Due ragazzine inviano selfie nude ad un uomo: esclusa la violenza sessuale

Confermata, invece, la responsabilità penale dell’uomo per i reati di pornografia minorile e produzione di materiale pedopornografico. Decisivo il riferimento a video e immagini a carattere sessuale che le due ragazzine hanno trasmesso all’uomo tramite smartphone.

La sola ricezione di foto di due ragazzine nude non è sufficiente per condannare il destinatario – un uomo – per violenza sessuale. Resta confermata, invece, la responsabilità penale per il reato di pornografia minorile e produzione di materiale pedopornografico Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 11623/21, depositata il 26 marzo . All’origine della vicenda c’è il contatto su Instagram tra un uomo e due ragazzine, di neanche 14 anni. Passaggio successivo è la comunicazione tramite smartphone. Su entrambi i fronti, però, ciò che rileva è l’invio all’uomo da parte delle due ragazzine di foto e video a carattere sessuale. Per i Giudici di merito è evidente la colpevolezza dell’uomo, condannato sia per violenza sessuale che per pornografia minorile , e sanzionato in Appello con quattro anni di reclusione. In Cassazione l’uomo prova a ridimensionare la propria condotta, sostenendo di avere pensato di avere a che fare con ragazze entrambe adulte e consapevoli e rimarcando, in questa ottica, che il primo contatto era avvenuto tramite il social network Instagram, che prevede l’iscrizione solamente di soggetti maggiorenni . Inoltre, l’uomo sostiene anche un presunto atteggiamento colposo delle ragazze, emerso anche dalle volontarie e anteriori pubblicazioni di altre foto, in pose erotiche e in costume da bagno, in differenti pagine Instagram . Egli spiega di essere stato indotto ad una rappresentazione distorta della realtà , e pone anche in evidenza l’omissione di controllo da parte dei genitori delle ragazze . Infine, l’uomo contesta anche l’accusa di pornografia minorile , spiegando che da parte sua non vi era alcuna finalità di utilizzo delle fotografie a fini speculativi . In prima battuta i Giudici della Cassazione ricordano che è catalogabile come violenza sessuale la condotta di chi per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, mediante comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico, induca la vittima al compimento di atti che comunque ne coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale e non la mera tranquillità . Ma in questa vicenda si parla della realizzazione indotta di fotografie ritraenti le nudità delle giovani ragazze , senza però il compimento ovvero la sopportazione di atti sessuali . Ciò comporta l’ esclusione della violenza sessuale . Con necessità di un nuovo giudizio in Appello per rideterminare la pena. Indiscutibile, invece, la responsabilità penale per il reato di pornografia minorile . Su questo fronte i magistrati ribadiscono che in tema di reati contro la libertà sessuale commessi in danno di persona minore degli anni 14, l’ignoranza da parte del soggetto agente dell’età della persona offesa scrimina la condotta solo qualora egli, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne sia maggiorenne . Invece, l’uomo ha proposto considerazioni di natura generale relativamente allo scarso controllo genitoriale sulle giovani e alla già avvenuta pubblicazione di fotografie ‘spinte’ delle ragazze in siti con accesso consentito solamente a soggetti maggiorenni . Per quanto concerne, infine, il reato di produzione di materiale pedopornografico, i Giudici chiariscono che non è richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale , e precisano che risponde di tale delitto anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 novembre 2020 – 26 marzo 2021, n. 11623 Presidente Rosi – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell’11 settembre 2019 la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del 18 giugno 2018 del Tribunale di Bologna resa in esito a giudizio abbreviato, ha rideterminato in anni quattro di reclusione - oltre alle sanzioni accessorie e alle statuizioni civili - la pena inflitta a F.R. per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui all’art. 81 c.p., art. 609-bis c.p., comma 1 art. 81, art. 600-ter c.p., comma 1 artt. 81, 609-bis e 81 c.p., art. 600-ter c.p., in danno di C.A. e Fo.Ch. , tredicenni all’epoca dei fatti. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su cinque motivi di impugnazione. 2.1. Col primo motivo, quanto all’esistenza dell’elemento soggettivo dei reati, il ricorrente ha lamentato l’ingiustizia della sentenza nella parte in cui essa aveva valutato l’infondatezza della difesa dell’imputato che aveva sostenuto che le minori fossero entrambe adulte e consapevoli , assumendo che il contrario doveva invece desumersi dalla minaccia di dire tutto ai genitori, dal nickname prescelto da una giovane che indicava l’anno di nascita 03 e dalla foto dell’altra, che palesava trattarsi di teenager , nonché infine dalla circostanza che le due ragazze fossero in vacanza con i nonni. Del pari vi era certa prova tanto della mancata conoscenza della minore età delle persone offese quanto della buona fede dell’imputato, nè al riguardo era stata spesa parola nelle sentenze di merito. Infatti le parti non avevano mai avuto alcun contatto fisico ma solamente una conoscenza virtuale tramite lo scambio di messaggi e fotografie attraverso uno smartphone. Oltre a ciò, il primo contatto era avvenuto tramite il social network Instagram, che prevedeva l’iscrizione solamente di soggetti maggiorenni. Sì che l’evidente atteggiamento colposo delle ragazze era emerso anche dalle volontarie e anteriori pubblicazioni di altre foto, in pose erotiche e in costume da bagno, in differenti pagine Instagram. In tal modo l’imputato era stato indotto ad una rappresentazione distorta della realtà, tale da ingenerare l’errore inevitabile in grado di escludere la colpevolezza. Mentre non poteva non essere evidenziata l’omissione di controllo da parte dei genitori delle ragazze, laddove infine l’imputato aveva immediatamente interrotto i contatti con la Fo. allorché costei, per la prima volta, aveva riferito di essere piccola . In tale quadro si doveva inserire altresì l’avvertimento dell’imputato di avvisare la nonna, quanto all’intenzione della minore di compiere atti di autolesionismo. 2.2. Col secondo motivo il ricorrente, quanto all’elemento oggettivo dei reati contestati ed in relazione all’ipotesi di cui all’art. 600-ter c.p., ha osservato che detta condotta si concretizza nell’utilizzazione dei minori finalizzata all’esercizio di determinate attività ivi specificate, e avrebbe come riferimento il cd. imprenditore di pedofilia. In specie, l’utilizzazione del minore si sarebbe invece realizzata attraverso la minaccia di rilevare ai parenti della persona offesa quali foto fossero state pubblicate sul social network, mentre in ogni caso era del tutto assente la finalità di utilizzo delle fotografie a fini speculativi. Nè il concetto di materiale pornografico poteva riferirsi se non ad una quantità notevole di immagini, filmati o altre rappresentazioni riferite ad una pluralità di soggetti, laddove le pretese immagini erano state identificate in una ventina ovvero in una quindicina, ed in ogni caso non erano presenti in atti, mentre alcune di dette immagini erano già state pubblicate dalle ragazze nelle pagine Instagram. Allo stesso tempo andava esclusa la responsabilità anche a norma dell’art. 609-bis cit 2.3. Col terzo motivo è stato contestato il giudizio sulla personalità dell’imputato, di fatto condannato a nove anni di reclusione quasi fosse pedofilo incallito e senza alcuna considerazione del percorso di vita del ricorrente e dei risultati conseguiti nella vita sociale, ed anche in ragione delle aberranti conseguenze in tema di trattamento sanzionatorio, tenuto conto della ben ridotta offensività della vicenda. 2.4. Col quarto motivo sono state riproposte le considerazioni circa l’assenza della funzione rieducativa della pena detentiva in un’ipotesi del genere. 2.5. Col quinto motivo sono state censurate le valutazioni probatorie, tutte improntate ad impostazione accusatoria e ad attribuire credibilità alle dichiarazioni delle persone offese, benché non fossero state reperite neppure le fotografie oggetto di pubblicazione, benché facilmente rintracciabili. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. 4.1. In via del tutto preliminare la sentenza impugnata va invero annullata senza rinvio limitatamente al capo A e, correlativamente, al capo C limitatamente alle foto di sola nudità ivi contestate, attesa l’insussistenza del fatto. 4.1.1. Vero è, infatti, che ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 609-bis c.p., la nozione di atti sessuali implica necessariamente il coinvolgimento della corporeità sessuale del soggetto passivo, dovendo questi essere costretto a compiere o a subire tali atti cfr. Sez. 3, n. 23094 del 11/05/2011, T., Rv. 250654 . Invero, la fattispecie criminosa di violenza sessuale è integrata, pur in assenza di un contatto fisico diretto con la vittima, quando gli atti sessuali in specie di autoerotismo , quali definiti dall’art. 609-bis c.p., coinvolgano oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa e siano finalizzati ed idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale, nella prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale Sez. 3, n. 11958 del 22/12/2010, dep. 2011, C., Rv. 249746 . Sì che, in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile, è stato ritenuto integrare il reato di violenza sessuale la condotta di chi, per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, mediante comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico con la vittima, induca la stessa al compimento di atti che comunque ne coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale e non la mera tranquillità fattispecie di conferma di condanna per il delitto di violenza sessuale per avere indotto, con plurime comunicazioni telematiche, una minore degli anni quattordici a compiere giochi erotici e ad avere rapporti sessuali virtuali Sez. 3, n. 41951 del 05/07/2019, P., Rv. 277053 . 4.1.2. Ciò posto, quanto al capo A e, in parte qua, al capo C , la contestazione concerne la realizzazione indotta di fotografie ritraenti le nudità delle giovani ragazze, ma senza il compimento ovvero la sopportazione di atti sessuali, sì che per tali condotte - come peraltro era stato correttamente richiesto dalla difesa nelle conclusioni d’appello - non può che essere dichiarata l’insussistenza del fatto. 4.2. Non sono invece fondati, con le precisazioni che precedono e con quanto si dirà in relazione al terzo profilo di censura, i primi due motivi di ricorso. 4.2.1. Al riguardo, infatti, è stato correttamente ricordato che, in tema di reati contro la libertà sessuale commessi in danno di persona minore degli anni quattordici, l’ignoranza da parte del soggetto agente dell’età della persona offesa scrìmìna la condotta solo qualora egli, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne sia maggiorenne ne consegue che non sono sufficienti le sole rassicurazioni verbali circa l’età fornite dal minore e/o da terzi, soprattutto se fornite in maniera ambigua in specie la vittima non aveva indicato con chiarezza la sua età, ma aveva solo lasciato intendere all’imputato di avere quindici anni Sez. 3, n. 775 del 04/04/2017, dep. 2018, V.H., Rv. 271862 . Infatti, ancorché in tema di prostituzione minorile, è stato osservato che il fatto tipico scusante previsto in relazione all’ignoranza inevitabile circa l’età della persona offesa è configurabile solo se l’agente, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia stato indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne fosse maggiorenne ne consegue che non sono sufficienti, al fine di ritenere fondata la causa di non punibilità, elementi quali la presenza nel soggetto di tratti fisici di sviluppo tipici di maggiorenni o rassicurazioni verbali circa l’età, provenienti dal minore o da terzi, nemmeno se contemporaneamente sussistenti l’imputato ha quindi l’onere di provare non solo la non conoscenza dell’età della persona offesa, ma anche di aver fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi a uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell’interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori Sez. 3, n. 12475 del 18/12/2015, dep. 2016, G., Rv. 266484 . In specie, il ricorrente ha inteso affidarsi a considerazioni di natura generale relativamente allo scarso controllo genitoriale sulle giovani e alla già avvenuta pubblicazione di fotografie spinte delle ragazze in siti, l’accesso ai quali era consentito solamente a soggetti maggiorenni. Va da sé che le considerazioni possono rivestire un’indubbia valenza sotto molteplici profili, ma in realtà non rilevano circa la responsabilità del ricorrente, atteso che in tal modo non era certamente conseguita una tale univocità di elementi da consentire l’avvenuto superamento dell’onere probatorio invece incombente sull’agente. Alcuna certezza vi poteva essere, tenuto altresì conto degli elementi di ulteriori ambiguità evidenziati in sede di merito, quanto all’utilizzo di nick name tali da indurre al sospetto quanto all’età delle ragazze la C. ovvero alle professioni di essere piccola la Fo. . Al riguardo, pertanto, la sentenza impugnata va esente da censura. 4.2.2. Non possono sorgere dubbi neppure in ordine all’elemento oggettivo dei reati in contestazione. 4.2.3. In proposito, infatti, anzitutto va ricordato che, ai fini dell’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, non è neppure richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087, ulteriormente precisando, così, quanto affermato da Sez. 3, n. 27252 del 05/06/2007, Aquili, Rv. 237204, secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 600-ter, comma 1 cit., il concetto di utilizzazione comporta la degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, non assumendo valore esimente il relativo consenso, mentre le nozioni di produzione e di esibizione richiedono l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi . Laddove risponde di tale delitto anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo Sez. 3, n. 26862 del 18/04/2019, P., Rv. 276231 . 4.2.4. Parimenti, quanto alla contestata violenza sessuale nel residuo ambito di cui sub C , è pacifico che il reato si configura anche allorché non vi sia compresenza dell’agente e del soggetto passivo cfr. ad es. Sez. 3, n. 19033 del 26/03/2013, L., Rv. 255295 . In specie non vi è questione circa l’uso della minaccia a rivelare tutto ai genitori, ed invero quantomeno una delle due giovani la Fo. era stata in tal modo indotta a compiere atti sessuali su di sé, come è stato espressamente confermato dalla giovane ma al riguardo non vi è mai stato dubbio circa la materialità dei fatti . 4.3. Ciò posto, ed in relazione agli ultimi tre motivi di ricorso che possono essere esaminati congiuntamente attesa la loro evidente connessione, ai fini della determinazione della pena il giudice deve procedere ad una valutazione complessiva del fatto e della personalità dell’autore, categorie di elementi che, se pure sono indicate in due parti separate della stessa disposizione art. 133 c.p. , molto spesso si integrano Sez. 3, n. 48304 del 20/09/2016, Gioia, Rv. 268575 . Ciò premesso, in specie - condividendo i rilievi del ricorrente - il trattamento sanzionatorio andrà necessariamente rivisto alla stregua dell’insussistenza di quanto contestato sub A e, parzialmente, di quanto contestato sub C . Oltre a ciò, il giudizio sulla personalità dell’imputato valutato solamente in relazione all’avvenuto parziale risarcimento del danno e in sostanza alla condotta processuale di larga ammissione dei fatti - andrà altresì rivalutato in considerazione della peculiarità della vicenda e del ruolo non secondario rivestito dalle giovani vittime, che in definitiva si sono inserite in un ambito informatico riservato in tesi a soggetti maggiorenni e, in parte, non erano neppure nuove alla diffusione di fotografie personali. Nè, per vero, la vicenda appare avere particolarmente segnato le stesse persone offese una delle quali tra l’altro già aderente a pagina Internet di chiara connotazione sessuale, cfr. pag. 4 della sentenza del Tribunale di Bologna , sì che la complessiva rinnovata disamina di cui all’art. 133 cit. non potrà prescindere, con libertà di giudizio, da una verifica sulla personalità complessivamente intesa del ricorrente avuto altresì riguardo all’effettiva ricaduta offensiva della vicenda. 5. Va da sé che il rigetto del ricorso nella parte in cui ha contestato gli elementi costitutivi dei reati, fatta eccezione per quanto osservato supra, non può che comportare la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese delle parti civili nei termini liquidati in dispositivo, peraltro con compensazione di un terzo alla stregua delle svolte considerazioni. 5.1. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio limitatamente al capo A , e limitatamente alle condotte riferite alle foto di sola nudità contestate al capo C , perché i fatti non sussistono. Parimenti va annullata la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio quanto alle imputazioni residue, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna, e con rigetto nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo A e limitatamente alle condotte riferite alle foto di sola nudità contestate al capo C , perché i fatti non sussistono ed annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio quanto alle imputazioni residue con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna. Rigetta il ricorso nel resto e condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente grado di giudizio che liquida in Euro tremilanovecento per ciascuna difesa e come da note prodotte, che compensa nella misura di un terzo, oltre spese generali ed accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.