Dottore in legge cercasi. La laurea in giurisprudenza è apprezzata, nella pubblica amministrazione, più di quella in sociologia

L’amministrazione è dotata di un potere discrezionale nell’individuazione della tipologia del titolo di studio richiesto dal bando di concorso, il candidato in possesso in possesso di titolo laurea in sociologia diverso da quello richiesto è pertanto legittimamente escluso.

Concorso a 29 posti . Con bando di data 6 marzo 1995 il Comune di Roma aveva indetto un concorso interno per titoli di servizio e di cultura integrato da colloquio, ai sensi dell’art. 28, nono comma, del d.lgs. 3.2.1993, n. 29, per il conferimento di 29 posti di primo dirigente amministrativo. Al concorso venivano ammessi a partecipare i dipendenti dell’area amministrativa e contabile - profilo professionale amministrativo - in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o equipollente ad essa, provenienti dalla ex carriera direttiva dell’Amministrazione che abbiano maturato un’anzianità di nove anni di effettivo servizio nella predetta carriera direttiva”. Una dipendente dell'Amministrazione capitolina, con la settima qualifica funzionale, collocata nell’area socio-sanitaria e in possesso della laurea in sociologia, aveva impugnato il bando di concorso e la precedente delibera di G.M. che autorizzava la procedura concorsuale, deducendone la illegittimità e chiedendone l’annullamento. La ricorrente sosteneva che il bando, nella parte in cui limitava l’ammissione al concorso soltanto ai dipendenti in possesso della laurea in giurisprudenza o equipollente e collocati nell’area amministrativa e contabile, sarebbe stato illegittimo in quanto in contrasto con la disposizione di cui all’art. 28, nono comma, del d.lgs. 3.2.1993, n. 29, in attuazione della quale il concorso è stato bandito. La predetta disposizione non prevedeva, a suo avviso, ulteriori specificazioni e quindi non consentiva discriminazioni né in ordine al tipo di laurea posseduta né in relazione all’area di provenienza, dovendosi anche considerare che, ancorché collocata in area professionale diversa da quella amministrativo-contabile, ella svolgeva comunque mansioni amministrative.Con sentenza del 6 dicembre 2001 il T.A.R. per il Lazio respingeva il ricorso. I motivi dell'appello. Avverso la sentenza di primo grado l'interessata aveva prodotto appello con, in particolare, i seguenti motivi di censura. innanzitutto la disposizione dell’art. 29, IX comma del d.lgs. n. 29/1993, che permette alle amministrazioni pubbliche di indire concorsi interni per l’accesso alla qualifica dirigenziale, ha carattere transitorio, per permettere alle professionalità interne alle amministrazioni, uno sviluppo di carriera prima di rendere definitiva ed intangibile l’affermazione del principio che si accede alla qualifica dirigenziale solo attraverso pubblico concorso e ciò nel presupposto che la notevole anzianità di servizio richiesta potesse supplire alla mancanza di un titolo specifico e che il generico possesso di un diploma di laurea e, quindi, di un’istruzione universitaria fosse il requisito sufficiente ad essere ammesso alle procedure concorsuali. Secondariamente, la qualifica dirigenziale negli enti locali, individuata dal D.lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni, non è articolata per profili professionali e mentre il possesso di un particolare diploma di laurea è necessario per svolgere le funzioni direttive di alcuni profili quali quello tecnico , per svolgere funzioni direttive in genere di cui la ricorrente è stata incaricata sin dalla data di assunzione non ve ne sarebbe bisogno e del resto la stessa amministrazione avrebbe fatto transitare un numero cospicuo di dirigenti farmacisti cioè laureati in farmacia nella qualifica dirigenziale unica affidando loro incarichi amministrativi. Dirigenti laureati . L' individuazione da parte della pubblica amministrazione di specifici tipi di laurea quale requisito di ammissione alla procedura concorsuale per posti dirigenziali, osserva il Collegio, non trova limiti nel dettato dell’art. 28 del D.lgs. n. 29/1993. La norma, nel prevedere la possibilità di partecipazione al concorso pubblico per esami ai soggetti muniti di laurea, non ha inteso affermare la sufficienza di tale titolo di studio, ma ha unicamente individuato la imprescindibile necessità del diploma di laurea per l’accesso alla qualifica dirigenziale, lasciando alla singola amministrazione, in relazione al posto da ricoprire, la concreta individuazione del tipo di laurea ritenuto necessario per la partecipazione al concorso. Né può ritenersi illegittima, sottolinea la decisione, la scelta di uno specifico titolo di studio in relazione all’affermato carattere necessario ed imprescindibile delle esperienze maturate e capacità organizzative già dimostrate nelle attività svolte nei profili di appartenenza. Istruzione ed esperienza . La normativa in materia, nel richiedere quale requisito di partecipazione al concorso il possesso sia del titolo di studio che di pregressa esperienza di servizio elementi minimi entrambi inderogabili e, per l’effetto, non sostituibili l’uno con l’atro , ha inteso attribuire concorrente e pari rilevanza tanto alla qualificazione culturale che alla concreta esperienza professionale del candidato. Conseguentemente, non risulta illogica o irragionevole la scelta dell’amministrazione la quale, per assicurarsi già in sede di predeterminazione delle regole della procedura concorsuale, la migliore qualificazione possibile in relazione al posto da ricoprire, indirizzi la richiesta di specifici elementi di qualificazione non solo al tipo di servizio già svolto all’interno della pubblica amministrazione, ma al titolo di studio necessario per partecipare al concorso. Ciò è avvenuto nel caso in esame, laddove, a fronte della esperienza di servizio di almeno nove anni in posizione di lavoro corrispondente, per contenuto, alle funzioni della ex carriera direttiva del personale degli enti locali”, la specificità della qualificazione in relazione al posto per il quale il concorso è stato indetto dirigente amministrativo , è stata indirizzata al diploma di laurea da possedere, individuato nel ”diploma di laurea in giurisprudenza o equipollente”. Da un punto di vista oggettivo non appare affetta da irragionevolezza la scelta riferita in via esclusiva al diploma di laurea in giurisprudenza o equipollente , considerato che la stessa risulta la più aderente alle problematiche ed alle complesse materie di ordine giuridico amministrativo da trattare da parte dei dirigenti. La prescrizione in questione è correlata con lo specifico potere dell’organo politico di conferimento degli incarichi dirigenziali all’interno dell’ente, al fine di consentirne il concreto esercizio. Invero, la previsione dei requisiti di ammissione e, tra questi, del titolo di studio è finalizzata alla instaurazione di un rapporto di lavoro dirigenziale ad alto contenuto tecnico professionale e non può affermarsi l’esistenza di una qualsiasi omogeneità tra la laurea in giurisprudenza e quella in sociologia. Discrezionalità nella scelta del tipo di laurea . Allorché, come nel caso di specie, il bando di concorso richieda tassativamente il possesso di un determinato titolo di studio o equipollente per l’ammissione ad un concorso pubblico, non è consentita la valutazione di un titolo di studio diverso. Il principio poggia sul dovuto riconoscimento in capo all’Amministrazione che indice la procedura selettiva – ferma la definizione del livello del titolo, affidata alla legge o ad altra fonte normativa – di un potere discrezionale nell’individuazione della tipologia del titolo stesso, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.8.2009, n. 4994 . Legittimamente quindi l’appellante non è stato ammesso alla partecipazione al concorso per la copertura del posto di dirigente amministrativo essendo in possesso di titolo di studio laurea in sociologia diverso da quello richiesto dal bando.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 24 aprile – 23 ottobre 2012, numero 5351 Presidente Baccarini – Estensore Durante Fatto e diritto 1.- Il Comune di Siena deliberava la riassunzione in forma diretta del servizio di gestione degli impianti di illuminazione votiva dei cimiteri comunali a partire dal 1°gennaio 2010 delibera GM numero 624 del 23 dicembre 2009 . La scelta era motivata sulla considerazione che la gestione in forma diretta rappresentava sulla base delle esperienze passate e dell’attuale gestione di altri comuni toscani di dimensioni comparabili l’opzione economicamente più conveniente ed idonea ad assicurare all’utenza un servizio di adeguata qualità e che poteva essere gestita integrando le relative attività con quelle svolte dalle direzioni edilizie e dalla direzione risorse finanziarie. 2.- Le società appellanti operanti nel campo del settore dell’illuminazione votiva all’interno dei cimiteri comunali, con ricorso al TAR Toscana impugnavano la suddetta delibera e gli atti conseguenti, lamentando con unico articolato motivo di censura violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 113 bis del d. lgv. numero 267 del 2000 dell’art. 23 bis del d. l. numero 112 del 2008 difetto assoluto di motivazione violazione del giusto procedimento e del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché eccesso di potere sotto diversi profili, in quanto in violazione della citata normativa, il servizio non era stato messo sul mercato e affidato con procedura ad evidenza pubblica. 3.- Il TAR Toscana, con sentenza numero 593 del 2011, dichiarava infondato il ricorso e lo respingeva. 4.- Con l’atto di appello in esame, le società hanno impugnato la suddetta sentenza, di cui chiedono l’annullamento o la riforma perché erronea, illogica e gravemente contraddittoria alla stregua dei motivi di violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 113 bis del d. lgs. numero 267 del 2000 e ss.mm.ii dell’art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, numero 112 difetto assoluto di motivazione violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della l. numero 241 del 1990 e ss.mm.ii. violazione del principio del giusto procedimento e di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione eccesso di potere per difetto di motivazione, di istruttoria e difetto dei presupposti. 5.- Si è costituito in giudizio il Comune di Siena che ha proposto anche appello incidentale condizionato, per la riforma della sentenza nella parte in cui avrebbe erroneamente qualificato il servizio di illuminazione votiva come servizio pubblico economico. 6.- Le parti hanno depositato memorie difensive e, alla pubblica udienza del 24 aprile 2012, il giudizio è stato assunto in decisione. 7.- Con l’appello principale le imprese ricorrenti lamentano in sostanza che il Comune di Siena con l’assunzione diretta del servizio pubblico di illuminazione votiva avrebbe sottratto al mercato e alla concorrenza un servizio pubblico a rilevanza economica, in violazione di principi comunitari recepiti nell’ordinamento italiano con le norme di legge su riportate. Il riferimento è, dunque, all’art. 23 bis del d. l. numero 112 del 2008, vigente al momento dell’adozione da parte del Comune di Siena del provvedimento impugnato. La censura è fondata. 7.1- L’art. 23 bis del d.l. numero 112 del 2008, al comma 1 dispone Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili”. Al comma 11, coerentemente con le premesse, è disposta l’abrogazione dell’art. 113 del TUEL nelle parti incompatibili. Ai commi 2 e 3, è prevista, quale modalità ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici a favore di imprenditori o di società di qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità e trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità ”. Quale modalità eccezionale e derogatoria rispetto alle modalità di affidamento ordinario è previsto l’affidamento a favore di società a capitale interamente pubblico, allorquando a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimentonon permettono un efficace e utile ricorso al mercato”. Alla stregua della richiamata normativa, non può che condividersi quanto assumono le società appellanti in ordine all’obbligatorietà per l’ente locale di immettere sul mercato e offrire alla concorrenza mediante le procedure competitive i servizi pubblici a rilevanza economica. Invero, l’affidamento alla concorrenza dei servizi pubblici locali a rilevanza economica risale almeno al 2001, per effetto della modifica introdotta dall'art. 35 della legge numero 448 del 2001 all’art. 113 del TUEL approvato con d.lgs. numero 267 del 2000. La modifica della stessa rubrica dell’art. 113 del TUEL i servizi pubblici locali di rilevanza economica e privi di rilevanza economica” in luogo di servizi pubblici locali di rilevanza industriale e privi di rilevanza industriale” è significativa della più limitata libertà di scelta dell’ente locale circa le modalità di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e preclusiva della gestione in economia per i servizi di rilevanza economica. Non è, pertanto, condivisibile quanto affermato in sentenza la disciplina dettata dall’art. 23 bis non contiene un espresso divieto alla gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, né un divieto di tal genere sembra implicitamente desumibile dal testo della normail principio della concorrenza, a cui è ispirata la disciplina del citato art. 23 bis come enunciato nel primo comma non può prevalere sui principi di efficienza ed economicità e buon andamento dell’attività amministrativa, laddove una ragionevole valutazione induca a ritenere preferibili come nel caso in esame, quanto meno in via sperimentale soluzioni interne all’amministrazione interessata e dunque non competitive”. Quanto al precedente di questa sezione Cons. Stato, sez. quinta, 26 gennaio 2011, numero 552 , richiamato dal TAR Toscana, atteso il riferimento in essa contenuto ad attività di modesto impegno finanziario ad esempio di poche migliaia di euro l’anno , esso si riferisce chiaramente alle ipotesi di servizi pubblici privi di rilevanza economica, interpretazione avvalorata dal riferimento a mo’ di esempio ai servizi che notoriamente i comuni possono e gestiscono in economia illuminazione pubblica, centri assistenziali, case di accoglienza, case di riposo, assistenza domiciliare, asili nido, mense scolastiche, mense scolastiche ”. In conclusione può affermarsi che in base alla disciplina dettata dall’art. 23 bis del d. l. numero 112 del 2008 e ss.mm.ii., in caso di servizi pubblici a rilevanza economica, non ne era consentita la gestione in economia, salve le deroghe previste dalla normativa richiamata e con le modalità da essa indicate. 8.- Altra questione è se il servizio di pubblica illuminazione votiva sia sussumibile tra quelli privi di rilevanza economica o se il servizio per come svolto dal Comune di Siena debba qualificarsi quale servizio privo di rilevanza economica, tesi sostenuta dal Comune di Siena con l’appello incidentale. 8.1- In via di principio va considerato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non è possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura economica secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001 . In sostanza, per qualificare un servizio pubblico come avente rilevanza economica o meno è ragionevole pensare che si debba prendere in considerazione non solo la tipologia o caratteristica merceologica del servizio vi sono attività meramente erogative come l'assistenza agli indigenti , ma anche la soluzione organizzativa che l'ente locale, quando può scegliere, sente più appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini ad esempio servizi della cultura e del tempo libero da erogare, a seconda della scelta dell'ente pubblico, con o senza copertura dei costi . Dunque, la distinzione di cui si sta parlando può anzitutto derivare da due presupposti, in quanto non solo vi può essere un servizio che ha rilevanza economica o meno in astratto ma anche uno specifico servizio che, per il modo in cui è organizzato nel caso di specie, presenta o non presenta tale rilevanza economica. Saranno, quindi, privi di rilevanza economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo invero, la dicotomia tra servizi a rilevanza economica e quelli privi di rilevanza economica può anche essere desunta dalle norme privatistiche, coincidendo sostanzialmente con i criteri che contraddistinguono l’attività di impresa nella previsione dell'art. 2082 Cod. civ. e, per quanto di ragione, dell’art. 2195 o, per differenza, con ciò che non vi può essere ricompreso . Per gli altri servizi, astrattamente di rilevanza economica, andrà valutato in concreto se le modalità di erogazione, ne consentano l’assimilazione a servizi pubblici privi di rilevanza economica. 8.2- Fermo tanto, quanto al servizio di illuminazione votiva, è indubbia la rilevanza economica di tale servizio. In tal senso si è espressa la giurisprudenza con orientamento univoco per tutte, Cons. Stato, sez. quinta, 11 agosto 2010, numero 5620 29 marzo 2010, numero 1790 5 dicembre 2008, numero 6049 14 aprile 2008, numero 1600 , nonché l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici in un parere richiesto dall’ANEILVE Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche ed anche il TAR Toscana, con la sentenza appellata, inquadra il servizio di illuminazione votiva all’interno del sistema cimiteriale del Comune di Siena quale servizio pubblico a rilevanza economica”. 8.3.- Assume il Comune di Siena, con l’appello incidentale, che il servizio di cui trattasi, per come è svolto da esso Comune, è privo di rilevanza economica, avendo una redditività modesta. La prospettazione del Comune non appare convincente. Come si è detto, innanzi tutto la qualificazione di un servizio pubblico a rilevanza economica è correlata alla astratta potenzialità di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore cfr. Cons. Stato, numero 5097 del 2009 , sicché non rileva l’irrisorietà dell’utile che in concreto un servizio per come svolto produca. Non è significativa, in conseguenza, la circostanza che l’attività come svolta dal Comune di Siena sia risultata in concreto caratterizzata da un’esigua redditività dai bilanci di previsione degli anni 2010 e 2011 e dal rendiconto di esercizio dell’anno 2010, a fronte di un fatturato pari a 220.000,00 euro l’anno si sono registrate uscite per 206.645,00 euro con un profitto complessivo di euro 13.000,00 l’anno . Né risulta, peraltro, che il Comune di Siena abbia offerto il servizio gratuitamente o sopportandone parte dei costi, risultando, al contrario, che ha svolto in proprio un’attività imprenditoriale vera e propria, seppure senza autonoma organizzazione il servizio sarebbe stato gestito integrando le relative attività con quelle svolte dalle direzioni edilizie e dalla direzione risorse finanziarie . Tale circostanza è dirimente per sussumere tale servizio tra quelli a rilevanza economica con la conseguenza che esso doveva essere esternalizzato in base al citato art. 23 bis del d. l. numero 112 del 2008, più volte richiamato, non potendo essere sottratto al mercato. Va, in conseguenza respinto l’appello incidentale proposto dal Comune di Siena. 9.- Quanto sin qui esposto evidenzia la contraddittorietà e illogicità della sentenza appellata, denunciata dalle ditte appellanti, atteso che pur riconoscendo che il servizio votivo integra un servizio pubblico a rilevanza economica, ammette la possibilità del Comune di optare per la gestione diretta. 9.- La sentenza è illogica ed erronea anche sotto altro profilo. secondo il TAR, la libera scelta dell’amministrazione comunale di procedere alla gestione diretta di un servizio non contrasterebbe con i principi comunitari. Se pure è vero che la disciplina comunitaria consente, ma non impone agli stati membri di prevedere con determinate cautele la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale cfr. Corte Costituzionale numero 325 del 17 novembre 2010 , il vincolo normativo dettato dall’art. 23 bis del d.l. numero 112 del 2008, ratione temporis precludeva la gestione diretta, non rilevando che l’esborso per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica avrebbe potuto essere ben maggiore. Il principio cui è finalizzata la disciplina di cui all’art. 23 bis è la tutela della concorrenza e l’apertura al mercato per tutte le attività imprenditoriali e non la forma più economica di gestione dei servizi pubblici locali. In tale ottica non può trovare ingresso la valutazione del giudice di primo grado secondo il quale Appartiene alla dimensione dell’inverosimile immaginare che un comune di non eccessiva grandezza non possa gestire direttamente un servizio come quello dell’illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l’impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l’esborso per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica potrebbe essere ben maggiore”. 10.- Da ultimo, va considerato che la questione affrontata non è più attuale, atteso che l’art. 23 bis del d. lgs. 112 del 2008, nel testo risultante dalle modificazioni apportate dalla legge 6 agosto 2008, numero 133 e dall’art. 15, comma 1 ter del d. l. numero 135 convertito con modificazioni dalla l. numero 166 del 2009, è stato abrogato a seguito di referendum popolare del giugno 2011, sostanzialmente riproposto con l’art. 4 del d. l. 13 agosto 2011, numero 138, convertito in l. numero 148 del 2011, è stato espunto definitivamente dall’ordinamento con sentenza della Corte Costituzionale 20 luglio 2012, numero 199 la Consulta ha accolto i ricorsi contro la manovra estiva 2011 presentati da alcune regioni, osservando che l’articolo 4 della manovra Tremonti ha violato il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare mediante referendum, desumibile dall’articolo 75 della Costituzione, secondo quanto già riconosciuto da una costante giurisprudenza costituzionale spiega la Consulta a seguito della predetta abrogazione, la disciplina applicabile era quella comunitaria, più favorevole” per le Regioni e per gli enti locali. Pertanto, la reintroduzione da parte del legislatore statale della medesima disciplina oggetto dell’abrogazione referendaria anzi, di una regolamentazione ancor più restrittiva, frutto di un’interpretazione ancor più estesa dell’ambito di operatività della materia della tutela della concorrenza di competenza statale esclusiva , ledendo la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria, avrebbe determinato anche una potenziale lesione delle richiamate sfere di competenza sia delle Regioni che degli enti locali” . 11.- Per quanto sin qui esposto, va accolto l’appello principale e va respinto l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado proposto da Severino Ferri S.a.s. di Pier Luigi Pelegatti & amp C. e Ghiretti Giuseppe s.r.l. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l 'appello principale e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, annulla gli atti impugnati con il ricorso di primo grado. Respinge l’appello incidentale. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.