Nessun affidamento se non è rispettato il modello legale

E' quindi legittimo, in sede di autotutela, disporre dopo più di un anno, l'annullamento del permesso a costruire emanato per mero errore”. Ovvero senza che fosse stato acquisito il necessario parere vincolante della Soprintendenza ai sensi dell’art. 167, comma 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4352 del 2 settembre 2013, capovolge la decisione del Tar Campania, il quale aveva sostenuto, citando peraltro una precedente e recente decisione del Consiglio di Stato n. 1414/2011 che non sussisterebbe alcun obbligo per l'autorità emanante di procedere in via di autotutela all'annullamento d'ufficio di un provvedimento da essa adottato, trattandosi di mera facoltà rimessa alla sua discrezionalità, esercitabile a condizione che sussistano ragioni d’interesse pubblico, debitamente esternabili. Con la conseguenza che avrebbe dovuto, pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento di annullamento del permesso di costruire, rilasciato anche a sanatoria, ma privo della necessaria comparazione tra l'interesse pubblico concreto e attuale ritenuto prevalente all'annullamento del provvedimento e l'interesse del privato ormai consolidatosi per l'intervenuta realizzazione degli interventi autorizzati. L'annullamento d'ufficio, ex art. 21-nonies, legge n. 241/1990, non potrebbe fondarsi, infatti, sulla mera esigenza di ripristino della legalità, ma dovrebbe dar conto, nella motivazione, della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell'atto e, in ogni caso, incontrerebbe il limite insuperabile costituito dall'esigenza di salvaguardare le situazioni di soggetti privati che, confidando nella legittimità dell'atto rimosso, abbiano fatto affidamento sul consolidamento di posizioni di vantaggio loro attribuite da tale atto. I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio. Ma la Sezione non ha condiviso questa impostazione richiamando, nel contempo, l'elaborazione giurisprudenziale in questo campo. I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, che ha effetti ex tunc, ha ricordato il Collegio, sono l’illegittimità originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità e l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari. A tale proposito, l’esercizio del potere di autotutela è espressione di discrezionalità. ma ciò non esime l’amministrazione dal dare conto, sia pure in modo sintetico, della sussistenza dei sopra menzionati presupposti. Nel caso specifico, ovvero del vizio inficiante il titolo edilizio, è necessario tenere conto del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del paesaggio, considerato il rilievo costituzionale del relativo valore art. 9 Cost. e la sostanziale irreversibilità delle sue alterazioni che derivano dalla pretermissione sostanziale degli effetti della tutela. In casi simili, ha puntualizzato la Sezione, va tenuta nella dovuta considerazione l’eventuale condotta del privato in relazione al rapporto amministrativo, che possa aver indotto in errore l’amministrazione quando non profittato di un suo originario errore in ipotesi, rappresentando in modo travisante la situazione di fatto, in base alla quale sarebbe stato rilasciato il titolo o sarebbero stati individuati i legittimati attivi. Vincolante la valutazione statale sulla compatibilità paesaggistica dell’opera da realizzare. In sostanza, secondo la Sezione, se rimane ferma l’esigenza di assicurare che la tutela del paesaggio avvenga senza imporre sacrifici inutili al privato cfr. art. 38, d.P.R. n. 380/2001, che prevede la sanzione pecuniaria solo in caso di non emendabilità del vizio della procedura o d’impossibilità della rimessione in pristino è pur vero che, pur non sussistendo una decadenza dal potere di autoannullamento del titolo edilizio, la caducazione che intervenga a notevole distanza di tempo, dopo che le opere siano state completate, esige un’analitica e concludente motivazione. Nel caso specifico, ha osservato il Collegio, non sussisteva, al momento dell’atto di autotutela in esame, alcuna previa valutazione statale circa la compatibilità paesaggistica dell’avvenuta realizzazione. Valutazione che, sottolinea ancora la Sezione, pure era essenziale ai fini della sua sanabilità successiva, posto che l’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/2004, qualifica tale valutazione addirittura come vincolante vale a dire con effetti determinanti in ordine all’autorizzabilità paesaggistica postuma e - per riflesso - in ordine alla sanabilità edilizia. Peraltro, le valutazioni sostanziali inerenti la sequenza paesaggistica non possono, per quanto formalmente connesse, essere confuse con quelle inerenti la sequenza edilizia, la quale seconda è condizionata dalla prima, e non viceversa . Mancava cioè, nel caso posto all'attenzione della Sezione, un elemento essenziale alla formazione della volontà dell’amministrazione comunale e dunque allo stesso suo provvedere in sanatoria edilizia. Le valutazioni del parere vincolante, infatti, sono tali da imporre all’Amministrazione, che poi decide, di uniformarvisi. Il contenuto del provvedere comunale non può disattendere quel giudizio preliminare, sicché la sua radicale assenza impedisce alla radice il corretto formarsi di una volontà decisoria. Non sussistendo una tale previa ed essenziale valutazione paesaggistica statale, correttamente l’Amministrazione comunale ha provveduto – con il primo degli atti qui impugnati - a rimuovere un proprio atto che non poteva in alcun modo prescinderne salvo fosse stato superato da parte della Soprintendenza il termine perentorio di novanta giorni. Occorreva, in sostanza, che l’Amministrazione per i beni culturali fosse stata investita della richiesta di parere e messa in condizione di pienamente conoscere la situazione dei luoghi, al fine di poter esprimere a ragion veduta la propria valutazione. Difettando radicalmente una tale espressione di vincolante giudizio tecnico statale, non può nascere dunque, alcun preteso affidamento da tutelare, perché ne manca in toto il presupposto, non essendosi formata una volontà amministrativa anche astrattamente conforme al modello legale. Tali carenze procedimentali che sono alla corretta base del primo degli atti impugnati non erano state sanate, ma in sostanza replicate per il secondo. Nessun effetto risolutore del difetto d’istruttoria demandato dalla Soprintendenza al Comune poteva infatti avere il mero intervento, che si vorrebbe come esaustivamente suppletivo, del privato interessato, posto che per sua irrimediabile natura difettava dei caratteri dell’ufficialità e dell’imparzialità che assistevano o, meglio, avrebbero dovuto assistere - se vi fosse stata - la risposta comunale. Sicché non si trattava di un intervento idoneo a produrre gli effetti di un’adeguata risposta. E, per questo, il mero fatto, ingiustificato, della mancata risposta comunale non è poi di suo sostitutivo di un originario difetto istruttorio non sanato.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2 luglio - 2 settembre 2013, n. 4352 Presidente Severini – Estensore Scola Fatto A Con il ricorso principale l’originaria ricorrente ed attuale appellata, Francesca Amoruso, impugnava per vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere il provvedimento prot. n. 26441 del 27 aprile 2010, emesso dal dirigente coordinatore della quarta Area ambiente, territorio e infrastrutture - Servizio edilizia privata e residenziale del Comune di Torre del Greco NA , recante l'autoannullamento – dopo quattordici mesi circa - del permesso di costruire in sanatoria, n. 15 del 17 febbraio 2009, che le era stato rilasciato in ordine alla realizzazione senza titolo di un muro di recinzione-confine con sovrastante rete metallica e relativo cancello scorrevole al fondo, in via Pagliarone n. 37, in quanto per mero errore” emanato senza che fosse stato acquisito il necessario parere vincolante della Soprintendenza ai sensi dell’art. 167, comma 5, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 Successivamente, in data 5 agosto 2010 il Comune di Torre del Greco NA aveva disposto l’invio dell’istanza di accertamento in conformità n. 371 del 2009 alla Soprintendenza, per acquisirne così quel parere. Con nota n. 18979 dell’8 ottobre 2010, acquisita dal Comune di Torre del Greco NA in data 14 ottobre 2010, la Soprintendenza aveva richiesto all’interessata Amoruso un’integrazione documentale, da farsi pervenire tramite il Comune, concernente accertamenti d’ufficio sulla legittimità delle preesistenze edificate sul fondo già parzialmente recintato e riconducibili alla stessa ditta, e più ampia documentazione fotografica estesa al contesto limitrofo ed alle preesistenze edificate sul fondo già parzialmente recintato. In data 2 dicembre 2010, con nota prot. n. 78653, l’interessata aveva provveduto a depositare presso detto Comune la documentazione richiesta. Tuttavia, in data 7 dicembre 2010, la Soprintendenza aveva emesso parere di non compatibilità paesistica con nota prot. n. 18970 , sul presupposto che la documentazione, rimasta carente, non le consentiva di comprendere e valutare l’incidenza delle opere di sistemazione esterna sul contesto edificato immediatamente circostante, non avendo oltretutto il Comune di Torre del Greco provveduto a inoltrare la documentazione integrativa richiesta. Tale atto sfavorevole veniva impugnato , con successivi motivi aggiunti del 21 marzo 2011, insieme ad ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale, comunque lesivo dei diritti dell’interessata. Il Comune di Torre del Greco e la Soprintendenza intimati si costituivano in giudizio e resistevano al ricorso. B Il ricorso principale e i motivi aggiunti venivano accolti dal primo giudice, che annullava a il provvedimento di autoannullamento n. 26441/2010 b per illegittimità derivata, la nota n. 18970 del 7 dicembre 2010 con cui la Soprintendenza aveva espresso il parere di non compatibilità paesaggistica. Con la prima censura del ricorso principale l’originaria ricorrente aveva dedotto l’illegittimità del provvedimento di annullamento, in quanto a sua volta rilasciato senza la previa acquisizione del parere favorevole della Soprintendenza malgrado l’art. 36 Accertamento di conformità del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 fosse chiaro nel prevedere l’obbligatoria richiesta di parere alla Soprintendenza, nel caso di abusi commessi in zona vincolata , come nella specie solo in data 7 aprile 2010, ovvero dopo ben quattordici mesi dalla data del rilascio, oltretutto dopo avere riscosso l’importo di euro 736,40 a titolo di oblazione per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione il tutto, senza alcuna motivazione circa l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto, in rapporto al lungo tempo decorso donde i vizi di carenza istruttoria, difetto di motivazione e violazione dell’art. 21- nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241. La censura veniva accolta , con assorbimento delle restanti doglianze, dato che, ai sensi di tale norma, non sussisterebbe alcun obbligo per l'autorità emanante di procedere in via di autotutela all'annullamento d'ufficio di un provvedimento da essa adottato, trattandosi di mera facoltà rimessa alla sua discrezionalità, esercitabile a condizione che sussistano ragioni d’interesse pubblico, debitamente esternabili cfr. Cons. Stato, IV, 4 marzo 2011 n. 1414 . C Avrebbe dovuto, pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento di annullamento del permesso di costruire, rilasciato anche a sanatoria, ma privo della necessaria comparazione tra l'interesse pubblico concreto e attuale ritenuto prevalente all'annullamento del provvedimento e l'interesse del privato ormai consolidatosi per l'intervenuta realizzazione degli interventi autorizzati. L'annullamento d'ufficio, ex art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990, non potrebbe fondarsi, infatti, sulla mera esigenza di ripristino della legalità, ma dovrebbe dar conto, nella motivazione, della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell'atto e, in ogni caso, incontrerebbe il limite insuperabile costituito dall'esigenza di salvaguardare le situazioni di soggetti privati che, confidando nella legittimità dell'atto rimosso, abbiano fatto affidamento sul consolidamento di posizioni di vantaggio loro attribuite da tale atto. Donde l’annullamento del provvedimento impugnato, con la ritenuta reviviscenza del permesso di costruire in sanatoria sopra indicato e la consequenziale illegittimità derivata di tutti gli atti del procedimento, attivato dal Comune di Torre del Greco al fine di emanare un nuovo provvedimento di accertamento in conformità, emendato dal vizio riscontrato, ivi compresa la nota prot. n. 18970 del 7 dicembre 2010, recante il parere di non compatibilità paesistica espresso dalla Soprintendenza e impugnato con i motivi aggiunti . D Il ricorso introduttivo veniva dunque accolto a spese processuali compensate. La sentenza veniva poi impugnata dalle amministrazioni soccombenti in primo grado, che invocavano l’applicabilità dell’art. 146, comma 4, e dell’art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, nonché dell’art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, citando giurisprudenza cfr. Cons. Stato, IV, 27 novembre 2010, n. 8291, sintetizzante i princìpi governanti l’esercizio del potere di autoannullamento dei titoli edilizi, enucleati e sostanzialmente confluiti nell’art. 21- nonies , legge n. 241 del 1990 . E Si costituiva in giudizio l’appellata Amoruso Francesca, che resisteva al gravame, condividendo la sentenza ed eccependo il rischio di un possibile ordine di demolizione l’inammissibilità della mutatio libelli ex art. 104 Cod. proc. amm. v. eccezione di prescrizione, non rilevabile d’ufficio - ma ininfluente ai fini del decidere, per la riscontrabile infondatezza del ricorso originario nel merito, come si vedrà - e violazione di legge indebitamente qualificata come nullità, quanto all’omesso parere della Soprintendenza, comunque ricostruibile in termini d’invalidità l’omessa valutazione dei contrapposti interessi e dell’ingenerato affidamento l’insussistente vizio di motivazione della gravata pronuncia la sicura impugnabilità del citato parere sfavorevole mediante motivi aggiunti anche in termini d’invalidità derivata , con automatica reviviscenza del permesso di costruire rilasciato a sanatoria e privo di qualsiasi nullità ex art. 21- septies della legge n. 241 del 1990 l’incompleta ricezione dei documenti integrativi e la correlativa mancata decorrenza del discusso termine perentorio di novanta giorni. All’esito della pubblica udienza di discussione la controversia passava in decisione. Diritto A L’appello è fondato e va accolto per le ragioni che seguono, così sintetizzate dal Collegio a presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, che ha effetti ex tunc , sono l’illegittimità originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità e l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari b l’esercizio del potere di autotutela è espressione di discrezionalità che non esime l’amministrazione dal dare conto, sia pure in modo sintetico, della sussistenza dei sopra menzionati presupposti c l’ambito della motivazione esigibile è integrato dall’allegazione del vizio inficiante il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto I del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del paesaggio, considerato il rilievo costituzionale del relativo valore art. 9 Cost. e la sostanziale irreversibilità delle sue alterazioni che derivano dalla pretermissione sostanziale degli effetti della tutela II dell’eventuale condotta del privato in relazione al rapporto amministrativo, che possa aver indotto in errore l’amministrazione quando non profittato di un suo originario errore in ipotesi, rappresentando in modo travisante la situazione di fatto, in base alla quale sarebbe stato rilasciato il titolo o sarebbero stati individuati i legittimati attivi d rimane ferma l’esigenza di assicurare che la tutela del paesaggio avvenga senza imporre sacrifici inutili al privato cfr. art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001, che prevede la sanzione pecuniaria solo in caso di non emendabilità del vizio della procedura o d’impossibilità della rimessione in pristino e pur non sussistendo una decadenza dal potere di autoannullamento del titolo edilizio, la caducazione che intervenga a notevole distanza di tempo, dopo che le opere siano state completate, esige un’analitica e concludente motivazione. B In primo luogo devono essere esaminate le doglianze relative ai profili procedimentali e sostanziali attinenti alla presenza ed alla gestione dei vincoli paesaggistici . Tali doglianze vanno ritenute I inammissibili, ove sollecitino il giudice a valutazioni tecniche e amministrative riservate all’ente pubblico II infondate, ove, contestando la sussistenza dei vincoli, risultino senza fondamento il che avviene, nel caso presente, per tabulas , in virtù dalle risultanze istruttorie documentali di prime cure parimenti resta poi fermo che, in ragione della diversità delle rispettive valutazioni tipiche, l’apprezzamento della compatibilità paesaggistica non possa essere considerato ricompreso in quello inerente lo stretto titolo edilizio. C Ciò posto, va rilevato che nella specie non sussisteva, al momento dell’atto di autotutela in esame, alcuna previa valutazione statale circa la compatibilità paesaggistica dell’avvenuta realizzazione valutazione che pure era essenziale ai fini della sua sanabilità successiva, posto che l’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004, qualifica tale valutazione addirittura come vincolante vale a dire con effetti determinanti in ordine all’autorizzabilità paesaggistica postuma e - per riflesso - in ordine alla sanabilità edilizia ed è appena il caso di rilevare che le valutazioni sostanziali inerenti la sequenza paesaggistica non possono, per quanto formalmente connesse, essere confuse con quelle inerenti la sequenza edilizia , la quale seconda è condizionata dalla prima, e non viceversa . Mancava cioè un elemento essenziale alla formazione della volontà dell’amministrazione comunale e dunque allo stesso suo provvedere in sanatoria edilizia. Le valutazioni del parere vincolante, infatti, sono tali da imporre all’Amministrazione, che poi decide, di uniformarvisi. Il contenuto del provvedere comunale non può disattendere quel giudizio preliminare, sicché la sua radicale assenza impedisce alla radice il corretto formarsi di una volontà decisoria. Non sussistendo una tale previa ed essenziale valutazione paesaggistica statale, correttamente l’Amministrazione comunale ha provveduto – con il primo degli atti qui impugnati - a rimuovere un proprio atto che non poteva in alcun modo prescinderne salvo fosse stato superato da parte della Soprintendenza il termine perentorio di novanta giorni per il che, però, occorreva che l’Amministrazione per i beni culturali fosse stata investita della richiesta di parere e messa in condizione di pienamente conoscere la situazione dei luoghi, al fine di poter esprimere a ragion veduta la propria valutazione il che, come quanto esposto denota senza palesi irragionevolezze circa la stima fatta dalla Soprintendenza sulla completezza dell’istruttoria riguardo al secondo degli atti impugnati, non solo non era avvenuto in origine, ma nemmeno sarebbe avvenuto poi . Difettando radicalmente una tale espressione di vincolante giudizio tecnico statale, non vi è qui, dunque, alcun preteso affidamento da tutelare considerando anche il non lunghissimo tratto di tempo intercorso , perché ne manca in toto il presupposto, non essendosi formata una volontà amministrativa anche astrattamente conforme al modello legale. Tali carenze procedimentali che sono alla corretta base del primo degli atti impugnati non sono sanate, ma in sostanza replicate per il secondo. Nessun effetto risolutore del difetto d’istruttoria demandato dalla Soprintendenza al Comune poteva infatti avere il mero intervento, che si vorrebbe come esaustivamente suppletivo, del privato interessato, posto che per sua irrimediabile natura difettava dei caratteri dell’ufficialità e dell’imparzialità che assistevano o, meglio, avrebbero dovuto assistere - se vi fosse stata - la risposta comunale. Sicché non si trattava di un intervento idoneo a produrre gli effetti di un’adeguata risposta. E, per questo, il mero fatto, ingiustificato, della mancata risposta comunale non è poi di suo sostitutivo - ai fini di legittimità che in questa sede interessano - di un originario difetto istruttorio non sanato. Del resto, è chiaro per le dette ragioni che la stessa Amministrazione statale - con la medesima nota dell’8 ottobre 2010, intervenuta ben prima dei novanta giorni decorrenti dal 6 agosto 2010, quando come afferma l’interessata pervenne all’Ufficio statale la richiesta comunale di atto consultivo – aveva tempestivamente interrotto il termine di novanta giorni per emettere il suo parere. È poi il caso di rilevare che, come accennato, non può essere in alcun modo confusa - come indebitamente viene fatto - la fattispecie dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, inerente l’autorizzazione paesaggistica a sanatoria, in essa incluso il subprocedimento di parere vincolante in questione, con quella dell’ordinaria autorizzazione paesaggistica ex ante che, in via transitoria, era regolata dall’art. 159. Si tratta invero di due fattispecie del tutto diverse quanto a struttura e, ivi, modalità, contenuti ed effetti dell’intervento dell’autorità paesaggistica statale e finalità sicché, è del tutto fuor di luogo assumere che quella della sanatoria autorizzazione ex post facto si sarebbe dovuta conformare a quella dell’autorizzazione ex ante , sia quanto a comunicazioni di avvio del procedimento che quanto ad altre modalità. È così fuor d’opera richiamare le disposizioni, anche sulla partecipazione al procedimento, che governano o governavano l’annullamento soprintendentizio delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate a livello comunale. C Per quanto concerne la partecipazione dell’interessato, va comunque rilevato che – come la stessa interessata ricorda – l’atto di autotutela in esame che è quello qui impugnato per primo è stato preceduto dall’atto 7 aprile 2012 di preavviso di annullamento, ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241 del 1990 sicché nessuna lesione del contraddittorio procedimentale è dato ravvisare. La circostanza poi che la stessa interessata avesse così, con istanza del 16 aprile 2009, sollecitato il Comune perché trasmettesse la pratica alla Soprintendenza, non è sufficiente a determinare, con l’omissione di tale trasmissione, l’illegittimità dell’autoannullamento, perché comunque il permesso di costruire in sanatoria rimase senza il necessario previo parere vincolante soprintendentizio. D Quanto alla nota n. 18970 del 7 dicembre 2010 con cui la Soprintendenza aveva poi espresso il parere di non compatibilità paesaggistica, cioè il scondo degli atti impugnati , non sussiste la sua illegittimità derivata, non solo perché non è illegittimo l’atto da cui deriverebbe, ma anche per ragioni intrinseche. A quanto già qui considerato, infatti, va aggiunto che la valutazione tecnica d’inadeguatezza della documentazione non appare, come accennato, in sé irragionevole, essendo logico e lineare che quegli accertamenti richiesti fossero considerati necessari al giudizio di compatibilità paesaggistica essa è da considerare pertanto contenuta nei limiti di congruenza e proporzionalità, così come la coerente conclusione della negatività – evidentemente, allo stato procedimentale – del parere sfavorevole. La circostanza poi, asserita dall’interessata, che questa deficienza istruttoria sarebbe da imputare a negligenza comunale non è in questa sede rilevante perché non è oggettivamente sufficiente – anche rispetto al canone di buona amministrazione - a sostituire l’inesistenza di quell’accertamento con una sua parvenza o fictio juris . Conclusivamente, l’appello va accolto , con riforma dell’impugnata sentenza, rigetto del ricorso di prima istanza e definitiva salvezza degli atti ivi gravati. Gli oneri processuali del doppio grado si liquidano come in dispositivo, secondo il consueto criterio della soccombenza . P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione VI, accoglie l’appello r.g.n. 193/2012 , con riforma dell’impugnata sentenza, rigetto del ricorso di prima istanza e definitiva salvezza degli atti ivi gravati, e condanna l’appellata e soccombente Francesca Amoruso a rifondere al Ministero ed alla Soprintendenza appellanti e vittoriosi in ragione di metà per ciascuno gli oneri processuali del doppio grado, liquidati in complessivi euro 4000,00 quattromila/00 , oltre ai dovuti accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.