Presunzione di adeguatezza e proporzionalità della misura custodiale

In tema di misure cautelari per i reati di cui agli artt. 275, comma 3 c.p.p., seppure operi una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge n. 47/2015, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal Giudice, solo ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, così che questo possa rientrare tra gli elementi dai quali risulti che non sussistono o permangono esigenze cautelari.

Il caso. La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, si occupa del ricorso cautelare di un imputato sottoposto a misura custodiale per il delitto di omicidio della propria compagna, avvenuto a seguito di contagio da parte sua del virus da HIV aveva intrattenuto per anni con la stessa rapporti sessuali senza comunicarle del suo stato di salute e l’aveva poi indotta a non sottoporsi a terapia farmacologica . Lo stesso, peraltro, era già stato sottoposto a misura custodiale, venuta meno ai sensi dell’art. 300, comma 4 c.p.p., per il reato di lesioni personali aggravate nei confronti di altra donna, anche essa contagiata a sua insaputa, nel periodo successivo alla morte della compagna. La Corte d’Assise di Appello, investita della richiesta del Procuratore Generale aveva applicato, in esito alla condanna per il reato di omicidio, una nuova misura custodiale considerando, con riguardo alle esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione del reato e il pericolo di fuga, attesa, peraltro, la compatibilità del soggetto, nonostante il suo stato di salute, con il regime carcerario. Argomentazioni del Giudice della cautela e adeguatezza della misura. Lamentava, tuttavia, il ricorrente la mancanza di motivazione in ordine all’esame della situazione concreta tale da giustificare l’applicazione di una nuova misura custodiale sia con riferimento alla sua successiva sottoposizione a terapia farmacologica con azzeramento della carica virale, sia delle gravi condizioni di salute, nonché dell’insussistenza del pericolo di fuga, atteso che già si era trovato nelle condizioni di poter fuggire e non lo aveva fatto . Infine, riteneva la difesa che il Giudice cautelare avesse fatto malgoverno dei principi di adeguatezza e proporzionalità individuati dagli artt. 275 e 275- bis c.p.p., in particolare quello riguardante la presunzione di adeguatezza della misura custodiale ai sensi del comma 3, che è solo relativa e giammai assoluta. Esigenze cautelari susseguenti alla sentenza di condanna. La Corte, nel rigettare il ricorso, afferma, in primo luogo, come nel caso specifico, al fine di applicare un nuovo titolo custodiale, il Giudice abbia correttamente interpretato il disposto dell’art. 275, comma 1- bis c.p.p., che dispone che contestualmente ad una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'articolo 274, comma 1, lettere b e c . La norma, difatti, crea un collegamento logico tra il contenuto della sentenza di condanna e l’esame delle esigenze di cui all’art. 274 c.p.p., evidenziando come sia necessaria, in tali casi, proprio la valutazione di tutti questi elementi che, congiuntamente, possono fondare un giudizio di rafforzamento o affievolimento della presunzione di attualità delle esigenze cautelari in questo senso, Cass. n. 13632/2020 . Adeguatezza e proporzionalità della misura in relazione all’art. 275, comma 3 c.p.p In base al dettato normativo, secondo la Corte, i Giudici del riesame non hanno errato, atteso che la difesa non ha superato, adducendo elementi idonei in tal senso, la presunzione di adeguatezza della misura ivi prevista. Il giudizio di adeguatezza, invero, non ha fatto leva sua una presunzione assoluta, ma proprio sul fatto che, secondo i Giudici, è mancato da parte della difesa un apporto tale da dimostrare l’affievolimento o l’azzeramento delle esigenze. D’altra parte, il comma 3, individua tra i reati per cui è prevista tale presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere proprio l’omicidio, presunzione che è superabile solo nel caso in cui venga data una reale dimostrazione della insussistenza iniziale o sopravvenuta del periculum libertatis . Oltre ciò, la Corte ha ribadito che, proprio nell’ambito della connotazione temporale della vicenda, o meglio delle vicende, riguardanti il ricorrente, il trascorso del tempo non ha né determinato l’attenuazione, né tanto meno il venir meno delle esigenze cautelari. Infatti, la permanenza delle esigenze è stata dai Giudici di merito fondata sull’esistenza dell’ulteriore condotta delittuosa commessa successivamente per il quale l’imputato era già stato attinto da titolo custodiale tale da evidenziare la perdurante pericolosità e inaffidabilità” del ricorrente, motivo per cui, peraltro, la misura custodiale non è stata sostituita con quella degli arresti domiciliari. Custodia e condizioni di salute. La presunzione di cui all’art. 275, comma 3 c.p.p. viene, tuttavia, superata dal divieto di custodia cautelare di soggetti portatori di gravi malattie, come quella dell’imputato, così come previsto dal successivo comma 4- bis , quando risulti accertato il presupposto costituito dalla incompatibilità delle condizioni di salute col regime penitenziario. Di contro, dunque, tale preclusione non opera se la salute del detenuto possa essere garantita presso idonee strutture sanitarie penitenziarie” richiamate dal successivo comma 4- ter . Pertanto, se il soggetto, come nel caso di specie, viene collocato in una struttura in cui si trova un padiglione dedicato ai soggetti portatori di malattie infettive, e lo stesso venga adeguatamente monitorato e sottoposto alle terapie necessarie, la Corte ritiene correttamente applicato il disposto previsto ex lege .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 dicembre 2020 – 7 aprile 2021, n. 13044 Presidente Di Tomassi – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, resa il 23 giugno 2020, il Tribunale di Ancona, investito della richiesta di riesame proposta nell'interesse di P.C., ha rigettato la richiesta confermando l'ordinanza con cui la Corte di assise di appello di Ancona in data 11 giugno 2020 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di cui all'art. 575, relativamente all'omicidio di G.G., contestato come commesso in OMISSIS . 1.1. Originariamente P.C. era stato raggiunto da ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere il 12 giugno 2018 in relazione al reato di lesioni personali aggravate, di cui agli artt. 582 e 583 c.p., contestato come commesso in OMISSIS , perché , consapevole fin dal mese di OMISSIS di essere affetto da HIV, infettava S.R. intrattenendo con la medesima rapporti sessuali senza comunicarle nulla in merito al proprio stato e senza adottare alcuna protezione capo A . P. era stato imputato anche del succitato reato di cui all'art. 575 c.p., perché , consapevole fin dal mese di OMISSIS di essere affetto da HIV, intratteneva con G.G., con cui aveva una relazione sentimentale, rapporti sessuali senza comunicarle nulla in merito al proprio stato e senza adottare alcuna protezione, cosicché la infettava, inducendola altresì a non sottoporsi ad alcun tipo di cura per l'infezione contratta e cagionandone il decesso per complicazioni infettive di un linfoma di Hodgkin B a grandi cellule patologia oncologica AIDS definente capo B . 1.2. Nell'operatività del titolo cautelare emesso esclusivamente per il reato sub A , P. era stato sottoposto al giudizio abbreviato del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona che lo aveva dichiarato responsabile di entrambi i reati, avvinti in continuazione, condannandolo alla pena, già diminuita per il rito, di anno sedici, mesi otto di reclusione. Tale sentenza era stata poi confermata dalla decisione della Corte di assise di appello con sentenza del 26 novembre 2019. Successivamente la Corte di assise di appello, con ordinanza in data 11 giugno 2020, dichiarato la perdita di efficacia della misura in atto, ai sensi dell'art. 300 c.p.p., comma 4. 1.3. La stessa Corte, con ordinanza in pari data, su richiesta del Procuratore generale territoriale, ha applicato nei confronti di P.C. la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al delitto di omicidio di cui al capo B . I giudici della nuova cautela hanno richiamato la sentenza di appello emessa nei confronti dell'imputato dando atto che per il delitto di omicidio alla ritenuta responsabilità di P. era seguita la quantificazione della pena, per l'omicidio, di anni quattordici, mesi otto di reclusione e considerando, quanto alle esigenze cautelari l'evenienza del pericolo di reiterazione del reato e del pericolo di fuga, in una situazione in cui le precedenti ordinanze cautelari avevano escluso l'incompatibilità delle condizioni fisiche del suddetto imputato con il regime carcerario. 1.4. La difesa dell'imputato aveva presentato richiesta di riesame lamentando la nullità dell'ordinanza per carenza assoluta di motivazione, l'insussistenza delle esigenze cautelari, non potendo il pericolo di fuga essere desunto dalla sola entità della pena irrogata, né potendo fondarsi il pericolo di recidiva sulla mera declamazione di formule stereotipate, e la violazione dei criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura, avendo P. abbandonato la precedente posizione negazionista della malattia e sottoponendosi il medesimo in modo continuo e proficuo alla terapia sanitaria, in una situazione che aveva visto decorrere molto tempo dal contagio di G.G Il Tribunale del riesame ha emesso l'ordinanza reiettiva della richiesta osservando che - assodata la gravità indiziaria in ragione della sussistenza della condanna, non definitiva, resa dal giudice della cognizione - emergevano le esigenze cautelari, in riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie e al pericolo di fuga. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato chiedendone l'annullamento e affidando l'impugnazione a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo vengono denunciate la violazione dell'art. 292 c.p.p., comma 2, art. 275 c.p.p., comma 1-bis e art. 309 c.p.p., nonché il corrispondente vizio della motivazione. Secondo la difesa, a prescindere dalla sussistenza o meno delle esigenze cautelari addotte dal Tribunale, la valutazione di tali esigenze nel provvedimento applicativo della misura era risultata totalmente mancante, al di là di meri richiami alle norme processuali e non esisteva il potere in capo ai giudici del riesame di integrare l'apparato argomentativo dell'ordinanza genetica, siccome la motivazione in quest'ultima era assente, avendo - il giudice della nuova cautela - omesso di esaminare la situazione concreta e, al di là dei richiami alla decisione di merito, di addurre gli eventuali elementi sopravvenuti rilevanti, da considerarsi parametro necessario di scrutinio. 2.2. Con il secondo motivo vengono prospettati la violazione dell'art. 274 c.p.p., in tema di riscontro delle esigenze cautelari, e il relativo vizio della motivazione. Il ricorrente sostiene che la risposta data dal Tribunale del riesame alla specifica contestazione mossa dalla difesa in merito all'evenienza delle esigenze cautelari affermata nell'ordinanza della Corte di assise di appello é del tutto illogica, non comprendendosi in forza di quali elementi i giudici del riesame abbiano sostenuto che l'abbandono delle tesi negazioniste, con la sua proficua sottoposizione alla terapia con azzeramento della carica virale, da parte di P. non sia sintomatico del suo sincero pentimento non basterebbero il riferimento alle dichiarazioni rese dai soggetti che avevano contribuito all'affermazione della sua penale responsabilità e la valutazione del comportamento processuale dell'imputato. Inoltre, la difesa evidenzia che, quando era stata emessa la prima misura cautelare, quella relativa al reato di lesioni aggravate, nessuna esigenza cautelare era stata adombrata con riferimento all'omicidio, la condanna relativa al quale del resto si era retta sull'individuazione del mero dolo eventuale. Del resto, nemmeno immediatamente dopo la condanna in secondo grado si era apprezzata alcuna esigenza di tale tipo, sicché la susseguente svolta positiva nel comportamento di P. avrebbe dovuto militare necessariamente in senso attenuativo, non accrescitivo, delle prospettate esigenze. Infine, il ricorrente si duole della mancata considerazione del suo gravissimo stato patologico, di natura tale da influire sulla stessa possibilità della paventata reiterazione del reato, tenuto anche conto della necessità di individuare la concretezza del pericolo d'altro canto, P. non si era dato alla fuga pure quando era emersa la certezza del suo imminente arresto e aveva in OMISSIS tutti i familiari, fra cui una figlia, senza essere nemmeno dotato di passaporto. 2.3. Con il terzo motivo si evidenziano l'erronea applicazione degli artt. 275 e 275-bis c.p.p. e il vizio di motivazione in ordine ai criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura adottata. Il Tribunale, sostiene la difesa, ha ritenuto preclusa, ai sensi dell'art. 275 c.p.p., comma 3, la verifica dell'applicabilità di misure meno afflittive della custodia carceraria, ma l'assunto non costituisce esatta interpretazione della norma indicata, in quanto la presunzione di adeguatezza posta dalla norma é soltanto relativa, anche in virtù della sua interpretazione costituzionalmente orientata e, nella specie, il tempo trascorso e gli altri elementi emersi avrebbero avuto imporre al Tribunale di non arrestarsi all'automatismo applicativo esposto, di fatto trasformando la presunzione da relativa in assoluta attraverso l'inconferente riferimento al comportamento processuale di P 3. Con memoria successiva, la difesa dell'imputato ha svolto motivi nuovi. 3.1. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, si sottolinea l'errore di prospettiva in cui é incorso il Tribunale che ha ricercato le condizioni di applicabilità della misura nella motivazione della sentenza di condanna, senza svolgere ulteriori argomentazioni specificamente volte a giustificare gli addotti pericula libertatis invece, in tema di misure cautelari, opera il costante adeguamento dello status libertatis ai fatti sopravvenuti o a quelli preesistenti e non conosciuti o non valutati dal giudice, secondo il principio rebus sic stantibus a tale principio i giudici del riesame non avrebbero prestato ossequio omettendo di valutare gli elementi sopravvenuti nel lungo tempo trascorso dai fatti, ivi incluse le ingravescenti patologie di P 3.2. Specificando le ragioni alla base del terzo motivo di impugnazione, il ricorrente ribadisce l'erroneità dell'affermazione del Tribunale circa la preclusione a cui si é sentito vincolato sul punto della verifica di adeguatezza di misure cautelari meno afflittive. Al contrario, si sottolinea, é compito specifico del giudice della cautela, pur quando operi la presunzione relativa, esaminare il dato temporale quale elemento di valutazione nella scelta applicativa onde verificare se permangano le esigenze cautelari ovvero si sia avuto il loro affievolimento, tale - quest'ultimo da determinare l'adozione di misure meno afflittive la carenza palesata nel provvedimento impugnato sarebbe ancora più evidente in relazione alle allegazioni difensive inerenti alle gravissime condizioni di salute dell'imputato. 4. Il Procuratore generale ha concluso prospettando la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, in quanto il Tribunale ha reso una motivazione congrua con cui il ricorrente avrebbe omesso di confrontarsi. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene l'impugnazione, nel suo complesso, infondata e, quindi, da rigettarsi. 2. Essa ha investito unicamente la verifica delle esigenze cautelari ed é riferita a provvedimento emesso nella peculiare situazione determinatasi in dipendenza del fatto che per il delitto di omicidio in danno di G.G. inizialmente non era stato emesso titolo cautelare. 2.1. La posizione dell'imputato rispetto alle esigenze cautelari inerenti a tale delitto é venuta in rilievo quando il titolo cautelare relativo alle lesione aggravate in danno di S.R. ascritte a P. si é perento ai sensi dell'art. 300 c.p.p., comma 4. L'ordinanza applicativa inerente al nuovo titolo cautelare, per il momento in cui é stata resa, rinviene il suo paradigma, quanto alla verifica delle esigenze cautelari a cui si é coordinata, nell'art. 275 c.p.p., comma 1-bis, a mente del quale, contestualmente a una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari é condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b e c . Va ribadito che la previsione normativa ora richiamata istituisce un nesso logico tra la decisione di condanna e la disamina dei pericula censiti dall'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b e c , cit., giacché essa colloca espressamente dopo la pronunzia della sentenza la valutazione dei presupposti da sottoporre a verifica, annoverando nel loro ambito anche l'esito del procedimento e gli elementi sopravvenuti al fatto. Pertanto questa valutazione non può avere esclusivo riguardo al tempo trascorso tra la condotta e l'istanza cautelare o sulla gravità del fatto, ma deve afferire in modo complessivo ai presupposti previsti dall'art. 275, comma 1-bis cit. e, dunque, tener conto del fatto specifico accertato con la sentenza di condanna nonché degli ulteriori elementi utili a rafforzare o ad affievolire la presunzione di un attuale periculum libertatis Sez. 3, n. 13632 del 28/02/2020, Martinone, Rv. 279379 - 01 . E', dunque, su questo versante il Tribunale che ha tenuto a evidenziare come la condotta processuale dell'imputato - attinto dall'ordinanza applicativa della misura cautelare personale dopo l'emissione in grado di appello della sentenza di condanna per il relativo titolo - avesse contribuito a far emergere la sua personalità, tale da condurlo a rendere ancora il 22 novembre 2019 dichiarazioni spontanee in cui egli, pur avendo dato atto di avere accettato di sottoporsi alle cure da tre mesi, non aveva ritenuto di doversi almeno scusare con i congiunti della vittima, ma si era limitato a rivolgersi all'altra persona offesa, S.R., peraltro in modo non sincero, né convincente. I giudici del riesame hanno inoltre specificato, sempre nella prospettiva sopra indicata, che alle note negative inerenti alla sua personalità si era aggiunta l'indubbia gravità delle condotte a lui ascritte, con il conseguente giudizio circa la persistenza della sua estrema pericolosità e della sua completa inaffidabilità, essendo stato stabilito che l'imputato aveva trasmesso il virus HIV ad altre due donne M.T. e P.S. , anche perché era stato in tempo successivo alla trasmissione del virus alla sua compagna G.G. che l'imputato aveva commesso il fatto lesivo in danno di S.R 2.2. Il Tribunale, contrariamente all'assunto svolto dal ricorrente, non ha introdotto la valutazione - certamente congruente con la verifica prescritta dalla norma - degli indicati presupposti ex abrupto rispetto al contenuto dell'ordinanza applicativa della misura emessa dalla Corte di assise di appello in data 11 giugno 2020 l'esame di quest'ultimo provvedimento, infatti, rende chiaro che sia la condotta dell'imputato, sia la sua personalità, riguardati anche in relazione all'esito del processo che ha determinati la condanna di P. alla rilevante pena suindicata , hanno formato oggetto di valutazione. La valutazione compiuta nel provvedimento qui impugnato si é , dunque, inserita nel solco già tracciato dal provvedimento genetico, tale da consentire un contraddittorio effettivo sulle condizioni legittimanti la cautela, e si é connotata per un'opera di puntualizzazione e integrazione del tutto consentanea alla necessità di scrutinare in modo compiuto le questioni poste dalla difesa con la richiesta di riesame. Questa valutazione appare conforme al principio di diritto secondo cui, in tema di misure cautelari personali, in osservanza dell'art. 309 c.p.p., comma 9, come modificato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, il tribunale del riesame ha il potere-dovere di integrazione della motivazione del provvedimento impugnato, mentre non può surrogare la motivazione dell'ordinanza cautelare quando essa non abbia un contenuto dimostrativo dell'effettivo esercizio di una autonoma valutazione da parte del giudice emittente l'ordinanza stessa. In tal senso, anche dopo la suindicata modificazione normativa, sussiste il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impositivo della misura qualora questo sia assistito da una motivazione che enunci le ragioni della cautela, anche in forma stringata ed espressa per relationem in adesione alla richiesta cautelare, a meno che non si sia in presenza di una motivazione inesistente, o apparente, comunque del tutto priva di vaglio critico da parte dell'organo giudicante, poiché manca, in tal caso, un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Liccardo, Rv. 272596 - 01 . E' pertanto da disattendere la prima doglianza anche nella parte in cui ha attribuito, senza effettivo fondamento, alle considerazioni svolte dal Tribunale una funzione surrogatoria del provvedimento genetico da annullare, in luogo di quella - in concreto esercitata - di legittima e doverosa integrazione del provvedimento applicativo, già dotato di un sintetico, ma sussistente e autonomo, apparato argomentativo in tema di esigenze cautelari salvaguardate. 3. Quanto al controllo di logicità della motivazione offerta nel provvedimento impugnato, dedotto dalla difesa come mancante nella prima parte del secondo motivo, come specificato anche nel primo motivo aggiunto, é da osservare che l'ordinanza, oltre a quanto si é già ricordato, ha evidenziato che il pericolo rilevato doveva ritenersi attuale e concreto, in quanto l'imputato - nonostante le evidenze emerse a suo carico - ancora negava di aver contagiato volontariamente la moglie e di averla poi indotta a non curarsi, comportandosi nel modo non resipiscente sopra indicato, in un quadro che aveva visto emergere la chiara tendenza di P. a reiterare il suo comportamento delittuoso, senza che fossero ancora emersi segni sedimentati e univoci di mutamento di rotta, non bastando al riguardo, per le ragioni puntualmente spiegate dai giudici del riesame, la sua recente e ancora non consolidata sottoposizione alle cure mediche necessarie. In questa prospettiva, la valutazione della sua condotta, del fatto oggetto di contestazione e dell'esito condannatorio, ancora sub iudice, sortito nel processo in cui é stato emesso il nuovo titolo cautelare nonché del suo comportamento successivo, anche nell'ambito delle stesse scansioni procedimentali, ha costituito legittimo oggetto di scrutinio, in relazione al citato disposto di cui all'art. 275 c.p.p., comma 1-bis. Sotto concorrente profilo, la sua persistente inaffidabilità ha concretato un elemento effettivo e non trascurabile, in rapporto all'entità della condanna riportata, per quanto concerne il ritenuto pericolo di fuga. Che, poi, in epoca antecedente alla condanna emessa dai giudici di appello per il delitto di omicidio in danno di G.G. non fosse stato emesso altro titolo cautelare non ha integrato un dato di fatto idoneo a paralizzare l'iniziativa del Pubblico ministero di richiedere la misura in momento successivo, nel concorso delle condizioni di legge, allorquando le esigenze di tutela della collettività ne hanno sollecitato l'adozione. E, attesa la pregressa e reiterata condotta antigiuridica della stessa specie di cui si é reso responsabile l'imputato, condotta connotata con particolare riferimento alla morte di G.G. dalle allarmanti modalità riportate dai giudici del riesame, la malattia infettiva che lo grava é stata con valutazione non illogica considerata inidonea a neutralizzare, ex se, i pericula emersi. 4. In ordine alla contestazione sollevata dal ricorrente con il terzo motivo, a sua volta integrato dal secondo dei motivi aggiunti, circa la proporzionalità e l'adeguatezza della misura inframuraria applicata, il Tribunale ha spiegato con argomentazioni sufficienti la ragione per la quale la misura custodiate carceraria si rivela proporzionale all'entità del fatto, oltre che adeguata ai pericoli che ne derivano. 4.1. Al riguardo i giudici del riesame hanno fatto leva sulla presunzione fissata dal disposto di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3, e hanno aggiunto che non sono emersi elementi idonei a superare la presunzione di adeguatezza della misura stessa, considerando che la mancanza di dati in tal senso abbia correttamente fatto persistere la preclusione fissata dall'indicata norma. In ogni caso, hanno aggiunto i giudici del riesame, sussisteva e sussiste il concreto e attuale rischio che l'imputato interrompa le cure e metta in atto nuovi comportamenti nocivi sotto il profilo della trasmissione del virus o, per converso, data anche l'elevata entità della condanna, tenti la fuga, in tal senso non potendo optarsi per una misura custodiale diversa da quella inframuraria. Il Tribunale ha evocato l'art. 275 c.p.p., comma 3, che, per il delitto di omicidio, pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, superabile mediante la prova della loro insussistenza iniziale o della loro successiva evaporazione, e stabilisce la presunzione, egualmente relativa, di adeguatezza della custodia cautelare carceraria, superabile con la dimostrazione del loro conveniente soddisfacimento con altre misure cautelari. Peraltro, al di là dell'affermata preclusione, ha spiegato le ragioni per le quali devono ritenersi persistenti i pericoli evidenziati e ha precisato perché soltanto la misura cautelare custodiale é , in concreto, idonea a contenerli. E' stata considerata la - non ininfluente - connotazione diacronica della vicenda cautelare e, però, i giudici della cautela hanno incensurabilmente concluso, per le evidenziate peculiarità, che il tempo trascorso dall'epoca del fatto qui valutato non ha determinato l'attenuazione e tanto meno il venir meno delle esigenze cautelari epoca peraltro non remota, rimontando la morte di G.G. al OMISSIS , pure se il contagio risaliva al OMISSIS , essendo stati tuttavia ritenuti rilevanti anche i comportamenti serbati dall'agente nel periodo intermedio . Pertanto, é da ribadirsi il principio di diritto secondo cui, in tema di misure cautelari per i reati di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3, pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla L. 16 aprile 2015, n. 47, e di un'esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell'indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, che può rientrare tra gli elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, cui si riferisce la norma succitata Sez. 1, n. 28991 del 25/09/2020, Felice, Rv. 279728 - 01 . Tuttavia, i giudici del riesame, con riguardo al caso di specie, hanno in modo congruo e non illogico, ritenuto inadeguato a incidere sulle persistenti esigenze cautelari il tempo trascorso fra il fatto e la misura, tempo d'altronde caratterizzato dall'ulteriore condotta delittuosa emersa nel 2018 e dalla perdurante pericolosità e inaffidabilità motivatamente annessa alla posizione di P.C. e alle specifiche condizioni che l'hanno caratterizzata e la caratterizzano. 4.2. L'approdo raggiunto risulta congruamente giustificato anche nella parte in cui esso ha comportato il diniego, fra le altre misure cautelare personali meno incisive, degli arresti domiciliari, sia pure con l'ausilio dello strumento di controllo elettronico. Resta, per vero, assodato il principio di diritto affermato dal consesso più autorevole dei giudici di legittimità in base a cui, in tema di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, a seguito della riforma introdotta dalla L. n. 47 del 2015, se non si sia al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza, il giudice deve sempre motivare sull'inidoneità - o meno - della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, Lovisi, Rv. 266651 . Deve in pari tempo aggiungersi che la necessità di tale esplicita motivazione non viene in rilievo qualora il giudice di merito abbia dovuto escludere in radice, per ragioni specifiche, quali le caratteristiche delle esigenze cautelari afferenti alla situazione valutata o l'inidoneità del domicilio proposto, la compatibilità di ogni forma di arresti domiciliari. Sicché il giudizio del tribunale del riesame sull'inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull'assenza di opportunità dell'impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall'art. 275-bis c.p.p. Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, Marsili, Rv. 277762 . Va considerato, di conseguenza, assolto l'onere motivazionale in punto di adeguatezza della misura cautelare inframuraria quando il giudice della cautela evidenzi, con congrui argomenti, l'esclusiva idoneità e proporzionalità della misura carceraria, escludendo radicalmente la capacità contenitiva del regime cautelare fiduciario, comunque riconnesso alla custodia cautelare domestica, pur se presidiata dal controllo elettronico. Posto ciò, la generale contestazione di adeguatezza della misura inframuraria sollevata dal ricorrente peraltro, senza riferimenti specifici al disposto di cui all'art. 275-bis c.p.p. risulta contrastata, alla stregua della considerazione ora svolta, dalla ragione per la quale i giudici del riesame hanno escluso in radice la praticabilità della custodia cautelare domestica a tacere del ritenuto pericolo di fuga, la specie di reati, rispetto a cui é stata acclarata l'evenienza delle esigenze cautelari di natura specialpreventiva, con particolare riguardo alle fattispecie antigiuridiche a cui é risultato aduso P.C., rinvengono le loro condizioni di agevole consumazione anche, se non ordinariamente, nel domicilio privato che ospita il soggetto. Pure da quest'ultimo angolo visuale, quindi, l'ordinanza impugnata non risulta viziata da una valutazione incongrua, siccome tale valutazione, coerente con i dati analizzati, é tale da risultare univocamente preclusiva di ogni attuale possibilità di applicazione della custodia cautelare domiciliare. 4.3. Né può censurarsi il ragionamento esposto nell'ordinanza circa la compatibilità delle condizioni di salute di P. con il regime carcerario. Il Tribunale, in ordine alle condizioni personali dell'imputato, ha sottolineato che un'apposita perizia aveva accertato la compatibilità fra la, pur grave, patologia da cui egli é affetto sarcoma di Kaposi e la permanenza del regime carcerario, dal momento che, alla stregua dell'esito dell'accertamento peritale disposto ed espletato, egli risultava e risulta essere idoneamente curato nel circuito inframurario, dotato di adeguata struttura sanitaria, in cui é compreso uno specifico padiglione sanitario dedicato ai soggetti affetti da malattie infettive, padiglione ove l'imputato é stato collocato e trattato in modo considerato idoneo, sia per quanto concerne il monitoraggio della patologia, sia per quanto riguarda la somministrazione delle terapie necessarie, sia per ciò che attiene agli accertamenti diagnostici ulteriori a cui il medesimo viene sottoposto, anche, ove occorra, mediante interventi esterni al carcere, in relazione a un quadro clinico che, allo stato, si profila stabilizzato. L'acclarata - con valutazione di merito basata, in modo coerente e senza vizi logici, sugli elementi acquisiti in virtù dell'approfondimento peritale - persistenza della compatibilità delle condizioni di salute dell'imputato con il regime inframurario destituisce di fondamento la corrispondente doglianza formulata dal ricorrente. Sul punto non é superfluo ribadire che la prevalenza del divieto di custodia in carcere per i soggetti portatori di gravi malattie, quale previsto dall'art. 275 c.p.p., comma 4-bis rispetto alla presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, nel casi di cui al precedente comma 3 cit. articolo, opera soltanto a condizione che risulti accertato il presupposto costituito dall'incompatibilità delle condizioni di salute del soggetto con lo stato di detenzione, intendendosi per tale anche quello attuabile presso taluna delle idonee strutture sanitarie penitenziarie richiamate nel comma 4-ter medesima disposizione Sez. 6, n. 18891 del 24/01/2017, Policastri, Rv. 269889 - 01 . 5. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto. A tale statuizione fa seguito, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario di riferimento, ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. 6. Secondo quanto stabilisce il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 deve disporsi in considerazione del tenore dell'imputazione e delle circostanze di fatto che, secondo l'articolazione descritta nel provvedimento, hanno caratterizzato la vicenda che in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno omettersi le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.