La solita tecnica del rinvio all’elenco Istat e la posizione delle casse private di previdenza

Torna di attualità un’annosa questione che si riteneva risolta dopo la sentenza del TAR Lazio n. 1938/08 e l’ordinanza del Consiglio di Stato n. 3695/2008.

Rapidamente i fatti. In applicazione del regolamento comunitario n. 2223 del 1996, che ha ad oggetto l’istituzione del sistema europeo dei conti 1995 poi denominato SEC 95” , è previsto a una metodologia relativa alle norme, alle definizioni, alle nomenclature ed alle regole contabili comuni, al fine di consentire l’elaborazione di conti e di tabelle su basi comparabili per le esigenze della Comunità e dei risultati secondo le modalità di cui all’art. 3 b il presente regolamento si applica, tenuto conto degli artt. 7 e 8, a tutti gli atti comunitari nei quali si fa riferimento al SEC o alle sue definizioni c il presente regolamento non obbliga alcun Stato membro ad elaborare per le proprie esigenze i conti in base al SEC 95 l’ISTAT ha formato l’elenco degli Enti pubblici inserendo nel settore degli Enti di previdenza anche le Casse private dei professionisti. Con la sentenza n. 1938/08 il TAR del Lazio, accogliendo il ricorso dell’Adepp e degli Enti di previdenza privata, aveva annullato detto inserimento. Su ricorso dell’ISTAT e del Ministero del Lavoro e dell’Economia, con ordinanza 15.07.2008, n. 3695, il Consiglio di Stato sospese l’efficacia della sentenza affermando testualmente che la sospensione della sentenza appellata appare, altresì, consigliata dall’esigenza di assicurare la corretta attività dell’ISTAT in conformità con gli attuali indirizzi comunitari , ma precisando che alla sospensione dell’efficacia della sentenza non si ricollegano gravi ed irreparabili pregiudizi in capo alle appellate non apparendo il semplice inserimento in un elenco statistico, di per sé, produttivo di effetti sostanziali . Ora è accaduto che, da ultimo, la tecnica del rinvio all’elenco ISTAT è stata adottata dal d.l. 31.05.2010, n. 78 recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica che ha previsto una vasta serie di misure di controllo e contenimento della spese pubblica, applicabili alle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della Pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi del comma 3 dell’art. 1 della legge 31.12.2009, n. 196 reiterata con la legge 30 settembre 2011, n. 228. Nell’elenco ISTAT sono state nuovamente ricomprese le Casse private di previdenza. Ma, per dirla con il Consiglio di Stato, il semplice inserimento in un elenco statistico non è di per sé produttivo degli effetti sostanziali voluti. Com’è noto le Casse private dei professionisti sono Enti previdenziali ed assistenziali delle sole categorie professionali di riferimento. Esse sono state privatizzate in forza del D.lgs. n. 509/1994 in seguito al quale hanno assunto la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi dell’art. 12 c.c., trasformandosi talune in Fondazioni, altre in Associazioni. Le Casse private dei professionisti sono dunque soggetti totalmente privati che svolgono l’intera loro attività in regime privatistico pur svolgendo una funzione pubblica. Le Casse private dei professionisti pertanto a non sono enti pubblici b non sono organi indiretti di enti pubblici c non adottano atti amministrativi d rientrano nella giurisdizione del Giudice ordinario e godono di vera e propria autonomia imprenditoriale f godono di autonomia normativa, gestionale, organizzativa e contabile. Va ricordato altresì che agli Enti previdenziali dei professionisti non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti e che le contribuzioni obbligatorie in loro favore non sono ausilii pubblici di carattere finanziario sicché le vicende che li riguardano non si riflettono sul bilancio finanziario dello Stato o di altri soggetti pubblici cfr Corte dei Conti, Sezione controllo Enti, 02.02.1995, n. 5894 . Trattamento e posizione giuridica degli Enti previdenziali privati sono completamente diversi da quelli degli Enti previdenziali pubblici. Ed, infatti, al contrario degli Enti pubblici che, com’è noto possono contare sulla solidarietà generale azionata dalla fiscalità, per far fronte alle proprie situazioni di eventuali difficoltà possono contare esclusivamente sulle proprie forze, cioè, sulla capacità della categoria rappresentata di sostenere le generazioni presenti e quelle future. È pertanto giuridicamente errato qualificare tali Casse come soggetti pubblici per assoggettarle alle misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica attraverso la tecnica del semplice rinvio all’elenco ISTAT. In definitiva le Casse private dei professionisti in base alla loro natura giuridica di Enti privati non concorrono alla determinazione della spesa pubblica e pertanto non possono essere assoggettate alle misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica. La questione che in passato forse presentava qualche punto di criticità oggi non lo è più proprio alla luce della legge n. 196/2009. L’art. 1 della legge n. 196 dispone anche, al comma 3, che la ricognizione delle Amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 è operata annualmente dall’ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 luglio e precisa, infine, al comma 4 che le disposizioni recate dalla presente legge e dai relativi decreti legislativi costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117 della Costituzione e sono finalizzate alla tutela dell’unità economica della Repubblica italiana, ai sensi dell’art. 320, secondo comma, della Costituzione . Da queste previsioni si evince a che il Legislatore ha chiarito che le norme in commento hanno a che fare proprio con la spesa pubblica, tanto che esse sono erette addirittura a principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica b che l’ISTAT era chiamato solo alla ricognizione delle Pubbliche amministrazioni e che perciò non poteva esercitare alcun potere discrezionale dovendo attenersi strettamente ai limiti ed ai criteri stabiliti dalla legge. Siamo quindi di fronte alla reiterazione di una irragionevole inclusione delle Casse previdenziali private all’interno della tipologia degli Enti pubblici di previdenza ed assistenza. La legge n. 196 del 2009, infatti, era chiara nella propria finalità che era quella di responsabilizzare tutte le amministrazioni che alimentano la spesa pubblica ed a vincolarle agli obiettivi di riduzione e razionalizzazione della spesa. Ho notizia che avverso l’ultimo provvedimento che ha reinserito le Casse private di previdenza tra gli Enti pubblici è stato proposto un nuovo ricorso al TAR Lazio. Ritengo che già alla luce dell’ordinanza 15.07.2008, n. 3695 del Consiglio di Stato il semplice inserimento in un elenco statistico non sia di per sé produttivo di effetti sostanziali. Sulla base di questo pronunciamento ritengo che le Casse private di previdenza non siano tenute a dare applicazione alle misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica di cui al DL 31.05.2010, n. 78 convertito nella legge n. 122/2010. Con sentenza 224/2012 dd. 10.01.2012 il TAR del Lazio, in Camera di Consiglio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell’art. 60 C.P.A. Il TAR Lazio ha annullato, nei limiti dell’interesse impugnato, l’elenco ISTAT 2011, pubblicato nella G.U. n. 228/2011. Per il TAR Lazio le Casse private di previdenza non sono soggette a controllo pubblico in quanto lo Stato non è in grado di influenzarne la gestione, indipendentemente dalla supervisione generale esercitata su tutte le unità analoghe . Ed è di palese evidenza che la vigilanza sulla loro attività, che il legislatore nazionale affida a determinati organi statali, è nozione del tutto diversa dal controllo richiesto dal normatore comunitario. Alcune osservazioni. C’è un passaggio nella motivazione che suscita però qualche perplessità laddove si afferma che l’autonomia finanziaria nelle Casse private di previdenza, le fonti dalle quali discendono le loro entrate id est i contributi ad esse obbligatoriamente versati dagli iscritti ai fondi di previdenza sostitutivi di quello generale I.V.S. sarebbe tale da non configurare una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio delle Casse stesse atteso che a questo fine esse sono già state fornite dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma. È sfuggito però al TAR del Lazio che in base all’art. 2, d.lgs. n. 509/1994, in caso di disavanzo economico finanziario, si provvede alla nomina di un commissario straordinario, il quale adotta i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione ma che in caso di persistenza dello stato di disavanzo economico e finanziario viene nominato un commissario liquidatore con la conseguenza che tutti gli iscritti ritornerebbero nella previdenza generale con una spesa per la finanza pubblica ma è proprio per scongiurare questa eventualità che con la legge 201/2011 sub art. 24, comma 24, il Governo ha dettato regole più stringenti saldo previdenziale attivo per 50 anni per garantire la sostenibilità economico–finanziaria di lungo periodo.

TAR Lazio, Sezione Terza Quater, sentenza 10-11 gennaio 2012, numero 224 Presidente Riggio – Relatore Ferrari sul ricorso numero di registro generale 9979 del 2011, proposto da Adepp Associazione degli Enti Previdenziali Privati ed altri, Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza Geometri Liberi Professionisti, Cassa Nazionale del Notariato, Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragioneri e Periti Commerciali, Enpab - Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Biologi, Enpacl Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Per i Consulenti del Lavoro, Enpav - Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Veterinari, Eppi - Ente di Previdenza dei Periti Industriali, Fondazione Fasc - Fondo Nazionale Previdenza Lavoratori Imprese Sped Corrieri e Agenzie Marittime, Inarcassa Cassa Nazionale Previdenza Assistenza Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani Inpgi Giovanni Amendola, Onaosi Opera Nazionale Assistenza Orfani Sanitari Italiani, Enpap - Ente Nazionale Previdenza e Assistenza per gli Psicologi, Enpapi - Ente Nazionale Previdenza e Assistenza della Professione Infermieristica, Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti, Enpaf - Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Farmacisti, Fondazione Enpaia Ente Nazionale di Previdenza Addetti e Impiegati in Agricoltura, Fondazione Enpam - Ente di Previdenza dei Medici e degli Odontoiatri, Ente di Previdenza ed Assistenza Pluricategoriale Epap, rappresentati e difesi dagli avv.ti Massimo Luciani e Massimo Togna, con domicilio eletto presso l’avv. Massimo Luciani in Roma, via Bocca di Leone, 78 contro l’Istituto Nazionale di Statistica, in persona del legale rappresentante pro tempore, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma, Via dei Portoghesi numero 12, sono per legge domiciliati, l’Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, rappresentato e difeso dagli avv. Ti Gaetano De Ruvo, Alessandro Di Meglio, Francesca Ferrazzoli, Daniela Anziano, domiciliata per legge in Roma, via della Frezza, 17 per l'annullamento in parte qua, dell’elenco Istat recante l'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell'art. 1, comma 3, l. numero 196/09 Visti il ricorso ed i relativi allegati Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Istituto Nazionale di Statistica, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell’economia e delle finanze Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’INPS Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese Visti gli atti tutti della causa Relatore alla pubblica udienza del 10 gennaio 2012 il Consigliere Giulia Ferrari uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale Fatto e diritto 1. Il Collegio nella camera di consiglio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell’atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e ne ha dato comunicazione ai difensori presenti delle parti in causa. Le ricorrenti Casse private di previdenza impugnano l’Elenco ISTAT 2011, pubblicato nella Gazz. Uff. 30 settembre 2011 numero 228, recante l’indicazione delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato e individuate ai sensi dell’art. 1, comma 3, L. 31 dicembre 2009 numero 196. Ne chiedono l’annullamento nella parte in cui illegittimamente le inseriscono fra le suddette Amministrazioni nonostante che provvedano con proprie entrate e in misura totale alla copertura dei costi afferenti l’attività svolta, senza quindi fruire di alcun contributo a carico della finanza pubblica ed incidente sul bilancio dello Stato. 2. Al fine di ricondurre la materia del contendere nei suoi esatti termini alcune preliminari precisazioni s’impongono. Alla compilazione del contestato elenco l’ISTAT ha provveduto assumendo come norme classificatorie e definitorie quelle proprie del sistema statistico comunitario in esso ha quindi ricompreso le unità istituzionali” che ha riscontrato essere in possesso dei requisiti richiesti, per tale qualificazione, dal Regolamento UE numero 2223/96-SEC95. Il modus procedendi dell’Istituto è stato convalidato a livello legislativo dall’art. 1, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica 31 dicembre 2009 numero 196, che definisce il proprio ambito di riferimento” con richiamo agli enti e agli altri soggetti” individuati dall’ISTAT come Amministrazioni pubbliche sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari”. Il successivo comma 3 affida a detto Istituto anche il compito di provvedere annualmente all’aggiornamento del suo elenco. Nell’art. 6 del successivo D.L. 31 maggio 2010 numero 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, è ripetuto il richiamo – come destinatari dei provvedimenti intesi a ridurre il costo complessivo della Pubblica amministrazione e la sua incidenza sul bilancio dello Stato – ai soggetti individuati dall’ISTAT ai sensi del cit. art. 1, comma 3, L. numero 196 del 2009. Le classificazioni dell’Istituto sono state quindi assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento. 3. Nella redazione e nell’aggiornamento del suo elenco l’ISTAT ha espressamente dichiarato di voler utilizzare le classificazioni e la metodologia del SEC95, e a questo riguardo un’ulteriore precisazione s’impone. La preoccupazione della CE, esplicitata con richiamo alle possibilità che le offre l’art. 6 del Regolamento CE numero 223 del 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2009, è di mettere in grado la Commissione Eurostat di disporre di un sistema statistico europeo” e, quindi, di produrre statistiche europee secondo principi statistici e norme prestabiliti”, che le consentano di controllare la spesa pubblica negli Stati membri e, quindi, di conoscere l’effettiva realtà economica di ciascun paese. Ha ritenuto che questo obiettivo è realizzabile ove gli Stati membri, in sede di trasmissione dei dati ad essa necessari per la verifica dei conti nazionali e dei rapporti di ciascuno di essi con le altre economie, utilizzino un vocabolario o linguaggio comune da essa elaborato, che preveda identiche metodologie, classificazioni e nomenclature, ma solo nei rapporti diretti fra Comunità e Stati membri. A ciò ha provveduto con il cit. SEC95, le cui classificazioni esauriscono la loro funzione nei suddetti rapporti, lasciando quindi completamente liberi i singoli Stati di conservare, nei rapporti interni, le proprie metodologie, nomenclature e classificazioni. Lo riconosce espressamente il Regolamento UE numero 2223 del 1996, che all’art. 1, comma 3, afferma che nessuno Stato membro è obbligato ad elaborare, per le proprie esigenze, i conti in base al SEC95”. L’opzione per la disciplina statistica comunitaria, nelle sue diverse articolazioni criteri, definizione e terminologia , anche per i rapporti interni è quindi rimessa alla libera scelta del singolo Stato che peraltro, ove formalizzata con le procedure previste dal proprio ordinamento giuridico, lo vincola sia nel modus procedendi che negli effetti. 4. La scelta del legislatore nazionale è stata nel senso di recepire integralmente il sistema statistico europeo nell’individuazione dei soggetti la cui attività comporta per la Pubblica amministrazione un costo che si riflette pesantemente sul bilancio complessivo dello Stato e sui quali è quindi necessario intervenire con misure restrittive diversamente quantificate, e ciò a prescindere dalla loro natura giuridica persona giuridica pubblica o privata e dalle modalità previste per la nomina degli organi rappresentativi e di governo. Il criterio di identificazione id est la nomenclatura utilizzata comune a tutti i settori di attività, e quindi anche a quello della Pubblica amministrazione, è quello comunitario di unità istituzionale”, inteso come centro elementare di decisione economica caratterizzato da uniformità di comportamento e da autonomia decisionale nell’esercizio della propria funzione principale. La necessità di fare riferimento, agli effetti classificatori, agli attuali indirizzi comunitari” è stata espressamente affermata anche dal Consiglio di Stato, sez. VI, con l’ordinanza 16 luglio 2008 numero 3695. Nel settore della Pubblica amministrazione il SEC95 prg. 2.69 riconosce la qualifica di unità istituzionale” a agli organismi pubblici”, che gestiscono e finanziano un insieme di attività principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita b alle istituzioni senza scopo di lucro” dotate di personalità giuridica che, come i primi, agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, ma per esse alla duplice condizione che siano controllate e finanziate in prevalenza da Amministrazione pubbliche”, sì da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico, situazione quest’ultima ritenuta ricorrente nel caso in cui i ricavi per proprie prestazioni di servizi, in condizioni di mercato, non riescono a coprire una quota superiore al 50% dei costi di produzione. Donde la necessità di un continuo intervento pubblico, realizzato mediante contributi non necessariamente statali, per assicurare il pareggio di bilancio. 5. Il raffronto è quindi fra costi complessivi ed entrate proprie, costituenti il corrispettivo economico del servizio reso a soggetti terzi, risultando invece irrilevante la natura giuridica, pubblica o privata, che l’ordinamento nazionale riconosce al singolo soggetto interessato. Si tratta infatti di distinzione irrilevante agli effetti classificatori atteso che il SEC95 richiede come condizione per qualificare unità istituzionali pubbliche” i soggetti operanti senza scopi di lucro nel settore dell’Amministrazione pubblica che essi siano soggetti al controllo di una Pubblica amministrazione e che dal raffronto fra spesa complessiva sostenuta per la loro attività istituzionale e le entrate proprie, costituenti corrispettivo per i servizi resi, queste ultime coprano la prima in misura superiore al 50%. Di qui l’ininfluenza, secondo le regole comunitarie recepite dall’ISTAT, della qualificazione giuridica, pubblica o privata, che gli ordinamenti nazionali assegnano a detti soggetti e all’attività da essi svolta. 6. Ciò premesso deve essere disatteso il primo motivo di doglianza, con il quale le ricorrenti sostengono che la loro qualità di soggetti di diritto privato è elemento da solo sufficiente ad escludere l’applicabilità ad esse del regime previsto dall’impugnato provvedimento. Può infatti opporsi, riprendendo considerazioni già brevemente anticipate sub 4, che nel settore della Pubblica amministrazione il SEC95 prg. 2.69 riconosce la qualifica di unità istituzionale” a agli organismi pubblici”, che gestiscono e finanziano un insieme di attività principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita b alle istituzioni senza scopo di lucro” dotate di personalità giuridica che, come i primi, agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, ma per esse alla duplice condizione che siano controllate e finanziate in prevalenza da Amministrazione pubbliche”, sì da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico, situazione quest’ultima ritenuta ricorrente nel caso in cui i ricavi per proprie prestazioni di servizi, in condizioni di mercato, non riescono a coprire una quota superiore al 50% dei costi di produzione. Donde la necessità di un continuo intervento pubblico, realizzato mediante contributi non necessariamente statali, per assicurare il pareggio di bilancio. Il raffronto è quindi fra costi complessivi ed entrate proprie, costituenti il corrispettivo economico del servizio reso a soggetti terzi, risultando invece irrilevante la natura giuridica, pubblica o privata, che l’ordinamento nazionale riconosce al singolo soggetto interessato. Si tratta infatti di distinzione irrilevante agli effetti classificatori atteso che il SEC95 richiede come condizione per qualificare unità istituzionali pubbliche” i soggetti operanti senza scopi di lucro nel settore dell’Amministrazione pubblica che essi siano soggetti al controllo di una Pubblica amministrazione e che dal raffronto fra spesa complessiva sostenuta per la loro attività istituzionale e le entrate proprie, costituenti corrispettivo per i servizi resi, queste ultime coprano la prima in misura superiore al 50%. Di qui l’ininfluenza, secondo le regole comunitarie recepite dall’ISTAT, della qualificazione giuridica, pubblica o privata, che gli ordinamenti nazionali assegnano a detti soggetti e all’attività da essi svolta. 7. E’ invece fondata ed assorbente la censura con la quale si contesta che le ricorrenti, nel loro operare, possano essere considerate soggette a controllo pubblico” e si sostiene quindi la mancanza, nei loro riguardi, dell’elemento nel quale il Manuale del SEC95 sul disavanzo e sul debito pubblico” individua punto 1.2 dei criteri di classificazione delle unità nel settore delle Amministrazioni pubbliche” un criterio fondamentale ai fini della classificazione”, La nozione comunitaria di controllo” non s’identifica con quella recepita nel nostro ordinamento, e cioè innanzi tutto controllo sugli atti in particolare sul bilancio di previsione e sul conto da parte di un soggetto pubblico sopraordinato, ma si sostanzia nel potere giuridicamente riconosciuto ad un’Amministrazione pubblica di determinare la politica generale e i programmi” della singola unità istituzionale, cioè di stabilire in via autonoma gli obiettivi che essa è chiamata a raggiungere e le modalità che deve seguire per realizzarli, con atti che in effetti sono di amministrazione attiva, e quindi non verificabili nella loro concreta esistenza con riferimento agli atti di controllo nel significato specifico e nella funzione ad essi assegnati dall’ordinamento nazionale. D’altro canto, come già si è accennato, l’uso improprio – alla luce di detto ordinamento – del termine controllo” trova giustificazione nella necessità per il legislatore comunitario di fare ricorso ad una terminologia che, in larga approssimazione, ricomprenda situazioni che i legislatori nazionali identificano con termini specifici e diversi. E’ il caso, ricorrente negli atti di paternità comunitaria, della domanda di giustizia”, locuzione che, con riferimento al nostro ordinamento, deve intendersi indifferentemente riferita all’azione giudiziaria, al ricorso giurisdizionale, all’intervento in giudizio, all’opposizione di terzo, al ricorso amministrativo ordinario e straordinario , ecc., ciascuno soggetto ad una disciplina diversa. E’ ancora il caso del cd. operatore economico”, anch’esso figura di paternità comunitaria, che nella materia dei contratti pubblici ricomprende l’imprenditore persona fisica e giuridica , il fornitore e il prestatore di servizi, il raggruppamento temporaneo d’imprese, i consorzi, gli enti pubblici, ecc., in quanto tutti concorrenti ed aspiranti all’aggiudicazione di un appalto con la Pubblica amministrazione. Anche a detta locuzione l’art. 1 della direttiva 2004/18/CE assegna un valore solo esemplificativo .è utilizzato unicamente per semplificare il testo” , con la conseguenza che ciò che conta non è la terminologia utilizzata dal legislatore comunitario, ma il contenuto e la funzione che ad essa lo stesso assegna e che nel caso in esame sono chiarissimi. In sostanza, ciò che il SEC95 richiede, perché possa ritenersi che un’Amministrazione pubblica esercita il controllo su un’unità istituzionale, è che essa sia in grado di influenzarne la gestione, indipendentemente dalla supervisione generale esercitata su tutte le unità analoghe”. 8. E’ indubbio che tale condizione non ricorre nel caso in esame perché incompatibile con la completa autonomia contabile, organizzativa, gestionale e finanziaria che l’art. 1 comma 1, d.lgs. 30 giugno 1994, numero 509 riconosce agli enti di previdenza privatizzati, che sono solo vigilati” dal Ministero del lavoro e dai Ministeri competenti per materia per ciascuna delle Casse, ed è di palese evidenza che la vigilanza” sulla loro attività, che il legislatore nazionale affida a determinati organi statali, è nozione del tutto diversa dal controllo” richiesto dal normatore comunitario. 8. Parimenti fondata è la censura afferente alla completa autonomia finanziaria delle Casse ricorrenti, che si manifesta con la capacità delle stesse di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero le spese sostenute per l’attività svolta, sicchè manca il presupposto che in coerenza con le finalità perseguite potrebbe giustificare il loro inserimento nell’elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto. L’autonomia finanziaria delle ricorrenti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate id est i contributi ad essa obbligatoriamente versati dagli iscritti ai fondi di previdenza sostitutivi di quello generale I.V.S. , la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio delle ricorrenti atteso che a questo fine esse sono già state fornite dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma. Di qui la conclusione che il criterio di calcolo imposto dal normatore comunitario e per libera scelta recepito dall’ISTAT, e fondato esclusivamente sul rapporto fra spesa complessiva ed entrate proprie, è nel caso in esame ampiamente soddisfatto. 9 Il ricorso deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento nei limiti dell’interesse e, quindi, in parte qua dell’impugnato elenco ISTAT, ma la complessità della materia del contendere giustifica l’integrale compensazione fra le parti in causa delle spese e degli onorari del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Quater definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla nei limiti dell’interesse l’impugnato elenco ISTAT. Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.