Le Sezioni Unite sull’""incolpevole mancata conoscenza del processo a carico"" evinta dopo il giudicato

Nulla è perduto, ma i termini sono più stretti entro trenta giorni dall’avvenuta conoscenza del procedimento possono essere rilevati i vizi notificatori dei decreti di citazione a giudizio di difensori ed imputati, poi il processo può re-iniziare daccapo. Le Sezioni unite legano un filo rosso fra l’impugnazione straordinaria ex art. 629 bis c.p.p. e l’istituto dell’assenza in giudizio ex art. 420 bis ss. c.p.p., recentemente introdotto. Ed è vietato sbagliare l’erroneo Incidente di esecuzione non può essere convertito in richiesta di rescissione del giudicato ex art. cit.

Così le Sezioni Unite con la sentenza n. 15498/21, depositata il 23 aprile. I casi, le prassi. Di sovente nelle fasi della cognizione penale si verificano vizi notificatori degli atti introduttivi riguardanti imputati ovvero difensori – o più difensori, nel caso di avvicendamento di più difensori d’ufficio o di rinunce al mandato, e conseguente difficile individuazione dei professionisti presso cui operare la notifica -, i quali si trascinano fino al giudicato senza essere prima eccepiti. La Cassazione è stata in passato ondivaga sui rimedi esperibili per rilevare la nullità – assoluta ed insanabile ex art. 179 c.p.p. - la Sezione remittente aveva ipotizzato il ricorso al Giudice dell’esecuzione ex art. 670 c.p.p. sulla scorta di una lettura estesa dei vizi notificatori denunciabili contenuti nella norma. Le Sezioni Unite virano nella direzione opposta. Di mezzo la riforma sull’assenza dell’imputato – d.l. n. 67/2014 – e le nuove disposizioni ex art. 420 bis e ss. c.p.p. Cosa accade dopo il giudicato? In luogo della ex contumacia – che presumeva all’imputato la conoscenza del processo dalla regolarità dei procedimenti notificatori – i sospiri comunitari – cfr. art. 6 della CEDU - avevano imposto la rivisitazione dell’istituto e l’introduzione del caso di processo in assenza dell’imputato” che sarebbe stato sospeso dal Giudice fino a nuove e positive ricerche o alla certezza giudiziale sulla conoscenza del processo in capo all’imputato, cioè all’avverarsi delle condizioni ex art. 420 quinquies c.p.p. La forza del principio di garanzia per l’imputato – che deve avere perfetta cognizione della contestazione penale a carico – impone di apprestare mezzi di rilevazione del vizio anche quando il giudicato matura e la sentenza è divenuta irrevocabile. Ma non l’art. 175 c.p.p. – Rimessione nei termini -. L’applicazione è limitata ai casi di mancata conoscenza del decreto penale di condanna a carico – comma 2 dell’art. cit. – ovvero di mancata ed incolpevole mancata conoscenza del processo d’appello per vizi dell’atto introduttivo – comma 1 dell’art. cit. -. Nemmeno l’art. 670 c.p.p. – Incidente di esecuzione -. Sconfessata la Sezione remittente i vizi notificatori denunciabili e contenuti nel comma 1 della norma si riferiscono alla sola comunicazione del provvedimento. L’incidente di esecuzione si limita ad indagare l’esecutività del titolo, non è luogo di rilevazione dei vizi notificatori maturati durante la fase della cognizione penale. Qualche argomento a favore della ipotesi di ricorso all’istituto pareva evincersi dalla restrizione applicativa del comma 2 dell’art. 175 c.p.p. – operata dal d.l. n. 67/2014 – che consente la restituzione nel termine nel solo caso di mancata ed incolpevole conoscenza del decreto penale di condanna, nulla prevedendo negli altri casi e sarebbe parso imponendo – in assenza di strumento alternativo – il ricorso all’incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p. anche per far rilevare i vizi notificatori avvenuti durante la fase della cognizione penale. Le Sezioni Unite non sono convinte il mezzo attiene alla potenza esecutiva del provvedimento penale e indaga i vizi e le vicende del titolo esecutivo, esclusa ogni altra ipotesi estensiva od analogica. Poi la l. n. 103/2017 e la soluzione accolta dalle Sezioni Unite proponibile la sola Richiesta di rescissione del giudicato ex art. 629 bis c.p.p. Appare più lineare la coerenza sistematica fra l’istituto dell’assenza – cfr. art. 420 bis e ss. c.p.p. – ed il mezzo impugnatorio straordinario della rescissione del giudicato ex art. 629 bis c.p.p., che sarebbe invocabile anche laddove l’assenza fosse stata validamente dichiarata nel corso del processo e, tuttavia, il nuovo Giudice sostanzialmente verificasse in seguito l’incolpevole mancata conoscenza del processo – autonomi gli accertamenti -. Non ostano argomenti letterali – l’art. 629 bis c.p.p. prevede l’ipotesi de qua – né tantomeno teleologici – la norma accoglie le sollecitazioni comunitarie sulle garanzie dell’imputato –. Le condizioni sono quelle previste dalla norma la richiesta alla Corte d’appello può essere presentata entro trenta giorni dalla conoscenza del procedimento. Vietato sbagliare escluse la riqualificazione e la conversione dell’incidente di esecuzione in richiesta di rescissione del giudicato. Sono mezzi diversi, di cui solo il secondo impugnatorio – non opera il criterio conservativo ex art. 585 c.p.p.-. Differenti i petitum e le ragioni funzionali degli istituti – nonché i termini decadenziali per la proposizione del mezzo -.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 26 novembre 2020 – 23 aprile 2021, n. 15498 Presidente Cassano – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Pistoia ha condannato per infedele patrocinio l'avvocata B. ritenendo provato, sulla base delle testimonianze acquisite, che la stessa comunicò alla sua assistita, che difendeva in una causa per mobbing situazione lavorativa di conflittualità sistematica e persistente sul luogo di lavoro , una falsa notizia sull'esito del giudizio di secondo grado rappresentandole l'accoglimento della domanda risarcitoria in lungo della pronuncia di inammissibilità p. 5-6 . Nella sentenza di primo grado si osserva che le acquisizioni istruttorie che indicano che successivamente la B. prospettò alla M. la possibilità di una parallela azione di risarcimento per straining situazione di stress forzato sul posto di lavoro che può essere prodotta anche da una singola azione con effetti duraturi nel tempo confermano la tesi della falsa informazione perché la domanda di risarcimento per straining non fu prospettata quale nuova e autonoma domanda risarcitoria ma come causa parallela a quella oggetto del giudizio di appello. Si precisa che soltanto alla fine del luglio del 2012 B. consegnò alla M. il fascicolo della causa, quando già la sua assistita, sulla base della falsa informazione, si era rivolta a dei medici per le consulenze tecniche necessarie per la causa di straining. Si rileva che in questo modo la condotta della B. produsse alla M. un nocumento costituito dal disinvestire 100.000 Euro 60.000 Euro dei quali, però reinvestì in polizze assicurative con l'intento, aggiungendovi quanto si aspettava di ricevere a titolo di risarcimento, di acquistare un immobile. Invece, il Tribunale ha escluso il reato di truffa osservando che la somma 800 Euro che la B. percepì dalla M. corrispondeva alla attività professionale da lei effettivamente svolta nei due gradi di giudizio, peraltro nell'ambito di una più estesa attività di patrocinio né , per altro verso, la M. ha riferito di ulteriori somme che sarebbero state a lei richieste dalla B 2. La Corte di appello di Firenze con sentenza n. 5436 dell'11 ottobre 2019 ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale assolvendo B.E. dal reato di patrocinio infedele ex art. 380 c.p. descritto nel capo A perché il fatto non sussiste e, rigettando l'appello del Procuratore generale e della parte civile costituita, ha confermato la assoluzione dal reato di truffa capo B artt. 81 e 640 c.p., art. 561 c.p., n. 11 sulla base di quanto segue. 2.1. In primo luogo, ha ritenuto che la persona offesa non sia attendibile, perché i contenuti della sua deposizione risultano implausibili e, in parte, smentiti dalla documentazione acquisita. Ha osservato, al riguardo, che non é credibile che la B. abbia taciuto alla sua assistita pure sua amica e assidua frequentatrice del suo studio l'esito del processo in appello, considerando che facilmente sarebbe stata smentita dai suoi stessi dipendenti o se la M. le avesse espressamente chiesto l'esito della causa o lo avesse appreso dal legale della controparte A.U.S.L. che incontrava di frequente o quando fosse giunta la richiesta di pagare le spese processuali alla controparte. Inoltre, ha valutato che proposta di iniziare una causa ulteriore, anch'essa con una domanda di risarcimento, seppure diversamente qualificata, dopo avere vinto il giudizio non poteva che apparire assurda alla M. che aveva una buona cultura e era costantemente attenta alle vicende processuali. Si assume, invece, che la B. comunicò alla M. l'effettivo esito del giudizio e ne propose uno nuovo cogliendo lo spunto offerto dalla stessa sentenza di appello, che qualifica il comportamento vessatoria dell'A.U.S.L. come episodico e, quindi, non rientrante nel mobbing ma riconducibile allo straining. Inoltre, la Corte di appello ha rilevato che l'affermazione della M. di avere portato al nuovo legale la documentazione della causa dopo l'aprile del 2012 é contraddetta dalle acquisizioni istruttorie che mostrano come fra la fine del 2012 e l'inizio del 2013 la M. portò all'avvocato Voce la documentazione necessaria a comprendere la situazione già nella sentenza di primo grado si indica il luglio del 2012 come data in cui la B. consegnò alla M. la documentazione e non risulta verosimile che la M., che fotocopiò pagina per pagina gli atti, non si sia accorta che conteneva la sentenza. In questo quadro, la Corte ha ritenuto che la M. fosse in malafede quando disse all'avvocato della controparte, nel marzo del 2013, di non sapere di avere perso la causa mentre già in precedenza l'avvocato Voce le avrebbe detto che la B. la stava ingannando. Dalla valutazione unitaria della vicenda, la Corte di appello ha desunto, sul punto espressamente contrastando il ragionamento del Tribunale, che i fatti accertati rendono non credibile che la M. non abbia conosciuto sin dall'inizio la reale sorte del suo processo in appello p. 12-14 2.2. In secondo luogo, la Corte di appello ha ritenuto comunque non provato che la condotta ascritta alla B. abbia danneggiato la M. osservando che la stessa non ha saputo indicare quale fosse tale immobile, dove fosse ubicato, quanto costasse e a che stadio fossero le trattative per il suo acquisto soltanto due giorni dopo la smobilitazione del capitale al dichiarato fine di acquistare l'immobile, la M. ne reinvestì la metà in titoli della società Generali il che é incompatibile con l'addotta necessità di utilizzare l'atteso risarcimento per l'acquisto e di avere tenuto sul conto infruttuose, in attesa del risarcimento, le somme smobilizzate . Dalle non credibili prospettazioni della M. circa il nocumento patito ha desunto ulteriori elementi per valutare non credibili le sue dichiarazioni anche nella parte, fondamentale, in cui afferma che la B.', durante un fugace incontro nello studio legale e senza che altri fossero presenti, le mentì sull'esito della causa in appello. Inoltre, la Corte di appello ha considerato che le spese affrontate dalla M. per le consulenze tecniche necessarie per intraprendere la nuova causa non sono connesse alla condotta ascritta alla B. e risultano comunque in linea con una non irragionevole azione civile da intraprendere. 2.3. Quanto alla truffa, la Corte di appello ha confermato l'assoluzione osservando che nessuno degli appellanti si é confrontato con le argomentazioni del Tribunale e che la mancanza di prova della condotta di cui al capo A si riflette anche sulla prova del reato di cui al capo B. 3. Nel ricorso presentato dalla parte civile M.M.F. si chiede l'annullamento della sentenza. 3.1. Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio della motivazione nella parte in cui riforma la sentenza di primo grado senza sviluppare una argomentazione conforme ai canoni della cosiddetta motivazione rinforzata con particolare riferimento alla attendibilità della persona offesa esclusa sulla base di una mera valutazione di implausibilità delle sue dichiarazioni. 3.2. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione nell'assumere che le dichiarazioni della persona offesa costituitasi parte civile possano valutarsi secondo i parametri dettati dall'art. 192 c.p.p., commi 2 e 3, senza inserire nel ragionamento assunti ipotetici relativamente a quel che sarebbe da attendersi circa i comportamenti dell'imputata e della persona offesa e con manifesta illogicità circa la attendibilità della persona offesa e la valutazione parcellizzata degli indizi. 3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione della legge relativamente all'elemento oggettivo del nocumento arrecato con il reato ex art. 380 c.p. capo A , trascurando che, comunque, la M. in conseguenza della falsa notizia comunicatale dalla B. disinvestì delle somme così perdendo gli interessi che diversamente sarebbero maturati a suo favore e, che, per altro verso, patì il danno morale derivante dal vedere disattesa la sua aspettativa di risarcimento e dal doversi impegnare in una nuova causa. 3.4. Con il quarto motivo si deduce violazione della legge relativamente al reato ex art. 640 c.p. trascurando che la condotta truffaldina va riferita già al momento della falsa comunicazione circa l'effettivo esito del giudizio di appello mirante a assicurarsi, con la proposizione della nuova causa per straining poi non avviata per il contrario avviso del nuovo difensore , nuovi profitti professionali. Ritenuto in diritto 1. Il ricorso é infondato. Il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado ha l'obbligo di fornire, con una motivazione puntuale e adeguata, una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata. Il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio vale nel caso della pronuncia di una sentenza di condanna ex art. 533 c.p.p., mentre dall'art. 530 c.p.p., che disciplina la decisione assolutoria, emerge un criterio di giudizio opposto é la condanna che deve intervenire al di là di ogni ragionevole dubbio, non - invece - l'assoluzione, possibile anche ex art. 530 c.p.p., comma 2. Ne deriva, che - mentre quando riforma la sentenza di assoluzione, il giudice d'appello deve argomentare circa la ricostruzione che approva la ipotesi accusatoria come l'unica al di là di ogni ragionevole dubbio - nel caso di riforma della sentenza di condanna il giudice d'appello può limitarsi a giustificare ricostruzioni alternative del fatto che siano plausibili e ancorate alle risultanze processuali, confutando in modo specifico e completo i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza e dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229 . Alla luce di questo principio, i motivi del ricorso possono essere trattati unitariamente e risultano concernere il merito delle valutazioni discrezionali della Corte di appello che, invece, senza incorrere in illogicità, ha sviluppato argomentazioni idonee a contrastare quelle che reggono la sentenza di condanna di primo grado che ha riformato. In particolare, a differenza di quel che si deduce nel primi due motivi del ricorso in esame, la Corte di appello non ha escluso la attendibilità delle dichiarazioni della parte civile con una mera valutazione di implausibilità delle sue dichiarazioni, ma ha corroborato il suo assunto analizzando l'andamento cronologico dei fatti per evidenziare l'incongruenza della ignoranza dell'esito del giudizio di appello addotta dalla parte civile M. con i comportamenti concreti dalla stessa attuati e del tutto correttamente ne ha rivisitato le dichiarazioni utilizzando non implausibili massime di comune esperienza e saldando la pluralità degli elementi di rilevanza indiziaria in una ricostruzione della vicenda di segno contrario rispetto a quella di primo grado - che é stata puntualmente vagliata e disattesa - ma coesa e esente da interne manifeste illogicità. Anche a prescindere dall'aspetto concernente la falsa informazione attribuita all'imputata deve registrarsi, con riferimento al terzo motivo di ricorso, che la Corte di appello ha sviluppato una idonea argomentazione per escludere la sussistenza del nocumento ricollegabile alla condotta dell'imputata che compone l'elemento materiale del reato, mentre quanto addotto nel quarto motivo di ricorso circa l'intento dell'imputata di assicurarsi un profitto con la proposizione di una nuova causa per straining esula dai contenuti del capo B delle imputazioni e, peraltro - come osservato nella sentenza impugnata - riguarderebbe condotta afferente a un interesse della sua assistita non irragionevolmente prospettabile in giudizio. 2. Dal rigetto del ricorso della parte civile deriva la sua condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato che risulta equo liquidare come in dispositivo, oltre gli accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato che si liquidano in Euro 3.510,00 oltre accessori di legge.