti appellanti non hanno dimostrato. L’argomentazione deve quindi essere respinta. 4c. Deve essere disattesa la censura con la quale gli appellanti sostengono che il procedimento è inficiato dalla mancata acquisizione del parere del Consorzio di bonifica Padana Polesana. E’ infatti rimasta priva di contestazione l’osservazione delle parti appellate, le quali rilevano che il suddetto Consorzio è stato invitato alla conferenza di servizi, alla quale non ha ritenuto di partecipare. Trova quindi applicazione l’art. 14, settimo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ai sensi del quale si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paessaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata ”. Le appellanti osservano, peraltro, come il Consorzio abbia di fatto reso il proprio favorevole, pur indirizzandolo alla realizzatrice dell’impianto anziché alla conferenza di servizi, ma condizionandolo a prescrizioni delle quali non si è tenuto conto nel deliberato conclusivo della conferenza. Ad avviso del Collegio, legittimamente la conferenza ha ritenuto che il Consorzio abbia espresso il proprio parere, sebbene implicitamente, con la propria assenza. Le sua mancata partecipazione poi legittimamente è stata considerata quale abbandono delle prescrizioni dettate all’impresa, delle quali quindi la conferenza non ha tenuto conto. La tesi deve pertanto essere disattesa. 4c. Le appellanti lamentano disparità di trattamento in danno degli imprenditori agricoli i quali per poter edificare sono tenuti a dimostrare tale qualità, mentre chi intenda realizzare impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili non è tenuto a fornire alcuna dimostrazione. Osserva il Collegio che la censura più che riguardare la legittimità dei provvedimenti impugnati contiene una questione di costituzionalità dell’art. 12 settimo comma, più volte richiamato. La questione è infondata. Invero, la dimostrazione dello status ” di imprenditore agricolo da parte di chi intenda edificare in zona agricola è preordinata alla salvaguardia delle sue caratteristiche urbanistiche, ed in concreto ha lo scopo di prevenire l’utilizzo dell’agro a scopi residenziali. Tale necessità non ricorre in relazione alla realizzazione di un impianto fotovoltaico, che per sua natura deroga, in base alla norma più volte richiamata, all’ordinaria destinazione agricola dei terreni interessati. 4d. Le appellanti sostengono infine che i provvedimenti impugnati sono inficiati dalla mancata preventiva approvazione delle linee guida nazionali, destinate ad indirizzare la successiva programmazione regionale. La tesi non può essere condivisa. Deve infatti essere rilevato come la disciplina invocata art. 12, decimo comma, d. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 non contenga alcuna norma transitoria che precluda la sua applicazione pendente il procedimento di approvazione delle linee guida nazionali e regionali. La tesi deve quindi essere disattesa. Giova soggiungere, inoltre, come non sia stata nemmeno affermata la contrarietà dei provvedimenti impugnati con le linee guida, successivamente entrate in vigore. 5. In conclusione il ricorso di primo grado pur ammesso in rito deve essere respinto nel merito. Le spese di entrambi i gradi del giudizio devono essere integralmente compensate in ragione della complessità e novità delle questioni trattate. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello n. 744/2013, come in epigrafe proposto, conferma in parte, con diversa motivazione, la sentenza gravata e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado. Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.