Piena responsabilità dell’imputato per violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia: escluse le circostanze attenuanti

Se durante l’incidente probatorio si evince la piena responsabilità per violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia, sia per la gravità che per la modalità delle condotte le circostanze attenuanti generiche devono essere escluse.

Il caso. Il GUP di Frosinone prima, e la Corte d’Appello di Roma poi, confermavano la condanna di un uomo per episodi di maltrattamento plurimi e violenza sessuale nei confronti della moglie e della figlia . L’imputato si duole per non avere i Giudici di merito tenuto conto sia delle dichiarazioni del vicino di casa, che aveva negato discussioni o litigi, sia del fatto che i Carabinieri non avessero riscontrato segni di percosse sulla moglie, dichiarando inoltre che l’episodio di violenza sessuale nei confronti della figlia fosse avvenuto durante il sonno a seguito di una alterazione psicofisica da occasionale abuso di alcol. Piena responsabilità dell’imputato. Dal momento che durante l’incidente probatorio si era evinta la piena responsabilità dell’uomo, la Cassazione dichiara corretto il calcolo della Corte territoriale, che ha aumentato la pena da 6 a 7 anni di reclusione, tenuto conto delle aggravanti ex art. 609- ter c.p. violenza infraquattordicenne e da parte del genitore , aumentandola poi di 1 anno e 6 mesi per la seconda violenza sessuale e di ulteriori 6 mesi per i maltrattamenti familiari. Escluse le attenuanti generiche. Data la formulazione della condanna, la Suprema Corte considera adeguatamente motivata l’ esclusione delle circostanze attenuanti generiche per la gravità e per la modalità delle condotte, sia per il comportamento tenuto dall’imputato dopo l’arresto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 dicembre 2020 – 22 marzo 2021, n. 10827 Presidente Lapalorcia – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 28 gennaio 2020 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza in data 3 gennaio 2019 del Giudice dell’udienza preliminare di Frosinone che aveva condannato alle pene di legge G.A. per plurimi episodi di maltrattamenti nei confronti della moglie e di violenza sessuale nei confronti della moglie e della figlia. 2. Con il primo motivo di ricorso l’imputato denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in rapporto all’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, artt. 81, 572, 609-bis c.p., art. 609-ter c.p., n. 5-quater. La Corte territoriale non aveva tenuto conto delle dichiarazioni del teste a difesa, suo vicino di casa, che aveva negato episodi di violenza, discussioni o litigi non aveva spiegato le contraddizioni del narrato della moglie, la quale aveva lamentato percosse che non erano state riscontrate dai Carabinieri intervenuti non aveva considerato che l’episodio di violenza nei confronti della figlia, consistente nel toccamento durante il sonno, era stato incosciente ed involontario perché dovuto all’ubriacatura non aveva valutato che l’aver dormito con la figlia era dipeso dalle organizzazioni familiari e che la ragazza era rimasta sempre libera di muoversi, alzarsi e andarsene. Osserva conclusivamente che tutte le circostanze erano indicative dell’assenza degli elementi costitutivi del reato di violenza sessuale nonché della costrizione e che non si ravvisava nella sua condotta il dolo richiesto dalla legge. Con il secondo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione per errata applicazione delle norme penali sul trattamento sanzionatorio, stante l’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed il discostamento dal minimo edittale. Le condotte da lui compiute non erano indicative di una particolare capacità delinquenziale, tant’era vero che la stessa figlia ne aveva tessuto le lodi come lavoratore. Era incensurato e non aveva precedenti di polizia. Lamenta l’illegalità della pena con violazione dell’art. 6 CEDU. Con il terzo eccepisce la violazione di legge ed il vizio di motivazione perché gli era stato applicato un aumento di pena per ogni reato contestato, anziché compiere un unico aumento. Inoltre, non erano state motivate le misure degli aumenti. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. La prima doglianza consiste in generiche deduzioni di fatto che hanno trovato adeguata risposta nelle sentenze di merito. Il Giudice di primo grado ha precisato che il teste della difesa, alla cui escussione era stato condizionato il rito abbreviato, non aveva offerto alcuna informazione utile a spiegare i fatti, perché aveva dichiarato che non aveva mai sentito nè visto nulla, siccome stava fuori per lavoro e rincasava solo alle 20,30. Ha poi ricostruito tutta la vicenda, a partire dalla denuncia che la donna si era decisa a sporgere, solo dopo che aveva saputo dalla madre di un’amica della figlia con cui talvolta si sfogava, che c’era dell’altro, e cioè la violenza sessuale proprio nei confronti della figlia. Con motivazione logica e razionale ha ritenuto pienamente attendibili le persone offese, ha verificato il riscontro esterno costituito dalla teste che aveva raccolto le prime confidenze, ha vagliato le dichiarazioni della ragazzina nell’incidente probatorio. Inconsistenti sono state ritenute le difese dell’imputato che aveva ammesso di aver dato delle pacche sul sedere alla figlia per scherzo ed aveva negato di ubriacarsi. La Corte territoriale ha confermato la motivazione della sentenza di primo grado, che ha richiamato integralmente, reiterando l’apprezzamento dell’attendibilità delle vittime. L’argomento difensivo secondo il quale i toccamenti della figlia a letto sarebbero avvenuti per gesti involontari non è stato creduto dai Giudici di merito ed è stato inammissibilmente riproposto al Giudice di legittimità nei medesimi termini. Si tratta tuttavia di una questione di fatto non presentabile con il ricorso per cassazione che esamina tale tipo di censura solo se devoluta in termini di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione. Del pari inammissibili sono i due motivi sulla pena. Il Giudice di primo grado è stato particolarmente scrupoloso e dettagliato nel calcolo, rendendo le ragioni di tutto il percorso logico effettuato. Ed invero, tenuto conto delle due aggravanti dell’art. 609-ter c.p., nella formulazione all’epoca vigente, di violenza sessuale ai danni di una infraquattordicenne e da parte del genitore, è partito dalla pena base di anni 7 di reclusione, poco superiore al minimo edittale di anni 6 di reclusione. Ha poi applicato un aumento di un anno e sei mesi di reclusione per la seconda violenza sessuale e di sei mesi per i maltrattamenti familiari. La pena è stata ridotta per il rito ad anni sei di reclusione. Le circostanze attenuanti generiche sono state motivatamente escluse per la gravità delle condotte e delle loro modalità nonché il comportamento sprezzante tenuto dopo l’arresto. Gli elementi segnalati dall’imputato a favore sono stati ritenuti implicitamente recessivi rispetto a quelli valutati a carico. La decisione si appalesa immune da censure. Infine, va osservato che gli aumenti per la continuazione sono stati singolarmente quantificati e che non è richiesta la motivazione specifica per ciascuno di essi come evidenziato da Cass., Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, Radosavjlevic, Rv. 279770-01, a differenza del caso che impegna il giudice dell’esecuzione allorché deve individuare applicare la continuazione con pene irrogate da sentenze irrevocabili Cass., Sez. 1, n. 800 del 07/10/2020, Bruzzaniti, Rv. 280216-01 . Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. L’imputato è tenuto al pagamento anche delle spese sostenute nel grado dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 541 c.p.p. e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 110, che vanno liquidate dal Giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, a mezzo del decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 82 e 83, come stabilito dalle Sez. Unite n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760-01. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Roma con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Motivazione semplificata. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.